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3 novembre 1867 - Vittoria di Mentana!

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Elemordnas

da leggere,
3 nov 2008, 14:37:3503/11/08
a
Anniversario della vittoria pontificia a Mentana, il 3 novembre del
1867:
http://it.youtube.com/watch?v=4MDIge6fk9Y

Fausto

da leggere,
5 nov 2008, 12:27:3305/11/08
a
Elemordnas <elemo...@yahoo.it> wrote in news:32175680-2947-4735-adb8-
a08571...@n1g2000prb.googlegroups.com:

> Anniversario della vittoria pontificia a Mentana, il 3 novembre del
> 1867:
> http://it.youtube.com/watch?v=4MDIge6fk9Y

Beh, per la verità fu una vittoria fondamentalmente dei francesi di
Napoleone III, tant'è vero che tre anni dopo quando Napoleone fu sconfitto
a Sedan (4 Settembre 1870), dopo appena due settimane dalla caduta di
Napoleone, quando i francesi si ritirarono, bastarono un battaglione di
bersaglieri più uno di fanteria e una batteria di cannoni per prendere
Roma, tant'è che il Papa stesso giustamente non volle una resistenza ad
oltranza che era considerata a quel punto del tutto inutile.
Saluti
Fausto


donquixote

da leggere,
5 nov 2008, 17:05:4105/11/08
a

"Fausto" <fau...@iol.it> ha scritto nel messaggio
news:Xns9B4DBBC6C59A...@213.92.23.58...

> Elemordnas <elemo...@yahoo.it> wrote in news:32175680-2947-4735-adb8-
> a08571...@n1g2000prb.googlegroups.com:
>
>> Anniversario della vittoria pontificia a Mentana, il 3 novembre del
>> 1867:
>> http://it.youtube.com/watch?v=4MDIge6fk9Y
> Beh, per la verità fu una vittoria fondamentalmente dei francesi di
> Napoleone III

Il Papa non la vedeva così: riconosceva il contributo delle truppe
ausiliarie francesi, ma attribuiva la "splendida vittoria" pure
alle "truppe Nostre".
Bisognerebbe tra l'altro dissipare l'interessata leggenda delle "meraviglie"
dei fucili chassepots francesi.
Lo stesso Garibaldi, narrando la battaglia, afferma che i temuti fucili dei
francesi "cagionano più timore che eccidio". Contrariamente alla vulgata
popolare, Garibaldi minimizza i prodigi dei nuovi fucili francesi; e pure
Benedetto Croce scrive delle "vantate meraviglie" degli chassepots, i quali,
tra l'altro, si inceppavano continuamente, e si scaldavano tanto da dovere
essere spesso sostituiti....

Pio IX
Ex quo infensissimi
Da quando i funesti nemici del nome cattolico, per cancellarlo del tutto (se
fosse possibile) hanno osato far vacillare il principato civile della Santa
Sede, cui sottrassero floride province lasciandone a Noi solo alcune perché
esercitassimo il potere civile entro angusti confini e non senza difficoltà
dell'erario, uomini perfidi non hanno mai rinunciato al proposito di
occupare le altre Nostre province e d'invadere perfino questa alma Urbe
nella quale, per divina volontà, si è stabilita la Sede Apostolica,
fondamento della religione, maestra della fede, rocca e baluardo della
verità cattolica.
Da qui le macchinazioni e le frodi, da qui l'aperta violenza usata
recentemente, quando cioè si accozzarono improvvisate masnade
d'infima plebe, prontissime ad ogni misfatto, che si inoltrarono
nelle nostre province per alzare la bandiera della ribellione: col terrore,
con le rapine e con ogni sacrilega scelleratezza portarono la desolazione
nei villaggi, nei paesi, nelle città senza però riuscire ad allontanare
le popolazioni dalla debita fede, dall'ossequio verso di Noi e la Sede
Apostolica. Orbene, in un così difficile frangente rifulse l'eccezionale
valore dei Nostri soldati. Infatti, seguendo i loro comandanti, per nulla
atterriti dall'asperità del cammino e neppure affranti dalla lunghezza delle
marce né svigoriti dalle fatiche, corsero alacri a rintuzzare l'impeto dei
nemici. Dopo aver acceso la zuffa contro di essi, ed averla rinnovata
in più luoghi, combatterono con tanto animo e coraggio che sconfissero
e dispersero quelle schiere efferate e restituirono quiete e sicurezza
ai borghigiani e ai cittadini.

Non molto tempo dopo, una banda in armi osò avvicinarsi alle mura
di Roma per tentare un assalto allo scopo di sfogare il trattenuto
furore con gli incendi, col saccheggio delle case, con la distruzione dei
templi e col sangue degli onesti cittadini, non appena dai complici della
loro ribalderia (che si erano furtivamente introdotti in città e avevano
preparato nuovi strumenti di morte) fosse dato il segnale della congiura.
Ma i Nostri soldati non mancarono al loro dovere; scoperte le insidie,
infatti, resero vana la perfidia dei congiurati e avendo sgominata
e uccisa una parte di essi e un'altra parte gettata in carcere, salvarono
questa sede della religione, questa dimora delle arti belle dall'imminente
sterminio.

Alla milizia Nostra poi si presentò un'altra occasione di mettere in luce
il proprio valore. Un'accozzaglia di armati, raccolti ovunque nella vicina
provincia Sabina, aveva occupato Monterotondo; ivi commise molte azioni
indegne e, accesa di sfrenata cupidigia, meditava una nuova aggressione
contro Roma; senonché contro il nemico furono inviate truppe Nostre
e truppe ausiliarie Francesi, per assalirlo.
Esse, ingaggiata battaglia presso Mentana, diedero prova di tanta forza,
ardore e costanza nel combattere che domarono e sbaragliarono quella
colluvie di predoni benché superiore di numero. Ne ferirono e uccisero
molti; ne condussero nelle prigioni tanti altri, e misero in fuga
i rimanenti con il loro audacissimo condottiero, riportando quindi
una splendida vittoria. Le schiere vincitrici poi,rientrate in Roma,
ebbero una trionfale accoglienza: la cittadinanza andò loro incontro,
e con grida e con applausi festeggiò la bella impresa di quei
valorosissimi uomini. Ma affinché il ricordo di questa vittoria che non
senza l'aiuto di Dio è stata ottenuta, e ovunque è stata celebrata e lodata,
possa perpetuarsi in tutte le età, abbiamo fatto coniare un fregio d'argento
in forma di croce ottagonale, nelle cui estremità sia scritto Pius PP. IX.
An. MDCCCLXVII. Al centro vi sia una medaglietta la quale nel dritto
rechi gli emblemi della dignità pontificia con la scritta Fidei et Virtuti,
e nel rovescio abbia la croce con la scritta Hinc Victoria.
A tutti e singoli i soldati presenti del Nostro esercito concediamo
di portare questo fregio d'argento nel lato sinistro del petto, sospeso
ad un nastro di seta bianca distinto con cinque righe celesti;
e per maggiore compenso dell'impresa concediamo agli stessi
che sia loro sottratto un anno dal tempo stabilito per ottenere
paghe più alte e per ottenere altri benefici secondo le regole militari.
Inoltre facciamo dono dello stesso fregio d'argento, da portare alla
sinistra del petto, a tutti e singoli i soldati dell'esercito Francese che
presso Mentana combatterono al fianco delle Nostre truppe contro le torme
ostili. Infine, affinché quei valorosi che offersero il sangue e la vita per
difendere i Nostri diritti e per scacciare da Roma il furore degli empi,
ricevano da Noi una solenne proclamazione di valore e di lode, con questa
lettera pubblichiamo e dichiariamo che essi hanno acquisito grandi meriti
presso di Noi, presso l'Apostolica Sede e il mondo Cattolico: proclamazione
di cui nulla è più onorifico, più glorioso, più idoneo a rendere immortale
il loro nome.
Dato a Roma, presso San Pietro, sotto l'anello del Pescatore,
il 14 novembre 1867, anno ventiduesimo del Nostro Pontificato.

http://www.cattolicesimo.eu/mkportal/PAGINE/Papi/PioIX.jpg


Fausto

da leggere,
6 nov 2008, 11:17:2306/11/08
a
"donquixote" <donqu...@tiscalinet.it> wrote in
news:491218c1$0$18156$4faf...@reader3.news.tin.it:

>> Beh, per la verità fu una vittoria fondamentalmente dei francesi di
>> Napoleone III
>
> Il Papa non la vedeva così: riconosceva il contributo delle truppe
> ausiliarie francesi, ma attribuiva la "splendida vittoria" pure
> alle "truppe Nostre".

Sarà come dici, ma quando i francesi si ritirarono, per prendere Roma
furono impiegati due battaglioni e una batteria di cannoni.
Le truppe pontificie dove erano ?
Saluti
Fausto

Douhay-Rheims

da leggere,
7 nov 2008, 08:38:5307/11/08
a
Elemordnas ha scritto:

> Anniversario della vittoria pontificia a Mentana, il 3 novembre del
> 1867:
> http://it.youtube.com/watch?v=4MDIge6fk9Y

E' veramente un'ironia della storia che questa data sia tanto vicina a
quell'altra, il 4 novembre, che ricorda un po' tetramente la "vittoria"
italica nel piu' spaventoso massacro che la storia ricordi.

Se la Stato della Chiesa fosse sopravvissuto, non ci sarebbe stata quella
orribile carneficina che fu la I guerra mondiale; purtroppo non e' andata
cosi'. Festeggiamo la vittoria di Mentana ricordando le parole del
Maestro: portae inferi non praevalebunt, perche' tutto cio' che successe
dopo ci servi a ricordare che il principe di questo mondo, il mysterium
iniquitatis, e' da sempre all'opera in mezzo a noi....


--

questo articolo e` stato inviato via web dal servizio gratuito
http://www.newsland.it/news segnala gli abusi ad ab...@newsland.it

donquixote

da leggere,
10 nov 2008, 16:45:4510/11/08
a

"Fausto" <fau...@iol.it> ha scritto nel messaggio
news:Xns9B4EAFE12EC8...@213.92.23.58...

> "donquixote" <donqu...@tiscalinet.it> wrote in
> news:491218c1$0$18156$4faf...@reader3.news.tin.it:
>> Il Papa non la vedeva così: riconosceva il contributo delle truppe
>> ausiliarie francesi, ma attribuiva la "splendida vittoria" pure
>> alle "truppe Nostre".
>
> Sarà come dici

Non "sarà", "è" come dico.

> ma quando i francesi si ritirarono, per prendere Roma
> furono impiegati due battaglioni e una batteria di cannoni.

I battaglioni e le batterie di cannoni (60.000 soldati e più di 100 cannoni)
facevano parte dell'esercito del Regno d'Italia, il quale
era infinitamente più potente delle truppe pontificie.
Solo un perfetto demente può paragonare la battaglia di Mentana, che si
svolse tra truppe contrapposte di potenza sostanzialmente omologa
(pontifici-francesi contro garibaldini) con l'aggressione del Regno d'Italia
contro la Roma pontificia, paragonabile all'aggressione degli Stati Uniti
contro san Marino, o, più semplicemente, all'aggressione di un gigante
contro un bambino.
Quello che rileva ancora di più, però, è il fatto che l'invasione non aveva
alcuna giustificazione giuridica: era una palese aggressione, una violazione
spudorata del diritto internazionale. I "regnicoli" ne erano così
consapevoli, che, persino nei giorni precedenti all'attacco, avevano inviato
spie e provocatori a Roma, con il fine di scatenare una insurrezione, una
ribellione, o almeno una sommossa, che potesse servire come pretesto,
ancorchè ridicolo, di quella aggressione assolutamente criminale, la quale
fa sembrare Hitler e Stalin dei poveri dilettanti....

> Le truppe pontificie dove erano ?

A compiere il loro dovere sino in fondo: difendere le mura
sinchè era possibile, per poi cessare le ostilità non appena
gli invasori fossero riusciti a aprire una breccia nelle mura,
per evitare morti inutili, secondo gli ordini del Papa.
Morti inutili che non furono del tutto evitati, visto che alcuni soldati
pontifici furono uccisi, dopo che avevano già cessato ogni difesa,
dai "prodi" bersaglieri....
Riporto alcuni brani di Vittorio Messori tratti da "Pensare la storia":
Nel 1866, onorando quella Convenzione, la Francia ritira le sue truppe da
Roma, lasciando solo un presidio internazionale (composto, tra l'altro, da
giovani volontari delle famiglie cattoliche di tutta l'Europa e addirittura
delle Americhe: non solo il Risorgimento ma anche "l'altra parte"
ebbe l'equivalente delle "camicie rosse" garibaldine).
Nel 1870, schiacciato a Sedan dai prussiani il secondo impero
napoleonico l'Italia ha mano libera per occupare Roma da dove
i francesi si sono ritirati.
Ebbene: poco si riflette sulla grave sconfitta morale, sulla insanabile
delusione del nazionalismo borghese, dovute al fatto che il 20 settembre i
cannoni di Raffaele Cadorna dovettero sparare quattro ore per aprire una
breccia nelle mura e fare irruzione in una città che aspettava muta, inerte,
come rassegnata.

I dieci anni dal 1860 al 1870 erano stati, infatti, un testardo quanto
inutile sforzo per ottenere l'insurrezione dei romani contro il papa, dando
così al governo italiano un pretesto per intervenire. Fino al 1866 i
patrioti si consolarono dicendo che la causa della mancata rivolta era la
presenza dei francesi. Partiti questi, Garibaldi pensò che il momento fosse
giunto ma, penetrato nell'autunno del 1867 in quel che restava dello Stato
Pontificio, trovò una popolazione niente affatto festante, bensì largamente
ostile (come egli stesso ammise). Riuscì a spingersi sin quasi sotto le mura
di Roma, fidando nella insurrezione che gli era stata promessa e per la
quale il governo italiano non aveva lesinato aiuti in denaro e in armi. «Ci
basterebbero solo dieci schioppettate dei romani!», gemeva, a Firenze, il
capo del Governo, Giovanni Lanza.
Ma quelle schioppettate non ci furono; anzi, non mancarono i popolani
laziali che si arruolarono volontari per contrastare l'invasione
garibaldina.
I "congiurati", pagati dal governo dì Firenze e da Garibaldi, spiegarono
poi che la promessa rivoluzione contro il papa non era stata fatta perché,
la sera convenuta, si era messo a piovere...
Così, a Mentana, i pontifici e i francesi mettono in fuga i garibaldini
e l'esercito italiano non può intervenire (come era stato programmato)
prendendo a pretesto morale la rivolta degli abitanti del Lazio
e di Roma che non ci fu.
Lo stesso accade nel 1870, quando la Francia sconfitta e poi in preda al
marasma della Comune richiama il suo presidio. Anche stavolta si cerca di
suscitare un insurrezione; ma anche stavolta denari, sforzi, agenti
provocatori si rivelano inutili. Tanto che ancora il 10 settembre, quando
già le truppe di Cadorna convergono sulla città, Pio IX, acclamatissimo dal
popolo, si reca a inaugurare una fontana sulla piazza di Termini.
E, irrompendo dieci giorni dopo da Porta Pia su quella che sarà,
appunto, la via XX Settembre, i bersaglieri trovano strade deserte,
imposte chiuse, una città che sembra considerarsi più invasa
che "liberata". E che sempre distinguerà tra essa e gli "italiani",
chiamati buzzurri, cioè forestieri rozzi e non invitati.

Un bello smacco per la retorica nazionalista e laicista: questa delusione è
tra i motivi di una tenace avversione contro i romani, colpevoli di non
avere voluto muovere un dito per togliersi di dosso quella che (stando allo
schema) sarebbe stata "l'intollerabile oppressione papalina". Un disprezzo
"laico" che si aggraverà ancora perché, nel 1943, fuggito dal Quirinale il
nipote del re giunto nel 1870, e dissoltosi non solo il governo ma persino
lo Stato entrato a cannonate, i romani si strinsero di nuovo attorno al
papa, ridandogli spontaneamente l'antica autorità; e, partiti i tedeschi, si
riversarono in massa a piazza San Pietro per acclamarlo come "difensore
della città" che, unico tra i potenti, non aveva abbandonato.

Fu, questo, un finale coerente con gli inizi, con quel lontano 1793 in cui
in Francia regnava il Terrore dei giacobini, i quali inviarono nella Roma
papale - con funzioni di propagandista e di provocatore coperto dalla
immunità diplomatica - Hugon de Bassville, tanto mediocre cantore della
Rivoluzione quanto fazioso e virulento miscredente.
Bassville, come sintetizza uno storico contemporaneo, «in occasione delle
principali cerimonie religiose, accompagnato da servitori e guardie del
corpo, era solito mescolarsi ai fedeli e, nei momenti di maggior devozione,
si faceva beffe a gran voce dei sacramenti, dei celebranti e dei luoghi e
oggetti di culto e invitava, bestemmiando, a devastare le chiese e a
consegnargli i sacerdoti affinché, tradotti a Parigi, venissero decapitati».

A fronte della eccessiva tolleranza del papa, che si limitava a proteste cui
dalla Francia si rispondeva con sarcasmo, intervenne il popolo, quello vero
(e non «la plebaglia» come ancora si legge in enciclopedie e testi
scolastici), il popolo credente che, ferito nel suo sentimento religioso, un
bel giorno perse la pazienza e alle bestemmie ripetute per l'ennesima volta
proruppe in tumulti che culminarono con il linciaggio di Bassville. Ne seguì
la dichiarazione di guerra della Francia giacobina allo Stato pontificio:
dichiarazione, per il momento, platonica, visto che a Parigi c'era ben altro
da fare in quei mesi che muovere a battaglia contro il papa. Ma Napoleone
non dimenticò e anche per questo, quando giunse in Italia, calcò
particolarmente la mano contro Roma. Ma questa, con l'uccisione del
giacobino blasfemo Bassville, si assicurò un primato: era stata la prima
città italiana a dimostrare, e violentemente, contro la Rivoluzione. Deve
esserci anche questo nel subconscio degli "illuminati" che disprezzano
il popolo romano: come non detestare gente che non volle scacciare
Pio IX, e che ritrovò in Pio XII un "papa-re" cui essere grata?

Il Popolo
La favola di Porta Pia s'infrange sui dati della storia - 20/09/1870
La storia proibita
Maurizio Ceriani
11 settembre 1870
Era l'11 settembre (da sempre gran brutta data) del 1870, alle cinque del
pomeriggio, quando 65.000 soldati piemontesi passano la frontiera tra il
Regno d'Italia e quello che resta dello Stato Pontificio.

Dieci anni prima, sempre l'11 settembre, era iniziata l'aggressione alle
province pontificie delle Marche e dell'Umbria con l'offensiva di Cialdini
su Pesaro. Coincidono volutamente le date e coincidono anche le modalità:
aggressione ad uno stato sovrano senza dichiarazione di guerra.

Nessuna guerra è "legale" senza l'atto formale della sua dichiarazione, un
documento che denuncia gravi trasgressioni e accuse, che chiede riparazioni
e che prevede la soluzione armata qualora non vengano accettate.

L'invasione quindi va dalla storia annoverata tra gli atti di brigantaggio e
Vittorio Emanuele II (me ne dispiace assai!) finisce sottobraccio a Saddam
Hussein che centovent'anni dopo avanza tra le sabbie del Kuwait. A
posteriori si giustificò l'aggressione, motivandola col fatto che gravi
disordini erano scoppiati a Roma e nel suo contado per il malcontento della
popolazione oppressa dai mercenari papalini.

Peccato però che a Roma fosse tutto tranquillo e che, a parte qualche
attentato terroristico ad opera di infiltrati stranieri, in tutti quegli
anni la gente continuasse a volere un gran bene e Pio IX e a
manifestarglielo in ogni occasione.

Parola di Garibaldi, nel suo "Il governo del monaco" del 1867: tutto il
popolo romano, salvo una sparuta minoranza, era clericale! Ci penserà Nino
Bixio a fargliela purgare il 20 settembre.

I mercenari papalini
Dai vecchi sussidiari delle elementari in su, l'esercito pontificio è così
descritto: mercenari papalini, soldataglia prezzolata arruolata tra la
feccia del pianeta, gente che per amor di soldo e saccheggio difendeva il
traballante trono di Pio IX e opprimeva il popolo romano, ultimo residuo
delle tristi compagnie di ventura del peggior medioevo.
Se si guarda con attenzione, si scopre le cose erano all'opposto.
Di questi "mercenari", 13.624 per l'esattezza agli ordini del generale
Kanzler, 8.300 erano romani e 5.324 volontari stranieri (tra cui una buona
parte italiani). Quindi più di un terzo dell'esercito era costituito da
sudditi pontifici, volontari pure loro giacché nelle terre del Papa non vi
era la coscrizione obbligatoria.
[Nel tirannico Stato della Chiesa non esisteva la meravigliosa coscrizione
obbligatoria, la quale imponeva ai cittadini di diventare carne da macello;
essa, non a caso, era stata istituzionalizzata dalla Rivoluzione
francese....]

Gli stranieri erano ancor più strani "mercenari": appartenevano per la
maggior parte alla nobiltà e alle classi possidenti e si vantavano di
militare sotto le insegne pontificie, non solo senza ricevere "soldo
alcuno", ma pagando di tasca propria vitto, divisa e armamento.

Eloquente è la vicenda di Giuseppe Sacchetti, fondatore nel 1868
del secondo circolo italiano di Azione Cattolica, quello di Padova,
e in seguito grande figura del giornalismo italiano. Dopo aver fatto
testamento, parte per Roma nell'agosto del 1870 per arruolarsi
nel corpo dei volontari pontifici della riserva; ha venticinque anni.
Dalla Città Eterna scrive alla madre tre lettere, rispettivamente
il 31 agosto, il 4 e il 24 settembre, dalle quali appare la sua
straordinaria fede di giovane disposto al sacrificio supremo per amore di
Dio e del Pontefice e, contemporaneamente, ancora sottomesso alla madre,
tanto da chiederle il permesso per passare dalla riserva a un corpo
attivo e stabile.

La risposta della madre la dice lunga sui sogni della gente italiana
su Roma capitale; la donna del Veneto cattolico non ha dubbi
e sprona il figlio "a difendere una causa tanto giusta che nobilita
l'uomo e lo fa maggiore di sé".

Gli squadriglieri di Viterbo
La provincia di Viterbo da sola fornì all'esercito di Pio IX 2.000
volontari, che organizzati e guidati dal colonnello Azzanesi, un veterano
di Castelfidardo, formarono il corpo degli squadriglieri pontifici.

Erano compagnie di contadini, vestiti col loro costume tradizionale,
addestrati alla guerriglia, perfetti conoscitori del territorio, armati di
tutto punto e ben inquadrati; avevano ripulito le province meridionali del
Patrimonio di San Pietro dal brigantaggio e soprattutto avevano dato filo da
torcere ai diversi tentativi di infiltrazioni garibaldine del decennio
1860-1870.

Azzanesi avrebbe voluto impegnare con i suoi uomini, in un'estenuante
guerriglia, l'esercito che, superato il Garigliano, avanzava verso Roma da
sud al comando del generale Angioletti, ma Pio IX era stato tassativo: non
voleva spargimenti di sangue, ma solo la chiara dimostrazione per il mondo
che il Papa cedeva solo davanti alla violenza dell'invasione di un esercito
nazionale.

Tra il 12 e il 16 settembre, gli squadriglieri si ritirarono così senza
combattere, accolti e aiutati ovunque dalle popolazioni fedeli al Papa-Re,
mentre l'esercito piemontese entrava in Viterbo "liberata" acclamato da una
folla di dodici "patrioti".

Le mura di Roma
A parte la battaglia di Civita Castellana, dove 3.400 piemontesi, ebbero la
meglio sulla disperata resistenza dei 110 zuavi del capitano De Rèsimont,
dopo aver cannoneggiato per una mattina il vecchio castello con una pioggia
di duecentoquaranta proiettili da 18 bocche da fuoco (i difensori avevano
solo i fucili), Cadorna giunse sotto le mura di Roma senza colpo ferire e il
15 settembre pose la città sotto assedio. A parte Trastevere, col suo
terreno dominante, Castel Sant'Angelo e le mura bastionate della Città
Leonina, nessun'altra zona di Roma poteva pensare ad una difesa prolungata.

La Città era infatti cinta, più che difesa, da Porta del Popolo al
Testaccio, da un lungo muro, che per lunghi tratti era ancora quello
edificato dall'imperatore Aureliano 1.500 anni prima, senza alcuna
piattaforma per posizionare l'artiglieria. Le mura, pensate per difendere
Roma in epoche ormai lontane e con altri criteri d'assedio, erano troppo
alte per piazzarvi i fucilieri e in alcuni punti così poco spesse per
opporre resistenza all'artiglieria.

La breccia di Porta Pia venne aperta in un tratto dove le fortificazioni
avevano meno di un metro di spessore.

Il 16 settembre Pio IX, alle cinque del pomeriggio, uscì per l'ultima volta
dal palazzo apostolico per recarsi a pregare nella chiesa dell'Aracoeli:
una folla immensa lo acclamò ovunque, mentre volontari romani
accorrevano sulle mura della Città Leonina per unirsi agli Svizzeri
nella difesa della persona del Papa.

La giornata del 19 vide alcune scaramucce attorno alle mura e niente più.

Dopo avere inviato a Kanzler alcuni inviti alla resa, puntualmente respinti,
il generale Cadorna aveva deciso di sferrare l'attacco all'alba del giorno
successivo per porre fine a quella che diceva essere "la dominazione di
truppe straniere che imponevano la loro volontà al Papa e ai Romani".

Nino Bixio "uomo d'onore"
La notte tra il 19 e il 20 settembre passò insonne entro le mura
di Roma.
I soldati del Papa si confessarono tutti e ricevettero il viatico
e l'unzione.

Erano convinti di morire uno ad uno nella difesa, casa per casa, della Città
Santa. La croce rossa fu appuntata sul petto di quegli ultimi crociati e
risuonò per le mura il grido di "W Pio IX, W il Papa-Re".

Cadorna aveva pianificato di attaccare Roma lungo tutto il perimetro delle
mura, ad eccezione di quelle della Città Leonina, aprire diverse brecce e
penetrare in città da più parti per spezzare la difesa degli zuavi. Alle
cinque del mattino i cento cannoni italiani aprirono il fuoco martellando
le difese.

Sull'altra sponda del Tevere il generale Nino Bixio, eroe dell'impresa dei
Mille, aveva posto il suo quartier generale a Villa Pamphili e aveva
l'ordine di attaccare Porta San Pancrazio e le mura fortificate di
Trastevere. Sicuro che il popoloso quartiere sarebbe insorto e gli avrebbe
aperto le porte, e informato che il settore era difeso solo da truppe
indigene, Bixio aveva inviato emissari per invitare alla diserzione i
difensori di Trastevere; pensava che sarebbe toccata a lui la gloria di
entrare per primo in Roma "liberata".

Per questo tardò l'ordine di aprire il fuoco di circa un'ora. Non sapeva
però che solo tre giorni prima una delegazione di Trastevere era salita dal
Pontefice per offrire l'intera popolazione del quartiere come guardia
personale di quello che consideravano "il loro Papa".

Iniziato l'attacco, si avvide presto che la resistenza a Trastevere era più
decisa che negli altri settori: le mura solide non cedevano, gli abitanti
del quartiere erano saliti a difenderle e le sue truppe si trovavano ora tra
il tiro incrociato delle mura leonine e di quelle trasteverine. Irritato,
tra le otto e le nove, fece dirigere il fuoco di alcuni cannoni sugli
edifici all'interno delle mura, devastando case, conventi e ospedali e
facendo vittime tra i civili.

Poco prima delle dieci, quando le artiglierie italiane avevano aperto una
larga breccia nelle mura di Porta Pia e si stava preparando l'assalto,
giunse alla porta un dragone a cavallo con l'ordine di resa da parte di Pio
IX: il Papa non voleva uno spargimento di sangue.

Alle dieci e dieci minuti la battaglia per Roma era finita.

Anche sulle mura di Trastevere venne issata la bandiera bianca, ma le
batterie di Nino Bixio continuarono a bombardare il quartiere ancora per
mezz'ora.

Anche dieci anni prima, ad Ancona, i cannoni di Cialdini e Fanti avevano
continuato a sparare per molte ore sulla città, rea di essersi arresa
all'ammiraglio Persano.

La gioia dei Romani liberati
I Romani si chiusero in casa e sbarrarono porte e finestre, appendendo
drappi neri alle finestre in segno di lutto. Alcuni portoni di case
nobiliari non riaprirono i loro battenti che nel 1929, all'indomani
della "Conciliazione".
[I Patti Lateranensi provvidenzialmente voluti e attuati da Mussolini....]

Cinquemila facinorosi, autoproclamatisi "esuli romani", erano al seguito
dell'esercito ed entrarono subito in città, inneggiando a Vittorio Emanuele
e all'unità d'Italia, mentre nel pomeriggio treni speciali portarono a Roma
nuova gente a far gazzarra, al punto che "La Nazione", giornale liberale di
Firenze, poté scrivere: "Roma è stata consegnata come res nullius a tutti i
promotori di disordini e di agitazioni, a tutti gli approfittatori politici
di professione, a coloro che amano pescare nel torbido, ai bighelloni di
cento città italiane. Si potrebbe pensare che il governo voglia fare di Roma
il ricettacolo della feccia di tutta Italia". I disordini continuarono per
giorni in Roma finalmente "liberata"...


Rafmi...@libero.it

da leggere,
18 nov 2008, 18:17:2018/11/08
a

> Nel 1866, onorando quella Convenzione, la Francia ritira le sue truppe da
Roma, lasciando solo un presidio internazionale (composto, tra l'altro, da
giovani volontari delle famiglie cattoliche di tutta l'Europa e addirittura
delle Americhe: non solo il Risorgimento ma anche "l'altra parte"
ebbe l'equivalente delle "camicie rosse" garibaldine).

ci furono, tra gli altri, anche un polinesiano, un congolese, 135
canadesi, 14
statunitensi, un messicano ed un mongolo di etnia circassa

donquixote

da leggere,
20 nov 2008, 17:38:0920/11/08
a

<Rafmi...@libero.it> ha scritto nel messaggio
news:42IUk.195305$FR.4...@twister1.libero.it...

"Sei circasso?"
"Circa, casso!" (De Curtis).

http://www.antoniodecurtis.org/arabia7.jpg

Tu invece, Raf, sei parte-nopeo, e parte-napoletano...
Cordiali saluti.


Etc, Etc... ITA

da leggere,
3 mar 2009, 10:39:4203/03/09
a
donquixote ha scritto:
[cut]

Salve, vorrei conoscere, se possibile, qualche testo storiografico che
racconta la presa di Roma in questa ottica poiché non la conoscevo e mi
piacerebbe approfondire l'episodio che rese i Papi sovrani
esclusivamente spirituali. (Magari anche con qualche accenno all'opera
che svolse la massoneria nella presa di Roma).

Grazie

donquixote

da leggere,
4 mar 2009, 17:57:3304/03/09
a

"Etc, Etc... ITA" <samuelvTAgl...@hotmail.it> ha scritto nel
messaggio news:gojivp$j92$1...@news.task.gda.pl...

> donquixote ha scritto:
> [cut]
>
> Salve, vorrei conoscere, se possibile, qualche testo storiografico che
> racconta la presa di Roma in questa ottica poich� non la conoscevo e mi

> piacerebbe approfondire l'episodio che rese i Papi sovrani esclusivamente
> spirituali. (Magari anche con qualche accenno all'opera che svolse la
> massoneria nella presa di Roma).

Opere specifiche sulla sola presa di Roma non ne conosco.
Ve ne sono alcune molto interessanti che riguardano il Risorgimento
anticattolico in generale, oppure la massoneria e il pensiero anticristiano.

http://tinyurl.com/ctlbwp

http://tinyurl.com/4fqvef

http://tinyurl.com/ao2ou8

http://tinyurl.com/anu9ce

Cordiali saluti.


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