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- Il semaforo blu;
- Lettera ai bambini;
- Giacomo di cristallo;
- da Il piccolo principe.
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- La talpa con gli occhiali gialli.
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- Filastrocche tratte da: Jimmy Diottria.
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Una volta il semaforo che sta a Milano, in piazza del Duomo, fece una stranezza. Tutte le sue luci, ad un tratto, si tinsero di blu', e la gente non sapeva piᅵ come regolarsi.
"Attraversiamo o non attraversiamo? Stiamo o non stiamo?"
Da tutti i suoi occhi, in tutte le direzioni, il semaforo diffondeva l'insolito segnale blu', di un blu' che cosᅵ blu' il cielo di Milano non era stato mai.
In attesa di capirci qualcosa gli automobilisti strepitavano e strombettavano, i motociclisti facevano ruggire lo scappamento e i pedoni piᅵ grassi gridavano: "Lei non sa chi sono io!"
Gli spiritosi lanciavano frizzi: "Il verde se lo sarᅵ mangiato il commendatore, per farci una villetta in campagna.
Il rosso lo hanno adoperato per tingere i pesci ai Giardini.
Col giallo sapete che ci fanno? Allungano l'olio d'oliva."
Finalmente arrivᅵ un vigile e si mise in mezzo all'incrocio a districare il traffico. Un altro vigile cercᅵ la cassetta dei comandi per riparare il guasto, e tolse la corrente.
Prima di spegnersi il semaforo blu' fece in tempo a pensare:
"Poveretti! Io avevo dato il segnale di - via libera - per il cielo. Se mi avessero capito, ora tutti saprebbero volare. Ma forse gli ᅵ mancato il coraggio."
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E' difficile fare le cose difficili:ᅵ
parlare al sordo, mostrare la rosa al cieco.ᅵ
Bambini, imparate a fare le cose difficili:ᅵ
dare la mano al cieco, cantare per il sordo,ᅵ
liberare gli schiavi che si credono liberi.
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Una volta, in una cittᅵ lontana, venne al mondo un bambino trasparente. Attraverso le sue membra si poteva vedere come attraverso l'aria e l'acqua. Era di carne e d'ossa e pareva di vetro, e se cadeva non andava in pezzi, ma al piᅵ si faceva sulla fronte un bernoccolo trasparente.
Si vedeva il suo cuore battere, si vedevano i suoi pensieri guizzare come pesci colorati nella loro vasca.
Una volta, per sbaglio, il bambino disse una bugia, e subito la gente potᅵ vedere come una palla di fuoco dietro la sua fronte: ridisse la veritᅵ e la palla di fuoco si dissolse. Per tutto il resto della sua vita non disse piᅵ bugie.
Un'altra volta un amico gli confidᅵ un segreto, e subito tutti videro come una palla nera che rotolava senza pace nel suo petto, e il segreto non fu piᅵ tale.
Il bambino crebbe, diventᅵ un giovanotto, poi un uomo, e ognuno poteva leggere nei suoi pensieri e indovinare le sue risposte, quando gli facevano una domanda, prima che aprisse bocca.
Egli si chiamava Giacomo, ma la gente lo chiamava "Giacomo di cristallo", e gli voleva bene per la sua lealtᅵ, e vicino a lui tutti diventavano gentili.
Purtroppo, in quel paese, salᅵ al governo un feroce dittatore, e cominciᅵ un periodo di prepotenze, di ingiustizie e di miseria per il popolo. Chi osava protestare spariva senza lasciar traccia. Chi si ribellava era fucilato. I poveri erano perseguitati, umiliati e offesi in cento modi.
La gente taceva e subiva, per timore delle conseguenze.
Ma Giacomo non poteva tacere. Anche se non apriva bocca, i suoi pensieri parlavano per lui: egli era trasparente e tutti leggevano dietro la sua fronte pensieri di sdegno e di condanna per le ingiustizie e le violenze del tiranno. Di nascosto, poi, la gente si ripeteva i pensieri di Giacomo e prendeva speranza.
Il tiranno fece arrestare Giacomo di cristallo e ordinᅵ di gettarlo nella piᅵ buia prigione.
Ma allora successe una cosa straordinaria. I muri della cella in cui Giacomo era stato rinchiuso diventarono trasparenti, e dopo di loro anche i muri del carcere, e infine anche le mura esterne. La gente che passava accanto alla prigione vedeva Giacomo seduto sul suo sgabello, come se anche la prigione fosse di cristallo, e continuava a leggere i suoi pensieri. Di notte la prigione spandeva intorno una grande luce e il tiranno nel suo palazzo faceva tirare tutte le tende per non vederla, ma non riusciva ugualmente a dormire. Giacomo di cristallo, anche in catene, era piᅵ forte di lui, perchᅵ la veritᅵ ᅵ piᅵ forte di qualsiasi cosa, piᅵ luminosa del giorno, piᅵ terribile di un uragano.
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..."ecco il mio segreto. E' molto semplice: non si vede bene che col cuore. L'essenziale e' invisibile agli occhi."
"L'essenziale e' invisibile agli occhi", ripetᅵ il piccolo principe, per ricordarselo...
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Subito fuori il paese di BOSCOFREDDO abitava il SIGNOR TALPA che, ahimᅵ poichᅵ era un poco miope, stava sempre chiuso in casa e non voleva mai vedere nessuno. Il Signor Talpa faceva il calzolaio e poichᅵ si vergognava del fatto che non riusciva a riconoscere le persone, si faceva lasciare le scarpe da aggiustare fuori dalla porta e poi il mattino seguente, dopo aver fatto il suo lavoro le riponeva nella stessa posizione dove gliele avevano lasciate.
Il Signor Talpa, era molto triste perchᅵ non aveva amici.
Un pomeriggio mentre era in casa sentᅵ bussare alla porta.
ᅵChi sarᅵ mai?- si domandᅵ il Signor Talpa - Io non aspetto visite.
ᅵIl Signor Talpa si avvicinᅵ alla porta, l'aprᅵ un pochino per vedere chi fosse e vide un tasso che prontamente si infilᅵ in casa. Il Signor Talpa rimase sbigottito.
ᅵBuongiorno, mi presento sono TASSO TASSONI, ho deciso di aprire un negozio qui a Boscofreddo, per cui sto passando di casa in casa per lasciare la mia pubblicitᅵ.
Va bene, grazie - disse il Signor Talpa, ritirando il depliant pubblicitario.
Sa, io vendo di tutto, spazzole, secchi, piatti, scope, persino occhiali - replicᅵ Tasso Tassoni.
Occhiali, davvero! - sussurrᅵ il Signor Talpa, mentre gli si illuminava il viso - ma a dire il vero a che cosa mi potrebbero servire, sto sempre chiuso in casa!
Occhiali, ha bisogno di occhiali. Io ne ho di tanti tipi, di tutte le misure e di tutti i colori - disse Tasso Tassoni.
Ma vede, io non esco mai di casa - disse la talpa.
Non c'ᅵ problema, ci penso io. Le porterᅵ un bel paio di occhiali fatti apposta per lei. Ci vediamo domani mattina alle dieci, se per lei va bene. - aggiunse il tasso.
Il Signor Talpa non fece in tempo a replicare che Tasso Tassoni era giᅵ uscito dalla porta.
Il Signor Talpa era pieno di dubbi, e si era pentito di non aver rifiutato in tempo. Il mattino dopo puntualmente si presentᅵ Tasso Tassoni con una valigietta. Dentro aveva tanti tipi di occhiali, di tutti i colori, di tutte le forme, di tutte le misure. Ce ne erano di grandi, di piccoli, di lunghi, di tondi, di gialli, di verdi, di rossi, di neri.
Proviamo questi occhiali - disse Tasso Tassoni alla talpa - Ma le stanno benissimo, sembrano fatti apposta per lei.-
Il Signor Talpa sbattᅵ le ciglia degli occhi due o tre volte, poi andᅵ a vedersi allo specchio e vide un bel paio di occhiali gialli sul suo naso ma soprattutto vide tutto chiaro intorno a lui.
Che bello - pensᅵ - ora ci vedo bene. E questo colore giallo mi piace molto.
Li prendo subito - disse al tasso - sembrano proprio fatti per me. Quanto le devo?
Le faccio un buon prezzo, 10 ghiande - disse Tasso Tassoni.
Ecco a Lei, l'accompagno alla porta - replicᅵ il Signor Talpa.
Aprendo la porta il Signor Talpa dette uno sguardo fuori e vide il sole splendere, i fiori di tutti i colori, le foglie verdi e i funghetti ai piedi degli alberi color nocciola.
Aspetti, ho deciso di accompagnarla al suo negozio, se permette - disse il Signor Talpa.
Volentieri - disse Tasso Tassoni.
Cosᅵ Tasso Tassoni ed il Signor Talpa si avviarono verso il centro di Boscofreddo. Tutti gli abitanti di Boscofreddo si stupivano nel vedere il Signor Talpa in giro per il paese. Tutti lo salutavano calorosamente e lui ricambiava un poco intimidito. Il Signor Talpa da quel giorno non ebbe piᅵ timore di uscire ed anzi uscᅵ tutti i giorni, mattina e pomeriggio e si fermava a parlare con tutti quelli che incontrava. Vinse cosᅵ la sua timidezza e divenne un grande chiaccherone. Da quel giorno nel paese lo chiamarono SIGNOR TALPA DAGLI OCCHIALI GIALLI e lui era molto fiero dei suoi occhiali gialli.
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(le filastrocche che seguono provengono dalla raccolta de: "La Melevisione", trasmissione pomeridiana di Rai3 http://www.melevisione.rai.it )
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Il primo giorno che li ho usati
Ho veduto il mondo e il cielo
Lustri, nitidi e lavati
Come se cadesse un velo
Son laghetti rispecchianti
Son oblᅵ lucenti e tondi
Son finestre scintillanti
Per vedere meglio i mondi
Cosa vorrᅵ dire occhiali?
Forse occhi con le ali?
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Mani che toccano, dita curiose:
tiepido e freddo, morbido e duro.
Mani che vedono, sentono cose:
ruvido e liscio, mobile o muro,
forma e natura, peso e calore...
Mani che sentono battere il cuore.
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Sette punti ho avuto in dono
Per capire dove sono.
Sopra me c'ᅵ il cielo vuoto,
io cammino ma non nuoto.
Sotto me c'ᅵ il duro suolo,
io cammino ma non volo.
Alla destra la mia mamma,
a sinistra il mio papᅵ.
Dietro me ciᅵ che ero prima,
avanti a me ciᅵ che sarᅵ.
Sopra e sotto, un lato e l'altro,
dietro e avanti: il mondo ᅵ mio.
Ma dov'ᅵ il settimo punto?
E' nel centro: sono io.
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Mani artiste ballerine,
mani brave musiciste.
Mani acrobate, volate!
Mani attrici recitate!
Mani svelte, mani mie,
fate favole e magie.
E poi, quando son finite,
applaudite! Applaudite!
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Questo pollice ᅵ chiamato,
dito basso e un po' sgraziato.
Lavoratore e numero uno,
proprio a lui non somiglia nessuno.
Questo indice vien detto,
dito saccente, dito perfetto.
Indica, suona e tiene lezioni,
scrive poesie e fa operazioni.
Questo ᅵ medio, strano dito,
alto, alto e un po' stordito.
Lui sa solo che ᅵ il numero tre
e della mano si sente il re.
Questo, lo sai, ᅵ anulare,
ᅵ dito serio, da sposare.
Suona benissimo il pianoforte,
lo puoi leccare se mangi panforte.
E' il numero cinque lo sai chi ᅵ?
E' un dito piccolo, somiglia a te.
Mignolo, coda di tutta la mano,
saluta tutti da lontano.
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Destra e sinistra, sera e mattina:
un occhio corre ma l'altro cammina
Di sopra il mare, di sotto il sole:
un occhio guarda ma l'altro non vuole.
Siete due sciocchi, tutto mi piace
Occhi smettetela, fate
la pace.
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Il principe Medoro ᅵ cieco.
- Non ᅵ possibile! Nella fotografia sul giornale i suoi occhi azzurri sono tanto belli.
- Sono belli ma non vedono. La regina piange giorno e notte per il dolore.
- Il re ha chiamato alla reggia i migliori medici di Morlandia, ha promesso
loro monti e mari se daranno la vista a so figlio.
- E tutto sembra inutile. Guardate, ecco i medici che ripartono, scrollando la testa sconsolati.
- Il professor Bellonis, il professor Cartonis, il professor De Maximis... Se ne vanno proprio tutti?
- Dicono ne sia rimasto uno solo.
- Chi, quello? Ma quello non ᅵ un medico.
- E allora che vorrᅵ mai fare? Quando la scienza si dichiara impotente... La scienza sᅵ, Zerbino no. Zerbino non era nᅵ professore nᅵ dottore. Era un semplice vecchio vestito di scuro, il solo punto di colore nella sua figura
ᅵ era la barba rossiccia.
- ᅵ un mago. Ha promesso di guarire il principe con una stregoneria. Quando la gente chiacchiera, ne dice, di cose senza senso... Specialmente se parla di cose che non conosce. La folla, assiepata davanti ai cancelli del palazzo reale, non si stancava di parlare della tragedia.
Zerbino non era nᅵ un mago nᅵ uno stregone. Si era unito, non si sa come, ai medici accorsi d’ogni dove per visitare il piccolo cieco. Era sempre rimasto in un angolo della camera in cui giaceva Medoro, con i bellissimi occhi azzurri spalancati nel buio. Non aveva messo bocca nelle dotte discussioni, non si era fatto avanti a suggerire un medicamento, a proporre un’operazione. Solo quando l’ultimo medico si era allontanato, curvo e triste come un generale sconfitto, Zerbino si era fatto avanti timidamente.
- Che volete, buon uomo? –gli aveva domandato il re. – Vedete voi stesso la nostra pena. Se volete presentare una supplica, tornate un altro giorno.
- Io – aveva detto Zerbino, tormentandosi la barba rossiccia- vorrei supplicarvi di lasciarmi fare una prova...
- Che prova?
- Non toccherᅵ gli occhi di Sua Altezza. Vorrei soltanto parlargli.
- Buon uomo, non ha ancora due mesi, come volete che vi capisca?
- Io penso che mi capirᅵ. Lasciatemi provare...
Zerbino si avvicinᅵ al lettino dorato di Medoro, prese la mano del principe, mentre tutti intorno trattenevano il respiro, guardᅵ il re, che si asciugava le lacrime nel manto di ermellino e cominciᅵ: <<C’era una volta un re. Era un gran re, vestito d’oro, d’argento e d’ermellino. Portava sul capo una corona tempestata di rubini. Aveva una barba nera a punta...>>
- Che screanzato! – sussurrᅵ il maggiordomo alla prima cameriera della regina.
– Sta descrivendo il nostro sovrano come un oggetto, senza il minimo rispetto. Vedrete che ora il re lo caccerᅵ, rompendogli in testa lo scettro!
<<...E aveva – continuava Zerbino – uno scettro d’avorio scolpito, e ogni tanto si grattava la barba con quello scettro>>.
Il re, che stava appunto grattandosi la barba a quel modo, si fermᅵ interdetto e arrossᅵ di sdegno. E giᅵ stava per aprir bocca, e chissᅵ che parole di fuoco avrebbe rovesciato addosso al povero Zerbino, quando accadde qualcosa che nessuno si aspettava.
Il principe Medoro sorrideva <<come se vedesse>> il gran re della fiaba e allungava le mani come se volesse giocare col suo scettro d’avorio.
- Egli mi vede! – gridᅵ il re, che fu il primo a capire. – Signore del cielo, i suoi occhi mi vedono.
<<C’era, - proseguᅵ Zerbino – c’era anche una regina. Era una grande regina, con un manto rosso ricamato d’oro. Era bionda e un diadema scintillante era posato tra i suoi capelli come un uccello nel suo nido...>> Di nuovo Medoro sorrise, rivolto alla regina, proprio <<come se la vedesse>> e allungᅵ le mani per toccare il suo diadema.
La regina si inginocchiᅵ accanto al lettino, e il piccolo principe affondᅵ le manine nella chioma.
- Mi vede! Mi ha sorriso! – esclamava la regina, piangendo di consolazione.
La gente non finiva mai di commentare quella strana guarigione.
- Guardate un po’, un semplice cantastorie ᅵ riuscito dove i piᅵ famosi professoroni avevano fatto fallimento.
- Ma ᅵ guarito proprio? Guarito guarito?
- Be’, non del tutto. Perᅵ ᅵ sulla buona strada.
- Ma insomma, ci vede o non ci vede?
- Ci vede soltanto quando Zerbino gli parla.
- E che cosa gli dice?
- Gli descrive quel che gli sta intorno, come se gli raccontasse una storia. Per esempio, c’ᅵ un bicchiere sul tavolino, e lui dice: <<C’era una volta un bicchiere...>>. E subito il principino vede il bicchiere e l’acqua che c’ᅵ dentro, e la rosa che c’ᅵ nell’acqua, oppure la camelia.
- E se non gli racconta nulla?
- Allora non vede nulla. Per ora vede solo ciᅵ che Zerbino gli racconta.
- Un bel caso. Speriamo almeno che Zerbino non gli racconti lucciole per lanterne...
Zerbino non meritava davvero un’insinuazione del genere. Era un narratore onesto e scrupoloso e si sarebbe lasciato tagliare una mano, piuttosto che mentire al principe.
Medoro non era mai stanco dei suoi racconti. Si capisce: siamo forse stanchi, noi, dei nostri occhi?
Appena si svegliava, chiamava Zerbino che dormiva nella stanza accanto:
- Zerbino, ci sei? Vieni, presto. Mostrami il cielo azzurro e il sole splendente...
E Zerbino, paziente e preciso, cominciava: <<C’era una volta una bella giornata...>>.
Ma se il cielo era nuvoloso, o il giardino della reggia era avvolto nella nebbia, Zerbino cominciava cosᅵ: <<C’era una volta una brutta giornata...>>.
Il principe Medoro vedeva il cielo di piombo, la pioggia sui vetri, e si arrabbiava: - Non voglio: non voglio vedere brutte cose. Cambia il racconto!
- Altezza, non posso.
- Te lo ordino!
- Altezza, gli occhi sono fatti per vedere ciᅵ che esiste, le cose spiacevoli come le piacevoli.
Il principe impallidiva per il dispetto e non apriva bocca per il resto del giorno.
Una volta, poco dopo il suo diciottesimo compleanno, mentre Medoro e Zerbino cavalcavano in un bosco, un uccellino appena nato cadde dal nido e un gatto selvaggio, appostato ai piedi della pianta, ne fece un boccone.
Medoro <<vide>> ogni cosa, perchᅵ Zerbino gliela raccontᅵ senza trascurare nulla, nᅵ il tremito del piccolo corpo implume nᅵ il ghigno del gatto, brutto ceffo.
- Non voglio, - gridᅵ Medoro, arrestando la sua cavalcatura.
- Ma, altezza...
- Stai zitto! Ora vedrai cosa faccio.
Chiuse gli occhi e cominciᅵ a raccontarsi egli stesso: <<Una volta un uccellino appena nato cadde dal nido. Un gatto crudele stava per azzannarlo, ma un coraggioso principe che passava di lᅵ sul suo cavallo bianco sparᅵ al gatto e lo uccise, rimise l’uccellino nel nido e proseguᅵ cantando per la sua strada...>>.
Il principe, infatti, intonᅵ una canzonetta allegra e spronᅵ il cavallo.
Zerbino dovette galoppare un bel pezzo per raggiungerlo.
- Ho visto tutto quel che ho detto, - esclamᅵ Medoro, eccitato e felice, - ora non ho piᅵ bisogno di te, posso raccontarmi le cose da solo.
Zerbino chinᅵ il capo, accorato.
- Non ti rallegri con me? Non sei contento?
- Sarei contento se avessimo fatto in tempo a strappare l’uccellino dalle grinfie del gatto. Una bella favola non basta a cancellare le brutte cose che succedono.
- A me basta, - tagliᅵ corto il principe.
E da quel giorno, ogni volta che Zerbino, descrivendogli il mondo intorno a lui, gli raccontava qualcosa di triste, Medoro gli ordinava di tacere e si raccontava le cose a suo modo, rifugiandosi in una storia serena come una bella giornata. Cosᅵ egli riusciva a <<vedere>> solo spettacoli pieni di gioia.
Zerbino provᅵ a parlare col re padre, ma non riuscᅵ a convincerlo che si trattava di una nuova malattia, peggiore della cecitᅵ, perchᅵ il cieco piᅵ malato di tutti ᅵ quello che <<non vuole>> vedere le cose come sono.
- ᅵ giovane, - disse il re, - ha avuto una disgrazia terribile. Che male c’ᅵ se cerca di consolarsi in qualche modo? Cambierᅵ quando dovrᅵ prendere il mio posto.
Purtroppo non fu cosᅵ. Quando il re padre morᅵ, Medoro prese il suo posto, ma non rinunciᅵ all’abitudine di preferire le sue illusioni alla realtᅵ. Se il ministro del tesoro gli diceva che le casse dello Stato erano quasi vuote, egli si raccontava montagne di monete d’oro e le vedeva e subito dava una gran festa per spenderne un poco. Scoppiᅵ la guerra, il paese fu invaso dal nemico, ma Medoro si consolava raccontandosi gloriose vittorie e straordinarie conquiste. Cosᅵ perdette il trono e fu abbandonato da tutti. Ma non da Zerbino, che lo seguᅵ fedelmente, per continuare a descrivergli le cose:
<<C’era una volta una capanna nel bosco, e in questa capanna abitava il principe Medoro. Tutt’intorno crescevano sterpi e spine...>>.
- No! Rose e magnolie! Rose e gelsomini
Era proprio inguaribile, anche nella sua miseria.
Ma un giorno... Un giorno Medoro udᅵ bussare alla porta della sua capanna. Zerbino gli mostrᅵ, con parole sincere e fedeli, un bimbo e una bimba che si tenevano per mano. Il loro babbo era morto in guerra. La loro mamma era morta di dolore. Rimasti soli essi non avevano piᅵ una casa, nᅵ un letto, nᅵ una scodella di minestra sulla tavola. Per colmo di sventura, il bimbo era cieco: e la sorellina guidava i suoi passi, tenendolo per mano.
Medoro fu tentato, come al solito, di chiudere gli occhi e di raccontarsi che due giovani principi erano venuti a visitarlo per invitarlo a un gran ballo. Ma il piccolo cieco, proprio in quel momento, inciampᅵ nella soglia. Medoro tese le braccia per impedirgli di cadere e lo vide: vide il suo volto smunto, le lacrime che gli rigavano le guance sporche, il corpicino magro e tremante nei panni strappati. <<Lo vide com’era>> e provᅵ pietᅵ di lui. Lo vide cosᅵ piccolo, povero e bisognoso d’aiuto che la tentazione di rifugiarsi in una bella fiaba gli parve, com’era, una viltᅵ.
- Entrate, - disse ai due fratellini, - voi siete come uccellini caduti dal nido, ma il gatto selvatico non vi mangerᅵ. Questa casa sarᅵ la vostra e io vi farᅵ da padre. Sarᅵ un padre un po’ giovane ma, se direte di sᅵ, lavorerᅵ per voi, per darvi la vostra parte delle buone cose che pur ci sono, a questo mondo, tra tante cose brutte.
Zerbino non disse nulla. Sorrise appena. Dentro di sᅵ era felice perchᅵ finalmente Medoro era guarito.
- Ora ci vede davvero, - pensᅵ. – Ci vede perchᅵ <<vuole vedere>> che cosa puᅵ fare per dare un po’ di felicitᅵ agli altri.