Benedetto XVI “assolve” i Giudei dal crimine del deicidio e “corregge”
San Matteo
Apprendiamo dal sito della Comunità ebraica romana, segnalatoci da un
lettore:
Il 2011 è prorpio l’anno delle “perle” ratzingeriane:
“Il Vangelo afferma che i “Giudei” furono gli accusatori di Gesù.
Ma quanto affermato non sarebbe secondo Benedetto XVI un’espressione
di “carattere razzista”. Nel suo nuovo libro Benedetto XVI scrive:
“Domandiamoci innanzitutto chi erano precisamente gli accusatori?” di
Gesù.
Qui si apre un crocevia, perché la risposta cambia a seconda del
vangelo preso in esame.
Tutti, però, concordano sul fatto che con il termine Giudei allora non
si intendeva “il popolo di Israele come tale”, ma l’”aristocrazia del
Tempio”.
“Non di rado – prosegue il Papa – la parola ha un sapore negativo, nel
senso di plebaglia. In ogni caso con ciò non è indicato il popolo
degli Ebrei come tale”.”
Fonte:
http://www.romaebraica.it/papa-vangelo-ebrei/
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Il Papa assolve gli ebrei
“Non uccisero Gesù″ – Benedetto XVI considera razzismo l’antigiudaismo
di tutta la sana teologia cattolica e “corregge” addirittura
l’evangelista S. Matteo
Nella seconda parte del suo “Gesù di Nazaret”, in uscita il 10 marzo,
Ratzinger rilegge la Passione (a modo suo…nd.r.)
di Giacomo Galeazzi
«Satana entrò in Giuda che non riuscì a liberarsi».
La seconda parte del Gesù di Nazaret, il nuovo libro di Joseph
Ratzinger che uscirà il 10 marzo per la Libreria Editrice Vaticana,
copre l’arco temporale della vita di Cristo dall’ingresso in
Gerusalemme fino alla Resurrezione.
Per il Papa, non fu tutto il popolo di Israele a chiedere la condanna
a morte di Gesù.
Non furono gli ebrei a condannare Gesù, il Vangelo non esprime una
concezione razzista e la decisione di Pilato di giudicare
pragmaticamente e senza prendere in considerazione il criterio della
giustizia prefigura le grandi dittature della storia. «Domandiamoci
anzitutto: chi erano precisamente gli accusatori? Chi ha insistito per
la condanna a morte di Gesù? Nelle risposte dei Vangeli vi sono
differenze su cui dobbiamo riflettere. Secondo Giovanni si tratta
semplicemente dei “Giudei”», ma l’espressione, in questo evangelista,
«non indica il popolo d’Israele come tale, ancor meno ha un carattere
“razzista”». Nel Vangelo di Marco, poi, si parla di «una quantità di
gente, la “massa”», da identificare con i sostenitori di Barabba. «In
ogni caso – spiega il Papa – con ciò non è indicato “il popolo” degli
Ebrei come tale».
Quando Matteo fa riferimento a «tutto il popolo», «sicuramente non
esprime un fatto storico», mentre «il vero gruppo degli accusatori
sono i circoli contemporanei del tempio». In questo modo il Papa
tedesco, alla vigilia della visita alle Fosse Ardeatine, tende la mano
all’ebraismo con cui i rapporti restano tesi. Ma il rabbino capo di
Roma, Riccardo Di Segni, lamenta che «da Benedetto XVI non c’è stata
alcuna risposta decisiva sulla vicenda dei bambini scampati alla
Shoah, nascosti in conventi, battezzati e mai restituiti a quello che
rimaneva delle loro famiglie o comunità originarie, spesso lasciati
ignari delle loro origini».
Con grande cura, il Papa teologo presenta anche il dramma
dell’apostolo traditore, ricordando come Giovanni, che pure fu
testimone diretto, si limiti ad accennare «al fatto che Giuda, come
tesoriere del gruppo dei discepoli, avrebbe sottratto il loro denaro»
e ad annotare «laconicamente» che dopo le parole di Gesù sul fatto che
sarebbe stato tradito da chi era seduto alla sua stessa mensa, Giuda
si servì e «dopo quel boccone, Satana entrò in lui».
Riaffermate le certezze di base, il libro è pieno di domande. Nel
racconto evangelico, ricorda il Pontefice, «il pragmatico Pilato»
chiede a Gesù: «Che cos’è la verità?». È la stessa domanda «che pone
anche la moderna dottrina dello Stato: può la politica assumere la
verità come categoria per la sua struttura? O deve lasciare la verità,
come dimensione inaccessibile, alla soggettività e cercare di
stabilire la pace e la giustizia con gli strumenti disponibili
nell’ambito del potere? Vista l’impossibilità di un consenso sulla
verità, la politica puntando su di essa non si rende forse strumento
di certe tradizioni che, in realtà, non sono che forme di
conservazione del potere?».
Il Papa si sofferma anche sulla data dell’Ultima Cena, scrivendo che
ha ragione il Vangelo di Giovanni e hanno torto i sinottici: «Al
momento del processo di Gesù davanti a Pilato, le autorità giudaiche
non avevano ancora mangiato la Pasqua e per questo dovevano mantenersi
ancora pure». E dunque «la crocifissione non è avvenuta nel giorno
della festa, ma nella sua vigilia». Joseph Ratzinger «corregge»
soprattutto Matteo quando nel raccontare la condanna di Cristo parla
di «tutto il popolo», attribuendo a esso la richiesta della
crocifissione. Un brano «fatale nelle sue conseguenze», ma che
«sicuramente non esprime un fatto storico: come avrebbe potuto essere
presente in tale momento tutto il popolo e chiedere la morte di
Gesù?».
Fonte: La Stampa, 3 marzo 2011 consultabile online anche qui.
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LIBRO PAPA: NON E’ VERO CHE GLI EBREI CONDANNARONO GESU’
Salvatore Izzo
(AGI) – CdV, 2 mar.
Quando il Vangelo di Matteo parla di “tutto il popolo”, attribuendo ad
esso la richiesta della crocifissione di Gesu’, “sicuramente non
esprime un fatto storico: come avrebbe potuto essere presente in tale
momento tutto il popolo e chiedere la morte di Gesu’?”.
Lo scrive Benedetto XVI nella seconda parte del “Gesu’ di Nazaret”,
definendo “fatale nelle sue conseguenze” l’interpretazione che e’
stata data di questa frase di Matteo. “La realta’ storica – spiega –
appare in modo sicuramente corretto in Giovanni e in Marco.
Il vero gruppo degli accusatori – infatti – sono i circoli
contemporanei del tempio e, nel contesto dell’amnistia pasquale, si
associa ad essi la ‘massa’ dei sostenitori di Barabba”.
Riguardo agli accusatori di Gesu’, scrive ancora il Papa, “nelle
risposte dei Vangeli vi sono differenze su cui dobbiamo riflettere”.
“Secondo Giovanni – ricorda – essi sono semplicemente i ‘Giudei’”.
Ma questa espressione, chiarisce, “non indica affatto come il lettore
moderno forse tende ad interpretare – il popolo d’Israele come tale,
ancor meno essa ha un carattere ‘razzista’”. In definitiva, infatti,
“Giovanni stesso, per quanto riguarda la nazionalita’, era Israelita,
ugualmente come Gesu’ e tutti i suoi”. Cosi’ come “l’intera comunita’
primitiva era composta da Israeliti”. In Giovanni, dunque, “tale
espressione ha un significato preciso e rigorosamente limitato: egli
designa con essa l’aristocrazia del tempio”. Per Ratzinger, dunque,
“nel quarto Vangelo il cerchio degli accusatori che perseguono la
morte di Gesu’ e’ descritto con precisione e chiaramente delimitato:
si tratta, appunto, dell’aristocrazia del tempio – ma anch’essa non
senza eccezione, come lascia capire l’accenno a Nicodemo”. Invece in
Marco, “il cerchio degli accusatori – che risposero alla domanda se
liberare Barabba o Gesu’ – appare allargato”. Il primo Vangelo usa
infatti una parola che “ha un sapore negativo nel senso di
‘plebaglia’”. Ma, “in ogni caso – tiene a precisare il Papa tedesco –
con cio’ non e’ indicato ‘il popolo’ degli Ebrei come tale”. Infatti
se e’ vero che, a quanto risulta agli storici, “nell’amnistia
pasquale, il popolo ha il diritto di fare una proposta manifestata per
‘acclamazione’ che ha in questo caso un carattere giuridico”,
Benedetto XVI fa notare che “in quel momento i sostenitori di Barabba
erano “mobilitati per l’amnistia”, mentre “gli aderenti a Gesu’ per
paura rimanevano nascosti, e in questo modo la voce del popolo su cui
il diritto romano contava era presentata in modo unilaterale”. Nello
stesso capitolo, il Pontefice affronta anche un altro aspetto del
racconto evangelico sul quale molto si dibatte tra i teologi.
“Secondo Matteo – rileva – tutto il popolo avrebbe detto: ‘Il suo
sangue ricada su di noi e sui nostri figli’”. Ma, spiega, “il
cristiano ricordera’ che il sangue di Gesu’ parla un’altra lingua
rispetto a quello di Abele: non chiede vendetta e punizione, ma e’
riconciliazione. Non viene versato contro qualcuno, ma e’ sangue
versato per molti, per tutti”. “Come in base alla fede bisogna leggere
in modo totalmente nuovo l’affermazione di Caifa circa la necessita’
della morte di Gesu’, cosi’ – conclude – deve farsi anche con la
parola di Matteo sul sangue: letta nella prospettiva della fede, essa
significa che tutti noi abbiamo bisogno della forza purificatrice
dell’amore, e tale forza e’ il suo sangue. Non e’ maledizione, ma
redenzione, salvezza”. E dunque “soltanto in base alla teologia
dell’ultima cena e della croce presente nell’intero Nuovo Testamento
la parola di Matteo circa il sangue acquisisce il suo senso corretto”.
© Copyright (AGI)
LIBRO PAPA: PILATO RAPPRESENTAVA IL CLASSICO POTERE TERRENO
Salvatore Izzo
(AGI)- CdV, 2 mar.
“Gesu’ ha creato un concetto assolutamente nuovo di regalita’ e di
regno mettendo Pilato, il rappresentante del classico potere terreno,
di fronte ad esso”.
Lo scrive il Papa nella seconda parte di “Gesu’ di Nazaret”.
“L’accusa secondo cui Gesu’ si sarebbe dichiarato re dei Giudei -
sottolinea il Pontefice- era pesante. E’ vero che Roma poteva
effettivamente riconoscere re regionali, come Erode, ma essi dovevano
essere legittimati da Roma ed ottenere da Roma la descrizione e la
delimitazione dei loro diritti di sovranita’”.
“Un re senza tale legittimazione era un ribelle che minacciava la pax
romana e di conseguenza si rendeva reo di morte”, ricorda Ratzinger
rilevando che pero’ “Pilato sapeva che da Gesu’ non era sorto un
movimento rivoluzionario”. “Dopo tutto cio’ che egli aveva sentito,
Gesu’ – sottolinea il Papa teologo – deve essergli sembrato un
esaltato religioso, che forse violava ordinamenti giudaici riguardanti
il diritto e la fede, ma cio’ non gli interessava. Su cio’ dovevano
giudicare i Giudei stessi. Sotto l’aspetto degli ordinamenti romani
concernenti la giurisdizione e il potere, che rientravano nella sua
competenza, non c’era nulla di serio contro Gesu’”. Nel Vangelo di
Giovanni, ricorda Bendetto XVI, “e’ detto chiaramente che presso
Pilato, in base alle informazioni in suo possesso, non c’era nulla
contro Gesu’”. Infatti, conclude il Papa, “all’autorita’ romana non
era giunta alcuna notizia su qualcosa che in qualche modo avrebbe
potuto minacciare la pace legale. L’accusa proveniva dagli stessi
connazionali di Gesu’, dall’autorita’ del tempio. Doveva stupire
Pilato che i connazionali di Gesu’ si presentassero davanti a lui come
difensori di Roma, dal momento che le sue personali conoscenze non gli
avevano dato l’impressione che un intervento fosse necessario”.
http://www.agerecontra.it/public/press/?p=9474&cpage=1#comment-5322