Allattare protegge dal tumore al seno: ora sappiamo perché
L'allattamento al seno promuove un aumento di cellule immunitarie capaci di neutralizzare eventuali
minacce tumorali: i benefici possono durare decenni.
23 ottobre 2025 - Elisabetta Intini
L'allattamento incoraggia una produzione massiccia di cellule immunitarie e la loro migrazione verso
il seno, dove sono destinate a soggiornare per anni, persino decenni. Sarebbe questo, secondo uno
studio pubblicato su Nature, il meccanismo alla base dell'effetto protettivo che allattare ha sui
tumori al seno: studi passati hanno calcolato che, per ogni anno di allattamento al seno, il rischio
di ammalarsi di questa forma di cancro si riduce del 4,3%.
Il reclutamento di linfociti specializzati
I cambiamenti a cui il seno va incontro durante la gravidanza e dopo il parto, prima per prepararsi
a secernere latte e poi, dopo lo svezzamento, per tornare a non produrne più, fanno migrare "sul
posto" un numero importante di linfociti T citotossici (T CD8+), cellule capaci di infiltrare i
tumori e aggredirli, distruggendo le cellule maligne. Anche altri meccanismi di natura immunitaria,
innescati dalle proteine del latte materno, dal materiale presente nella bocca dei neonati o dalla
protezione del seno dalla mastite (un'infiammazione della ghiandola mammaria) richiamano lo stesso
tipo di linfociti.
Per Sherene Loi, oncologa del Peter MacCullum Cancer Centre di Victoria, Australia, nelle donne che
hanno allattato al seno queste cellule possono vivere per decenni nel tessuto mammario, dove
«agiscono come guardie locali, pronte ad attaccare le cellule anomale che potrebbero trasformarsi in
cancro».
Una ricerca in tre parti
Loi e colleghi hanno dapprima confrontato il numero di questo tipo di linfociti nel tessuto mammario
di 260 donne sane, con o senza figli, che avevano affrontato un intervento chirurgico o di riduzione
del seno o di mastectomia preventiva (per un rischio di tumore al seno da moderato a elevato). Nei
tessuti delle donne che avevano avuto figli e allattato al seno è stato osservato un numero maggiore
di linfociti T citotossici, che sono persistiti anche per diversi decenni.
In un secondo esperimento, gli scienziati hanno introdotto cellule di una forma aggressiva di cancro
al seno nel tessuto mammario di femmine di topo che avevano completato un parto e un ciclo completo
di allattamento e svezzamento, o che non avevano mai partorito, o ancora che non avevano potuto
allattare perché separate dai cuccioli dopo il parto. Nelle prime, i tumori sono cresciuti meno e
sono parsi attaccati da più cellule T citotossiche. Quando questi "guardiani immunitari" sono stati
rimossi, i tumori sono cresciuti più rapidamente.
Infine, il team ha analizzato i dati clinici di oltre un migliaio di donne che avevano avuto un
tumore al seno triplo negativo (un sottotipo di cancro al seno privo dei tre principali bersagli
molecolari per cui esistono trattamenti mirati) e almeno una gravidanza completa.
Nelle donne che avevano riferito di aver allattato, i tumori presentavano una densità più elevata di
linfociti T citotossici. A parità di altre variabili, queste pazienti avevano una sopravvivenza più
lunga.
Estendere i benefici
Lo studio lascia molte domande aperte, per esempio su quali proteine siano prese di mira da questi
linfociti, su come facciano a persistere per anni o quale sia la loro relazione con i tumori che -
come quello al seno - sono sensibili agli ormoni. Le risposte saranno importanti per sviluppare
trattamenti universali per la prevenzione del tumore al seno, anche nelle donne che, per scelta, per
impossibilità o perché non hanno avuto una gravidanza, non hanno allattato al seno. «Vorremmo capire
a che cosa reagiscono le cellule T, perché così potremo forse creare strategie che imitino questo
stesso effetto» spiega Loi.
https://www.nature.com/articles/s41586-025-09713-5
da
focus.it