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Lampi nel buio - 19 luglio 1992

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luziferszorn

da leggere,
18 lug 2012, 07:08:5418/07/12
a
Salvatore Borsellino: Lampi nel buio
http://temi.repubblica.it/micromega-online/lampi-nel-buio/
di Salvatore Borsellino

Da 16 anni, dal 19 luglio del 1992, i manovratori delle luci hanno
fatto calare le tenebre attorno alla scena della strage. Sono rimasti
solo i riflettori accesi sul numero 19 di via D'Amelio. Con una luce
forte, accecante, in maniera che gli occhi, colpiti da quella luce,
non riescano a distinguere quello che succede attorno, in mezzo alle
tenebre.
Buio sul castello Utveggio, su via dell'Autonomia Siciliana, buio sul
golfo di Palermo, sull'Arenella, sull'Acquasanta, le tenebre coprono
tutto, si può solo sentire ogni giorno, alle 17, il suono delle sirene
che arriva da via dell'Autonomia Siciliana, le macchine blindate che
sbucano d'improvviso da quelle tenebre in una via che dovrebbe essere
sgombra, dove dovrebbe essere vietato fare sostare le macchine e che
invece ne è tanto piena che, una volta entrati, se ne può uscire solo
a marcia indietro.
Ogni giorno, alla stessa ora, il giudice scende dalla macchina
lasciando la sua borsa di cuoio sul sedile posteriore, deve solo
suonare il campanello della casa di sua madre e dirle di scendere
perché deve accompagnarla dal cardiologo.
Tutti gli uomini e l'unica donna della sua scorta scendono insieme a
lui e gli si fanno attorno, non hanno che il loro corpo per
proteggerlo. Il giudice suona il campanello e non si capisce se riesce
a pronunciare qualche parola prima che l'esplosione di centinaia di
chili di tritolo, anzi di Semtex, l'esplosivo usato dai militari,
scateni l'inferno.
Antonino Vullo, l'autista della macchina del giudice, è restato dentro
l'auto, sta facendo la manovra per essere pronto a ripartire appena il
guidice ritornerà tenendo per il braccio la madre. Un'onda di calore
lo sbalza all'indietro ma la macchina è blindata e resiste all'onda
d'urto.
Ogni giorno, alla stessa ora, scende ferito e intontito dalla macchina
e camminando sente sotto i piedi delle cose molli, sono i pezzi dei
suoi compagni, cammina con i piedi in mezzo alle pozzanghere, è il
sangue dei suoi compagni, del suo giudice, insieme ai quali, da
allora, continuerà a desiderare di essere morto per non dovere
rivivere ogni giorno ed ogni notte, nei suoi terribili sogni, sempre
la stessa scena.
Il giudice viene tagliato in due, il troncone del suo corpo viene
sbalzato tra quel che rimane della cancellata e la facciata crollata
del palazzo. Dei corpi dei ragazzi che lo proteggevano non rimane
quasi nulla, una mano vola ogni giorno in alto, in una sequenza senza
fine, e si ferma su quello che è rimasto su un balcone del quinto
piano.
La madre del giudice sa che è scoppiata quella bomba che tutti sanno,
da due mesi, servirà per eliminare, dopo l'altro giudice, anche suo
figlio, ma, per pietà, il suo cervello le fa credere che siano
scoppiate le tubature del gas ed allora, a piedi nudi, corre per le
scale, cerca di arrivare all'esterno, scende per quattro piani in
mezzo alle macerie, alle vetrate distrutte, ma arriva giù senza un
graffio. Forse suo figlio, prima di andare via per sempre, la prende
in braccio e la porta giù, dolcemente e, quando passa vicino al suo
corpo, le chiude gli occhi per non farle vedere quello che è rimasto
di lui, quello che è rimasto di Emanuela, di Agostino, di Claudio, di
Vincenzo, di Walter. In ospedale, dove la porta un pompiere che la
raccoglie dalle braccia del giudice, dirà di non avere visto niente di
quell'inferno che c'era davanti al numero 19 di via d'Amelio, di non
avere visto il corpo di suo figlio, di non avere visto il sangue che
riempiva la strada
Ogni giorno alla stessa ora, qualcuno, dal Castello Utveggio, vede
distintamente il giudice che sta per premere il pulsante del citofono
e preme il pulsante del telecomando che scatena l'inferno, il castello
ora è immeso nelle tenebre ma da lassù l'ingresso del numero 19 di via
D'Amelio si distingue chiaramente, illuminato dalla luce accecante dei
riflettori ed è facile sincronizzare il comando al momento in cui
viene premuto il campanello e non lasciare scampo al giudice ed agli
uomini della sua scorta.
Ogni giorno, alla stessa ora, il Cap. Giovanni Arcangioli si avvicina
alla Croma blindata del Giudice e prende la borsa di cuoio che
contiene l'agenda rossa, o è qualcuno a porgergliela, in mezzo alle
fiamme ed al fumo non si distingue bene, ma poi si allontana con passo
sicuro, guardandosi intorno, verso via dell'Autonomia Siciliana dove
c'è qualcuno ad aspettarlo Quell'attentato è stato preparato anche per
potere avere in mano quell'agenda.
Nell'allontanarsi dalla macchina calpesta gli stessi pezzi di carne,
lo stesso sangue che ha calpestato l'agente Vullo, ma dal suo viso non
traspaiono emozioni, forse ha un preciso incarico da compiere, è come
essere in guerra, e in guerra le emozioni devono essere controllate.
Arriva in Via dell'Autonomia Siciliana ma qui le luci dei riflettori
che illuminano la scena della strage non arrivano, c'è il buio, il
buio assoluto e non si riesce a vedere a chi il Cap. Arcangioli
consegna la borsa e chi ne estrae l'agenda rossa del Giudice. Vediamo
solo, ancora sotto la luce dei riflettori, qualcuno che un'ora dopo
riporta la borsa, ormai vuota di quell'agenda che potrebbe inchiodare
gli assassini del Giudice e chi aveva interesse ad eliminarlo,, sul
sedile posteriore della macchina blindata.
Sono passati 16 anni e ogni anno, al 19 di luglio, arrivano i padroni
dei tecnici delle luci, portano delle corone, le appoggiano alle
cancellate, si fanno fotografare, e intanto sorvegliano che tutto vada
come previsto, che i riflettori siano sempre accesi con la loro luce
accecante sul luogo della strage e che tutto intorno sia tenebra, che
niente si riesca a vedere di quello che è successo, di quello che
succede, intorno al luogo della strage.
Ma i tecnici delle luci possono controllare solo i riflettori, non
possono controllare il cielo e ogni tanto, nel buio, qualche lampo
arriva a squarciare le tenebre e lascia intravedere anche se solo per
un attimo, quello che loro non vogliono farci vedere, quello che non
dobbiamo, non possiamo vedere, non possiamo sapere perché su di esso
sono fondati gli equilibri e i ricatti incrociati che tengono in piedi
questa seconda repubblica, questo nuovo regime fondato sul sangue
delle stragi del 1992.
Ecco un lampo che squarcia le tenebre. Sono le 7 del mattino del 19
luglio, in via Cilea, a casa del Giudice che è in piedi dalle 5,
arriva una telefonata del suo capo, Pietro Giammanco. Non gli ha mai
telefonato a quell'ora, e di domenica, non lo ha avvisato di un
rapporto del Ros in cui si rivelava che era arrivato a Palermo un
carico di tritolo per l'attentato al Giudice che ha potuto conoscere
la circostanza per caso, all'aereoporto, incontrando il ministro
Scotti, e che sui motivi di questa omissione con il suo capo, ha avuto
un violento alterco. Non gli ha ancora concesso, da quando è rientrato
da Marsala prendendo le funzioni di Procuratore Aggiunto a Palermo, la
delega per condurre le indagini in corso sulle cosche palermitane e,
in conseguenza, la possibilità di interrogare senza la sua espressa
autorizzazione, pentiti chiave come Gaspare Mutolo. Ora, il 19 luglio,
quando la macchina per l'attentato è già posteggiata davanti al numero
19 di via D'Amelio, gli telefona per dirgli che gli concede quella
delega e gli dice una frase che, oggi, suona in maniera sinistra "così
si chiude la partita". La moglie del Giudice, Agnese, lo sente urlare
al telefono e dire "no, la partita comincia adesso" e lo stesso
giudice, qualche tempo prima, aveva confidato al maresciallo Canale,
che lo affiancava nelle indagini, che "in estate avrebbe fatto
arrestare Giammanco perché dicesse cosa conosceva sull'omicidio Lima",
dal recarsi ai funerali del quale lo stesso Giammanco venne dissuaso
solo all'ultimo momento da un procuratore.
Ecco un altro lampo, è ancora il 19 Luglio e si vede il Giudice nella
casa in cui si trasferisce in estate, a Villagrazia di Carini che
invece di dormire per una mezzora, come è solito fare dopo aver
mangiato, continua a fumare nervosamente tanto da riempire un
portacenere di mozziconi, e intanto scrive sulla sua agenda rossa, poi
prende la sua borsa di cuoio, vi mette dentro l'agenda e il pacchetto
di sigarette, saluta i suoi, e parte con la scorta verso il suo ultimo
appuntamento, quello con la morte che, dopo la morte di Giovanni
Falcone, ha sempre saputo che sarebbe presto arrivata, tanto da
continuare a dire a sua madre e a sua moglie "devo fare in fretta,
devo fare in fretta"
Ecco un altro lampo e in mezzo alle tenebre che circondano il castello
Utveggio si vede qualcuno in attesa, ecco che arriva una telefonata
sul suo cellulare ed allora punta il binocolo sul portone al numero 19
di via d'Amelio, vede scendere il giudice dalla macchina blindata, lo
vede alzare la mano verso il pulsante del citofono e allora preme un
altro pulsante di un telecomando che stringe nella mano e subito si
vede una colonna di fumo e si sente un boato ed allora, dopo avere
osservato in mezzo al fumo, per un attimo, gli effetti
dell'esplosione, prende il cellulare fa un numero e dice appena
qualche parola. Poi il baleno provocato dal lampo finisce e tutto
ripiomba ancora nelle tenebre.
Ecco un altro lampo, e si vede una barca nel golfo di Palermo, è piena
di uomini, ma non sono persone qualsiasi, appartengono tutti ai
servizi segreti così che le loro testimonianze potranno, dovranno
essere tutte concordi. E' quasi l'ora dell'attentato e tutti sono in
silenzio, sembrano attendere qualcosa. Poi si ode, attutito dalla
distanza e dalla montagna un tremendo boato, e dalla parte di Palermo
verso il monte Pellegrino si vede alzare una alta colonna di fumo e
quasi subito dopo arriva una telefonata. Il giudice è morto, quel
maledetto ostacolo sulla via della trattativa è eliminato. Dai
telefoni cellulari sulla barca partono altre telefonate concitate poi
il motore viene acceso e la barca riparte velocemente verso il porto.
Per chiunque, in Italia, sono passate dalle quattro alle cinque ore
prima di sapere che il giudice era morto, che quella morte annunciata
era arrivata, ma per chi stava su quella barca sono bastati solo
centoquaranta secondi per sapere tutto. Ma ora il baleno provocato dal
lampo è finito e tutto è ripiombato nelle tenebre.
Un altro lampo, ma stavolta è troppo di breve durata per capire se è
veramente Bruno Contrada quell'uomo che si aggira in via D'Amelio
subito dopo la strage come due capitani del Ros, Umberto Sinico e
Raffaele del Sole affermano di avere saputo dal funzionario di polizia
Roberto Di Legami che riportava a sua volta una relazione di servizio,
poi distrutta, di alcuni agenti accorsi sul lugo della strage.
Ancora un altro lampo che squarcia per poco tempo le tenebre. È la
fine di Giugno e si riesce a vedere Vito Cianciminio che consegna al
Cap. De Donno e al Col. Mori un foglio scritto a mano, il papello di
Riina, con le dodici richieste del capo della cupola per fermare
l'attacco al cuore dello Stato.
Un altro lampo, è il 1 di Luglio e si vede il giudice al ministero,
davanti alla porte di Mancino, per un incontro a cui è stato chiamato
dallo stesso ministro mentre stava interrogando Gaspare Mutolo. Il
giudice ha annotato questo appuntamento nella sua agenda: 1 Luglio,
ore 19: Mancino, ma la luce provocata dal lampo si esaurisce e non
riusciamo a vedere chi c'e' dietro quella porta ad aspettarlo e che
cosa gli viene detto. Dall'agitazione del giudice quando torna ad
interrogare Mutolo si può solo immaginare che gli viene detto che lo
Stato ha deciso di aderire alla richieste contenute nel papello e la
reazione del giudice che deve essere stata violenta e sdegnata tanto
da non lasciare spazio, per concludere la trattativa, ad altra
possibilità se non quella di eliminarlo, ed eliminarlo in fretta, ma
le tenebre sono troppo fitte per vedere qualcosa e solo Mancino ci
potrebbe dire, se guarisse improvvisamente dalle sue amnesie, che cosa
accadde veramente in quella stanza.
Altrimenti potremo solo aspettare, se mai avverrà, che una serie
continua di lampi squarci le tenebre ed allora potremo veramente
vedere quali e quanti mani, tra quelli che oggi godono i frutti dei
nuovi equilibri raggiunti, siano lorde del sangue delle stragi del 92
e di quelle altre stragi che, nel 93, furono necessarie prima che la
trattativa venisse conclusa.

luziferszorn

da leggere,
18 lug 2012, 16:29:4818/07/12
a
On 18 Lug, 13:08, luziferszorn <pan25...@gmail.com> wrote:
> Salvatore Borsellino: Lampi nel buiohttp://temi.repubblica.it/micromega-online/lampi-nel-buio/
> di Salvatore Borsellino
>
> Da 16 anni, dal 19 luglio del 1992, i manovratori delle luci hanno
> fatto calare le tenebre attorno alla scena della strage. Sono rimasti
> solo i riflettori accesi sul numero 19 di via D'Amelio. Con una luce
> forte, accecante, in maniera che gli occhi, colpiti da quella luce,
> non riescano a distinguere quello che succede attorno, in mezzo alle
> tenebre.


Leggenda vuole che il giorno della prima esecuzione di "July 19th" di
Giovanni Mancuso (quello sopra è il testo, mentre il titolo completo
della composizione lo leggete sotto) al pubblico fu negato il
libretto, sia in inglese (come da partitura) che nell'originale
italiano. Pare che anche il titolo fosse stato ridotto a "July 19th".
Dunque oltre alla "Nona" di LvB e il "Sacre" di Strawinsky, ora avremo
anche il "July 19th" di Mancuso.

- Giovanni Mancuso July 19th or How to establish a second Republic
founded on the blood of a State Massacre per voce solista, sax
concertante, pianoforte, minimoog, electronium e ensemble (2009, 25’)
prima es. ass. (commissione La Biennale di Venezia), testo di
Salvatore Borsellino Lampi nel buio, traduzione di Christina Pacella
http://www.labiennale.org/it/musica/archivio/festival/programma/sch.html?back=true

Insomma, se vi va (non vorrei turbare le vostre seratine borghesi) qui
lo potete ascoltare (notevole la presentazione di radio3 - lol):
https://dl.dropbox.com/u/320136/audio/BM2009/002.wav

lz






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