Come fa il cervello a decidere che cosa ricordare?
Il meccanismo che permette a certi ricordi di imprimersi a lungo nella memoria non dipende da un
singolo interruttore, ma da più "timer" nel cervello.
27 novembre 2025 - Elisabetta Intini
Alcuni ricordi svaniscono come meteore, altri restano con noi per qualche settimana e altri ancora
per una vita. In che modo il cervello decide quali fissare o lasciar andare? Come fanno le tracce
ritenute "degne" a stamparsi in modo indelebile nella memoria? È una delle domande chiave delle
neuroscienze e la risposta è ancora lontana. Tuttavia, uno studio pubblicato su Nature propone un
modello avanzato e convincente di questo processo.
Scrematura progressiva
In base alle conclusioni degli scienziati della Rockefeller University di New York, il processo che
permette a un ricordo di fissarsi a lungo nel cervello è graduale, coinvolge diverse regioni
cerebrali ed è gestito da più segnali molecolari che agiscono come timer, per regolare la durata di
quella traccia nella memoria.
A trasformare un ricordo da lampo momentaneo a bagaglio personale non sarebbe insomma un singolo
interruttore on-off, come proposto in passato; ma una serie di passi successivi nei quali, più
volte, la rilevanza di quel ricordo viene valutata. In questi passaggi, come per effetto di
progressivi sbarramenti, i ricordi meno significativi vengono etichettati come da abbandonare,
mentre quelli importanti progrediscono verso forme di memoria a lungo termine.
Manipolatori di ricordi
Gli autori dello studio hanno creato un modello sperimentale in realtà virtuale nel quale, variando
la frequenza in cui certe esperienze venivano proposte e ripetute ai topi, sono riusciti a decidere
quali ricordi dovessero fissarsi in modo più duraturo di altri nel loro cervello.
A questo punto, usando una piattaforma basata sulla tecnica di editing genetico CRISPR, sono
riusciti a dimostrare che, manipolando certe molecole che controllano l'espressione dei geni nel
talamo e nella corteccia, due regioni cruciali per la memoria, si otteneva un impatto sulla durata
dei singoli ricordi. Ogni molecola studiata riusciva a influenzare la durata di un ricordo in un
momento, e per un tempo, differente.
Quella che gli scienziati hanno scoperto, è una "cascata di segnali molecolari" che si dispiegano
con il passare del tempo e in diverse regioni cerebrali: possiamo immaginarli come tanti diversi
timer, impostati su durate diverse, che "mandano avanti" alcuni ricordi e ne lasciano indietro
altri. Quelli che si attivano subito si disattivano altrettanto rapidamente, mentre quelli che si
innescano in seguito rimangono attivi per una durata di tempo maggiore.
Questi timer sono, in termini più scientifici, regolatori trascrizionali, cioè proteine che
controllano espressione genica a livello della trascrizione dell'RNA. Gli scienziati ne hanno
studiati tre in particolare: Camta1 si assicura che, dopo che un ricordo si è formato
nell'ippocampo, rimanga inizialmente fissato nella memoria.
Con il passare del tempo, un altro interruttore, Tc4, si attiva e fornisce supporto strutturale per
prolungare la permanenza di quella traccia nel cervello. Ancora più avanti, la proteina Ash1l può
rendere quel ricordo ancora più persistente.
Se uno di questi passaggi non avviene, quel ricordo è destinato a perdersi. Come si vede, fissarsi
nella memoria a lungo termine è una questione di valutazioni successive e continui aggiustamenti. La
scoperta potrebbe contribuire alla ricerca sulle malattie che implicano una perdita della memoria,
anche se molto resta da chiarire: per esempio, che cosa suggerisce al cervello quali ricordi valga
la pena mandare avanti e quali dimenticare?
https://dx.doi.org/10.1038/s41586-025-09774-6
da
focus.it