
In effetti si potrebbe sintetizzare così il testo teatrale
Dio e Stephen Hawking, scritto nel 2000 da
Robin Hawdon: da una parte i buchi neri, oggetto dello studio delle ricerche di
Hawking, dall'altra le rivelazioni annunciate all'inizio da Dio stesso agli spettatori. Infatti Dio è uno dei protagonisti della scena: il suo intento è quello di sfidare Hawking a dimostrargli di non esistere, di non essere il creatore dell'universo dello scienziato, di essere una sorta di
gatto di Schroedinger cosmico. Per farlo si intrufolerà nella vita di Hawking, per confrontarsi con lui sempre in maniera diretta, prima tramite
Jane Wilde, fidanzata e poi moglie di Hawking, con la quale parla direttamente, quindi impersonando vari personaggi: il professore di Hawking che interpreta
Newton (pretesto, quindi per parlare dello scopritore della gravità universale), quindi
Einstein in sogno e l'amico
Penrose in un confronto matematico sulle future sfide da affrontare insieme.
Il testo, che, per ammissione dello stesso autore sul suo sito, prende ispirazione da
A brief history of time (il famoso
Dal Big Bang ai buchi neri), prende spunto dalla vita di Hawking per proporre il tema di Dio e della creazione nel XX secolo e la sfida tra questi e in particolare tra la religione e la scienza. In un certo senso questo mescolamento di situazioni e posizioni, questo tentativo di far ammettere a Hawking non solo l'esistenza di Dio, ma anche la sua necessità, può essere condensato in questo ricordo infantile dello scienziato, tratto dalla
sua biografia sulla wiki:
Una delle cose di cui parlavamo era l'origine dell'universo e se ci fosse stato bisogno di un Dio per crearlo e per metterlo in movimento. Avevo sentito dire che la luce proveniente da galassie lontane è spostata verso l'estremo rosso dello spettro e che questo fatto dovesse indicare che l'universo è in espansione (uno spostamento verso l'azzurro significherebbe che esso è in contrazione). Ero sicuro che dovesse esserci qualche altra ragione per lo spostamento verso il rosso. Forse nel suo viaggio verso di noi la luce si affaticava, e quindi si spostava verso il rosso. Sembrava molto più naturale un universo essenzialmente immutabile ed eterno.