Autismo e paracetamolo in gravidanza: cosa dice la scienza
Non c'è prova del fatto che l'assunzione di paracetamolo in gravidanza causi autismo nel nascituro,
né esistono farmaci che possano curare l'autismo.
25 settembre 2025 - Elisabetta Intini
Il rischio di autismo nel feto non dipende dalla scelta di farmaci della madre.
Lunedì 22 settembre, i vertici sanitari del governo Trump hanno annunciato due iniziative legate
all'autismo. La prima prevede di aggiornare le indicazioni sul foglietto illustrativo
dell'acetaminophen, il paracetamolo che comunemente si usa in caso di febbre o dolore, per dire che
il suo utilizzo in gravidanza comporta il rischio di autismo e ADHD nei nascituri.
La seconda è l'approvazione di un farmaco già usato in altri ambiti, il leucovorin, per l'utilizzo
in alcuni bambini affetti da disturbi dello spettro autistico. Come evidenziato però da molti
esponenti della comunità medica, nessuna delle due proposte si basa su evidenze scientifiche.
Vediamo perché.
Autismo e paracetamolo in gravidanza: relazione, ma non causale
«Esistono molti studi che confutano un collegamento, ma il più importante è stato uno studio svedese
su 2,4 milioni di nascite (dal 1995 al 2019), pubblicato nel 2024, che ha utilizzato dati reali sui
fratelli e non ha trovato alcuna relazione tra l'esposizione al paracetamolo in utero e il
successivo sviluppo di autismo, ADHD o disabilità intellettiva» spiega Monique Botha, Professoressa
associata di Psicologia sociale e dello Sviluppo dell'Università di Durham, Stati Uniti.
«Ciò suggerisce l'assenza di un effetto causale del paracetamolo sull'autismo, evidenza rafforzata
dall'assenza di una relazione dose-dipendente. Non ci sono prove solide o studi convincenti che
suggeriscano l'esistenza di una relazione causale e qualsiasi conclusione contraria è spesso
motivata, sotto-evidenziata e non supportata dai metodi più solidi per rispondere a questa domanda».
La ricerca del Karolinska Institutet di Stoccolma, in Svezia e della Drexel University di
Philadelphia (Stati Uniti) ha rilevato un rischio leggermente aumentato di autismo, nei bambini che
erano stati esposti al paracetamolo in utero; ma l'effetto inizialmente collegato al farmaco è
scomparso, quando si sono messi a confronto questi bambini con i loro fratelli o sorelle nati da
gravidanze in cui la madre non era mai stata trattata con paracetamolo.
Quando, cioè, è stata considerata la genetica, il fattore che più di tutti determina il rischio di
autismo, si è visto che non vi era alcun collegamento tra l'uso di paracetamolo in gravidanza e
disturbi del neurosviluppo. Lo studio pubblicato su JAMA è considerato il più rigoroso mai compiuto
dall'unanimità degli scienziati esperti di salute materna e neonatale.
Da che cosa dipende allora, l'associazione trovata?
A dire il vero diversi studi hanno rilevato l'esistenza di un'associazione tra l'assunzione di
paracetamolo nelle gestanti e la prevalenza di autismo in seguito nei loro figli, ma tutti si
limitano a trovare una correlazione, cioè una relazione tra due variabili (assunzione di
paracetamolo e autismo) che tendono a variare insieme, ma senza che l'una sia causa dell'altra.
Sono diversi i motivi che potrebbero collegare paracetamolo e autismo, senza che il farmaco ne sia
la causa: «I genitori di bambini autistici potrebbero essere più propensi ad assumere paracetamolo
per motivi che includono il fatto che hanno maggiori probabilità di essere autistici e che le
persone autistiche hanno maggiori probabilità di avere dolore, cioè di essere ipersensibili al
dolore o soffrire di condizioni legate al dolore» dice Steven Kapp, docente di Psicologia presso
l'Università di Portsmouth (Inghilterra) e membro della Coalizione degli scienziati dell'autismo.
«Le donne con ipermobilità (un insieme di disturbi caratterizzati dalla capacità di estendere alcune
o tutte le articolazioni oltre i normali limiti fisiologici, ndr) hanno maggiori probabilità di
avere figli autistici (poiché le due condizioni sono collegate) e quindi potrebbero aver avuto
bisogno di assumere paracetamolo per i dolori articolari durante la gravidanza, ma sono le cause
genetiche condivise, e non il farmaco, a far sì che il bambino abbia maggiori probabilità di essere
autistico» aggiunge Laurie Tomlinson, Professoressa alla London School of Hygiene & Tropical
Medicine.
Paracetamolo: sicuro in gravidanza
Tutte le principali agenzie scientifiche di riferimento (inclusa la FDA, in un comunicato rilasciato
ai margini delle dichiarazioni di Trump proprio il 22 settembre) ribadiscono che il paracetamolo è
sicuro in gravidanza, se usato solo quando necessario e per il più breve tempo possibile. Le febbri
alte in gravidanza possono infatti comportare il rischio di parto pre-termine e difetti nello
sviluppo neurale dei bambini.
Il paracetamolo rimane l'opzione più sicura disponibile per le donne in attesa, rispetto ad comuni
antinfiammatori come aspirina e ibuprofene.
«Le migliori evidenze disponibili ci dicono che l'uso di paracetamolo in gravidanza non è correlato
all'autismo. In assenza di nuove prove, il comunicato stampa dell'amministrazione Trump che invece
lo afferma sembrerebbe una teoria infondata che probabilmente porterà a negare alle donne in
gravidanza un trattamento essenziale per febbre e dolore senza una valida ragione, in contrasto con
le linee guida mediche statunitensi ed europee» spiega Edward Mullins, Professore associato del
George Institute for Global Health, all'Imperial College di Londra. Oltre a causare nei genitori di
bambini con autismo stress aggiuntivo e sensi di colpa infondati nel chiedersi se le loro scelte
abbiano avuto un ruolo nella condizione dei figli.
Nessun farmaco "cura" l'autismo
La FDA ha inoltre annunciato l'approvazione di un farmaco chiamato leucovorin disponibile "su
prescrizione, per i bambini con autismo", anche se, in una scheda informativa non menzionata nella
conferenza stampa, ha precisato che il medicinale servirà per il trattamento non dell'autismo in
generale ma del deficit cerebrale di folati (CFD), una rara condizione neurologica che ostacola il
trasporto dei folati (vitamina B9) al cervello e che può causare sintomi vicini a quelli
dell'autismo.
Il farmaco è già usato per attenuare gli effetti collaterali di alcune chemioterapie che
interferiscono con il metabolismo dei folati ed è stato testato, in alcuni studi di piccole
dimensioni, in bambini autistici, con l'obiettivo di migliorare la loro comunicazione verbale.
Alcune ricerche suggeriscono infatti che parte delle persone con disturbi dello spettro autistico
soffra di CFD, e alcuni studi, nessuno dei quali più lungo di sei mesi, hanno suggerito benefici
particolari del medicinale per un sottogruppo di pazienti in cui la CFD è presente in forma
autoimmune.
«Potrebbe essere possibile che un sottoinsieme di casi di autismo presenti questa carenza di acido
folico, ma sarei scettica su qualsiasi spiegazione o trattamento proposto» ha detto a Science
Kristen Lyall, epidemiologa della Drexel University.
Mancano inoltre studi su larga scala sulla sicurezza del leucovorin e sul dosaggio ottimale di
assunzione. «Mentre i farmaci possono aiutare con aspetti molto specifici, non esiste alcun farmaco
o trattamento che curi o cancelli attivamente l'autismo, sebbene possa modificare il comportamento o
ridurre i sintomi concomitanti che contribuiscono al disagio delle persone autistiche» chiarisce
Monique Botha. «L'autismo è una disabilità ereditaria permanente la cui causa primaria è
estremamente probabile che sia genetica, espressa attraverso un'ampia gamma di geni».
https://jamanetwork.com/journals/jama/fullarticle/2817406
https://bit.ly/3IC0cET
https://bit.ly/46VcJws
https://bit.ly/3IigVgB
https://bit.ly/4neHmTq
da
focus.it