Fwd: 📫 Altre/Storie – 202. I libri mantengono le promesse

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Iolanda D'Onofrio

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Mar 15, 2024, 12:40:47 PMMar 15
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Da: Mario Calabresi <altre...@mariocalabresi.com>
Oggetto: 📫 Altre/Storie – 202. I libri mantengono le promesse
Data: 15 marzo 2024 alle ore 06:29:52 CET
Rispondi a: Mario Calabresi <altre...@mariocalabresi.com>

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“Il libro è una cosa: lo si può mettere su un tavolo e guardarlo soltanto, ma se lo apri e leggi diventa un mondo”


Leonardo Sciascia

15 marzo 2024
Le altre storie di oggi:
LA STORIA · I libri mantengono le promesseNon dovete sentirvi in colpa se avete letto metà dei libri che avete comprato, loro sono pazienti e contengono una promessa di incontro e di scoperta. Verrà il giorno giusto e allora farete finalmente il viaggio in loro compagniaIL LIBRO · La comunità che ci ha insegnato a rialzarciQuesta è la storia di un libro autentico, pieno di verità, di sensibilità e di fatica. Un diario a due voci, che nel procedere delle pagine si fondono in una soltanto per diventare voce di una intera comunità. Si intitola “Carovane. La tempesta del Covid e il futuro di una comunità” ed è stato scritto da un Sindaco e da un Prete che si sono trovati su un fronte dove non avevano mai immaginato di dover stare.
LA STORIA

I libri mantengono le promesse

di Mario Calabresi

I libri per me sono dei compagni di vita, nel vero senso della parola: viaggiano, cambiano casa e si spostano con me. Mi tengono compagnia e li conosco tutti, anche quelli che non ho mai letto. Sono questi ultimi quelli che mi affascinano di più, perché contengono una promessa e un’idea di futuro, perché so che un giorno ci incontreremo. Mi ricordo che ci sono, mi ricordo perché li ho comprati, mi ricordo le loro copertine e quello di cui parlano, ogni tanto li prendo in mano, li apro e sento gioia al pensiero che verrà anche il loro momento.
I libri che ho sul mio comodino

I libri sono pazienti, non si stancano di aspettare, prima o poi verrà il loro turno. Ogni tanto mi salta all’occhio un titolo, oppure nei fine settimana o la sera mi metto a scavare spinto da un’idea, da una curiosità o da un ricordo e ne prendo in mano uno e lo sposto sul comodino. Se si tratta di romanzi ne leggo uno alla volta, ma per tutti gli altri funziona in modo completamente diverso: ne leggo anche tre o quattro in contemporanea e questo va avanti per settimane. Ne mescolo di vecchi e di nuovi. Li apro e leggo un capitolo, una storia. Mi piace perché è come stare con un gruppo di amici e ognuno dice la sua.
In questo periodo ci sono due vecchi libri che aspettavano da anni e che hanno confermato la sensazione di ricchezza e bellezza che mi ero fatto di loro.
 

Tra i libri che abitano la mia libreria da anni ci sono “Atlantico” di Simon Winchester e “Beirut. Storia di una città” di Samir Kassir

“Atlantico” di Simon Winchester è un libro di una decina di anni fa che contiene un oceano di storie: grandi battaglie marine, naufragi, scoperte, atti di eroismo. L’Oceano Atlantico è un mondo infinito e affascinante, con cui l’uomo si è misurato per secoli combattendo paure e tempeste, e che oggi attraversiamo in una mezza giornata di volo, immersi negli schermi di un aereo. Eppure, quell’acqua là sotto è stata testimone di milioni di avventure umane. Ogni volta che lo sfoglio mi si apre uno scenario sempre diverso, dal deserto costiero della Namibia al ruolo delle Isole Faroe nella Seconda Guerra Mondiale, dai mercanti di schiavi alle spedizioni dei Vichinghi, primi navigatori oceanici, fino ai cacciatori di balene.

Simon Winchester è un giornalista e scrittore che ha girato il mondo per il Guardian e il Sunday Times, raccogliendo così tante storie da aver scritto una trentina di libri. Nel 1982 venne mandato alle Isole Falkland, dopo l’invasione Argentina, per raccontare la guerra. Scambiato per una spia britannica venne arrestato e portato nel remotissimo carcere di Ushuaia nella Terra del Fuoco dove rimase per tre mesi. Il suo modo di raccontare è magnifico, mescola storia, cronaca e dettagli di vita personale, così io da mesi faccio i miei viaggi atlantici in sua compagnia.
 

La vista dell’Oceano Atlantico dalle Isole Faroe, un’immagine che mi è rimasta impressa da quando sono andato a visitare quei luoghi nell’agosto del 2022

“Beirut. Storia di una città” di Samir Kassir abita nella mia libreria da quindici anni. Quando l’ho comprato non sapevo che l’autore fosse stato ucciso da una bomba che era stata messa sotto la sua auto davanti a casa il 2 giugno del 2005. Samir Kassir aveva solo 45 anni e i suoi assassini sono rimasti ignoti e impuniti. Era figlio di un palestinese e una siriana, aveva studiato a Parigi (dove aveva conseguito un dottorato in Storia con una tesi sulla guerra civile libanese) ma amava profondamente la sua città e si era speso come giornalista, storico e attivista politico a denunciare corruzione, gruppi di potere e a battersi per la libertà del suo Paese dalle interferenze straniere a partire da quella siriana. Il suo libro, che è un viaggio nella storia di Beirut, spazia dai romani alle crociate, per raccontarci come il Libano diventò la Svizzera del Medio Oriente per poi essere risucchiato nella guerra civile. È un intreccio di storie grandi e piccole, di politica e costume, di guerra e di splendore. Trasmette la nostalgia per un mondo perduto, pieno di case editrici, giornali e fermenti culturali.
 
Il racconto contiene tutto quello che abbiamo visto e ascoltato su questa città, leggendolo rivedo tutte le fotografie (quelle che amo di più le ha scattate Gabriele Basilico, ve ne avevo parlato qui) e i film che l'hanno raccontata. È un libro talmente ricco che lo leggo molto lentamente perché non voglio che finisca.
 

La vista dall’Hotel Hilton nel 1991 su una Beirut ridotta in macerie. © ContrastoBooks/Archivio Gabriele Basilico

Così non dovete sentirvi in colpa se non avete letto tutti i libri che avete in casa (io penso di non arrivare alla metà) e nemmeno se non li avete finiti. Loro sono lì che vi aspettano e un giorno vi incontrerete.

LA MOSTRA

La comunità che ci ha insegnato a rialzarci


Ho scritto l’introduzione a un libro autentico, pieno di verità, di sensibilità e di fatica. Una fatica fatta con passione e generosità. Si intitola “Carovane. La tempesta del Covid e il futuro di una comunità”. È un diario a due voci, che nel procedere delle pagine si fondono in una soltanto, in un racconto che non è dei singoli ma di una comunità. Un gruppo speciale di persone, che nel momento più buio della propria storia ha scoperto di non essere fatta solo di singoli, di egoismi, di privato e di paure, ma ha capito che una comunità è qualcosa di più della somma delle sue parti.

Questo è il racconto di due uomini che si sono trovati su un fronte dove non avevano mai immaginato di dover stare, a gestire qualcosa di inedito, sorprendente e inimmaginabile. Due persone che hanno accettato la sfida, si sono messe in gioco e si sono prese cura della loro comunità. Un sindaco e un prete, due funzioni lontane ma che sono diventate assi portanti di una resistenza feconda e generosa. Si chiamano Claudio Cancelli e Don Matteo Cella.
La copertina di “Carovane. La tempesta del Covid e il futuro di una comunità” (Vita e Pensiero), il libro che hanno scritto insieme Claudio Cancelli e Don Matteo Cella

Quel mese di marzo di quattro anni fa ci sembra lontanissimo, eppure i segni li portiamo ancora dentro di noi. Preferiamo non parlarne, ma sappiamo che esiste un prima e un dopo. E sappiamo che non siamo stati più gli stessi dopo la pandemia.
Rileggere cosa è accaduto in quel tempo, capire cosa si è stati capaci di fare, non è solo un esercizio di memoria ma un viaggio in una vicenda dolorosa che – almeno a Nembro – ha spinto molti a tirare fuori la parte migliore di loro.
 

Nel 2020 ho trascorso tre giorni in bicicletta, da Torino a Nembro, attraverso la ciclovia Aida che unisce Moncenisio, in Piemonte, a Trieste in Friuli Venezia Giulia 

Ricordo perfettamente il pomeriggio del 10 giugno 2020, erano appena stati riaperti i confini tra le regioni e io avevo deciso di fare qualcosa che non avevo mai nemmeno immaginato, un gesto di vita dopo tutte quelle settimane di morte e di isolamento. Da Torino a Milano in bicicletta e poi verso Bergamo fino a Nembro, il paese più colpito dal virus. Più di 270 chilometri in sella. Quando sono arrivato all’ultima curva stava per cominciare a piovere, ho accelerato sperando di arrivare prima dell’acqua, ricordo perfettamente la leggera salita con cui si apre la Val Seriana. Non volevo che i ragazzi, il sindaco e Don Matteo, che mi stavano aspettando, si bagnassero. Ricordo perfettamente anche l’emozione all’idea di tornare a Nembro dopo tre giorni in sella alla bici. Era il luogo più importante dove arrivare nel momento in cui pensavamo di voltare finalmente pagina.
 

Insieme al sindaco di Nembro Claudio Cancelli e Don Matteo Cella durante il mio viaggio in bicicletta a giugno del 2020

Nembro è un paese di 11.500 persone, con la percentuale di morti da Covid più alta d’Italia: una vittima ogni 61 abitanti. In una sera di quasi quattro mesi prima, mercoledì 26 febbraio, il sindaco Claudio aveva iniziato a mandare un vocale ai suoi cittadini. Ne aveva sentito l’urgenza perché, come spiega nel suo diario, le notizie dilagavano sui social senza alcun tipo di controllo e spesso scatenavano ansie e paure. Il bisogno di ricevere informazioni chiare dal Comune era enorme: le persone dovevano sapere con precisione cosa si potesse fare e cosa no, a chi potersi rivolgere in caso di necessità, come si stava diffondendo il contagio... Così cominciò quella catena di messaggi vocali serali che andrà avanti quotidianamente per oltre tre mesi. Un antidoto prezioso alla solitudine e una mano tesa per rassicurare prima delle notti della paura.

Ne ho trascritto uno che restituisce il senso di quei momenti: «Cari cittadini, vi sono giornate come questa che sembrano lunghissime. La situazione sembra irreale: le strade quasi deserte, uno strano silenziointerrotto talvolta dalla sirena di un'autoambulanza che trasporta con sé l’ansia e la preoccupazione che riempie i nostri cuori in queste settimane. E poi arrivano le notizie, quelle che non avremmo mai voluto sentire: un’altra persona che si conosceva ci ha lasciato. Dobbiamo farci forza, anche se talvolta vorremmo addormentarci e dimenticare. La forza di ognuno sia la forza di tutti. A domani, il vostro sindaco Claudio Cancelli».
 

Nembro vista dal drone di Don Matteo Cella. Alla storia di questa comunità ho dedicato tempo fa una newsletter e un episodio del mio podcast. La potete leggere, e ascoltare, qui

La giornata che il giovane Don Matteo, che aveva solo quarant’anni, non dimenticherà mai è quel sabato di inizio marzo in cui celebrò da solo 4 funerali. Era l’unico dei cinque sacerdoti della parrocchia a non essersi ammalato. Quella sera decise di legare le campane: troppa angoscia a sentirle suonare a morto in continuazione. In due mesi il virus si portò via 188 persone quando in tutto l’anno prima i morti di Nembro erano stati 120. In molti ripensarono alla peste del Seicento che aveva ucciso tre quarti degli abitanti e lasciato solo deserto e desolazione. Ma questa volta non è andata così perché la forza di reazione di una comunità è stata eccezionale.

Per questo ho continuato a tornare a Nembro ogni volta che ho potuto, innamorato dalla resistenza che ho incontrato, dall’energia e dalla generosità dei ragazzi che si sono presi cura del paese, mosso da un senso di riconoscenza verso chi ha pagato il prezzo più alto ma è capace di insegnarci come ci si rialza.

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