Aggiungo le mie considerazioni sulla proposta di un catalogo minimo di dati.
Perché?
- Le amministrazioni di buona volontà, spesso, non sanno da dove cominciare per aprire i loro dati e cominciano, spesso, da dove è più semplice, ossia dalla roba già pronta, il che non coincide sempre con quello che sarebbe più interessante. Alcune amministrazioni chiedono a cittadini e utenti di indicargli le loro preferenze, ma è facile immaginare che i risultati, se verrano utilizzati, non saranno condivisi.
- I Comuni e Regioni virtuosi fanno a gara a chi ne ha di più di dataset o a chi ce li ha più pesanti, in modo da poter incassare utilità comunicative. Cosa si espone e come, non è questione dibattuta, se non, a volte, in nicchie come quella di questa lista. Perlopiù prevale la strategia del tanto al chilo, ottima per dimostrare quanto si è trasparenti. Ma è facile che la moda passi e se nel frattempo non si producono vantaggi che si possano toccare con mano, può accadere che le opportunità che ci sono oggi, sfumino per inconcludenza.
- Una parte crescente di risorse delle amministrazioni è dedicata a estrarre dati per altri enti, spesso gli stessi dati per più soggetti differenti; il che comporta la ripetizione della stessa operazione per ogni richiesta. Più l'amministrazione è piccola più quest'onere è gravoso. Il passaggio sarebbe quello di esporre questi dati una volta per tutti.
Un catalogo minimo avrebbe allora il senso di un'indicazione di priorità, cioè di politica di apertura dei dati, da offrire come contributo utile alle amministrazioni interessate a mettersi sul cammino dell'apertura o a correggere il tiro. Le culture e le esperienze raccolte in questa lista offrono lo spettro pressoché completo delle opinioni esperte, necessarie per avviare un lavoro di questo tipo.
Il punto è concordare sulla necessità di produrre questo tipo di contributo in questo momento politico della breve storia degli open data nostrani e, poi, ovviamente, mettersi d'accordo su cosa sia prioritario.
Sul primo punto si capisce come la penso e mi piacerebbe sentire altre opinioni.
Sul secondo provo a buttare giù in ordine sparso le mie impressioni.
Direi sarebbe utile innanzitutto distinguere per tipo di amministrazione, semplicemente perché trattano dati diversi.
I criteri che prenderei in considerazione:
- importanza dal punto di vista politico-amministrativo, ossia trasparenza, accountability e relazione governanti-governati sotto il profilo sia dei processi decisionali che sotto quello dell'uso delle risorse pubbliche [apertura come democrazia]
- importanza dal punto di vista economico: potenziale di mercato [apertura come mercato]
- economicità per l'amministrazione: valutazione costi-benefici [sostenibilità], anche in relazione ai dati di cui sopra che più spesso vengono richiesti per fini istituzionali.
Vogliamo cominciare da Comuni e Regioni?
Se si prende il Comune si possono mettere in colonna tutti i dati prodotti dall'amministrazione, suddivisi per tipologia (politico-amministrativi, economico-finanziari, catastali, ambientali, etc.). A ciascuno si da una valutazione (da 1 a 5?) per ognuno dei criteri ritenuti utili (i tre indicati sopra? altri?) in modo da avere una prima griglia di analisi.
Lo stesso tipo di valutazione può essere proposta e svolta da altri pubblici: amministratori, imprese, cittadini…
Potrebbe essere questo un processo che stimolerebbe ognuno a interrogarsi sul significato dell'apertura. Sul cosa e perché aprire, prima che sul come, o almeno contemporaneamente. Formati, metadati, tecnologie e standardizzazioni seguirebbero, all'interno di un contesto possibilmente più comprensibile, forse più condivisibile e meno facile da cancellare con un colpo di spugna.
ciao
Vittorio