Perché tutti sembrano soffrire di disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD)?
I motivi dietro all'aumento dei casi di disturbo da deficit di attenzione e iperattività negli
ultimi decenni sono diversi, e sono spesso legati alle modalità con cui vengono effettuate le
diagnosi di ADHD.
20 dicembre 2025 - Chiara Guzzonato
L'ADHD, ovvero disturbo da deficit di attenzione e iperattività, è oggi uno dei disturbi
neuropsichici più noti e apparentemente più diffusi. Secondo l'AIFA in Italia ne soffrono circa 1,26
milioni di persone, di cui 317.000 bambini e adolescenti tra i 6 e i 17 anni.
Ma cosa c'è dietro l'aumento delle diagnosi registrato negli ultimi anni? È un boom reale, oppure
entrano in gioco altri fattori? Un approfondimento pubblicato su Nature prova a fare chiarezza: ecco
cosa emerge.
ADHD: disturbo neuropsichico o semplice diversità?
Tra gli esperti c'è chi sostiene che l'ADHD sia un disturbo da curare e chi ritiene invece che sia
una diversità neurologica da comprendere. Secondo il movimento per la neurodiversità sarebbero le
scuole e gli ambienti di lavoro a dover cambiare, non le persone con ADHD; altri esperti ricordano
invece che l'ADHD può causare problemi reali come difficoltà scolastiche, incidenti, abuso di
sostanze, e che per molti la terapia farmacologica resta fondamentale.
DIAGNOSI PIÙ O MENO RIGOROSE. Uno dei motivi dell'aumento delle diagnosi di ADHD riguarda il modo in
cui vengono effettuate. Alcuni studi si basano su dati non sempre scientifici: è il caso del
sondaggio nazionale citato in un report della commissione statunitense Make America Healthy Again,
nel quale ai genitori era stato semplicemente chiesto se un medico o un operatore sanitario avesse
mai detto che il loro bambino aveva l'ADHD, portando a risultati potenzialmente gonfiati.
Applicando invece procedure standardizzate per valutare i sintomi, gli scienziati osservano una
prevalenza piuttosto uniforme del disturbo a livello mondiale, che colpirebbe circa il 5,4% dei
bambini e il 2,6% degli adulti.
CAMBIAMENTI NEL DSM. Un altro fattore che potrebbe aver contribuito all'aumento delle diagnosi di
ADHD riguarda le modifiche nei criteri diagnostici del DSM, il manuale diagnostico e statistico dei
disturbi mentali. Nella quarta edizione, in uso fino al 2013, era richiesta la presenza di almeno
sei sintomi di disattenzione o sei di iperattività prima dei sette anni di età. Nell'edizione
attualmente in vigore i criteri sono stati leggermente allentati: i sintomi devono essere almeno
cinque per gli adulti e sei per i bambini, ed essere presenti prima dei 12 anni.
GENITORI NON DIAGNOSTICATI. Secondo il neurologo pediatrico Max Wiznitzer l'aumento delle diagnosi
nei bambini potrebbe aver anche contribuito a diagnosticare il disturbo ai genitori, dal momento che
l'ADHD ha una ereditabilità del 70-80%. «Anche se con ogni probabilità quei genitori manifestavano
sintomi già da bambini, molti di loro non hanno mai ricevuto una diagnosi», spiega.
SOCIAL MEDIA E AMBIENTE. Anche i social media e l'ambiente potrebbero aver contribuito all'aumento
delle diagnosi di ADHD. Negli ultimi anni, piattaforme come TikTok e Instagram hanno acceso il
dibattito sul tema, con numerosi personaggi pubblici che hanno dichiarato di soffrire di ADHD e
condiviso la propria esperienza. Secondo Margaret Sibley, specialista in psichiatria e scienze
comportamentali, parlare di ADHD sui social potrebbe aver aiutato «le persone che convivevano con
questi sintomi e difficoltà da molto tempo, ma non avevano mai capito di cosa si trattasse».
E se ci fosse lo zampino del mondo in cui viviamo? Alcuni esperti suggeriscono che scuole, luoghi di
lavoro, tecnologia e altri aspetti della quotidianità sono diventati così complessi da rendere più
evidenti le difficoltà legate all'ADHD. Per Jeff Karp, ingegnere biomedico con diagnosi di ADHD, il
disturbo è «contesto-dipendente: in una scuola dove ci si aspetta che i bambini stiano fermi e in
silenzio, questi tratti finiscono per sembrare un problema».
In conclusione, l'aumento delle diagnosi di ADHD dipende solo in parte da un reale incremento dei
casi ed è soprattutto legato a fattori ambientali, culturali e ai cambiamenti nei criteri
diagnostici.
https://www.nature.com/articles/d41586-025-03855-2
https://www.associazioneaifa.it/i-dati-del-registro-di-monitoraggio-aifa/
https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/38778436/
da
focus.it