Speciale per Senza Bavaglio
Massimo A. Alberizzi
Milano, 28 giugno 2023
Sentire confondere le conquiste sindacali con benefici immotivati e chiamarle privilegi, mi è sembrato un atteggiamento mentale piuttosto confuso ma anche pericoloso. Se fossero dei privilegi ogni volta che si aggiunge una casella ai diritti (ma anche ai salari) dovremmo pensare che il sindacato lotta per raggiungere e conquistare privilegi e prebende.
È pericoloso chiamare le conquiste privilegi, perché i privilegi sono benefici acquisiti Illecitamente e magari con l’inganno e consentono a coloro cui sono stati attribuiti di sottrarsi a determinati obblighi.
Eppure, nei corridoi del Corriere della Sera in questi giorni non si parla d’altro: “La redazioni di Milano e di Roma - racconta un collega di uno dei dorsi recentemente fusi con le due redazioni centrali di Milano e Roma – stanno facendo una battaglia per difendere i loro privilegi, per esempio i rimborsi sostenuti per l’aggiornamento professionale o l’automobile aziendale, che noi di alcuni dorsi non abbiamo".
Una narrazione che non risponde alla realtà. Ma non solo perché non si tratta di privilegi ma piuttosto di conquiste sindacali.
Due tipi di sidacalistiEsistono due tipi di sindacalisti, quelli che, leali con la propria azienda, ne fanno gli interessi perché li ritengono coincidenti con quelli di chi ci lavora e quelli che sostengono gli interessi della proprietà perché così cercano di raccattare qualche privilegio (in questo caso sì), qualche prebenda e puntellare la propria carriera.
Quando anni fa proposi di vietare a chi occupava un incarico sindacale di avere promozioni o aumenti ad personam di stipendio prima che fossero passati due anni dalla fine del mandato, mi sentii rispondere dall’allora segretario nazionale della FNSI, Franco Siddi, che non se ne parlava neanche perché altrimenti nessuno avrebbe voluto fare il sindacalista e comunque non si poteva bloccare la carriera di un sindacalista. Ammetteva implicitamente l’inquietante idea che tra i compiti di un sindacalista ci fosse anche quello di provvedere all’implementazione della propria carriera.
Soddisfazioni personaliIn effetti il nostro mondo è pieno di sindacalisti che con la loro attività sindacale hanno avuto delle belle soddisfazioni personali. Al Corriere della Sera non era così. Sui due più grandi e famosi sindacalisti, Giorgio Santerini e Raffaele Fiengo, tutto si può dire, ma non che abbiano fatto carriera personale, magari a scapito di accordi al ribasso con l’editore. Non si può purtroppo dire la stessa cosa di colleghi che li hanno succeduti.
Forse a dispetto di quanto sostenuto da Siddi sarebbe stato opportuno bloccare la carriera di chi usa il sindacato come un trampolino di lancio per la sua personale carriera facendo irragionevoli concessioni all’editore, come, per esempio, rinunciare a diritti in nome di un'immaginaria emergenza.
Perequazione verso l'altoOccorre stare attenti ai sedicenti sindacalisti che propongono di abolire o limitare le conquiste sindacali. Al contrario le conquiste sindacali non si devono cancellare o ridurre ma estendere a tutti. Cioè la perequazione non si deve raggiungere adeguando tutti verso il basso ma verso l’alto.
Occorre poi ricordare che gli accordi integrativi sindacali non possono essere aboliti se non con altri accordi.
Cairo piange miseria, parla di crisi dell’editoria di mancanza di risorse e invita tutti ai sacrifici. Già, ma i sacrifici dovrebbe prima di tutti farli lui dando in buon esempio. Per esempio, non credo che sia necessaria la ristrutturazione della Cronaca per costruire un ascensore privato che porti direttamente al suo ufficio. Sicuramente non ha niente a che fare con la buona informazione.
Montanelli e l'ascensore(Ho già ricordato che Montanelli a 90 anni rifiutava con sdegno l’uso dell’ascensore dell’atrio).
Avrei accolto con miglior favore investimenti sul prodotto Corriere, in modo tale da ridargli quell’autorevolezza e quel prestigio ormai svanito.
Come ho accolto con favore la visita che Cairo ha fatto al New York Times qualche giorno fa. Un incontro con uno degli editori più autorevoli del pianeta non può che fare del bene all’editore più grande d’Italia. A patto che si mettano in pratica consigli e suggerimenti.
Non so se Cairo abbia parlato con Arthur Sulzberger, l’editore del Times, non ho trovato nessuna fotografia su Google.
[caption id="attachment_19717" align="aligncenter" width="1024"] Arthur G.Sulzberger, editore del New York Times durante un'intervista nel 2018 (foto Satoko Kawasaki)[/caption]A fine maggio sono stato anch’io al quotidiano newyorese a scambiare due chiacchiere con i miei amici. Il corrispondente dall’Africa, l’irlandese Declan Walsh, è una mia vecchia conoscenza (abbiamo lavorato spesso assieme) e ci scriviamo di tanto in tanto. Non era in sede, ma ho parlato con gli altri.
Uscire dal tunnelTutti erano d’accordo su una cosa: si esce dal tunnel della crisi soltanto aumentando la credibilità e l’attendibilità delle pubblicazioni. Stessa opinione anche sul ruolo della pubblicità “che non deve essere invasiva e non deve avere commistione con testi informativi”. Alcuni dei redattori che conosco al Times sono di origine italiana e parlano (anche se non perfettamente) e capiscono l’italiano.
Loro opinione comunque è che i posti di lavoro si salvano proprio salvando l’autorevolezza dei giornali. La differenza tra una notizia sui social e un’altra pubblicata da una testata autorevole è proprio questa: la credibilità.
Un sindacato che si rispetti deve dunque occuparsi (e non solo a parole) anche di quest’aspetto essenziale. Salvare l’informazione per salvare i posti di lavoro.
Massimo A. Alberizzi
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