Io non sono così critico sugli obiettivi raggiunti/ mancati. Anzi.
Penso che il naturale empasse attraversato (e poi superato) dopo che
David ha dovuto andarsene, abbia evidenziato un aspetto della
discussione che fin'ora era rimasto abbastanza taciuto: la trappola
della "prefigurazione". E ciò è stato utile. Mi sembra infatti che
incontrarsi per "parlare della Singolarità" possa apparire
contraddittorio: come parlare di una cosa che per sua stessa
definizione, quando accadrà, se accadrà, non sarà possibile
comprendere e forse neppure, avvedersene? Ecco la trappola: cercare di
immaginare come sarà l'accadimento della Singolarità può rivelarsi,
seppur molto divertente e affascinante, profondamente fuorviante. La
discussione infatti, dovrebbe essere su quali possano essere le
strategie per avvicinarsi all'evento.
Strategie, passi, decisioni, sviluppi di conoscenza, attività per
giungere alla Singolarità coscientemente e con Responsabilità.
Allora si scopre che la domanda "come sarà, che forma avrà la
Singolarità", non ha risposta (se non nel campo delle ipotesi), mentre
invece le domande "come possiamo prepararci alla Singolarità" e "come
predisporre le cose in modo che la Singolarità non sia la fine
dell'Uomo" trovano spazio per una discussione proficua.
Trovo interessante constatare che l'atteggiamento che si può avere in
questo modo, è molto simile a quello che si può (e si dovrebbe) metter
in atto quando si discute delle nuove tecnologie e delle loro ricadute
sulla vita quotidiana di ciascuno di noi. Temi come OGM,
nanotecnologie, robotica, genetica... che in tempi brevissimi e
percepibilmente prossimi porteranno (e già stanno portando)
cambiamenti radicali nella nostra vita, non sono affrontabili se si
discute direttamente di rischi e portata futura (perché difficilmente
calcolabili o prevedibili), ma lo sono se si discute di metodologie
per la gestione e lo sviluppo non casuale delle stesse. Per una
governance responsabile del processo.
Di fronte a un succedersi degli eventi sempre più veloce, credo
necessario uno sforzo sempre crescente per "capire" il più possibile
quello che sta al di là della "superficie tecnica", quello che sta
scaturendo dal fare umano.
Per spiegarmi, traggo dalla mia esperienza di teatrante: imparare ad
andare sui trampoli è relativamente facile, si può fare in pochi
giorni. Capire il significato dell'andare sui trampoli, è un passaggio
che la gran parte dei trampolieri saltano, con il risultato di non
sapere cosa fanno e non conoscerne i meccanismi segreti e possibili.
Chiamo trampolisti coloro che conoscono questo livello "oltre la
tecnica", e a vederne camminare e agire uno lo si coglie al volo.