Fwd: 📫 Altre/Storie – 211. Le finestre non dimenticano

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Iolanda D'Onofrio

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May 17, 2024, 2:10:35 PMMay 17
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Da: Mario Calabresi <altre...@mariocalabresi.com>
Oggetto: 📫 Altre/Storie – 211. Le finestre non dimenticano
Data: 17 maggio 2024 alle ore 06:29:55 CEST
Rispondi a: Mario Calabresi <altre...@mariocalabresi.com>

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“Le immagini sono lì, basta catturarle.”


Robert Capa

17 maggio 2024
Le altre storie di oggi:
LA STORIA · Le finestre non dimenticanoDieci anni fa il fotografo Andy Rocchelli veniva ucciso in Ucraina dove era andato a raccontare i primi segni della guerra di oggi. Lo ricordano un libro, una mostra e un’iniziativa che vuole portare le sue foto nelle case e per le strade della sua cittàIL LIBRO · L’ultimo testimoneIl giornalista Michele Smargiassi condivide in anteprima per Altre/Storie il testo scritto per il libro “Andy Rocchelli. Il valore della testimonianza”. Un ricordo di Andy che è anche una riflessione sul ruolo della fotografia e del fotoreporter.
LA STORIA

Le finestre non dimenticano

di Mario Calabresi

Andy a trent’anni amava guardare il mondo in modo alternativo e informale, poteva dormire su un divano sfondato e intervistava i suoi soggetti prima di ritrarli, il suo occhio di fotografo si concentrava sempre sulle persone, sui più fragili, su tutti coloro che pagavano il prezzo più alto nelle guerre e negli scontri di potere. Ora Andrea Rocchelli, detto Andy, avrebbe quarant’anni, se non fosse stato ucciso a colpi di mortaio dall’esercito ucraino mentre svolgeva il suo mestiere nel Donbass. Era lì per raccontare il dramma dei civili intrappolati nel conflitto tra nazionalisti e separatisti filorussi, uno scontro che sappiamo dove ci ha portato. Venne ucciso il 24 maggio 2014, nel giorno in cui suo figlio Nico compiva tre anni.

Sono passati dieci anni e oggi benché si sappia finalmente, grazie alle inchieste giudiziarie italiane, cosa accadde quel giorno e si conoscano le responsabilità ucraine per la sua morte il delitto è rimasto impunito.
Ma il lavoro di Andy resta a testimoniare il suo talento, la sua creatività, la libertà con cui guardava ai fatti del mondo senza pregiudizi o lenti partigiane. E quel lavoro trova finalmente spazio in un libro pubblicato dall’editore Contrasto che si intitola: “Andy Rocchelli. Il valore della testimonianza”. Un libro bellissimo, un viaggio per il mondo attraverso gli occhi di un testimone speciale. Oltre novanta foto che raccontano la Primavera Araba in Libia e in Tunisia, le violazioni dei diritti umani in Kirghizistan e Inguscezia, la nascita del conflitto ucraino, le condizioni dei migranti nel meridione d’Italia e il loro sfruttamento da parte della criminalità organizzata.

Della storia di Andy e del suo talento me ne occupo da sette anni, da quando incontrai per la prima volta Elisa Signori e Rino Rocchelli, i suoi genitori. Cercavano attenzione e giustizia. Nel tempo Andy, che non avevo mai incontrato, è diventato un caro amico, un compagno di viaggi. Ho dedicato alla sua storia il mio primo podcast – si chiama “La Volpe Scapigliata”, dal nome che gli avevano dato agli scout, e si può ascoltare sulla piattaforma Storytel  alcune newsletter e ora ho scritto l’introduzione al libro, che raccoglie anche i testi di Michele Smargiassi (uno dei giornalisti che meglio conosce e racconta la fotografia) che potete leggere in anteprima proprio in questa newsletter, del fotografo e suo compagno di lavoro e di avventure Gabriele Micalizzi e della giornalista Anna Dichiarante che ha ricostruito tutta la vicenda giudiziaria.

Insieme a Rocchelli quel pomeriggio di maggio di dieci anni fa c’erano l’attivista dei diritti umani ed interprete Andrej Mironov – anch’egli ucciso nell’attacco –, il fotoreporter francese William Roguelon e un autista locale. Durante una sosta presso dei binari abbandonati, il gruppo diventò bersaglio di un accanito attacco di artiglieria pesante e leggera. Il tiro mirato, che uccise Mironov e Rocchelli e ferì gravemente Roguelon è stato riconosciuto come ucraino, e non accidentale, dalla magistratura italiana. Tutto questo è stato ricostruito grazie alle ultime foto scattate da Rocchelli mentre si trovava sotto tiro, prima di essere ucciso. Le immagini erano in una scheda di memoria in una tasca interna della custodia della macchina fotografica di Andy e sono state scoperte nel 2016 dai colleghi di Cesura, il collettivo fotografico di cui faceva parte. Foto e video documentano la durata dell’attacco, il luogo esatto dove si trovavano e il loro abbigliamento civile.

L’incontro sarà trasmesso anche in streaming sull’app e sul sito di Gallerie d’Italia

Il libro sarà presentato a Torino alle Gallerie d’Italia martedì 21 maggio, dove si inaugurerà anche una mostra digitale sul lavoro di Andy, curata dal Collettivo Cesura, che sarà proiettata nello spazio Arena e sarà visibile dal 21 maggio al 23 giugno. La sorella di Andy, Lucia, insieme al gruppo di amici che hanno creato l’associazione “Volpi Scapigliate” ha lanciato a Pavia il progetto “Finestre per Andy”. Si tratta di una mostra informale e diffusa che avviene mediante il coinvolgimento di tutti i cittadini, istituzioni, locali e aziende che hanno accettato di esporre alla propria finestra una delle fotografie scattate da Rocchelli. «L’idea – mi spiega Lucia - era di ricordare Andy con le sue foto in modo condiviso. Spero che così le immagini di Andy raggiungano anche coloro che non visitano mostre, librerie e vernissage. Le foto sono sparse per la città e senza alcuna struttura informativa di complemento perché penso che ciascuna immagine sia abbastanza forte per parlare da sé». Le stampe su tela di poliestere riciclato sono state fatte e distribuite a spese dell’associazione e della famiglia e sono esposte già fuori da 150 case. Un gesto d’amore per Andy e un grande omaggio collettivo al suo lavoro e alla sua memoria.

IL LIBRO

L’ultimo testimone

di Michele Smargiassi*

Chi sarà l’ultimo fotoreporter? Quale sarà l’ultima immagine a uscire dalla mente e dalla lente dell’ultimo discendente di quella stirpe di testimoni oculari dell’attimo presente? Sarà una fotografia di guerra? Le guerre non mancano mai. Sarà un ritratto? Sarà un momento di vita qualsiasi, in cui solo un occhio sapiente ha saputo scorgere una scheggia di significato? Nulla dura in eterno, e la via Appia della storia è fiancheggiata dai mausolei dei linguaggi morti e dei media tramontati. Il fotogiornalismo, come lo conosciamo, non ha ancora compiuto cent’anni, ma nessuno gli garantisce una longevità maggiore. I robot sono dietro l’angolo. Dopo quell’ultima fotografia, cosa verrà?
Nel decennale della sua uccisione, il progetto “Finestre per Andy” vuole ricordare Andy Rocchelli attraverso una mostra diffusa lungo le strade di Pavia, la sua città. Qui siamo in Piazza Collegio Ghislieri © Associazione Volpi Scapigliate

Non ho conosciuto Andy Rocchelli. È un rammarico. Ho conosciuto alcuni dei suoi compagni d’avventura in quella piccola Magnum sulle colline di Piacenza che si chiama Cesura. C’è un’aria di famiglia. Lo immagino, come loro, assetato. Lo vedo da come beve la realtà, nelle sue fotografie. A grandi sorsi avidi. Come beve a una fontana chi, nell’arsura di un’estate, teme incongruamente che l’acqua possa finire di scorrere. Non sto dicendo che sia stato un fotografo istintivo. Precipitoso. Frettoloso. Tutt’altro. Guardi la sua icona, quei ragazzi nel caos calmo di un pozzo che non si può neppure chiamare cantina, e non puoi fare a meno di pensare al più abusato dei paragoni pittorici, la luce di Rembrandt. Il quadrato è storto, una figura sghemba, non c’è niente di retto in quel dramma; la luce vien da sotto, ci chiama e ci inghiotte nella falsa sicurezza di quel nascondiglio. Chapeau, Andy.

Sto dicendo che, dopo aver scorso e riscorso molte volte le sue fotografie, non riesco, come avevo sperato, a dire: Rocchelli è stato “il fotografo di”. Non solo perché ci sono salti abissali di tema e di clima fra le storie che ha raccontato, tra l’antropologia della solitudine dei seminaristi e la scultorea presunzione dei lottatori indiani, tra il surrealismo trash dei riti padani e il vuoto umano di un paese fallito come l’Afghanistan.

Viale Nazario Sauro, Civica Scuola di Disegno e Pittura ARVIMA © Associazione Volpi Scapigliate
Via Volta © Associazione Volpi Scapigliate

Ma perché per ciascuna di queste immersioni totali in un contesto, in una storia, Rocchelli ha scelto il tono e lo stile che gli servivano. Senza preoccuparsi tanto di pescare ispirazione dal repertorio dei linguaggi disponibili nella storia del reportage. (…) Tutti i veri fotografi fanno così, sanno che la ricerca di uno stile troppo univoco e costante può essere una trappola, comunque è una conquista lenta e sperimentale, che Andy purtroppo non ha potuto portare a compimento. Uno stile che però nella “sua” Ucraina notturna e fumante sembra cominciare a prendere la sua strada.

Ci manca il Rocchelli maturo. Ma quello nascente e assetato ci riempie ugualmente gli occhi. Il suo modo di cercare, a tutto campo, credo non sia solo l’effetto di una scelta professionale ancora fresca. Credo che abbia qualcosa a che fare, appunto, con la differenza fra una professione (qualcosa che esce, pro-, da noi) e una vocazione (qualcosa che ci chiama dall’esterno).
Le immagini chiamano Andy Rocchelli. “Cercava e trovava”, dice di lui il suo pedagogo, Alex Majoli. Ma doveva essere vero anche il contrario: le immagini cercavano lui. Ovviamente, non gli cadevano addosso per caso. C’è una specie di motto che gira fra i fotografi di Cesura, “Se sei nel posto giusto, le cose succedono”, che in fondo è una variante del celebre mantra di Robert Capa. Credo che le storie fotografate da Rocchelli ci parlino di questo, della ricerca insistente, incessante, appassionata del posto giusto. Che è poi ricerca del punto di vista giusto: un concetto sia topografico che etico.

Corso Mazzini © Associazione Volpi Scapigliate

Credo ci parlino di un mestiere della cui indispensabilità sconsideratamente la comunità ha cominciato a dubitare: quello del testimone oculare. Perché è questo, essere lì e vedere, il cuore della professione del fotogiornalista. Non è la fotografia a definirne lo status: anche il fotografo di moda o il ritrattista fotografano. La fotografia è lo strumento con cui il testimone rende la sua testimonianza a coloro che ne hanno bisogno per formarsi un’idea del mondo in cui vivono. Nel corso di un dibattito, al festival del giornalismo di Perugia, Andy arrivò ad affermare che il fotoreporter è un raccoglitore di documenti, e “questo avviene sia con una fotografia che raccogliendo un bossolo per terra… La documentazione avviene con un pezzo di carta, una foto, un sasso, qualunque cosa…”.

È l’idea, così pesantemente svalutata, del reporter come quello che riporta. Ma non riporta a caso. Lo fa con sapienza. Seleziona, sceglie. Il suo collega Gabriele Micalizzi dice: “Voleva vedere le cose dentro le foto”, e credo sia detto benissimo: c’è sempre una ragione evidente, visibile, in ogni fotografia di Andy, che ci suggerisce perché l’ha fatta. Io so lo sguardo di quella bambina nell’inquadratura di un feretro di un morto di ‘ndrangheta, vedo i sogni di quel ragazzino che scalcia un pallone in Daghestan, percepisco la grinta da operetta del guerriero da softair, sento la durezza dei sampietrini sparsi di Maidan.

Lungo Ticino © Associazione Volpi Scapigliate
Via Defendente Sacchi © Associazione Volpi Scapigliate

L’unica pubblicazione che Rocchelli ha realizzato in vita è una fanzine, una specie di giornale a fogli piegati uno nell’altro. Penso sapesse che sarebbe arrivato il tempo del libro (è arrivato). Ma questo suo inizio irruente, a pieno orizzonte, anche se amputato della sua futura maturità, o forse proprio per questo, ci trasmette la fiducia in una virtù delle relazioni umane, la condivisione dello sguardo, che la fotografia ha portato all’apice della sua potenza antropologica. Sarebbe una grave perdita farne a meno. Quale posto troverà il fotoreporter all’epoca della sua emarginazione tecnica, non è dato saperlo, ma le immagini di Andy Rocchelli dicono che lui, arrivato con gli ultimi, non voleva essere l’ultimo.


*Michele Smargiassi, giornalista, scrive su Repubblica dal 1989, occupandosi in prevalenza di società e cultura. Appassionato di fotografia, sulle colonne del quotidiano cura il blog Fotocrazia

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