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I GIUDICI: “RAPPORTI CERTI TRA DELL’UTRI E I GRAVIANO”

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€rnesto

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Dec 9, 2009, 7:59:17 PM12/9/09
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I GIUDICI: “RAPPORTI CERTI TRA DELL’UTRI E I GRAVIANO”

Alla vigilia della deposizione dei capimafia, la sentenza di I°grado
ricostruisce gli intrecci del braccio destro del premier con
CosaNostra e gli accordi con ForzaItalia

I RAPPORTI tra i Graviano e Dell’Utri.
Le rassicurazioni che Forza Italia ha fornito ai boss alla vigilia del
‘94 e il patto elettorale con il partito di Berlusconi. Nella sentenza
che ha condannato in primo grado il senatore Pdl a 9 anni per concorso
esterno in associazione mafiosa la chiave degli ultimi 15 anni di
storia italiana. Dopo la puntata di ieri, ecco nuovi stralci del
documento dei giudici di Palermo. Alla vigilia della deposizione -
domani - proprio dei fratelli Graviano in una nuova puntata del
processo d’Appello a Palermo al braccio destro del premier.

La Standa di Catania

Nel gennaio del 1990, i grandi magazzini Standa di Catania e
provincia sono bersaglio di vari attentati incendiari, opera del clan
Santapaola. La Standa appartiene da un paio d’anni alla Fininvest e
Dell’Utri siede nel consiglio di amministrazione. Il fatto piú grave
avviene all’ipermercato di via Etnea, il 18 gennaio 1990: l’intero
edificio distrutto, danni da 14 miliardi di lire. Altri episodi meno
gravi si susseguono il 21 gennaio, il 12, il 13 e il 16 febbraio. Poi
la catena s’interrompe all’improvviso perché – scrivono i giudici –
Dell’Utri si fa protagonista «di un’ennesima condotta di mediazione
tra gli interessi di Cosa nostra e quelli del gruppo» Fininvest.
Santapaola, essendo latitante, opera tramite il fratello Salvatore e
il nipote Aldo Ercolano, figlio di sua sorella.
Sia Nitto sia Aldo verranno condannati dalla Corte di Assise
d’appello di Catania come mandanti degli incendi alla Standa e della
tentata estorsione che ne seguí. Nello stesso periodo, anche i
magazzini della Sigros (Rinascente, gruppo Agnelli) subiscono
attentati estorsivi di stampo mafioso: se ne occupa un altro uomo di
Santapaola, Salvatore Tuccio. Alla fine la Fiat, come racconteranno i
suoi dirigenti, paga il pizzo a Cosa nostra e alla Sigros torna la
quiete.

Ma fra le estorsioni alla Standa e quelle contemporanee alla Sigros
c’è un abisso. L’esecutore materiale degli attentati alla Standa, il
mafioso catanese Severino Claudio Samperi, “accenna l’esistenza,
accanto alla causale estorsiva, di ulteriori scopi perseguiti dai
mandanti dei fatti criminosi, riferibili esclusivamente alla vicenda
Standa e non all’estorsione ai danni del Sigros”.

Anche l'ex senatore repubblicano Vincenzo Garraffa racconta che la sua
amica Maria Pia La Malfa, moglie di Alberto Dell’Utri (gemello di
Marcello), gli parlò degli attentati alla Standa: “Mi disse che
Marcello Dell’Utri aveva risolto questo problema parlando con un certo
Aldo Papalia, ma non so neanche chi sia. E mi disse anche che scese
personalmente da Milano a Catania”.

Chi è Aldo Papalia?

Un imprenditore catanese processato e poi assolto dall’accusa di
traffico d’armi, in affari con Publitalia e in ottimi rapporti sia con
Alberto sia con Marcello Dell’Utri. Ma anche con Aldo Ercolano.
Insomma, per i giudici Garraffa ha “colto nel segno” ed è totalmente
“attendibile”: pur ignaro di chi fosse Papalia, l’ha indicato con nome
e cognome. Diversi funzionari della Standa e poi gli stessi Berlusconi
e Confalonieri raccontano però ai giudici che, dopo gli attentati,
nessuno si fece vivo per chiedere alla società di pagare né lanciare
altre minacce. Per i giudici, nessuno di loro dice la verità. Visto
che è stata “acquisita la prova della mediazione di Dell’Utri” (sono
stati trovati persino una serie di voli aerei di Dell'Utri a Catania
nel periodo successivo agli attentati ndr), è “logico” che il
Cavaliere “non abbia voluto fornire alcuna conferma in ordine
all’effettiva sussistenza dell’«intervento» effettuato dal suo manager
e amico [...], considerato il costante atteggiamento assunto da Silvio
Berlusconi (e da Fedele Confalonieri) rispetto a tutte le condotte
contestate a Dell’Utri in questo processo, una linea improntata
all’assoluta protezione e tutela dell’imputato, fin dalle prime
dichiarazioni risalenti al 1974”. .

Lo sponsor della Pallacanestro Trapani

Nell’estate del 1990 la Pallacanestro Trapani viene promossa dalla
serie B alla serie A2. Il titolare, Vincenzo Garraffa, un medico e
senatore nelle fila del partito repubblicano, si interessa per
trovarle uno sponsor e si rivolge alla Publitalia, che lo mette in
contatto con la multinazionale della birra Dreher-Heineken. Cosí, in
agosto, firma il contratto con un marchio di quel gruppo, la Birra
Messina, per un miliardo e mezzo di lire. Il denaro gli viene versato
in due rate e lui, per i “diritti di agenzia”, gira come d’accordo a
Publitalia prima 70 e poi 100 milioni in contanti. Ma a questo punto –
come racconterà Garraffa agli inquirenti palermitani – si fanno vivi
due uomini di Publitalia, Piovella e Biraghi, per battere ancora
cassa: pretendono altri 530 milioni, in contanti e in nero, a titolo
di “provvigione”. Garraffa chiede regolare fattura, ma gli rispondono
picche. Allora propone di soddisfare la richiesta con una
sponsorizzazione gratuita per la stagione successiva. Niente da
fare. Cosí, tra la fine del 1991 e l’inizio del 1992, Garraffa vola a
Milano per incontrare Dell’Utri. Il quale gli conferma che la società
non rilascerà alcuna fattura e gli ricorda che “i siciliani prima
pagano e poi discutono”. Lui ribadisce di non avere fondi neri e di
non poter pagare fuoribusta. Allora Dell’Utri lo ammonisce, scrivono i
giudici, “con la frase, percepita come pregna di inquietante e
minaccioso significato: «Ci pensi, perché abbiamo uomini e mezzi per
convincerlo a pagare...». Dopo qualche mese e, comunque, prima della
sua elezione a senatore della Repubblica (avvenuta in occasione delle
elezioni politiche del 5 aprile 1992), il Garraffa riceve la visita
presso il nosocomio di Trapani, dove allora era primario, di due
individui: Virga Vincenzo e Buffa Michele”. Virga è il boss di
Trapani: sarà arrestato nel febbraio 2001 e condannato all’ergastolo
per mafia e per vari omicidi. Buffa è il suo guardaspalle. Sono le
sette del mattino quando i due rendono visita a Garraffa. Virga gli
rivolge poche, ma indimenticabili parole: “Sono stato incaricato da
Marcello Dell’Utri e da altri amici di vedere come è possibile
risolvere il problema di Publitalia”. Garraffa ripete: “Senza fattura,
non intendo pagare”. Virga non si scompone: “Capisco, riferirò. Se ci
sono delle novità la verrò a trovare, altrimenti il discorso è
chiuso”. Garraffa aveva già incontrato Virga qualche anno prima. Per
sua fortuna avevacuratoilgiovanefigliodelboss,ridottoinfindivita da un
incidente con un trattore. Per questo il capo-mafia non se la sente di
fare la voce troppo grossa con lui. In ogni caso non appena i due
uomini d'onore se ne vanno, Garraffa racconta quella visita a due suoi
collaboratori, Valentino Renzi e Giuseppe Vento. A quest’ultimo
confida pure che “se gli fosse successo qualcosa si doveva trovare la
spiegazione nel fatto che era stato avvicinato da personaggi di primo
livello, uomini sentiti”. Poi rompe con Publitalia e si rivolge a
un’altra agenzia. che però non riesce a trovargli uno sponsor per via
– sostiene Garraffa – dell’ostracismo di Publitalia, la cui “influenza
in quel campo era terribile”. Alla fine si inventa una specie di auto-
sponsorizzazione antimafia, applicando sulle divise dei giocatori lo
slogan pubblicitario “L’Altra Sicilia”. La Pallacanestro Trapani,
intanto, viene promossa in serie A e viene invitata al Maurizio
Costanzo Show, su Canale 5. Ma all’ultimo momento l’invito viene
annullato da Costanzo in seguito – sostiene Garraffa – all’intervento
personale di Dell’Utri.
Alloral’imprenditorescrivetuttalasuaamarezzainuna lettera a
Costanzo. Secondo i giudici di Palermo, “la versione dei fatti fornita
dal dott. Vincenzo Garraffa [...] ha trovato sostanziale conferma nel
risultato delle indagini”. Il Tribunale ascolta come testimone Maria
Pia La Malfa, moglie di Alberto Dell’Utri e amica di Garraffa. La
signora conferma che Garraffa andò a incontrare Marcello a Milano
accompagnato da Alberto per parlare della “sponsorizzazione”. Ma non
raggiunse alcun accordo. E, al ritorno, si lamentò con lei e col
marito perché “fu trattato proprio... fu sbattuto fuori all’ufficio”.
Dunque “le dichiarazioni rese dalla La Malfa offrono obiettivo
riscontro alla versione dei fatti fornita dal Garraffa e smentiscono
quella di Marcello Dell’Utri, il quale ha sostenuto che i suoi
incontri con il Garraffa erano dovuti a motivi del tutto diversi”.

Perché Dell’Utri spinse il braccio di ferro con Garraffa al punto
da mandargli un boss mafioso? “La spiegazione dell’arcano, ad avviso
del Collegio, risiede nel forte ed illecito interesse di Publitalia e
conseguentemente di Marcello Dell’Utri, nell’operazione di
sponsorizzazione da parte della Dreher-Heineken, quale è stato reso
palese dalle risultanze processuali che hanno riscontrato la denuncia
del Garraffa, e cioè quello di ricevere denaro in contanti ed in nero
al fine di costituire fondi occulti, attraverso la restituzione a
Publitalia da parte della Pallacanestro Trapani della somma di 750
milioni, pari alla metà dell’intero importo della sponsorizzazione. E
che la costituzione di fondi occulti sia stata una «esercitazione» di
contabilità in nero non inusuale in Publitalia è comprovato dal
processo penale celebrato davanti l’autorità giudiziaria torinese a
carico di Marcello Dell’Utri”.

Infine, secondo il Tribunale di Palermo, sono provati i rapporti di
Dell’Utri con la mafia trapanese, oltreché con quella catanese e
palermitana: “La notizia, appresa de relato, della vicinanza di
Marcello Dell’Utri agli uomini d’onore del mandamento di Trapani (i
quali «l’avevano nellemani»)deve ritenersi attendibile perché
proveniente da un uomo d’onore, Vito Parisi, molto vicino a Vincenzo
Virga, capo di quel mandamento, e pertanto ben a conoscenza delle
relative dinamiche interne e dei rapporti con persone estranee a Cosa
nostra ma contigue alla stessa”.

Per questo caso, nel 2004 il Tribunale di Milano ha condannato sia
Virga sia Dell’Utri a 2 anni di carcere ciascuno per tentata
estorsione aggravata ai danni di Garraffa, condanna confermata in
appello, ma pio annullata in cassazione, che ha rinviato il acso a un
nuovo processo d’appello. Qui i giudici hanno de-rubricato l’accusa di
tentata estorsione in minacce gravi e dichiarato il reato ormai
prescritto. Chi sollecitò Virga a intervenire su Garraffa per conto di
Dell’Utri? I giudici di Palermo non hanno dubbi: “L’intervento del
Virga non poteva che essere stato sollecitato da altri «uomini» e cioè
da influenti esponenti della Cosa nostra trapanese, proprio come
riferito da Vincenzo Sinacori il quale, ottemperando all’incarico
ricevuto da Matteo Messina Denaro, affidò al Virga l’incombenza di
«contattare» Vincenzo Garraffa al fine di risolvere la «questione» che
interessava Dell’Utri. Il collaboranteha dichiarato di avere appreso
da Messina Denaro (l'attuale numero uno di Cosa Nostra, responsabile
delle stragi del '93 ndr) che il Garraffa doveva essere contattato per
un «discorso», relativo a somme di denaro, al quale era «forse»
interessato Dell’Utri ma che «era tramite Mangano”.

I Graviano, boss di Brancaccio

Anche i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, capi-mafia del
quartiere palermitano di Brancaccio e organizzatori delle stragi del
’93 a Milano, arrestati il 27 gennaio 1994 dai carabinieri nella
trattoria milanese “Da Gigi il Cacciatore” dopo anni di latitanza,
avevano

“accertati rapporti e contatti, diretti o mediati da terze persone”
con Dell’Utri. Insieme a loro, vengono arrestatiicognati Salvatore
Spataro e Giuseppe D’Agostino, anch’essi palermitani, che avevano
favorito la loro latitanza. Quando gli chiedono che cosa ci faccia a
Milano, D’Agostino spiega di esserci giunto nel ’92 insieme a
Francesco Piacenti e a Carmelo Barone, i quali gli avevano promesso un
interessamento presso il “sig. Dell’Utri” per trovargli un lavoro. Poi
però Barone morí all’improvviso e non se ne fece nulla. Interrogato
dai carabinieri, Dell’Utri sostiene che D’Agostino, Barone e Piacenti
sono per lui dei perfetti sconosciuti: mai sentiti nominare. Ma,
secondo il Tribunale, mente. Nella sue agende il nome “Barone
Melo” (diminutivo di Carmelo), compare spesso, pure seguito dai numeri
telefonici dell’abitazione e dell’auto. Risentito sul punto a Palerm
all’inizio Dell’Utri dice di non ricordare nessun Barone “nel contesto
di cui qui si sta parlando”. Ma poi Giuseppe D’Agostino viene
riarrestato: non piú per favoreggiamento, ma per mafia, e decide di
collaborare con la giustizia. “Le dichiarazioni rese dal D’Agostino
hanno fornito la chiave di lettura del contenuto di alcune
significative annotazioni riportate nelle agende curate dalla
segretaria dell’imputato. In particolare, sotto la data del 2
settembre 1992, è stata rinvenuta una annotazione nell’ambito della
quale si parla di tale «Melo», con un cognome non riconoscibile
accanto, e l’indicazione: «interessa al Milan». Altre conferme alle
dichiarazioni del D’Agostino si rinvengono in altre annotazioni quali
l’indicazione «10 anni» (quanti ne contava all’epoca il figlio del
collaborante), «in ritiro pullman del Milan, interessato D’agostino
Giacomo (Patrassi – Zagatti)». I due cognomi indicati tra parentesi
sono quelli di due tecnici della società di calcio del Milan ai quali
si sarebbe dovuto presentare il figlio del D’Agostino [...] per
essere sottoposto ad un provino”.
Anche il cognato Salvatore Spataro collabora e conferma il racconto di
D’Agostino. “In sintesi, dal complesso delle dichiarazioni rese dai
due collaboranti emerge che il D’Agostino, intenzionato a far entrare
il figlio Gaetano nel settore giovaniledella squadra del Milan, aveva
interessato Melo Barone, appassionato del gioco del calcio e
presidente di una squadra
dilettantisticalocale,ilqualesierarivoltoaMarcelloDell’Utri ottenendo
che il giovanissimo D’Agostino Gaetano, che contava 10 anni,
effettuasse un provino per il Milan nell’anno 1992. Dopo il decesso
del Barone, avvenuto alla fine di quell’anno, il D’Agostino non si era
perso d’animo e, allo scopo di raggiungere l’obiettivo prefissosi, si
era rivolto ai fratelli Graviano, i quali si erano detti disponibili a
favorirlo e gli avevano fatto capire che non sarebbe stato un problema
per loro contattare i responsabili del Milan e procuragli un posto di
lavoro a Milano presso una catena di esercizi commerciali, che gli
inquirenti hanno, poi, individuato nell’«Euromercato» facente parte
del gruppo Fininvest”. Dunque, nel 1996, Dell’Utri dice di non sapere
chi sia Melo Barone, anche se compare nelle sue agende con il
diminutivo “Melo”. Allora gli leggono le dichiarazioni del pentito
Pasquale Di Filippo, il quale racconta che Barone – legato al clan
Graviano – era stato titolare di un negozio di abbigliamento a
Palermo.Aquelpuntoglitornalamemoriaericordatodiaver conosciuto un
Barone, commerciante di tessuti, presidente della squadra di calcio
“Juventina”, mai piú rivisto dopo il suo allontanamento da Palermo. Ma
anche questa è una bugia: “Che tra il Barone e l’imputato non vi fosse
stata soltanto una lontana conoscenza, dovuta alla comune passione per
il pallone, è dimostrato da documentazione, reperita presso le
aziende Fininvest ed acquisita agli atti, dalla quale risulta che: la
“dott.ssa Lattuada di Fininvest”, segretaria personale dell’imputato,
aveva, nel gennaio 1993, segnalato per l’acquisto un immobile, ubicato
in Via Lincoln a Palermo, il cui proprietario era il “sig. Barone”,
cioè il Melo Barone”.

Francesco Zagatti, nel 1993-94 capo degli osservatori delle
Giovanili del Milan, conferma il pentito Spataro e inguaia Dell’Utri.

Il Tribunale conclude: “È lecito affermare che, negli anni 1993-94,
c’è stato un interessamento nei riguardi del figlio di D’Agostino
Giuseppe da parte di Marcello Dell’Utri e che, essendo già deceduto
Melo Barone, tale interessamento non poteva che essere stato
caldeggiato al prevenuto, direttamente o in via mediata, dai fratelli
Graviano di Brancaccio. La conclusione alla quale perviene il Collegio
poggia sulla constatazione che il giovane D’Agostino ha effettuato un
altro «provino» ad inizio del 1994 (ne ha dato conferma il teste
Buriani Ruben) e cioè nel periodo in cui D’Agostino Giuseppe era
vicino ai fratelli
Graviano,favorendonelalatitanza,edavevaottenuto,perilfiglio Gaetano,
il loro intervento diretto presso la dirigenza del Milan e, in
particolare, presso Marcello Dell’Utri, il quale in effetti aveva
«segnalato» il promettente calciatore al tecnico che doveva
visionarlo, come candidamente e spontaneamente affermato dal teste
Zagatti Francesco”.

La stagione politica

Dalla metà degli anni ‘80, a Berlusconi e al suo entourage, Cosa
nostra non chiede piú soltanto soldi: il legame si sposta
progressivamente da “un primario e immediato interesse di natura
economica, sfociato in rapporti a base estorsiva” a un interesse
“politico”. Riina spera di agganciare Craxi tramite il Cavaliere. Vota
e fa votare Psi nel 1987. Ma non si sa se poi l’aggancio al “gotha
socialista” si sia realizzato “attraverso il canale costituito da
Dell’Utri-Berlusconi-Craxi, oppure se tale risultato fosse stato
ottenuto attraverso l’ausilio di altri soggetti […]. L’assenza di
prova in ordine alla realizzazione di trattative, accordi, favori
politici fatti, o semplicemente richiesti, da Cosa nostra a
Berlusconi, per il tramite di Dell’Utri, permane, ad avviso del
Tribunale, fino al 1993, epoca in cui l’imprenditore milanese aveva
deciso di lanciarsi in prima persona in politica, portando con sé,
quale primo paladino di tale importante scelta, l’imputato Marcello
Dell’Utri, un uomo che da circa venti anni aveva ripetutamente
intessuto, con piena consapevolezza, rapporti di vario genere con
soggetti mafiosi o paramafiosi”.
L’appoggio dato una tantum al Psi, per punire la Dc di non aver
ostacolato a sufficienza il maxiprocesso non portò a Cosanostra i
vantaggi sperati.Tant’è che “proprio dalla constatazione di tale
insuccesso [...] aveva preso le mosse quell’efferata e sanguinosa
rivolta contro lo Stato voluta da Salvatore Riina, culminata negli
eclatanti omicidi e stragi a partire dalla prima metà del 1992; quando
all’insoddisfazione per i «nuovi» politici, che non avevano mantenuto
le promesse, si era sommato identico rancore verso i «vecchi», vieppiú
alimentato dalla principale delle cocenti sconfitte subite sul fronte
giudiziario da Cosa nostra e cioè il passaggio in giudicato, il 30
gennaio 1992, della sentenza emessa all’esito del procedimento penale
maxi-uno”. La strategia stragista di attacco allo Stato dimostra, nel
1992, “l’assenza di contatti sicuri tra la mafia ed il mondo della
politica, la mancanza di accordi, referenti, garanzie, canali ecc.,
successivamente alla perdita di quelli precedentemente esistenti,
vecchi o giovani che fossero stati”. I vecchi referenti, ormai
incapaci di garantire l’impunità a Cosa nostra, vacillano sotto i
colpi delle prime indagini milanesi su Tangentopoli, il che fa
maturare in Cosa nostra

“un’idea politica di tipo separatista, o almeno autonomista, il cui
obiettivo era quello di costituire una nuova forza politica, tutta
siciliana e tutta mafiosa”. Il che non esclude che “nello stesso
preciso torno di tempo in cui questo progetto si stava realizzando e
prendeva corpo, vi fossero rassicuranti e definite alternative
politiche, frutto di accordi e promesse ottenute dai soggetti mafiosi
attraverso altri referenti”.

Sicilia Libera

Per due anni, prima del suo arresto nel 1995, Tullio Cannella viene
incaricato di «curare» la latitanza del boss corleonese Leoluca
Bagarella, cognato di Riina, balzato ai vertici di Cosa nostra dopo
l’arresto di Zu’ Totò il 15 gennaio 1993. Nato e cresciuto a
Brancaccio, vicinissimo ai fratelli Graviano, Cannella ha fatto
politica nella Dc. I giudici lo considerano un collaboratore
attendibile per le sue «dichiarazioni coerenti, logiche,
particolareggiate» sull’evoluzione dei progetti politici di Cosa
nostra nei primi anni 90: “Il delatore ha precisato che Bagarella era
stato suo ospite nel villaggio Euromare «intorno alla metà di giugno,
fino alla fine di agosto e i primi di settembre del
1993» [...]”.
DUNQUE, partorito dalla mente di Leoluca Bagarella (ma, per quel che
lo stesso diceva, era interessato anche il suo amico Provenzano), il
progetto politico indipendentista, che sfocerà nella costituzione del
partito Sicilia Libera a Palermo, era stato affidato dallo stesso boss
corleonese al Cannella”. Nello stesso periodo fioriscono in tutto il
Sud Italia movimenti indipendentisti, e in quel filone Bagarella pensa
di inserire il progetto politico-mafioso di Sicilia Libera. “Con
alcuni esponenti di tali agglomerati politici, il Cannella, dopo aver
ricevuto la delega dal Bagarella, si era incontrato in diverse
occasioni, una dell quali, particolarmente ricordata, svoltasi a
Lamezia Terme, alla fine del 1993. Tra gli altri, presenti a
quell’incontro vi erano alcuni esponenti della Lega Nord, in quanto
tale movimento era interessato «a che si potesse effettuare
un’operazione del genere nel meridione d’Italia», i quali erano stati
accompagnati alla riunione politica dal principe Domenico Napoleone
Orsini. […] Nella fase iniziale della vicenda, Bagarella aveva
finanziato l’attività di proselitismo dello stesso Cannella [...] Poi,
però, il boss non aveva voluto affrontare altri costi, pretendendo che
fosse il collaborante a sostenerli”.

È importante la scansione temporale del passaggio di Cosa nostra da
Sicilia Libera a Forza Italia: “Si è detto che la nascita del
movimento a Palermo, per opera del Cannella e su input di Bagarella,
era avvenuta a ottobre del 1993; fino al mese di novembre, certamente,
la questione non era ancora chiusa. Invece il cambio di direzione
verso Forza Italia e l’abbandono definitivo del progetto si era
apprezzato «intorno al gennaio del 1994». [...]. Il collaborante, a
quel punto, [...] aveva interpellato il Bagarella sulla eventualità
che qualche candidato di Sicilia Libera potesse essere inserito nelle
liste di Forza Italia, il nuovo partito che il suo interlocutore aveva
deciso di appoggiare”.

Secondo Cannella, nel gennaio ’94, un mese e mezzo prima delle
elezioni, “Bagarella mi disse che avrebbe parlato con una persona che
sarebbe stato in grado di ordinare, allora si sapeva, noi sapevamo che
l’onorevole Miccichè si occupava della formazione delle liste qui in
Sicilia insieme ad un certo La Porta [...]. Allora disse: «io ho la
persona che è in grado di dire a questo Miccichè quello che deve
fare». Io me ne andai, aspettai qualche giorno, non ricordo se venne
Calvaruso o Nino Mangano [uomo d’onore della famiglia di Brancaccio,
ndr] a dirmi che di lí a breve mi dovevo ritenere rintracciabile in
ufficio perché [...] mi avrebbero fatto incontrare un certo Vittorio
Nangano o Mangano. [..]. ma l’incontro con questo Mangano non avvenne.
Successivamente [...] mi capitò solo di incontrare Bagarella... e gli
chiesi: «ma come è finita?». Dice: «niente, purtroppo non c’è piú
niente da fare». Lui mi disse [...] che non c’era piú il tempo per
metterlo in lista”.

Per i giudici «le dichiarazioni di Cannella, assoluto padrone della
materia, sono state pienamente riscontrate da una mole di elementi
esterni». Un lancio Ansa del 26 settembre 1993 conferma la riunione
di Lamezia Terme. Dai tabulati telefonici «incrociati» dal consulente
della Procura Gioacchino Genchi, risulta «la prova di numerosi
contatti tra vari soggetti indicati da Cannella» a proposito di
Sicilia Libera. Tanto per cambiare, salta fuori anche Dell’Utri, in
contatto nel febbraio del 1994 con il principe Domenico Napoleone
Orsini, il cui nome è anche presente nelle agende del manager. Ma
Dell’Utri dice di non conoscerlo. Le sue negazioni, smentendo anche
l’evidenza, diventano così un «elemento indiziante». Anche perché un
altro riscontro alle dichiarazioni di Cannella arriva dal pentito Tony
Calvaruso, autista di Bagarella. Riscontro tanto piú importante in
quanto nemmeno lui, come Cannella, parla direttamente di Dell’Utri. Ma
racconta che “andò scemando questo discorso di Sicilia Libera, tanto
si rafforzava il discorso di Forza Italia «perché c’era la voce
unanime di votare Forza Italia, anche quando si parlava del partito
Sicilia Libera». In ogni caso, egli aveva saputo da Bagarella che il
partito di Forza Italia andava sostenuto in quanto aveva una linea
garantista e, quindi, «o volutamente o non volutamente», avrebbe
aiutato i boss di Cosa nostra”. Ora, osservano i giudici:

“Che nelle elezioni politiche del 1994, scomparso il partito della
Democrazia cristiana (da sempre destinatario dei voti della mafia,
eccezion fatta per il 1987), all’interno di Cosa nostra si fosse
deciso di votare per Forza Italia, non è circostanza che può essere
messa in discussione, tale è la mole delle dichiarazioni rese da tutti
i collaboratori di giustizia che hanno fatto riferimento al tema, in
assoluta sintonia”. Naturalmente l’adesione di Cosa nostra a Forza
Italia non è un reato per i promotori del nuovo partito. E non è
nemmeno un fatto sorprendente, visto che una politica ipergarantista
era «destinata fatalmente (o non volutamente, come ha detto Calvaruso)
ad aiutare gli affiliati a Cosa nostra (e non solo)». Il problema è un
altro: “In questa sede occorre stabilire soltanto se siano emerse
prove in ordine al fatto che gli imputati Dell’Utri e Cinà (in
particolare il primo) abbiano, in qualche modo, collaborato con uomini
di Cosa nostra, tramite accordi, promesse o quant’altro, contribuendo
a far nascere o, anche semplicemente, a rafforzare il convincimento
politico dei loro interlocutori mafiosi di sostenere il nuovo
partito, del quale, come è noto e come meglio ancora si vedrà,
Dell’Utri era stato, in prima persona, promotore e nel cui organico è
stato eletto deputato e poi senatore, carica tuttora rivestita. Se,
cioè, si siano evidenziate, anche in relazione a siffatto ambito
avente ad oggetto la politica, condotte compiute dai prevenuti,
sussumibili nell’alveo dei capi di imputazione, la cuiforma «libera»
consente di ritenere rilevanti anche le «promesse elettorali» o i
«patti politico-mafiosi»”.

È «incontestabile», per il Tribunale, che “proprio nel periodo
riferito da Cannella (fine 1993-inizi 1994), era stato ufficialmente
costituito il partito di Forza Italia [...] e che, secondo la versione
dello stesso Dell’Utri, il proposito di Berlusconi di fondare il nuovo
partito si era definitivamente concretizzato alla fine di settembre
del 1993 [...]. La pubblica accusa ha sostenuto essere emerse prove in
ordine al fatto che Dell’Utri, prima dell’ufficializzazione della
scelta politica di Berlusconi nell’autunno del 1993, avesse già
cominciato ad interessarsi in prima persona alla costituzione di una
nuova forza politica, benché non avvezzo ad occuparsi di siffatti
compiti.”.

Nasce Forza Italia

Secondo l’accusa, Dell’Utri spinse Berlusconi a scendere in campo
politico per curare da vicino gli interessi di Cosa nostra, che aveva
perso i suoi referenti politici. Secondo il Tribunale, “le motivazioni
che possono avere indotto l’attuale presidente del Consiglio dei
ministri a fondare un nuovo partito sono state molteplici e trovano
ampia giustificazione su altri piani [...]. Berlusconi si sentiva
«perseguitato» dall’autorità giudiziaria di Milano, come risulta da un
passo del libro [di Federico Orlando, allora condirettore de Il
Giornale di Indro Montanelli: Il sabato andavamo ad Arcore, 1995, ndr]
in cui si racconta di una riunione ad Arcore del 3 luglio 1993 (sono
del 22 giugno precedente le perquisizioni della Guardia di finanza
alle sedi della Fininvest di Milano e Roma, eseguite dietro ordine dei
giudici di Milano). Ma già il 4 giugno 1993 Berlusconi avrebbe
annunciato ad Indro Montanelli l’intenzione di «scendere in politica
per ricomporre l’area moderata».
Dunque vi erano pressanti e gravi ragioni [...] perché questo impegno
in politica avvenisse ed altrettanto ampie motivazioni perché il
nascente partito assumesse, sul fronte giudiziario, una linea
ideologica di tipo garantista. […] Ragioni e motivazioni che non
possono essere ritenute, tout court, inquinate dal fine di agevolare
Cosa nostra ma che, ovviamente, non potevano non essere apprezzate da
qualunque soggetto che, in quel periodo storico, si fosse trovato ad
avere a che fare con la giustizia, a qualsivoglia titolo”.

Dell’Utri è fin da subito un tifoso accanito della discesa in campo
del Cavaliere, come testimoniano Confalonieri e Letta, all’epoca
contrari . E alla fine, dopo un periodo di incertezza, Berlusconi si
schiera con Dell’Utri. Lo conferma Ezio Cartotto, politico della Dc
lombarda e consulente della Fininvest fin dagli anni 70. I giudici
sintetizzano il suo racconto: “Nel settembre 1992, in occasione di una
convention, Berlusconi aveva fatto per la prima volta un accenno al
tema politico, affermando che bisognava guardare alla situazione
politica italiana con grande preoccupazione ed attenzione; nell’aprile
del 1993, nel corso di un incontro tra lo stesso Berlusconi e
l’onorevole Craxi, quest’ultimo aveva fatto presente al suo
interlocutore che si sarebbe dovuto dare da fare per creare un
movimento politico al Nord Italia, per contrastare l’offensiva della
Lega e che sarebbe stato opportuno che qualcuno, come lui, creasse un
«canestro» in cui convogliare i voti in libera uscita dai partiti
tradizionali di area moderata, ormai in crisi irreversibile;
nell’estate del 1993, ad Arcore, Silvio Berlusconi aveva incontrato
Vincenzo Muccioli e si era parlato della situazione politica italiana;
nell’autunno 1993, Berlusconi aveva incontrato gli onorevoli Amato,
Segni e Martinazzoli, ma già era sorta in lui l’idea di scendere
personalmente in politica”.

Intanto, a Palermo, “sino alla fine del 1993, in Cosa nostra si
stavano cercando nuovi sbocchi politici e, in assenza di «agganci», si
realizzavano stragi in tutta Italia e si cercava di costituire un
partito sicilianista tutto mafioso [...]. E fino all’abbandono
dell’idea autonomista, alla fine del 1993, per quel che si è
anticipato, Cosa nostra non aveva ottenuto «certezze» e «garanzie»
politiche prove-nient da altri «canali». Ulteriore dimostrazione di
tale assunto è l’affermazione di Giuffrè (Nino, capomafia di Caccamo,
ndr) in ordine al fatto che, solo in un secondo momento [...],
Bernardo Provenzano, scettico rispetto all’ideologia autonomista di
Bagarella, «esce allo scoperto» e si fa sostenitore dell’appoggio a
Forza Italia, a partire dalla fine del 1993, epoca in cui sarebbero
arrivate delle «garanzie» in tal senso”.

Provenzano sponsorizza Forza Italia

Fedelissimo del superboss Michele Greco fino al 1981, «reggente»
del mandamento di Caccamo dal 1987 per volontà di Riina, Giuffrè ha
fatto parte fino al ‘92 della commissione provinciale di Cosa nostra,
diventando dal ’93 uno dei piú stretti collaboratori di Provenzano.
Arrestato il 16 aprile 2002, decide di collaborare . E la sua
attendibilità è «fuori discussione», anche «sul tema della politica»
dove «è stato pienamente riscontrato». “Nella primavera del 1993 il
collaboratore aveva appreso da Provenzano che, dopo l’arresto di Riina
(15 gennaio 1993), all’interno di Cosa nostra si erano create due
linee di pensiero, rappresentative di due fazioni mafiose
«contrapposte»: la prima, della quale faceva parte il collaborante,
aveva come leader il Provenzano e ad essa erano aggregati alcuni
importanti «uomini d’onore», come Benedetto Spera, Pietro Aglieri,
Carlo Greco, Raffaele Ganci; un’altra, facente capo a Bagarella, nella
quale si riconoscevano altri importantissimi esponenti mafiosi, come
Giovanni Brusca, i fratelli Graviano, i Farinella, Salvatore Biondino
ed altri. In particolare, una delle due fazioni non concordava sulla
scelta di una strategia stragista propugnata dall’altra”. Ma anche sui
rapporti con la politica, Cosa nostra è divisa: il gruppo Bagarella
puntava su Sicilia Libera; Provenzano preferisce cercare referenti
nelle forze politiche nazionali, sul modello dei rapporti intrecciati
a suo tempo con la Dc. Il Tribunale ritiene dimostrati “singoli
«agganci» ottenuti da Cosa nostra nella ricerca di referenti
all’interno di una nuova, grande compagine politica come Forza Italia,
sul modello ideologico fatto proprio da Provenza-no (cui accederà
anche il gruppo di Bagarella)”.
Giuffrè prosegue nel suo racconto: “Verso la fine del 1993 già si
aveva dei sentori che si muoveva qualcosa di importante nella politica
nazionale. Cioè si cominciava a parlare della discesa in campo di un
personaggio molto importante. [...] Berlusconi...
Queste notizie venivano portate all’interno di Cosa nostra, per un
periodo è stato motivo di incontri, di dibattiti all’interno di Cosa
nostra, di valutazioni molto, ma molto attente. Cioè tutte le persone
che avevano sentore, notizie di questo movimento che stava per
nascere, venivano trasmessi ed arrivavano dentro Cosa nostra. Queste,
in modo particolare di Provenzano, se ne cercavano l’affidabilità.
Cioè persone che di un certo valore e di una certa serietà e inizia,
appositamente, un lungo periodo di discussione e nello stesso tempo di
indagine, per vedere se era un discorso serio che poteva interessare a
Cosa nostra per potere curare quei mali che da diverso periodo avevano
afflitto Cosa nostra, che erano stati causa di notevoli danni. [...]
Abbiamo fatto anche degli incontri, delle riunioni, assieme,
appositamente per discutere, fino a quando il Provenzano stesso ci ha
detto che eravamo in buone mani, che ci potevamo fidare. Per la prima
volta il Provenzano esce allo scoperto, assumendosi in prima persona
delle responsabilità ben precise. E nel momento in cui lui ci dà
queste informazioni e queste sicurezze , ci mettiamo in cammino, per
portare avanti, all’interno di Cosa nostra e poi successivamente
estrinsecarlo all’esterno, il discorso di Forza Italia”.

Cosí, a fine ’93, Provenzano riceve “garanzie” e si decide a
«uscire allo scoperto».

Cioè, scrive il Tribunale, “a sponsorizzare il partito di Forza
Italia all’interno di Cosa nostra, invitando i suoi componenti a
votarvi ed, evidentemente, convincendo anche la fazione legata a
Bagarella, il quale, infatti, nello stesso torno di tempo di fine
1993, aveva deciso di abbandonare al suo destino Sicilia Libera”.
«Garanzie» da chi? Giuffrè dice di aver saputo dai boss Carlo Greco e
Giovanni Brusca i nomi di alcuni intermediari, come il costruttore
Giovanni Ienna (secondo i giudici «legato ai fratelli Graviano, il
quale sarebbe stato direttamente in contatto con Berlusconi» e
«condannato definitivamente per mafia»); l’avvocato Massimo Maria
Berruti (consulente della Fininvest e infine deputato di Forza
Italia); Mangano; e Dell’Utri (quest’ultimo –scrivono i giudici – era
secondo Giuffè «reputato dai suoi interlocutori mafiosi persona seria,
affidabile e vicina a Cosa nostra»).

“In ogni caso, il sostegno a Forza Italia da parte dei mafiosi era
stato profuso in tutte le competizioni elettorali successive, fino a
quelle del 2001 [...]. Il resto delle dichiarazioni di Giuffrè, nella
parte rappresentativa piú generale appare assolutamente esente da
critiche e deve essere positivamente apprezzato, anche in relazione a
ciò che attiene all’indicazione di «garanzie» ottenute da Provenzano”
”.

Il ritorno di Mangano

Il fatto che Mangano rispunti al fianco di Dell’Utri anche nel
1994-’95, dopo i 10 anni trascorsi in carcere per le condanne
definitive per mafia e droga, suscita nel Tribunale «seria
preoccupazione e vivo disappunto, a prescindere dall’aspetto
prettamente penalistico». Perché “si può affermare senza tema di
smentita che Mangano Vittorio, dopo l’arresto di Salvatore Cancemi nel
luglio 1993, aveva assunto un incarico mafioso di rango, a coronamento
di una lunga e gloriosa carriera criminale”. Anche in campo politico.

Ne parla Salvatore Cucuzza, «collaborante di sicura attendibilità»:
“Per come riferitogli da Bagarella, uno dei motivi per i quali il
Mangano veniva mantenuto nella reggenza del mandamento di Porta Nuova
era costituito dal fatto che egli garantiva rapporti con Dell’Utri e,
quindi, era reputato utile in tal senso perché era notorio il rapporto
che legava quest’ultimo a Silvio Berlusconi. [...] Il collaborante ha
dichiarato di aver saputo da Mangano che questi si era incontrato «un
paio di volte con Dell’Utri». [...] Dell’Utri aveva promesso che si
sarebbe attivato per presentare proposte molto favorevoli per Cosa
nostra sul fronte della giustizia, in un periodo successivo, a gennaio
del 1995 («modifica del 41 bis, sbarramento per gli arresti relativi
al 416 bis»). Infatti, vi era stato un primo tentativo a livello
parlamentare che, però, non era riuscito a concretizzarsi. Inoltre
Dell’Utri aveva detto a Mangano che sarebbe stato opportuno stare
calmi, cioè evitare azioni violente e clamorose, le quali non
avrebbero potuto aiutare la riuscita dei progetti politici favorevoli
all’organizzazione mafiosa”.

Le conclusioni del Tribunale sono raggelanti: “La promessa di aiuto
politico a Cosa nostra [...], aveva un effetto rassicurante per il
sodalizio criminale; lo orientava verso il sostegno a Forza Italia,
incoraggiandolo a nutrire aspettative favorevoli in un momento di
crisi profonda. Siffatta condotta rafforzava Cosa nostra, ingenerando
il convincimento di raggiungere obiettivi fondamentali nella sua
strategia criminale, addirittura contando sui massimi vertici della
politica nazionale. Una promessa reputata, in quel frangente, seria ed
affidabile negli ambienti mafiosi, in quanto proveniente da un
soggetto influente che, in passato, aveva dato buona prova di sé,
dimostrandosi disponibile verso Cosa nostra. Una promessa fatta ad un
mafioso come Vittorio Mangano, altrettanto importante nel suo
«campo», ad un capomandamento in stretto contatto con coloro i quali
erano posti al vertice del sodalizio criminale in quel torno di
tempo.”.

Che poi, come sostiene la difesa, il primo governo Berlusconi –
naufragato dopo 7 mesi – non sia riuscito a varare misure favorevoli
alla mafia, o che invece, come ribatte la Procura, abbia inviato
precisi segnali a Cosa nostra, non interessa “Quel che conta, ai fini
della decisione, è stabilire se può ritenersi provato che la promessa
politica a Cosa nostra, effettuata dal senatore Dell’Utri per mezzo di
Mangano (nel frattempo diventato un capo di un mandamento mafioso),
avente ad oggetto un progetto di aiuto sul fronte giudiziario in
relazione al tema del 41 bis ed altro, siccome riferito da Cucuzza, si
fosse effettivamente verificata in quel torno di tempo delicatissimo
in cui la politica nazionale stava veramente cambiando e
l’organizzazione mafiosa era alle corde e senza referenti politici
sicuri”. [...]

La prova per il tribunale c'è. E a incastrare Dell’Utri, provvedono
non i pentiti o i magistrati, ma sempre le sue agende dove “si sono
ritrovate due annotazioni, relative ad incontri tra lo stesso e
Mangano Vittorio, sotto le date del 2 e 30 novembre 1993. Trattasi di
un dato documentale incontestabile ed altamente significativo della
condotta tenuta da Marcello Dell’Utri [...] Dell’Utri, ancora nel
1993, nonostante la crescita del suo prestigio personale anche in
campo politico, aveva continuato ad intrattenere rapporti di
frequentazione con un mafioso conclamato ed importante come era
Mangano in quel periodo, e nonostante tutto quello che era successo in
passato”.

Dell’Utri non può negare quel che è scritto nelle agende: “Si
limita ad addurre impacciate giustificazioni di facciata, affermando
che Mangano, di tanto in tanto, era solito andarlo a trovare in
ufficio (a Milano!), ove si intratteneva pochi minuti per esporgli non
meglio identificati problemi di carattere personale, precisando che
egli «subiva» tali rapporti e non ricordando quali fossero i problemi
personali che Mangano gli avrebbe sottoposto il 2 e 30 novembre 1993,
periodo in cui era in corso l’organizzazione del partito Forza Italia
e Cosa nostra preparava il cambio di rotta verso la nascente forza
politica, anche attraverso l’abbandono del progetto autonomista di
Sicilia Libera”.

Due incontri a Milano, proprio come diceva Cucuzza. Quale miglior
riscontro si potrebbe trovare? In seguito, nel 1995, Mangano viene di
nuovo arrestato (stavolta per omicidio). Ma Dell’Utri, eletto nel ’96
al Parlamento italiano, nel ’99 al Parlamento europeo, e nel 2001 di
nuovo in quello italiano, continua a intrattenere rapporti con la
mafia, come risulta da alcune intercettazioni ambientali.

Microspie nell’autoscuola

Nel 1999, subito prima delle elezioni europee del 13 giugno in cui
Dell’Utri è candidato nel collegioSicilia-Sardegna, l’Arma intercetta
le conversazioni di alcuni fedelissimi di Provenzano nell’autoscuola
«Primavera», gestita da Carmelo Amato, poi arrestato. Da anni quello è
un ritrovo abituale dei piú stretti collaboratori di Provenzano,
talora alla presenza del boss medesimo. Altre volte alla presenza di
Tanino Cinà. Nelle intercettazioni, Amato parla spesso di Dell’Utri.
Il 5 maggio 1999 ne discute con l’amico Michele Lo Forte e fa
riferimento al voto della Camera che ha appena salvato Dell’Utri
dall’arresto chiesto da quei «cornuti» dei giudici , e alla necessità
di mandarlo al Parlamento europeo per renderlo intoccabile:

Amato – ...maaah, ma dobbiamo portare a Dell’Utri!

Lo Forte – Minchia... ora c’è Dell’Utri! Dell’Utri...

Amato – Compare, lo dobbiamo aiutare, perché se no lo fottono!

Lo Forte – È logico, perché non lo tocca nessuno, nemmeno qua! [o
simile].

Amato – Eh, compa’, se passa lui e acchiana [sale] alle europee,
non lo tocca

Due giorni dopo, i due riparlano della cosa, poi Amato ne ragiona
con altri “amici”. Amato dice, tra l'altro, che per far eleggere
Dell'Utri “c'è un impegno”.

Riassumendo le conversazioni, i giudici scrivono:

“Emerge a chiare lettere, per quanto attiene alla posizione
dell’imputato Marcello Dell’Utri, che nell’ambiente mafioso era stata
presa una netta e precisa decisione in ordine al candidato da votare e
fare votare in occasione delle imminenti consultazioni. [...] E che si
trattasse di un proposito non facente esclusivamente capo alla persona
di Amato Carmelo, ma che fosse maturato e deciso in seno al sodalizio
criminale, è circostanza emergente da alcuni passaggi, come quello che
si evidenzia nella conversazione del 22 maggio, quando l’Amato
specifica al suo interlocutore (Gioacchino Severino) il fatto che «i
cristiani si stanno preparando», evidentemente riferendosi[...] ad una
moltitudine di persone della cui disponibilità a votare Dell’Utri
l’Amato era certo perché, evidentemente, persone facenti parte del suo
stesso sodalizio criminoso o ad esso vicine. [...] Inoltre, che non
fosse una determinazione, frutto di una libera scelta, anche di ordine
collettivo, si coglie in diversi passaggi delle conversazioni
intercettate, nei quali l’Amato mostrava di aderire a questa decisione
con riluttanza, espressa dalla considerazione che «purtroppo» si
doveva votare per Dell’Utri, perché c’era un impegno in tal
senso”.Ancora una volta la prova contro Dell’Utri non arriva dalla
voce di un pentito, ma da intercettazioni: cioè da «elementi
obbiettivi di prova, formatisi in un contesto assolutamente genuino e
scevro da qualsivoglia condizionamento.

Il patto con la mafia

Nella primavera del 2001 è di nuovo campagna elettorale, stavolta
per le politiche nazionali e per le regionali. La Procura infila
alcune microspie nell’abitazione del medico mafioso Giuseppe
Guttadauro, «reggente» del mandamento di Brancaccio, appena uscito dal
carcere. Anche in queste conversazioni ricorre il nome di Dell’Utri,
candidato stavolta al Senato. Il 9 aprile 2001 Guttadauro parla con
Salvatore Aragona, anche lui medico, anche lui già condannato per
fatti di mafia e dice:

“Dell’Utri, si presentò alle europee, compreso Musotto, hanno preso
degli impegni, dopo le europee ca acchianaru [furono eletti] non si
sono visti piú con nessuno”. Il 20 maggio Guttadauro si lamenta di
nuovo: “Ma lui se viene deve pigghiari impegni e l’ava a manteniri
però”. Poi il 29 maggio il boss rivela a un amico persino il nome del
capomafia con cui Dell'Utri si era accordato. Dice Guttadauro:
“Dell’Utri non è piú venuto a Palermo... perché l’unica persona con
cui parlava Dell’Utri lo hanno arrestato, quello con cui Dell’Utri ha
preso l’impegno, ca fú ddu cristiano, chistu Iachinu Capizzi.”. Poco
importa che Dell’Utri non abbia mantenuto gli impegni: “Quel che
importa è che l’imputato la promessa, quella particolare promessa
sopra descritta, l’avesse fatta e fosse stato ritenuto credibile dai
suoi referenti mafiosi nel momento in cui si era verificato l’accordo.
[...]. l’ennesima emergenza obbiettiva conferma l’effettiva
verificazione di un patto di scambio politico-mafioso tra Cosa nostra
e Dell’Utri, relativamente alle elezioni europee del 1999, quelle a
cui fa riferimento nel 2001 il boss Guttadauro quando dice che
Dell’Utri aveva «preso impegni»; quelle stesse consultazioni alle
quali si era fatto riferimento nelle conversazioni intercettate [...]
all’interno dell’autovettura in uso ad Amato Carmelo”.

Fondamentale il riferimento che il boss Guttadauro fa a “Gioacchino
Capizzi, il vecchio capomafia con il quale Dell’Utri aveva parlato ed
aveva preso impegni (si ricordi che, a quell’epoca, Mangano era
detenuto). E Gioacchino Capizzi, è stato compiutamente identificato
[...] nel responsabile del mandamento della «Guadagna o Santa Maria di
Gesú», cioè quello stesso mandamento comandato, molti anni prima, da
Stefano Bontate, al quale erano succeduti i fratelli Pullarà ed al
quale apparteneva anche Vittorio Mangano fino a quando la sua
«famiglia» non era passata sotto il comando di Pippo Calò. E, ancora,
non a caso, Capizzi era uno dei soggetti, ritenuti responsabili di
numerosi omicidi, in stretti rapporti di frequentazione con Amato
Carmelo, proprio nel [...] 1999”. La conclusione fa rabbrividire:
“Ritiene il Tribunale che le emergenze dibattimentali abbiano
consentito l’acquisizione di certi e sufficienti elementi di prova in
ordine alla compromissione mafiosa dell’imputato anche relativamente
alla sua stagione politica, [...]. l’indagine dibattimentale ha
evidenziato [...] inoppugnabili elementi di prova della responsabilità
dell’imputato in ordine ai reati contestatigli”.

Considerazioni conclusive

Per Dell'Utri la pena deve essere “più severa” rispetto ai 7 anni
comminati a Cinà “e deve essere determinata in anni 9 di reclusione,
dovendosi negativamente apprezzare la circostanza che l’imputato ha
voluto mantenere vivo per circa trent’anni il suo rapporto con
l’organizzazione (sopravvissuto anche alle stragi del 1992 e 1993,
quando i tradizionali referenti, non piú affidabili, venivano
raggiunti dalla «vendetta» di Cosa nostra) e ciò nonostante il mutare
della coscienza sociale di fronte al fenomeno mafioso nel suo
complesso e pur avendo, a motivo delle sue condizioni personali,
sociali, culturali ed economiche, tutte le possibilità concrete per
distaccarsene e per rifiutare ogni qualsivoglia richiesta da parte dei
soggetti intranei o vicini a Cosa nostra [...]. Infine, si connota
negativamente la sua disponibilità verso l’organizzazione mafiosa
attinente al campo della politica, in un periodo storico in cui Cosa
nostra aveva dimostrato la sua efferatezza criminale attraverso la
commissione di stragi gravissime, espressioni d un disegno eversivo
contro lo Stato, e, inoltre, quando la sua figura di uomo pubblico e
le responsabilità connesse agli incarichi istituzionali assunti,
avrebbero dovuto imporgli ancora maggiore accortezza e rigore morale,
inducendolo ad evitare ogni contaminazione con quell’ambiente mafioso
le cui dinamiche egli conosceva assai bene per tutta la storia
pregressa legata all’esercizio delle sue attività manageriali di alto
livello”.

clapos

unread,
Dec 9, 2009, 8:03:30 PM12/9/09
to
=?windows-1252?Q?==3Fwindows-1252=3FQ=3F=80rnesto=3F= ?= ha scritto:
>

=======================================================================
IL MANIACO CIALTRONE FLOODER ERNESTO BANANA CONTINUA A BOMBARDARE IL NG
=======================================================================

Fatti curare vecchio pazzo maniaco.

Vecchio buffone squilibrato, tu puoi parlare solo di quello che capisci e puoi
occuparti solo di frociologia e tuttologia che sono le uniche cose che conosci
e le sole delle quali puoi parlare. Per il resto la tua paranoia, le tue
ossessioni e la megalomania ti delegittimano a parlare anche del tempo di ieri
perch� se c'era sole diresti che era nuvolo.

Sull'ernesteide ho trovato il tuo manifesto della tuttologia che indica una
sconvolgente megalomania e uno sfrenato desiderio di protagonismo che �
singolare in un gruppo che si chiama it.politica.

Dopo l'incredibile elenco delle discipline del tuttologo Maestro di vita
Ernesto Sotuttoio do Cazzimiento, ti propongo in ordine cronologico di invio
la serie di tue dichiarazioni relative a una tua laurea in economia e
commercio da 20 esami in 18 mesi. Alle stranezze di tempi e modalit� di
conseguimento si aggiungono contraddizioni tra le dichiarazioni che hai fatto
in date diverse.


-16/5/2000 [Re: QI - Quoziente di Intelligenza] a 17 anni totalizzai 180 a
prima botta, ma facendone una ventina come allenamento credo che si possa
andare ben oltre...) [Il QI di Einstein era solo 160 e il giovane
ciancialesto a 17 anni lo aveva gi� superato di 20 punti]


-15/8/98 'ernesto' <ernesto.alto@iol,it > wrote in
message6qt1so$p1$6...@hermes.iol,it

E' divertente sentirsi giudicare come anonimo da un anonimo.
Vogliamo sfidarci a singolar tenzone su argomenti complessi?
Che arma preferisci?
Storia dei partiti?
Economia politica?
Politica economica?
Cromodinamica quantistica?
La teoria della realtivit�?
L'angiogenesi?
Filosofia della Scienza?
Linguaggi per computer?
Robotica?
Storia Moderna?
linguistica?
La lista mi sembra tremendamente corta. Ti prego di aggiungere:
-Storia del Cinema
-Mccarthismo (recentissimo!)
- QED
- Genetica (in particolare sugli omeobox, introni e telomeri)
- Teoria del caos
- Nuova economia dei rendimenti crescenti
- diritto costituzionale
- Cosmogenesi
- Spazi discreti di Schild e multidimensionali
- Chimica del carbonio
- Neurofisiologia del cervello
- Neodarwinismo
- TOC
- Cosmonautica secondo Newton e secondo Einstein
- Teoria delle probabilit�
- Storia della civilt� occidentale

-04/1/1999 Essendo fra laltro laureato ion Economia e con una tesi
sull'utile d'impresa, penso proprio di s�.

-22/8/99 La laurea in economia l'ho presa dopo il diploma al CSC [...] Ero gi�
un sceneggiatore ben pagato con moglie e figli: decisi di provare e diedi i 20
esami che mi mancavano in 18 mesi

-26/8/99 Ho lavorato solo tre anni, in banca. Dopo ho semplicemente sfogato la
mia mania: scrivere. Mi hanno pagato. Una pacchia. Ah, una cosa sulla mia
laurea magari ti d� spunto per qualche altra buona
risata: verteva sulla penetrazione nei mercati esteri del cinema minore
italiano. La laurea consistette nella produzione vera di un piccolo film e
nella documentazione analitica di costi e ricavi sui mercati esteri.

-5/9/99 mi correggo: gli esami erano solo 16, perch� scritto e orale di
inglese li ho dati l'anno dopo! /un misero 22 e un misero 24... perch�
l'inglese ancora non lo sapevo.../ [Contestato, ha tentato di calarne due, ma
20 - 2 fa 18 e l'economista non lo sa e comunque dividendo in due l'esame,
sono ancora 19 e non 16.

[Inglese a Economia e Commercio sarebbe stato scritto e orale con due esami
autonomi e due voti separati ? Ma a chi la racconta ?]

-20/4/2000 VERO. La mia tesi fece storia: consisteeva nella rerale produzione
di un film. Si chiamava LIBIDO

-31/12/2000 Mi sa che questi disquisiscono sul mio libretto universitario!!!!
E s�, gli esami di lingua erano divisi in due, scritto e orale, si davano in
tempi diversi e avevano voti distinti. Per chi dava fisicamente gli esami
erano QUATTRO esami distinti....

[Ciancialesto confonde le disquisizioni con le prese per i fondelli ... La
panzana del 22/8/99 si ingigantisce e l'inglese a economia e commercio � ormai
arrivato a quattro esami ...]

-18/1/2001 - mi sono laureato in Economia nel 1967 VERO

-26/9/2001 essendo diplomato, laureato e con un master post laurea in
cinematografia

[Ed ora � uscito anche un fantomatico Master ....]

-28/11/2001 .. [AE] disciplina accademica nata proprio negli States e chiamata
teoria delle scelte pubbliche

**** risposta del sedicende Dott� ciancialesto:

- No, certo, non lo so! Ci ho solo dato una decina di esami universitari!

[Il numero variabile degli esami � nuovamente sconvolto]

-19/01/2002 Mi sono laureato con uan tesi sulla produzione di prototipi, ossia
di quelel aziende che produconi prodotti irripetibili, ogni volta diversi uno
dall'altro.

[fantomatica laurea con due diverse fantomatiche tesi]


--
Questo articolo e` stato inviato dal sito web http://www.nonsolonews.it

Ernesto

unread,
Dec 9, 2009, 8:03:20 PM12/9/09
to
Il 10 Dic 2009, 01:59, =?windows-1252?Q?=80rnesto?= <ernes...@libero.it>
ha scritto:
> I GIUDICI: RAPPORTI CERTI TRA DELLUTRI E I GRAVIANO

>
> Alla vigilia della deposizione dei capimafia, la sentenza di I grado
> ricostruisce gli intrecci del braccio destro del premier con
> CosaNostra e gli accordi con ForzaItalia
>
> I RAPPORTI tra i Graviano e DellUtri.

> Le rassicurazioni che Forza Italia ha fornito ai boss alla vigilia del
> 94 e il patto elettorale con il partito di Berlusconi. Nella sentenza
> che ha condannato in primo grado il senatore Pdl a 9 anni per concorso
> esterno in associazione mafiosa la chiave degli ultimi 15 anni di
> storia italiana. Dopo la puntata di ieri, ecco nuovi stralci del
> documento dei giudici di Palermo. Alla vigilia della deposizione -
> domani - proprio dei fratelli Graviano in una nuova puntata del
> processo dAppello a Palermo al braccio destro del premier.

>
> La Standa di Catania
>
> Nel gennaio del 1990, i grandi magazzini Standa di Catania e
> provincia sono bersaglio di vari attentati incendiari, opera del clan
> Santapaola. La Standa appartiene da un paio danni alla Fininvest e
> DellUtri siede nel consiglio di amministrazione. Il fatto pi� grave
> avviene allipermercato di via Etnea, il 18 gennaio 1990: lintero

> edificio distrutto, danni da 14 miliardi di lire. Altri episodi meno
> gravi si susseguono il 21 gennaio, il 12, il 13 e il 16 febbraio. Poi
> la catena sinterrompe allimprovviso perch� scrivono i giudici
> DellUtri si fa protagonista �di unennesima condotta di mediazione

> tra gli interessi di Cosa nostra e quelli del gruppo� Fininvest.
> Santapaola, essendo latitante, opera tramite il fratello Salvatore e
> il nipote Aldo Ercolano, figlio di sua sorella.
> Sia Nitto sia Aldo verranno condannati dalla Corte di Assise
> dappello di Catania come mandanti degli incendi alla Standa e della
> tentata estorsione che ne segu�. Nello stesso periodo, anche i

> magazzini della Sigros (Rinascente, gruppo Agnelli) subiscono
> attentati estorsivi di stampo mafioso: se ne occupa un altro uomo di
> Santapaola, Salvatore Tuccio. Alla fine la Fiat, come racconteranno i
> suoi dirigenti, paga il pizzo a Cosa nostra e alla Sigros torna la
> quiete.
>
> Ma fra le estorsioni alla Standa e quelle contemporanee alla Sigros
> c� un abisso. Lesecutore materiale degli attentati alla Standa, il
> mafioso catanese Severino Claudio Samperi, accenna lesistenza,

> accanto alla causale estorsiva, di ulteriori scopi perseguiti dai
> mandanti dei fatti criminosi, riferibili esclusivamente alla vicenda
> Standa e non allestorsione ai danni del Sigros.

>
> Anche l'ex senatore repubblicano Vincenzo Garraffa racconta che la sua
> amica Maria Pia La Malfa, moglie di Alberto DellUtri (gemello di
> Marcello), gli parl� degli attentati alla Standa: Mi disse che
> Marcello DellUtri aveva risolto questo problema parlando con un certo

> Aldo Papalia, ma non so neanche chi sia. E mi disse anche che scese
> personalmente da Milano a Catania.
>
> Chi � Aldo Papalia?
>
> Un imprenditore catanese processato e poi assolto dallaccusa di
> traffico darmi, in affari con Publitalia e in ottimi rapporti sia con
> Alberto sia con Marcello DellUtri. Ma anche con Aldo Ercolano.
> Insomma, per i giudici Garraffa ha colto nel segno ed � totalmente
> attendibile: pur ignaro di chi fosse Papalia, lha indicato con nome

> e cognome. Diversi funzionari della Standa e poi gli stessi Berlusconi
> e Confalonieri raccontano per� ai giudici che, dopo gli attentati,
> nessuno si fece vivo per chiedere alla societ� di pagare n� lanciare
> altre minacce. Per i giudici, nessuno di loro dice la verit�. Visto
> che � stata acquisita la prova della mediazione di DellUtri (sono

> stati trovati persino una serie di voli aerei di Dell'Utri a Catania
> nel periodo successivo agli attentati ndr), � logico che il

> Cavaliere non abbia voluto fornire alcuna conferma in ordine
> alleffettiva sussistenza dell�intervento� effettuato dal suo manager

> e amico [...], considerato il costante atteggiamento assunto da Silvio
> Berlusconi (e da Fedele Confalonieri) rispetto a tutte le condotte
> contestate a DellUtri in questo processo, una linea improntata
> allassoluta protezione e tutela dellimputato, fin dalle prime
> dichiarazioni risalenti al 1974. .

>
> Lo sponsor della Pallacanestro Trapani
>
> Nellestate del 1990 la Pallacanestro Trapani viene promossa dalla

> serie B alla serie A2. Il titolare, Vincenzo Garraffa, un medico e
> senatore nelle fila del partito repubblicano, si interessa per
> trovarle uno sponsor e si rivolge alla Publitalia, che lo mette in
> contatto con la multinazionale della birra Dreher-Heineken. Cos�, in

> agosto, firma il contratto con un marchio di quel gruppo, la Birra
> Messina, per un miliardo e mezzo di lire. Il denaro gli viene versato
> in due rate e lui, per i diritti di agenzia, gira come daccordo a

> Publitalia prima 70 e poi 100 milioni in contanti. Ma a questo punto
> come racconter� Garraffa agli inquirenti palermitani si fanno vivi

> due uomini di Publitalia, Piovella e Biraghi, per battere ancora
> cassa: pretendono altri 530 milioni, in contanti e in nero, a titolo
> di provvigione. Garraffa chiede regolare fattura, ma gli rispondono

> picche. Allora propone di soddisfare la richiesta con una
> sponsorizzazione gratuita per la stagione successiva. Niente da
> fare. Cos�, tra la fine del 1991 e linizio del 1992, Garraffa vola a
> Milano per incontrare DellUtri. Il quale gli conferma che la societ�
> non rilascer� alcuna fattura e gli ricorda che i siciliani prima
> pagano e poi discutono. Lui ribadisce di non avere fondi neri e di
> non poter pagare fuoribusta. Allora DellUtri lo ammonisce, scrivono i

> giudici, con la frase, percepita come pregna di inquietante e
> minaccioso significato: �Ci pensi, perch� abbiamo uomini e mezzi per

> convincerlo a pagare...�. Dopo qualche mese e, comunque, prima della
> sua elezione a senatore della Repubblica (avvenuta in occasione delle
> elezioni politiche del 5 aprile 1992), il Garraffa riceve la visita
> presso il nosocomio di Trapani, dove allora era primario, di due
> individui: Virga Vincenzo e Buffa Michele. Virga � il boss di
> Trapani: sar� arrestato nel febbraio 2001 e condannato allergastolo
> per mafia e per vari omicidi. Buffa � il suo guardaspalle. Sono le

> sette del mattino quando i due rendono visita a Garraffa. Virga gli
> rivolge poche, ma indimenticabili parole: Sono stato incaricato da
> Marcello DellUtri e da altri amici di vedere come � possibile
> risolvere il problema di Publitalia. Garraffa ripete: Senza fattura,
> non intendo pagare. Virga non si scompone: Capisco, riferir�. Se ci
> sono delle novit� la verr� a trovare, altrimenti il discorso �
> chiuso. Garraffa aveva gi� incontrato Virga qualche anno prima. Per

> sua fortuna avevacuratoilgiovanefigliodelboss,ridottoinfindivita da un
> incidente con un trattore. Per questo il capo-mafia non se la sente di
> fare la voce troppo grossa con lui. In ogni caso non appena i due
> uomini d'onore se ne vanno, Garraffa racconta quella visita a due suoi
> collaboratori, Valentino Renzi e Giuseppe Vento. A questultimo

> confida pure che se gli fosse successo qualcosa si doveva trovare la
> spiegazione nel fatto che era stato avvicinato da personaggi di primo
> livello, uomini sentiti. Poi rompe con Publitalia e si rivolge a
> unaltra agenzia. che per� non riesce a trovargli uno sponsor per via
> sostiene Garraffa dellostracismo di Publitalia, la cui influenza
> in quel campo era terribile. Alla fine si inventa una specie di auto-

> sponsorizzazione antimafia, applicando sulle divise dei giocatori lo
> slogan pubblicitario LAltra Sicilia. La Pallacanestro Trapani,

> intanto, viene promossa in serie A e viene invitata al Maurizio
> Costanzo Show, su Canale 5. Ma allultimo momento linvito viene
> annullato da Costanzo in seguito sostiene Garraffa allintervento
> personale di DellUtri.
> Alloralimprenditorescrivetuttalasuaamarezzainuna lettera a

> Costanzo. Secondo i giudici di Palermo, la versione dei fatti fornita
> dal dott. Vincenzo Garraffa [...] ha trovato sostanziale conferma nel
> risultato delle indagini. Il Tribunale ascolta come testimone Maria
> Pia La Malfa, moglie di Alberto DellUtri e amica di Garraffa. La
> signora conferma che Garraffa and� a incontrare Marcello a Milano
> accompagnato da Alberto per parlare della sponsorizzazione. Ma non
> raggiunse alcun accordo. E, al ritorno, si lament� con lei e col
> marito perch� fu trattato proprio... fu sbattuto fuori allufficio.

> Dunque le dichiarazioni rese dalla La Malfa offrono obiettivo
> riscontro alla versione dei fatti fornita dal Garraffa e smentiscono
> quella di Marcello DellUtri, il quale ha sostenuto che i suoi
> incontri con il Garraffa erano dovuti a motivi del tutto diversi.
>
> Perch� DellUtri spinse il braccio di ferro con Garraffa al punto
> da mandargli un boss mafioso? La spiegazione dellarcano, ad avviso

> del Collegio, risiede nel forte ed illecito interesse di Publitalia e
> conseguentemente di Marcello DellUtri, nelloperazione di
> sponsorizzazione da parte della Dreher-Heineken, quale � stato reso

> palese dalle risultanze processuali che hanno riscontrato la denuncia
> del Garraffa, e cio� quello di ricevere denaro in contanti ed in nero

> al fine di costituire fondi occulti, attraverso la restituzione a
> Publitalia da parte della Pallacanestro Trapani della somma di 750
> milioni, pari alla met� dellintero importo della sponsorizzazione. E

> che la costituzione di fondi occulti sia stata una �esercitazione� di
> contabilit� in nero non inusuale in Publitalia � comprovato dal
> processo penale celebrato davanti lautorit� giudiziaria torinese a
> carico di Marcello DellUtri.

>
> Infine, secondo il Tribunale di Palermo, sono provati i rapporti di
> DellUtri con la mafia trapanese, oltrech� con quella catanese e

> palermitana: La notizia, appresa de relato, della vicinanza di
> Marcello DellUtri agli uomini donore del mandamento di Trapani (i
> quali �lavevano nellemani�)deve ritenersi attendibile perch�
> proveniente da un uomo donore, Vito Parisi, molto vicino a Vincenzo

> Virga, capo di quel mandamento, e pertanto ben a conoscenza delle
> relative dinamiche interne e dei rapporti con persone estranee a Cosa
> nostra ma contigue alla stessa.

>
> Per questo caso, nel 2004 il Tribunale di Milano ha condannato sia
> Virga sia DellUtri a 2 anni di carcere ciascuno per tentata

> estorsione aggravata ai danni di Garraffa, condanna confermata in
> appello, ma pio annullata in cassazione, che ha rinviato il acso a un
> nuovo processo dappello. Qui i giudici hanno de-rubricato laccusa di

> tentata estorsione in minacce gravi e dichiarato il reato ormai
> prescritto. Chi sollecit� Virga a intervenire su Garraffa per conto di
> DellUtri? I giudici di Palermo non hanno dubbi: Lintervento del

> Virga non poteva che essere stato sollecitato da altri �uomini� e
cio�

> da influenti esponenti della Cosa nostra trapanese, proprio come
> riferito da Vincenzo Sinacori il quale, ottemperando allincarico
> ricevuto da Matteo Messina Denaro, affid� al Virga lincombenza di

> �contattare� Vincenzo Garraffa al fine di risolvere la �questione�
che
> interessava DellUtri. Il collaboranteha dichiarato di avere appreso

> da Messina Denaro (l'attuale numero uno di Cosa Nostra, responsabile
> delle stragi del '93 ndr) che il Garraffa doveva essere contattato per
> un �discorso�, relativo a somme di denaro, al quale era �forse�
> interessato DellUtri ma che �era tramite Mangano.

>
> I Graviano, boss di Brancaccio
>
> Anche i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, capi-mafia del
> quartiere palermitano di Brancaccio e organizzatori delle stragi del
> 93 a Milano, arrestati il 27 gennaio 1994 dai carabinieri nella
> trattoria milanese Da Gigi il Cacciatore dopo anni di latitanza,
> avevano
>
> accertati rapporti e contatti, diretti o mediati da terze persone
> con DellUtri. Insieme a loro, vengono arrestatiicognati Salvatore
> Spataro e Giuseppe DAgostino, anchessi palermitani, che avevano

> favorito la loro latitanza. Quando gli chiedono che cosa ci faccia a
> Milano, DAgostino spiega di esserci giunto nel 92 insieme a

> Francesco Piacenti e a Carmelo Barone, i quali gli avevano promesso un
> interessamento presso il sig. DellUtri per trovargli un lavoro. Poi
> per� Barone mor� allimprovviso e non se ne fece nulla. Interrogato
> dai carabinieri, DellUtri sostiene che DAgostino, Barone e Piacenti

> sono per lui dei perfetti sconosciuti: mai sentiti nominare. Ma,
> secondo il Tribunale, mente. Nella sue agende il nome Barone
> Melo (diminutivo di Carmelo), compare spesso, pure seguito dai numeri
> telefonici dellabitazione e dellauto. Risentito sul punto a Palerm
> allinizio DellUtri dice di non ricordare nessun Barone nel contesto
> di cui qui si sta parlando. Ma poi Giuseppe DAgostino viene
> riarrestato: non pi� per favoreggiamento, ma per mafia, e decide di
> collaborare con la giustizia. Le dichiarazioni rese dal DAgostino

> hanno fornito la chiave di lettura del contenuto di alcune
> significative annotazioni riportate nelle agende curate dalla
> segretaria dellimputato. In particolare, sotto la data del 2
> settembre 1992, � stata rinvenuta una annotazione nellambito della

> quale si parla di tale �Melo�, con un cognome non riconoscibile
> accanto, e lindicazione: �interessa al Milan�. Altre conferme alle
> dichiarazioni del DAgostino si rinvengono in altre annotazioni quali
> lindicazione �10 anni� (quanti ne contava allepoca il figlio del
> collaborante), �in ritiro pullman del Milan, interessato Dagostino

> Giacomo (Patrassi Zagatti)�. I due cognomi indicati tra parentesi
> sono quelli di due tecnici della societ� di calcio del Milan ai quali
> si sarebbe dovuto presentare il figlio del DAgostino [...] per
> essere sottoposto ad un provino.

> Anche il cognato Salvatore Spataro collabora e conferma il racconto di
> DAgostino. In sintesi, dal complesso delle dichiarazioni rese dai
> due collaboranti emerge che il DAgostino, intenzionato a far entrare

> il figlio Gaetano nel settore giovaniledella squadra del Milan, aveva
> interessato Melo Barone, appassionato del gioco del calcio e
> presidente di una squadra
> dilettantisticalocale,ilqualesierarivoltoaMarcelloDellUtri ottenendo
> che il giovanissimo DAgostino Gaetano, che contava 10 anni,
> effettuasse un provino per il Milan nellanno 1992. Dopo il decesso
> del Barone, avvenuto alla fine di quellanno, il DAgostino non si era
> perso danimo e, allo scopo di raggiungere lobiettivo prefissosi, si

> era rivolto ai fratelli Graviano, i quali si erano detti disponibili a
> favorirlo e gli avevano fatto capire che non sarebbe stato un problema
> per loro contattare i responsabili del Milan e procuragli un posto di
> lavoro a Milano presso una catena di esercizi commerciali, che gli
> inquirenti hanno, poi, individuato nell�Euromercato� facente parte
> del gruppo Fininvest. Dunque, nel 1996, DellUtri dice di non sapere

> chi sia Melo Barone, anche se compare nelle sue agende con il
> diminutivo Melo. Allora gli leggono le dichiarazioni del pentito

> Pasquale Di Filippo, il quale racconta che Barone legato al clan
> Graviano era stato titolare di un negozio di abbigliamento a
> Palermo.Aquelpuntoglitornalamemoriaericordatodiaver conosciuto un
> Barone, commerciante di tessuti, presidente della squadra di calcio
> Juventina, mai pi� rivisto dopo il suo allontanamento da Palermo. Ma
> anche questa � una bugia: Che tra il Barone e limputato non vi fosse

> stata soltanto una lontana conoscenza, dovuta alla comune passione per
> il pallone, � dimostrato da documentazione, reperita presso le

> aziende Fininvest ed acquisita agli atti, dalla quale risulta che: la
> dott.ssa Lattuada di Fininvest, segretaria personale dellimputato,
> aveva, nel gennaio 1993, segnalato per lacquisto un immobile, ubicato
> in Via Lincoln a Palermo, il cui proprietario era il sig. Barone,
> cio� il Melo Barone.

>
> Francesco Zagatti, nel 1993-94 capo degli osservatori delle
> Giovanili del Milan, conferma il pentito Spataro e inguaia DellUtri.
>
> Il Tribunale conclude: � lecito affermare che, negli anni 1993-94,
> c� stato un interessamento nei riguardi del figlio di DAgostino
> Giuseppe da parte di Marcello DellUtri e che, essendo gi� deceduto

> Melo Barone, tale interessamento non poteva che essere stato
> caldeggiato al prevenuto, direttamente o in via mediata, dai fratelli
> Graviano di Brancaccio. La conclusione alla quale perviene il Collegio
> poggia sulla constatazione che il giovane DAgostino ha effettuato un

> altro �provino� ad inizio del 1994 (ne ha dato conferma il teste
> Buriani Ruben) e cio� nel periodo in cui DAgostino Giuseppe era

> vicino ai fratelli
> Graviano,favorendonelalatitanza,edavevaottenuto,perilfiglio Gaetano,
> il loro intervento diretto presso la dirigenza del Milan e, in
> particolare, presso Marcello DellUtri, il quale in effetti aveva

> �segnalato� il promettente calciatore al tecnico che doveva
> visionarlo, come candidamente e spontaneamente affermato dal teste
> Zagatti Francesco.
>
> La stagione politica
>
> Dalla met� degli anni 80, a Berlusconi e al suo entourage, Cosa
> nostra non chiede pi� soltanto soldi: il legame si sposta

> progressivamente da un primario e immediato interesse di natura
> economica, sfociato in rapporti a base estorsiva a un interesse
> politico. Riina spera di agganciare Craxi tramite il Cavaliere. Vota
> e fa votare Psi nel 1987. Ma non si sa se poi laggancio al gotha

> socialista si sia realizzato attraverso il canale costituito da
> DellUtri-Berlusconi-Craxi, oppure se tale risultato fosse stato
> ottenuto attraverso lausilio di altri soggetti [
> ]. Lassenza di

> prova in ordine alla realizzazione di trattative, accordi, favori
> politici fatti, o semplicemente richiesti, da Cosa nostra a
> Berlusconi, per il tramite di DellUtri, permane, ad avviso del
> Tribunale, fino al 1993, epoca in cui limprenditore milanese aveva
> deciso di lanciarsi in prima persona in politica, portando con s�,
> quale primo paladino di tale importante scelta, limputato Marcello
> DellUtri, un uomo che da circa venti anni aveva ripetutamente

> intessuto, con piena consapevolezza, rapporti di vario genere con
> soggetti mafiosi o paramafiosi.
> Lappoggio dato una tantum al Psi, per punire la Dc di non aver
> ostacolato a sufficienza il maxiprocesso non port� a Cosanostra i
> vantaggi sperati.Tant� che proprio dalla constatazione di tale
> insuccesso [...] aveva preso le mosse quellefferata e sanguinosa

> rivolta contro lo Stato voluta da Salvatore Riina, culminata negli
> eclatanti omicidi e stragi a partire dalla prima met� del 1992; quando
> allinsoddisfazione per i �nuovi� politici, che non avevano mantenuto

> le promesse, si era sommato identico rancore verso i �vecchi�,
vieppi�

> alimentato dalla principale delle cocenti sconfitte subite sul fronte
> giudiziario da Cosa nostra e cio� il passaggio in giudicato, il 30
> gennaio 1992, della sentenza emessa allesito del procedimento penale
> maxi-uno. La strategia stragista di attacco allo Stato dimostra, nel
> 1992, lassenza di contatti sicuri tra la mafia ed il mondo della

> politica, la mancanza di accordi, referenti, garanzie, canali ecc.,
> successivamente alla perdita di quelli precedentemente esistenti,
> vecchi o giovani che fossero stati. I vecchi referenti, ormai
> incapaci di garantire limpunit� a Cosa nostra, vacillano sotto i

> colpi delle prime indagini milanesi su Tangentopoli, il che fa
> maturare in Cosa nostra
>
> unidea politica di tipo separatista, o almeno autonomista, il cui

> obiettivo era quello di costituire una nuova forza politica, tutta
> siciliana e tutta mafiosa. Il che non esclude che nello stesso

> preciso torno di tempo in cui questo progetto si stava realizzando e
> prendeva corpo, vi fossero rassicuranti e definite alternative
> politiche, frutto di accordi e promesse ottenute dai soggetti mafiosi
> attraverso altri referenti.

>
> Sicilia Libera
>
> Per due anni, prima del suo arresto nel 1995, Tullio Cannella viene
> incaricato di �curare� la latitanza del boss corleonese Leoluca
> Bagarella, cognato di Riina, balzato ai vertici di Cosa nostra dopo
> larresto di Zu Tot� il 15 gennaio 1993. Nato e cresciuto a

> Brancaccio, vicinissimo ai fratelli Graviano, Cannella ha fatto
> politica nella Dc. I giudici lo considerano un collaboratore
> attendibile per le sue �dichiarazioni coerenti, logiche,
> particolareggiate� sullevoluzione dei progetti politici di Cosa

> nostra nei primi anni 90: Il delatore ha precisato che Bagarella era
> stato suo ospite nel villaggio Euromare �intorno alla met� di giugno,

> fino alla fine di agosto e i primi di settembre del
> 1993� [...].
> DUNQUE, partorito dalla mente di Leoluca Bagarella (ma, per quel che
> lo stesso diceva, era interessato anche il suo amico Provenzano), il
> progetto politico indipendentista, che sfocer� nella costituzione del

> partito Sicilia Libera a Palermo, era stato affidato dallo stesso boss
> corleonese al Cannella. Nello stesso periodo fioriscono in tutto il

> Sud Italia movimenti indipendentisti, e in quel filone Bagarella pensa
> di inserire il progetto politico-mafioso di Sicilia Libera. Con
> alcuni esponenti di tali agglomerati politici, il Cannella, dopo aver
> ricevuto la delega dal Bagarella, si era incontrato in diverse
> occasioni, una dell quali, particolarmente ricordata, svoltasi a
> Lamezia Terme, alla fine del 1993. Tra gli altri, presenti a
> quellincontro vi erano alcuni esponenti della Lega Nord, in quanto

> tale movimento era interessato �a che si potesse effettuare
> unoperazione del genere nel meridione dItalia�, i quali erano stati

> accompagnati alla riunione politica dal principe Domenico Napoleone
> Orsini. [
> ] Nella fase iniziale della vicenda, Bagarella aveva
> finanziato lattivit� di proselitismo dello stesso Cannella [...] Poi,
> per�, il boss non aveva voluto affrontare altri costi, pretendendo che
> fosse il collaborante a sostenerli.
>

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Inviato via http://arianna.libero.it/usenet/

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