Anch'io offro il mio contributo al paper: appunti che avevo da parte, tratti da uno scritto del filosofo Mario Perniola, che vi propongo a monito dell'uso incondizionato del termine "trasparenza" (molto di voga, a giudicare dagli ultimi decreti) e a parziale sostegno di quanto di utile c'è nella 241:
"Con Rousseau avviene un cambiamento profondo: la nozione di trasparenza
diventa assoluta. Il rifiuto dell'esteriorità, identificata con il male,
con la menzogna, con l'inganno lo conduce a perseguire una nozione di
trasparenza senza sfondo che la trasforma in un valore incondizionato.
Il vetro e il velo, così, per Rousseau non sono più condizioni della
trasparenza, ma ostacoli a essa. In questo modo il trasparente non è più
qualcosa di intermedio tra materiale e spirituale, tra visibile e
invisibile, ma una specie di anticosa per definizione, una dimensione
puramente spirituale che si identifica con l'ideale di una comunicazione
immediata. Il punto di partenza di questa esperienza è l'autocoscienza,
l'introspezione, la trasparenza dell'io rispetto a se stesso. Rousseau
cerca una trasparenza in sé e per sé, un possesso immediato di se
stesso: non si tratta più di gestire abilmente, delicatamente e
sapientemente il passaggio di qualcosa in sé non trasparente attraverso
una superficie trasparente, ma di abolire ogni opacità considerando il
trasparente l'unica realtà la cui esistenza è giustificata. La
trasparenza non è più qualcosa che sta in mezzo, è un estremo, un fine
in sé: dietro la trasparenza non stanno più le cose che essa consente di
vedere. Al contrario le cose occultano la visione della trasparenza.
A prima vista sembra che l'io abbia un pieno e totale possesso della
conoscenza del proprio sentire; ma, come ha mostrato Jean Starobinski
nel suo bellissimo studio su Rousseau
La trasparenza e l'ostacolo, la
situazione si complica a partire dal momento in cui questa autoevidenza
chiede di essere riconosciuta dagli altri con la stessa immediatezza con
cui è presente al soggetto. Il problema chiave dell'esperienza di
Rousseau sta proprio in questa difficoltà: la trasparenza assoluta,
l'occhio vivente, non riesce a sua volta a trasmettersi agli altri;
l'intera opera di Rousseau è attraversata dalla preoccupazione e
dall'angoscia di essere frainteso, misconosciuto, ingiustamente
condannato. Tra la trasparenza dell'io a se stesso e I'immagine che gli
altri hanno di questa trasparenza si frappone sempre un ostacolo che è
insuperabile. La storia dell'avventura umana e letteraria di Rousseau è
la vicenda di questo sforzo continuamente ripetuto e sempre destinato ai
fallimento: la trasparenza in sé e per sé non riesce a trasparire
all'esterno. L'esito finale di questa impresa disperata è paradossale:
si può evitare il fraintendimento solo a condizione di essere
completamente ineffettuali e invisibili. Infatti le nostre azioni hanno
sempre conseguenze prive di rapporto con le nostre intenzioni e le
apparenze sono sempre diverse, se non opposte, alle realtà intime della
nostra autocoscienza. Per essere definitivamente dalla parte della
trasparenza - conclude Starobinski - bisogna morire.
[…] Con Rousseau la trasparenza cessa di essere un enigma per diventare
un'aporia, nel senso letterale del termine, cioè un passaggio
impraticabile, una strada senza uscita.
[…] Contro una concezione cosi esangue e autodistruttiva di trasparenza,
l'oscurantismo ha buon gioco nel rivendicare i diritti del caos, della
confusione indiscriminata di tutto con tutto: esso considera la
trasparenza come una pericolosa utopia che, con la lusinga della
comunicazione universale, brucia, acceca e inaridisce l'intera civiltà
umana.
[…] il vero nemico del trasparente non è perciò l'opaco, che costituisce
anzi il suo indispensabile complemento, ma il torbido, che impedendo la
visione preclude ogni possibilità di conoscenza e di azione.
L'opacità svolge una funzione protettiva essenziale; la cultura, il
sapere, le arti, il processo di civilizzazione, non meno degli organismi
viventi, hanno bisogno di opacità tanto quanto di trasparenza: tutto
ciò che è in statu nascenti non può essere esposto prematuramente
all'esterno.
[…] Mentre nel fenomeno della trasparenza l'aura dell'oggetto, protetta
dal vetro di una teca, si trasmetteva anche a chi lo contemplava,
l'effetto "vetrina" involgarisce ciò che è esposto suscitando
l'impressione di vanità e di millantato credito.
La torbidità oscurantista mette in mostra tutta la sua volgarità quando
il posto del vetro è preso dalle materie plastiche infrangibili.
Infatti, a partire dal momento in cui si può esporre qualcosa o qualcuno
senza fargli correre più nessun pericolo, senza che il fatto di
mostrarlo costituisca più una sfida, viene meno ogni delicatezza e
l'esposizione assume i tratti dell'arroganza e dell'insolenza.
Un potere trasparente non è qualcosa che si mostra spudoratamente e
continuamente, ma ha i caratteri della invisibilità e della visibilità. È
invisibile perché lascia passare attraverso di sé la volontà di coloro
sui quali si esercita, ma nello stesso tempo è visibile perché si assume
la responsabilità ultima della decisione. Proprio perciò un potere
trasparente non ha normalmente bisogno di esporsi, perché è già esposto
continuamente per il fatto di esserci, di rispondere responsabilmente
dei propri atti.
L'esposizione del potere trasparente è lo stato
d’eccezione, il caso d'emergenza nel quale esso deve riaffermare la
propria legittimità attraverso una sfida.
[…] Mentre il filtro del vetro colorato mostra qualcosa e qualcosa
occulta, la torbidezza oscurantista, eliminando ogni possibilità di
discriminazione e omologando tutto su uno stesso registro, o mostra
tutto e cade nell'osceno, o occulta tutto e cade nell'omertà. Oscenità e
omertà non sono peraltro che le due facce d'una stessa situazione il
cui aspetto totalitario era già apparso evidente nei regimi polizieschi e
dittatoriali del Novecento. Una trasparenza che non sia anche
discrezione è oscurantismo: abolisce la distinzione tra vita pubblica e
vita privata e realizza un controllo capillare e implacabile sulla
condotta dei sorvegliati.
(da
Mario Perniola,
Disgusti, 1998, costa&nolan)