Una parte rilevante dell'enorme debito pubblico italiano è conseguenza del fallimento della politica di sviluppo del mezzogiorno. La SVIMEZ, anziché limitare la sua attività di studio alla descrizione annuale della situazione meridionale, dovrebbe dedicare un ampia indagine per chiarire le cause del fallimento di una politica durata sessantacinque anni, dalla fondazione della Cassa del Mezzogiorno nel 1950.
In una prima fase, dedicandosi solo alla realizzazione di una nuova rete di infrastrutture, la Casmez fu certamente positiva. Sul modello della Tennessy Valley Authority godeva di una totale libertà economica e di decisione e le sue realizzazioni - es. l'acquedotto pugliese- sono ancora modelli imitati nel mondo. Con la creazione delle regioni, e il loro mediocre risultato, anche la Casmez perse vitalità. Ma il grande disastro è stato il tentativo di industrializzazione.
Proprio nella sede della SVIMEZ si svolse il grande dibattito sul “dualismo”. Napoleoni, Sylos-Labini, Fuà sostenevano, giustamente, che quando un sistema ha una parte industrialmente avanzata ed una con una attività industriale ridotta, la seconda non può sperare di vincere la concorrenza con l'industria del nord. Saraceno ed altri, invece, sostenevano che, compensando con consistenti incentivi finanziari e creditizi le imprese nascenti, il divario poteva essere superato. I governi, accogliendo questa tesi, disposero che con “l'intervento straordinario” le imprese potessero ricevere un contributo a fondo perduto del 40% del valore del capitale investito e credito a tasso ridotto per il rimanente dell'investimento.
Leggi tuttoGenerale di Corpo d’Armata, capo di Stato Mggiore della NATO, capo del Comando Interforze delle Operazioni nei Balcani e comandante della missione in Kosovo. Fabio Mini è uno dei più grandi conoscitori delle questioni geopolitiche e militari, su CS parla delle crisi attuali ma non solo. E dice cose molto importanti
Gen. Mini, nel suo libro “La guerra spiegata a…” afferma che non esistono
guerre limitate, o meglio che una potenza che si impegna in una guerra limitata ne prepara in realtà una totale.
Nell’attuale situazione di conflittualità diffusa, che sembra seguire una specie di linea di faglia che va dall’Ucraina allo Yemen
passando per Siria e Irak, dobbiamo quindi aspettarci lo scoppio di un conflitto totale?
R1. La categoria delle guerre limitate, trattata dallo stesso Clausewitz, intendeva comprendere i conflitti dagli scopi limitati e quindi dalla limitazione degli strumenti e delle risorse da impiegare. Doveva essere il minimo per conseguire con la guerra degli scopi politici. E la guerra era una prosecuzione della politica. Erano comunque evidenti i rischi che il conflitto potesse degenerare ed ampliarsi sia in relazione alle reazioni dell’avversario sia in relazione agli appetiti bellici, che vengono sempre mangiando. Con un’accorta gestione delle alleanze e delle neutralità, un conflitto poteva essere limitato nella parte operativa e comunque avere un significato politico più ampio. Oggi la guerra limitata non è più possibile neppure in linea teorica: gli interessi politici ed economici di ogni conflitto, anche il più remoto e insignificante, coinvolgono sia tutte le maggiori potenze sia le tasche e le coscienze di tutti.
Leggi tutto"Una delle cose che ho trovato molto illuminante a proposito dei Grundrisse (...) è stato il fatto che Marx non era interessato semplicemente alla fine dello sfruttamento del lavoro proletario ma piuttosto all'abolizione di tale lavoro. La maggior parte delle interpretazioni del plusvalore non colgono questo punto. L'idea che Marx fosse interessato all'auto-abolizione del proletariato e non alla sua realizzazione, mi ha portato a ripensare fondamentalmente Marx." - ("Critica e dogmatismo" - Intervista a Moishe Postone) -
In questo passaggio di un'intervista del 2011, Postone descrive quello che ritengo l'aspetto più importante dell'analisi di Marx. Il mio
"problema" (se questa è la parola giusta) con Postone, è il fatto che, in tutta l'intervista, non si riferisce mai all'intuizione di
Marx come ad un processo reale; cosa che potrebbe far pensare a chi legge occasionalmente l'intervista che la tesi di Marx sia meramente ...
politica.
Postone rimanda direttamente al suo libro, "Tempo, lavoro e dominio sociale", dove mostra come "l'interesse" per l'abolizione del
lavoro, da parte di Marx, sia solo un'espressione teorica del processo dello sviluppo capitalista. Che sarebbe come dire che Marx ha dimostrato solo
teoricamente che l'abolizione del lavoro è la traiettoria del modo di produzione capitalista stesso.
Questo lo si può trovare nel libro, ma non nell'intervista.
Leggi tuttoRecensione del volume Diego Giachetti, Guido Quazza, storico eretico, Centro di documentazione Pistoia Editrice, 2015
La ricostruzione della
biografia politico-intellettuale di Guido Quazza trova opportuna collocazione nella collana “I quaderni dell’Italia antimoderata”
che presenta figure significative per gli strumenti di orientamento critico e consapevole, utili nell’analisi del presente e nella progettazione
del futuro. Nell’editoriale del primo numero della «Rivista di storia contemporanea» del 1972, di cui Guido Quazza è stato
promotore e primus inter pares tra gli storici che la pubblicarono fino al 1995,viene esplicitato lo sforzo di interpretazione della storia
italiana, nelle sue continuità e nelle sue rotture, assumendo come punto di vista privilegiato il lungo periodo, non solo delle strutture
economiche ma anche di quelle statuali e istituzionali.
Come si fa la storia contemporanea
La rivendicazione della scientificità della storia contemporanea respinge la paura che essa si presentasse nella forma come storia e fosse nella sostanza tout court politica, e l’ideale di “una scienza storica disinteressata”, argomenti e istanze sempre avanzati come giustificazioni del suo mancato insegnamento nella scuola. La caduta di questo pregiudizio è ricondotta alla pressione sempre più forte del bisogno che la società contemporanea ha “di conoscere se stessa non solo nelle sue radici ma anche nel suo modo più prossimo e attuale di essere”. Questa prospettiva nega il pregiudizio storiografico che fa risiedere la scientificità storiografica nel disimpegno politico e civile verso le contraddizioni del presente, per cui oggetto della “vera” storiografia verrebbero ad essere solo i processi che abbiano avuto la possibilità di decantarsi e concludersi compiutamente.
Leggi tuttoRicorre il 6 agosto l’anniversario del tragico evento dello sgancio delle bombe atomiche americane sul Giappone. Fu, di fatto, l’ultimo atto della seconda Guerra mondiale e, insieme, il primo della Guerra fredda. A dover essere sottolineato non è solo il fatto che si è trattato di un gesto “post-occidentale” (si veda D. Fennell, The Post-Western Condition. Between Chaos and Civilisation, Minerva Press, London 1999), perché per la prima volta nella storia dell’Occidente si è apertamente legittimato lo sterminio di soggetti riconosciuti come innocenti (donne, vecchi, bambini), ma anche l’assoluta mancanza di pentimento e di elaborazione collettivi del crimine commesso, che non è neppure stato definito “crimine”, ma legittimo atto di guerra o, da una diversa prospettiva, “male necessario” (contro un Giappone già vinto e impotente).
Lo sgancio delle due bombe atomiche costituisce uno dei momenti decisivi della storia del Novecento, secondo una linea che virtualmente giunge fino a noi. L’origine dell’odierna fondazione della “monarchia universale” Usa risiede, sul piano della storia universale, nella scandalosa assoluzione del bombardamento di Hiroshima e di Nagasaki, in quell’inammissibile squilibrio della colpa in forza del quale, alla giusta deplorazione dei lager e dei gulag, non è seguita un’analoga condanna delle due bombe atomiche e, con esse, della pratica del bombardamento in quanto tale. L’esito di questa asimmetria valutativa è, del resto, fin troppo noto: in quanto “male necessario”, il bombardamento legalizzato può nuovamente essere praticato, come è attestato dalle vicende del Vietnam (1965), della Jugoslavia (1999), dell’Iraq (1991 e 2003), della Libia (2011).
Leggi tuttoPer giudicare se la parabola Renzi sia o meno in una fase discendente,
o se, come scrive il Fatto Quotidiano, Renzi abbia “già il fiatone”, come suggerisce il risultato delle recenti elezioni
locali, è, spesso opportuno inquadrare l’analisi della cronaca politica nazionale in uno scenario più vasto. Indubbiamente il PD
ed il suo leader oggi non godono di buona salute, ma non ne godevano neppure prima, se non si vuol passare per salute l’appoggio incondizionato
delle classi dominanti ad un programma volto a sancire la legalità di ciò che la crescente instabilità economica e sociale ha
già determinato nel paese: disoccupazione, riduzione dei diritti dei lavoratori, pressione antisindacale e arbitrio del padronato.
Naturalmente Renzi eredita molte ragioni di una crisi alle quali il moderatismo imperante in Italia non riesce o non vuol dare risposte. Alcune di queste sono intrinseche alla natura stessa della forma sociale dominante, il capitalismo, che sopravive in un perenne disequilibrio, agita le vicende politiche e suscita turbolenze durante le crisi economiche; altre, della stessa origine, sono nella sfera delle relazioni internazionali. Ma Renzi eredita anche il costume che si è affermato negli ultimi decenni di non affrontare né le une né le altre, sicché il suo governo è già in crisi di risultati concreti.
Leggi tuttoGià da due giorni si era capito che la nomina del nuovo presidente del Consiglio di Amministrazione della Rai sarebbe stato la "carta da spariglio" che Renzi si sarebbe giocato. Mentre tutti si accanivano sulla nomina di un outsider competente come Freccero o di illustri ma sconosciuti portaborse dentro il nuovo Cda, il Presidente del Consiglio aveva la sua carta in mano da giocare. Questa carta si chiama Monica Maggioni, la ex corrispondente internazionale della Rai che in questi anni aveva “normalizzato” quella che era stata l’isola felice di Rainews24, allineandola sempre più all’informazione embedded imposta dai poteri forti. Una funzione a questo punto realizzata e suggerita da uno dei centri di potere più forti: il gruppo Bildeberg.
La Maggioni ha partecipato agli incontri di questa organizzazione riservatissima dei potenti del mondo e lo aveva fatto facendosi legittimare proprio dalla Rai di cui si apprestava a diventare presidente. La Rai, sollecitata da un’interrogazione del presidente della Commissione Vigilanza Roberto Fico (M5S) in merito alla partecipazione della Maggioni alla riunione del Bildeberg del 29 maggio scorso, si era sentito rispondere: “Si conferma che la Dottoressa Monica Maggioni ha partecipato a Copenaghen al meeting annuale di Bilderberg nel periodo compreso tra il 29 maggio e il 1° giugno. La Rai - ancorché la partecipazione citata sia avvenuta a titolo personale - ritiene assolutamente le legittimo che, nell’ambito della propria attività professionale, un suo dipendente possa partecipare se invitato, a prendere parte ad eventi organizzati da un think tank di tale rilevanza internazionale e che tale partecipazione costituisca elemento di prestigio per l’azienda stessa”.
Leggi tuttoPrendo spunto per scrivere questo articolo dagli sviluppi della
posizione politica dell’ex ministro delle finanze greco Yanis Varoufakis e di esponenti della sinistra un po’ in tutta Europa, a
cominciare da Stefano Fassina. Sono sempre di più, chi più chi meno e per ragioni più o meno nobili o opportunistiche, quelli che
dopo i fatti della Grecia cominciano a prendere una posizione più esplicita contro i meccanismi deflazionistici e antidemocratici della moneta
unica. E’ di questi giorni la notizia che Varoufakis stia mettendo su, insieme, intanto, all’ex capo dell’FMI Strauss Kahn1, una sorta di gruppo di opinione di ambito europeo, con l’obiettivo di creare una
coalizione trasversale che sia capace di opporsi all’egemonia dei paesi nordici con a capo ovviamente la Germania, nella gestione della crisi
economica europea.
Purtroppo gli elementi di novità sembrano in realtà essere molto pochi. Il fatto è che la loro posizione economica continua a rimanere alquanto ambigua e indeterminata. Stanno raccogliendo favori e opinioni, come appunto l’intervento di Fassina sul blog di Varoufakis2 qualche giorno fa, e quello di Tremonti e Paolo Savona3, ognuno dei quali ha in realtà idee alquanto differenti sul da farsi. Per ora la prospettiva sembra quindi essere quella di fare da catalizzatore di opinioni di posizioni critiche verso la moneta unica e/o la sua gestione a guida tedesca.
Leggi tuttoPer nascondere il suo fallimento, il presidente del consiglio sposa la dottrina Picierno. La studiosa dei consumi voluttuari, aveva scoperto, con teoremi ad elevata sofisticazione matematica che, con 80 euro, una famiglia naviga nel lusso per almeno 15 giorni. E, ben prima di Renzi, aveva gettato fango sulla Cgil. Ora, il segretario di un partito coinvolto fino al collo con i guai di mafia capitale, con le primarie liguri che narrano di un tariffario per recarsi ai gazebo, con iscrizioni false e con il Pd della capitale sotto commissario, accusa i sindacati di avere più tessere che idee.
Si tratta di colpi di fumo per coprire il disastro del governo. Dopo la chiacchiera, vengono i fatti a confutare la favola bella della comunicazione che raccontava di miracoli a colpi di tweet. Le cifre smontano l’effetto narcotizzante dei media e parlano di un sottosviluppo permanente per il sud. Di intere generazioni perdute. Di lavoro che non c’è. Di grandi città del silenzio e di giunte del malaffare.
Il fiasco colossale del governo non può essere occultato con il ronzio della narrazione che promette nuovi fantastici tagli di tasse. La corte dei conti ha appena svelato che il trucco di Renzi è semplice: il governo taglia le imposte per farsi bello e poi i comuni sono costretti a spremere la capacità fiscale dei territori. In tre anni la tassazione locale è cresciuta del 22 per cento.
Stretto nella morsa del disastro annunciato, Renzi cerca di sopravvivere inventando nemici, utili per conservare il sostegno dei poteri influenti. A suggerire al premier cattivi pensieri non è certo la minoranza Pd.
Leggi tuttoLa conduzione e la conclusione, per ora, della vicenda greca (luglio 2015), ha visto una nutrita schiera di protagonisti ma tra questi si sono negativamente distinti qualificati esponenti della socialdemocrazia tedesca come Martin Schulz, Presidente del Parlamento europeo e Sigmar Gabriel, Presidente della SPD. Il loro oltranzismo e durezza nel sostenere gli accordi iugulatori imposti alla Grecia, non è stato da meno di quello della Merkel e di Schauble.
Tali comportamenti, apparentemente inaspettati, aprono seri interrogativi e ci interrogano sulla natura e sui destini dei principali partiti del socialismo europeo. Cosa sono oggi questi partiti di quella che un tempo si chiamava Internazionale Socialista? Ed ha ancora un senso parlare di ‘socialismo’ del Partito del Socialismo Europeo?
Venti di crisi soffiano sui partiti maggiori: il risultato delle elezioni politiche in Gran Bretagna (maggio 2015) con la vittoria dei conservatori di David Cameron, la rimonta di Sarkozy in Francia di fronte al traballante Hollande, la perdita del governo da parte dei socialisti spagnoli, l’affanno delle socialdemocrazie scandinave, e buon ultima l’ingloriosa fine del Pasok, già di Papandreu, a favore di Syriza, sono un segno evidente di questa crisi di rappresentanza e di strategia.
Leggi tuttoA fine maggio del 2014 Domenico Moro scrisse per controlacrisi due articoli sul gruppo Bilderberg. Uno in particolare sottolineando il legame di questa "cupola" internazionale con Monica Maggioni, nominata al vertice della Rai. Maggioni ha iniziato la sua carriera tra i "carri armati Usa" in Iraq. E da lì voleva raccontare la guerra. Dal suo punto di vista aveva ragione visto che si è trattato di una invasione praticamente senza resistenza. Ma non si è fermata lì. La pratica dei "circoli che contano" ha strappato altre coccarde. E quella del gruppo Bilderberg è una di queste. Un volta a Rainews ha finito per completare d'opera espungendo del tutto dal palinsesto il giornalismo d'inchiesta e riducendo la testata al pied-à-terre di Renzi e dei vertici del Pd.
"In questi giorni si sta tenendo la riunione annuale del Gruppo Bilderberg, una delle principali organizzazioni del capitale transnazionale. Partecipano per l'Italia Bernabè, Elkann, Monti e Monica Maggioni. In contemporanea esce nelle librerie italiane la seconda edizione aggiornata ed ampliata del mio libro "Il Gruppo Bilderberg. L'elite del potere mondiale". Segnalo che in questa edizione sono riportati i verbali riservati degli incontri principali del Bilderberg tenutisi negli anni 50, 60 e 80.
Leggi tutto“Si dura una gran fatica per comprendere la violenza proletaria quando si cerca di ragionare secondo le idee che la filosofia borghese ha diffuso nel mondo; secondo questa filosofia, la violenza sarebbe un residuo della barbarie e sarebbe destinata a scomparire con la progressiva influenza dei lumi.” George Sorel, Riflessioni sulla violenza
Rileggere oggi Riflessioni sulla violenza
di Sorel, pubblicato nel 1908, è un buon esercizio intellettuale. Aiuta a tenere vigile la capacità critica, che il canto delle
sirene della retorica democratica, della civile società pacificata, pone continuamente sotto minaccia di assopimento. Il testo
colpisce per l’attualità di alcune analisi, accanto a considerazioni oggi decisamente fuori tempo.
Sorel – che può essere inscritto nel filone del ‘sindacalismo rivoluzionario’ – individuava nel mito dello sciopero generale l’unicaleva in grado di innescare una rivoluzione socialista, che avrebbe abbattuto lo Stato democratico borghese e creato i presupposti per la nascita di una nuova società. Non si poneva il problema della progettualità politica della futura società, solo di abbattere quella esistente; ciò che sarebbe venuto dopo, si sarebbe immaginato dopo.
Considerava la via parlamentare, intrapresa dai socialisti progressisti, una presa in giro: un bieco opportunismo da politicante, un “pantano democratico”, il vicolo cieco che avrebbe portato il socialismo alla morte. I “socialisti cosiddetti rivoluzionari del Parlamento” si erano venduti alla filosofia borghese, divenendo sostenitori del sistema capitalistico. Da qui, la necessità di una netta separazione tra le classi sociali, per mantenere l’autonomia culturale e politica della classe subalterna e contrastare l’imborghesimento che già si affacciava anche tra i lavoratori.
Leggi tuttoPiccola premessa: come sempre polemizzo con una posizione (politica, filosofica e quant’altro) soprattutto per cercare di elaborare e
“socializzare” meglio la mia posizione, e non certo per dare addosso a qualcuno che, il più delle volte (come nel caso di specie),
vive per così dire su un altro pianeta rispetto a chi scrive. Veniamo al merito!
«Il filosofo italiano Giorgio Agamben ha detto in un’intervista che “il pensiero è il coraggio della disperazione” – un’intuizione pertinente in modo particolare al nostro momento storico, quando di solito anche la diagnosi più pessimista tende a finire con un cenno ottimista a qualche versione della proverbiale luce alla fine del tunnel. Il vero coraggio non sta nell’immaginare un’alternativa, ma nell’accettare le conseguenze del fatto che un’alternativa chiaramente discernibile non c’è: il sogno di un’alternativa indica codardia teorica, funziona come un feticcio, che ci evita di pensare fino in fondo l’impasse delle nostre situazioni di difficoltà. In breve, il vero coraggio consiste nell’ammettere che la luce alla fine del tunnel è molto probabilmente il faro di un altro treno che ci si avvicina dalla direzione opposta. Del bisogno di un tale coraggio non c’è migliore esempio della Grecia, oggi».
Così scrive Slavoj Žižek commentando le vicende greche post referendarie. Potrei sottoscrivere ogni parola dei passi citati, se essi non rimandassero a una concezione politica e sociale del conflitto interamente prigioniera del dominio sociale capitalistico.
Leggi tuttoIn Cina il fuoco che si nasconde sotto la cenere è molto più pericoloso della fiammata che si è vista di recente nella borsa di Shanghai. I media hanno riportato il fatto eclatante del crollo delle quotazioni e dei titoli sospesi senza cercare di rispondere alle inevitabili domande: Qual è la causa? Chi lo ha provocato? E perché?
Certamente è stato un evento potenzialmente sconvolgente. Dal 12 giugno al 9 luglio il mercato azionario cinese ha perso il 30% cancellando circa 3 trilioni di dollari di capitale. E’ da evidenziare che dopo l’intervento delle autorità monetarie con l’immissione di nuova liquidità per circa 200 miliardi di dollari, la borsa è risalita del 17%. Sono anche in corso indagini per “scovare” gli speculatori che hanno giocato a breve sulla caduta della borsa.
Ovviamente il fuoco non è stato estinto in modo sicuro e definitivo. Le varie bolle finanziarie dei settori privati dell’economia sono il problema numero uno della Cina. Essa ha un debito pubblico – il 43% del Pil – contenuto se paragonato a quello dei Paesi occidentali. Ma il debito delle imprese private (corporate) è pari al 160% del Pil nazionale, che è di circa 11 trilioni di dollari.
Si stima che nei prossimi 4 anni la Cina potrebbe avere bisogno di piazzare titoli di debito, tra nuovi e vecchi da rinnovare, per oltre 20 trilioni di dollari. Anche la bolla immobiliare, come rivelano le tante città fantasma costruite e non abitate, potrebbe diventare una bomba ad orologeria.
Leggi tuttoI padroni non vogliono dai loro subalterni solo quello che riescono a estorcere con il lavoro, ne pretendono anche l'anima. Poco importa se le condizioni lavorative stanno ormai retrocedendo a forme ottocentesche.
Le scienze sociali, arruolate alle esigenze dell'impresa, da tempo rilevano come in tempi di crisi sia necessario che i lavoratori e i consumatori vendano la propria anima – e non solo la forza lavoro e i loro redditi - al mercato. Si chiama Happyness Industry, l'industria della felicità.
Diffondere ottimismo nella società e sentimenti positivi dentro le imprese, sta diventando uno strumento indispensabile per far ripartire l'economia in quei paesi a capitalismo avanzato che hanno subìto più duramente le torsioni dell'ultima fase della crisi capitalistica.
E' interessante quanto riporta su questo tema un ampio servizio de La Repubblica, che pure è un giornale di prima linea dentro questo meccanismo.
Il saggio del sociologo britannico William Davis, descrive come “le aziende oggi stanno investendo così tante risorse nel renderci felici che chi non si mostra entusiasta di tutto ciò viene visto come un sabotatore da tenere d'occhio”. In alcune selezioni aziendali, ad esempio, se ne colpisce uno per educarne nove a mostrarsi felici del lavoro chiamati a svolgere.
Leggi tuttoLeggendo Comunismo ermeneutico di Gianni Vattimo e Santiago Zabala, questa appassionata difesa delle ragioni della combinazione fra
l’appello a un ordine più giusto e democratico, a cui essi assegnano il nome di comunismo, e la riproposizione dell’ermeneutica
come autentica svolta nel pensiero, la mia mente è quasi inavvertitamente corsa alle pagine della Scienza della logica di Hegel in cui
quest’ultimo affronta la questione della natura del giudizio, differenziandola attentamente da quella della proposizione. Per Hegel, infatti,
come è noto, non necessariamente un Satz trascorre in Urteil. Affinché quest’ultimo sia tale infatti occorre che
si ponga come negativo il predicato, e cioè, detto in termini più prosaici, ci si domandi se effettivamente il secondo termine di ogni
proposizione, il predicato, convenga al primo, il soggetto. Hegel articola il suo ragionamento facendo l’esempio della proposizione
“Aristotele morì nel suo settantatreesimo anno di età, nell’anno quarto della 115cesima Olimpiade”. Questa
proposizione sarebbe, appunto, tale e non giudizio fino a quando, “una delle circostanze, il tempo della morte ovvero l’età di quel
filosofo, fosse stata messa in dubbio, e per qualche motivo si affermassero però le cifre qui addotte.
Dopo aver dedicato ampio spazio
alla crisi greca, da qualche giorno i media hanno cominciato a dedicarsi alle cose di casa nostra con lo scopo di preparare l’opinione pubblica
ai prossimi tagli sulla sanità e alla prossima stretta sul diritto di sciopero.
La sconfitta greca ha per ora allontanato le paure della borghesia e del governo di un rischio di ripresa delle lotte per contagio greco; anche se la possibilità di costruire un’alternativa al binario unico delle politiche di austerità è stata per il momento allontanata, torna la necessità, per le classi dirigenti, di costruire il terreno fertile intorno alle prossime manovre annunciate da Renzi in questa calda estate. Si avvicina la Legge di stabilità e con essa la necessità di proseguire nelle politiche di austerità utili a reperire risorse per continuare a mantenere alti rendite e profitti. I rimedi, fino a quando non verranno imposte politiche economiche alternative a quelle di austerità, saranno ricercati sempre nelle stesse tasche e ad essere saccheggiati saranno sempre i settori pubblici e sempre le stesse categorie sociali (lavoratori e pensionati in primis) che, a turno, vengono spremuti.
Leggi tuttohttp://www.sinistrainrete.info/filosofia/5334-toni-negri-egemonia-gramsci-togliatti-laclau.html
http://www.sinistrainrete.info/europa/5316-fcoin-e-afumagalli-grecia-la-danza-sullabisso.html
http://www.sinistrainrete.info/europa/5322-emiliano-brancaccio-i-mercati-scommettono-su-grexit-e-la-sinistra-insegue-matteo-salvini.html
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Il Trattato
di Lisbona del 2007, nella parte in cui elenca i fondamenti
dell’Unione europea, menziona una formula
carica di ambiguità: economia sociale di mercato. Molti
ritengono che sia un richiamo al capitalismo dal volto umano,
quindi a un ordine
economico incompatibile con lo sconcertante epilogo della
crisi del debito greco. Non è così: quella formula ha una
lunga storia, tutta
tedesca e tutta in linea con quanto avviene ad Atene.
Come si sa, il nazismo esattamente come il fascismo affossarono la democrazia ma non anche il capitalismo: la prima venne anzi sacrificata sull’altare del secondo, fatto che alla conclusione del secondo conflitto mondiale era considerato pacifico dai più. Tanto che nello scontro sulla costituzione economica della rinata democrazia tedesca era nettamente prevalente l’opzione per la democrazia economica: la situazione in cui lo Stato disciplina il mercato per renderlo un luogo nel quale le persone possono emanciparsi, se del caso contro il principio di concorrenza.
Gli oppositori della democrazia economica, detti
ordoliberali, ritenevano invece che un mercato retto dalla
concorrenza consentisse la migliore
distribuzione della ricchezza, e che a queste condizioni
l’inclusione sociale coincidesse con l’inclusione nel mercato.
Leggi tutto
Questo pezzo è uscito sul numero di agosto di Linus. Ringraziamo gli autori e la testata
Alla fine era nell’aria:
al di fuori dei canali che una volta avremmo detto
tradizionali, e a fianco delle testate che per decenni
sono servite come riferimento per il “dibattito
politico-culturale” – qualunque significato decidiate di dare
alla famigerata
formula – si è sviluppata negli ultimi anni una… come vogliamo
chiamarla? New wave dell’opinionismo da terza pagina? Giovane
scena intellettual-letteraria? Nuova generazione del
giornalismo più o meno critico, più o meno militante?
Se non sapete di cosa stiamo parlando fidatevi di noi, che a parlare di robe simili rischiamo un conflitto d’interessi grande così poiché a questo mondo in qualche modo partecipiamo (seppur ai livelli più infimi). Diciamo allora che negli ultimi cinque, dieci anni è venuta a comporsi una costellazione di testate e firme che, se non ha interamente monopolizzato il dibattito di cui sopra, quantomeno ne sta fornendo una versione laterale e col passare del tempo forse persino influente.
L’armamentario è quello di sempre: editoriali di commento,
saggi critici, approfondimenti di varia natura, articoli alle
volte
brillanti alle volte meno, “pezzi definitivi” e via di questo
passo. Leggi tutto
Nell'avvicinarsi di ferragosto, sarà per il caldo o per la scarsità di notizie, imperversa su molti quotidiani un lezioso dibattito che vede esprimersi le molte sinistre voci della sinistra istituzionale.
Sul Manifesto si possono leggere vari interventi in una discussione aperta da Norma Rangeri chiamata “c'è vita a sinistra”. Già l'assenza di una qualche punteggiatura dopo la frase dovrebbe mettere all'erta. Non ci sono né punti esclamativi né interrogativi, quasi si desse per scontata una risposta affermativa. Ma senza troppa convinzione in fondo. Ha fatto qui notizia per primo Fassina che, folgorato sulla via di Atene, dopo aver votato le peggio cose in parlamento, sostenuto le grandi opere e aver avuto ruoli di governo, sostiene d'improvviso l'uscita dall'Euro (!). Poi arriva Bertinotti, e scopriamo che “la sinistra di governo è una via senza sbocco”. Da uno che verrà ricordato per aver partecipato alla sfilata delle forze armate in qualità di ministro, ma con una spilletta della pace appuntata sul giacchetto, si rimane un po' spiazzati... Ma a quel punto arriva Sergio Cofferati, ex-sindaco di Bologna con una delle amministrazioni più di sinistra della storia della città, col merito di aver anticipato di molti anni Salvini. Infatti, mentre il leader leghista si fa stampare una ruspa sulla maglietta, Cofferati la ruspa per sgomberare le comunità rom stanziate su un fiume cittadino la utilizzò davvero.
Leggi tuttoLa serie di balle agostane non ha probabilmente precedenti: non si tratta solo della necessità di riempire troppe pagine e troppe ore di chiacchiericcio, ma anche del fatto che ormai la menzogna, il nascondimento, l’interpretazione scorretta, l’appiattimento ad ufficialità sospette è talmente entrata nel sangue e nella carne dei media che quando manca il carburante giornali e televisioni devono fare come i ciclisti bombati, vale a dire tutti, che sono costretti a correre anche nei giorni di riposo altrimenti il sangue si coagula.
Così alla scarica di improbabili miliardi promessi e a quelli realmente derubati alla sanità, si affiancano il presunto attentato del Daesh alla regina d’Inghilterra o la notizia che il primo ministro finlandese abbia promesso la fine del lavoro nel suo Paese, news peraltro ripresa da siti liberisti i quali hanno giustificato questa mossa col fatto che la Finlandia può permetterselo grazie agli introiti del petrolio. Gli scimmiottatori della solonaggine da strapazzo degli economisti , nemmeno si sono accorti che la Finlandia non produce una goccia di petrolio.
Sono solo alcune fra le sciocchezze riportate come fossero verosimili e credibili forse per nascondere il marcio vero e il comico di alcune cose come il nuovo Cda della Rai. Stranamente però non appena Buzzi ha cominciato a parlare dei “contributi ” e degli affari svoltesi al di là dell’amministrazione Alemanno, coinvolgendo Marino e Zingaretti, ovvero il partito della nazione nel suo complesso ecco che da bocca della verità è diventato d’un tratto inattendibile a canali unificati e accusato di voler pateticamente trascinare degli onest’uomini nel fango per salvarsi.
Leggi tuttoLa Lega è stata al governo con Berlusconi per più di dieci anni. Ha avuto una decina di ministri chiave, fra cui quelli dell’Interno, del Bilancio, dell’Industria, del Lavoro, dell’Agricoltura, dei Trasporti, della Giustizia, della Salute, e delle Riforme. Ha avuto centinaia fra sottosegretari, sindaci, assessori, governatori, e boiardi. La Lega è ancora al governo in molte zone del Nord.
Eppure Matteo Salvini riesce regolarmente a spacciarsi per un outsider rivoluzionario. Realizzando ogni giorno il suo compito di dirottare l’incazzatura degli italiani sugli immigrati, convincendo gli elettori che la principale causa delle loro sofferenze non sia la parassitaria classe dirigente della quale lui fa parte da sempre, ma i profughi appena arrivati che hanno il torto di non essere annegati tutti durante il tragitto.
Esattamente come Renzi, Salvini è un politico di professione.
Dal 1993, quando fu eletto consigliere comunale di Milano.
Esattamente
come Renzi, Salvini è un cazzaro.
Ed è proprio per questo che ha successo. Gli italiani ne hanno
bisogno. Il Sóla delle
Alpi è oggi il più vicino a sostituire nei loro cuori il
fiorentino al tramonto.
Perché gli italiani non sopportano la
verità.
Quei due periodi di
storia che Costanzo Preve, nella sua Storia critica del
marxismo (ed.
La Città del Sole, Napoli 2007), chiama "medio-marxismo"
(1914-56) e "tardo-marxismo" (1956-91), per lui non hanno
"alcun rapporto con la
teoria originale di Marx", per cui il discorso, col marxismo
classico, è praticamente già chiuso. Preve rifiuta persino la
rivoluzione d'Ottobre, e pensa di poterlo fare a buon diritto,
visto ch'essa è fallita.
In sostanza l'ultimo Preve riteneva d'essere l'unico interprete adeguato di Marx, l'unico a non averlo né frainteso né censurato né strumentalizzato. D'altra parte lui stesso se ne vantava: "la mia riesposizione critica è talmente diversa e talmente 'dirompente' in rapporto a tutte le principali correnti del marxismo... da apparire non tanto 'folle' quanto strana ed eccentrica" (pp. 166-7).
Tuttavia, a fronte dei 150 anni di storia del marxismo, un
minimo di umiltà o di circospezione sarebbe quanto meno
desiderabile. Il
fatto che il cosiddetto "socialismo scientifico" sia andato
incontro a cocenti sconfitte storiche, non ci autorizza a
sottovalutare le
capacità intellettuali di chi ci ha preceduto o a valorizzare
soltanto le idee che più somigliano alle nostre. Leggi tutto
I contaballe governativi possono raccontare che
l’Italia non farà la fine della Grecia perché è ancora un
grande paese manifatturiero, ma la Confindustria li smentisce.
“L’Italia scende all’ottavo posto nel manifatturiero,
scavalcata dal Brasile. Perse in 12 anni 120.000 fabbriche”
(il
Sole- 24 ore) . “In sei anni quindi l’Italia è passata
dal quinto all’ottavo posto”. (1) Infatti era superata
solo da Usa, Cina, Giappone e Germania. la perdita in termini
relativi era prevedibile da chiunque, visto lo sviluppo di
paesi giganteschi come
Brasile e India; ma si è aggiunta quella in termini assoluti,
con un crollo della produzione. Anche in altri settori, come
finanza e
agricoltura, dove l’Italia non aveva posizioni di vertice, la
crisi si è fatta sentire, e persino nel campo del turismo,
dove
l’enorme patrimonio artistico e storico è trascurato e in
pericolo, come a Pompei, o insidiato dalla speculazione
edilizia grazie anche
all’incuria criminale dei governi. Quanto al caos dei
trasporti odierno in Italia (non solo negli aeroporti, ma
anche nei treni dei pendolari e
in quel fenomeno inaudito che è la Salerno – Reggio Calabria)
si tratta di un sintomo assai chiaro della decadenza
dell’imperialismo italiano. Non sono fenomeni nuovi,
imprevedibili, e scritti che ormai hanno quasi un secolo ne
spiegano le cause. Sentiamo
Lenin:
“L’imperialismo puro, senza il fondamento del capitalismo, non è mai esistito, non esiste in nessun luogo e non potrà mai esistere.” “Se Marx diceva della manifattura che essa è la sovrastruttura della piccola produzione di massa, l’imperialismo e il capitalismo finanziario sono una sovrastruttura del vecchio capitalismo. Se ne demolite la cima, apparirà il vecchio capitalismo.””…il caos dei trasporti… esiste anche negli altri paesi, persino nei paesi vincitori. Orbene, che cosa vuol dire il caos dei trasporti nel sistema imperialistico? Il ritorno alle forme più primitive della produzione mercantile.” (2)
Leggi tuttoQuattro scenari per il dopo voto sulle (contro)riforme costituzionali di settembre: 3 sono (quale più, quale meno) sfavorevoli a Renzi, il quarto potrebbe essergli fatale
Renzi ostenta
sicurezza. Glielo impongono tanto le regole della
comunicazione politica, quanto l’innato bullismo. Ma questa
volta
la situazione appare davvero complicata. Il segretario del
Pd ha voluto troppo, per i suoi interessi di potere come per
le sue spicciole esigenze di
propaganda. La risultante è che adesso i nemici sono davvero
tanti, e potrebbero coalizzarsi.
Il decisivo passaggio che si approssima all’orizzonte è ovviamente quello delle (contro)riforme costituzionali. Originariamente il voto del Senato era previsto per luglio, poi ladebacle elettorale di maggio ha imposto lo slittamento a settembre, alla ripresa dell’attività parlamentare dopo la pausa estiva.
Il
momento della verità è dunque assai vicino. La notizia di
venerdì è che la minoranza del Pd ha annunciato che i
senatori a favore del Senato elettivo – e dunque contrari al
progetto
renziano – avrebbero raggiunto quota 170, ben al di là della
soglia di maggioranza di 160. Tra questi gli appartenenti al
gruppo Pd
sarebbero 28. Un bel campanello dall’allarme. Rilanciato con
grande evidenza da la Repubblica, che ha dedicato alla
questione le prime quattro pagine dell’edizione
di ieri. Leggi tutto
Mi ha sempre fatto
sorridere l’idea che il riconosciuto araldo del capitalismo,
Leon
Walras , venisse innalzato agli onori degli altari
della teoria delle economie pianificate tipiche degli stati
collettivisti, come l’Unione
Sovietica e i suoi ex satelliti. Come è possibile? Eppure è
così.
Forse qualche lettore smaliziato lo avrà notato, leggendo il funzionamento del sistema di equazioni del EEG. Per tutti gli altri ricordiamo che, se fosse possibile risolvere i problemi di calcolo del sistema walrasiano, allora sarebbe, in via teorica, possibile programmare a priori tutte le scelte di produzione e scambio, sicuri che ciò determinerebbe la massima utilità di ogni operatore, concetto che, almeno economicamente parlando, è analogo a quello di bene collettivo cui ogni Stato Etico di tipo hegeliano che si rispetti (ironico, NdA) dovrebbe tendere.
I primi che spinsero in tal direzione il pensiero del povero Walras furono Enrico Barone, Oskar Lange e Maurice Dobb, che si scontrarono fin da subito con il rifiuto dei liberali F.von Hayek e L.von Mises che ciò fosse possibile. Il problema era che nè Marx nè Engels pur riconoscendo, al pari di Schumpeter , la necessità di una economia pianificata, si erano occupati di descriverne il funzionamento.
Leggi tuttoIl caso della Banda Larga: il liderino renzifonzi ci fa sapere che l'efficienza del mercato, della concorrenza, dell'iniziativa privata è una insulsa buffonata
Ve la ricordate quella bella favoletta che vi hanno insegnato in tutte le scuole di ogni ordine e grado che avete frequentato e i cui personaggi erano la "concorrenza perfetta" che garantiva il massimo dei benefici ai produttori e ai consumatori di beni, il mercato quale "migliore allocatore di beni e servizi" immaginabile da mente umana, l'insuperabile efficienza della libera iniziativa privata che garantisce sempre e comunque il meglio del meglio che si possa desiderare?
Ve la ricordate?
Dovreste, perché la favoletta viene ripetuta ogni giorno, milioni di volte al giorno, da tutto l'universo mediatico con cui venite in contatto (tv, giornali, web, pubblicità, ecc.)
Beh, adesso che vi siete ricordati metteteci una pietra sopra e dimenticatevela, la favoletta, perché proprio da uno dei massimi esponenti del pensiero unico fondato sulla religione del mercato, il liderino renzifonzi, abbiamo saputo che l'efficienza del mercato, della concorrenza, dell'iniziativa privata è una insulsa buffonata.
Leggi tuttoL’ultimo libro di Gaspare De Caro, Rifondare gli italiani? (Jaca Book, Milano, 2014), è una storia non convenzionale del cinema neorealista e dei suoi effetti sulla cultura e sull’immaginario collettivo del nostro secondo dopoguerra. In quel contesto storico, una naturalis oboedientia, una servitù volontaria, permette – secondo de Caro – la rimozione dei traumi storici del fascismo e della guerra perduta: la cultura italiana viene ricodificata in termini di riconciliazione e unità nazionale.
La storia del cinema neorealista si divide tra una breve e intensa attività testimoniale e critica e una produzione media diffusa, in cui gli epigoni divengono interpreti della buona coscienza nazionale e creano un “cinema della rimozione, una scuola di oboedientia”. “Di fatto – scrive De Caro – ciò che dà senso omogeneo e unificante al cinema del neorealismo, debilitando le testimonianze trasgressive, è l’impegno collettivo a esorcizzare […] gli ingrati fantasmi della guerra e del dopoguerra”. La volontà di trasgressione radicale culmina nelle due grandi trilogie di Rossellini e De Sica. In esse diviene visibile, contro ogni retorica populista e nazionale, lo stato di umiliazione e desolazione, che segue l’8 settembre e segna l’immediato dopoguerra. Si può leggere Ladri di biciclette come la storia di una generazione precipitata dalle altezze pseudo-imperiali e dalle sue aquile di cartapesta in una derelizione e in una vergogna senza fine di fronte ai propri figli; o si può riconoscere, per fare un altro esempio, la caduta di ogni ordine simbolico e morale, nella durissima sequenza di Paisà (episodio di Napoli), quando lo scugnizzo porta il soldato americano nella grotta infera dove si nascondono i sopravvissuti dei bombardamenti, senza casa e ridotti a una vita elementare.
Leggi tuttoMezzo di scambio/mezzo di pagamento: Sulla moneta in generale e più particolarmente sulla moneta dei primitivi (pp. 11-60)
Questo piccolo saggio è diviso nettamente in due parti. La prima (pp. 11-34) è una presa di posizione sulle tesi attuali dell'economia politica, seguita da una critica della definizione abituale della moneta, e porta ad una nuova definizione; la seconda parte (pp. 34-60) applica questa nuova definizione alle società primitive, motiva le ragioni della loro specificità e conclude con una visione evolutiva del fenomeno monetario.
All'inizio del saggio, l'autore comincia respingendo l'idea
che ci possa essere una definizione propriamente antropologica
della moneta. Gli
economisti, gli antropologhi, gli storici ed altri specialisti
delle scienze sociali, se vogliono comprendere e scambiare il
loro rispettivi punti di
vista, devono riferirsi ad una medesima realtà, devono
utilizzare gli stessi concetti, e ricorrere alla medesima
definizione.
Viene poi
messa in discussione la fondatezza della definizione
tradizionale economico-politica della moneta, che parte dalle
sue "funzioni". Prima di avere
delle funzioni, la moneta dev'essere vista come un bene, una
ricchezza, e perfino come il bene più prezioso che si possa
detenere. Leggi tutto
Con
l’improvvisa e disastrosa alluvione di Firenze della scorsa
settimana è salita nuovamente agli onori delle cronache una di
quelle
proposte che dovrebbe far accapponare la pelle, provocando un
moto generalizzato di rifiuto: quella di mettere a lavorare
gratis –
apparentemente come «volontari» – i cosiddetti «profughi» (o,
usando una sineddoche, gli «immigrati»).
Fautori della proposta – che tra l’altro si è concretizzata
nei giorni successivi – sono stati questa volta il governatore
della Toscana Enrico Rossi e il sindaco di Firenze Dario
Nardella, un renziano di ferro. I due, subito dopo
l’alluvione, hanno esaminato varie
ipotesi, tra le quali c’era «anche la possibilità di
utilizzare i profughi ospitati in Toscana per i primi
interventi di
pulizia e ripristino, utilizzando anche la convenzione
attivata con Inail per l’assicurazione per lavori di
pubblica utilità»
(leggi).
Poche ore dopo,
Nardella ha dichiarato che «i profughi ospiti della
Regione Toscana, e in particolare quelli che sono a Firenze
e nei comuni limitrofi, da
domani potranno essere di supporto alla Protezione Civile di
Firenze […] e saranno utilizzati in particolare per il
ripristino del verde
pubblico» (leggi).
Nei giorni successivi, mentre alcuni immigrati si offrivano volontari per aiutare nel ripristino della normalità a Firenze, Rossi in un’intervista si spingeva oltre:
Leggi tuttoLa prospettiva del
default greco e dell’uscita dall’Unione Economica e Monetaria
(UEM) è sorta per la prima volta durante la crisi della zona
euro nel
2010. Dal punto di vista della teoria monetaria, il problema
della Grecia è semplice: un’economia debole con rilevanti
problemi
istituzionali si è unita ad una unione monetaria
strutturalmente carente. Questa è la classica trappola di una
economia debole che
adotta una valuta forte – e intrinsecamente problematica. Ci
sono solo due vie d’uscita: o la UEM dovrà essere
completamente
ricostruita, o la Grecia dovrà considerarsi inadempiente sul
proprio debito ed uscire.
La causa principale del malfunzionamento della UEM è la politica della Germania di mantenere bassi i salari nominali, cosa che le ha dato un grande vantaggio competitivo e le ha permesso di diventare un creditore importante in Europa. Adottando un approccio neo-mercantilista, la Germania ha costretto la sua economia interna ad una persistente debolezza della domanda, cercando allo stesso tempo di arricchirsi commerciando con l’estero. I comuni tedeschi, soprattutto i salariati, hanno fatto le spese di una politica che avvantaggia i grandi esportatori e le banche.
Leggi tuttoCostruire potere nella
crisi: così abbiamo intitolato il seminario di
Euronomade che si terrà a Roma dal
10 al 13 settembre. È del resto questo il problema di fondo
attorno a cui abbiamo cercato di lavorare negli ultimi due
anni. A fronte della
violenza della crisi, dell’attacco portato alle condizioni di
vita e lavoro in particolare nei Paesi mediterranei
dell’Europa, abbiamo
continuato a domandarci come sia possibile passare dalla
resistenza alla effettiva costruzione di alternative. Il
potere che ci interessa costruire
è alimentato dalla dinamica e dal ritmo delle lotte sociali,
ma deve fissarsi al tempo stesso in una stabile configurazione
istituzionale. Come
molti e molte abbiamo l’impressione che oggi si pongano
questioni che in qualche modo stanno al di qua (o al di là)
della grande
divisione tra “riforme e rivoluzione” che si impose
all’interno del movimento operaio europeo nel primo Novecento,
nel solco del
dibattito sul “revisionismo”. L’esaurimento del riformismo
storico, socialdemocratico, è sotto gli occhi di tutti. Ma
dobbiamo avere l’onestà di riconoscere che anche le ipotesi
rivoluzionarie che abbiamo conosciuto appaiono svuotate di
efficacia
politica, ridotte a roboante retorica consolatoria o a
farsesca messa in scena di un’insurrezione a venire. Alle
spalle di questa duplice crisi
c’è una trasformazione radicale del modo di produzione
capitalistico e della composizione del lavoro, che da qualche
decennio abbiamo
contribuito ad analizzare senza essere ancora riusciti a
forgiare gli strumenti politici necessari per rendere
efficace, nelle condizioni nuove della
lotta di classe, il nostro persistente desiderio comunista. Leggi tutto
Toni
Negri: Egemonia: Gramsci, Togliatti,
Laclau
F.Coin
e A.Fumagalli: Grecia: la danza
sull’abisso
Emiliano
Brancaccio:
I mercati scommettono su Grexit. E la sinistra insegue Matteo
Salvini
Etienne
Balibar: Democrazia
fine corsa: la Grecia, l’Europa e noi
Luca
Illetterati: La realtà. Hegel
oggi
Vladimiro Giacché ha commentato così su Twitter le ultime vicende cinesi: “La Cina svaluta dell’1,9% e molti gridano alla guerra valutaria. Gli stessi che ritengono un regalo la rivalutazione del 350% del marco DDR”. Vi chiederete: “Ma cosa c’entrano vicende europee di 25 anni or sono con quanto sta accadendo in Cina oggi?” Risponderò con dei dati e un proverbio (italiano, perché dalla Cina importiamo già troppo).
Nel 2013 il surplus della bilancia dei pagamenti dell’Eurozona ha superato quello della Cina: rispettivamente, 251 e 182 miliardi di dollari. Questo risultato ovviamente è dovuto all’unica economia rimasta in piedi, quella tedesca. La Germania aveva superato la Cina nel 2011: 228 miliardi di surplus estero contro 136. Cina e Germania sono le due più forti potenze esportatrici al mondo, ma hanno gestito questa loro posizione in modo molto diverso.
La Cina ha lasciato rivalutare il renminbi rispetto al dollaro, per un totale del 25% da giugno 2005 a giugno 2015. Ciò ha reso i prodotti cinesi meno convenienti sui mercati internazionali, soprattutto perché in Cina i prezzi sono cresciuti più rapidamente. Di conseguenza in Cina il tasso di cambio reale, cioè corretto per l’inflazione, è cresciuto del 45% in dieci anni. I giornali raccontavano la favoletta del cinese sleale che trucca il cambio per drogare il surplus estero, ma stava succedendo il contrario: il saldo commerciale cinese, dal 6% del Pil nel 2005, scendeva a un più moderato 2% nel 2014. La Germania si è comportata in modo opposto: il suo cambio reale è sceso e il suo surplus estero cresciuto.
Leggi tuttoCraig Roberts su Counter Punch denuncia la desolante realtà americana, in cui i grossi interessi corporativi riescono, spesso con il silenzio o la complicità delle corrotte istituzioni pubbliche che essi stessi manovrano, a macinare profitti scaricando i costi sulla collettività. Se questo è l’esito di un processo di produzione capitalistica teoricamente regolamentato, figuriamoci l’esito di un ipotetico capitalismo deregolamentato
Poche o nessuna grande azienda assorbe l’intero costo delle proprie operazioni. Le aziende gettano molti dei propri costi sull’ambiente, sul settore pubblico, e su terzi da cui sono ben distanti. Per esempio, 3 milioni di galloni di rifiuti tossici liquidi sono recentemente fuoriusciti da una miniera in Colorado e si sono riversati in due fiumi nello Utah e nel Lake Powell. I sistemi idrici di almeno sette città sono stati chiusi. I rifiuti sono stati prodotti da un’impresa privata, e sono stati accidentalmente riversati dall’Agenzia di Protezione Ambientale, il che può essere vero o essere solo una copertura per la miniera. Se il bacino idrico di Lake Powell dovesse finire inquinato, è facile pensare che il costo che le attività della miniera avranno imposto a terzi supera il valore della produzione totale della miniera durante la sua intera esistenza.
Gli economisti li chiamano “costi esterni” o “costi sociali”. La miniera genera profitti e produce inquinamento, e il costo di tale inquinamento viene sostenuto da chi non riceve alcuna parte dei profitti.
Se a funzionare così è il capitalismo regolamentato, potete immaginare che disastro sarebbe un capitalismo senza regole. Pensate al sistema finanziario non regolamentato, alle conseguenze che stiamo ancora subendo e a quelle che devono ancora arrivare.
Leggi tuttoL'economista svizzero: «La svalutazione dello Yuan creerà una situazione incompatibile con la rigidità di Schäuble. Con il venire meno della forza della Germania, cioè lo sbocco in Oriente, non vedo come potranno funzionare le sue politiche ossessivamente austeritarie
L’Europa potrebbe raccogliere la chance offerta dalla crisi cinese per rovesciare l’assetto economico imposto al continente dall’austerità. Per l’economista Christian Marazzi la svalutazione dello yuan voluta da Pechino mercoledì scorso potrebbe aprire uno spiraglio per il rilancio di politiche espansive nell’Eurozona. «Venendo meno la possibilità di esportare massicciamente in Cina – ragiona l’autore de E il denaro va (Bollati Boringhieri) e Diario della crisi (Ombre Corte) — la Germania potrebbe avere interesse nel rilancio della domanda interna entrando così in una fase post-austeritaria”.
La Germania soffre da almeno un anno la crisi cinese, ma il suo governo non sembra intenzionato a cambiare impostazione. È uno scenario credibile?
In effetti ci confrontiamo con un fanatismo ordoliberista sempre più politico. La rigidità con la quale i tedeschi continuano ad affrontare la Grecia, ostentando la loro egemonia, lascia in sospeso questa chance. Ma la situazione che è stata ufficializzata dalla Banca del popolo cinese (Bpc) è incompatibile con la rigidità di Schäuble. Con il venire meno della forza della Germania, cioè lo sbocco in Oriente, non vedo come potranno funzionare le sue politiche ossessivamente austeritarie. Si potrebbero addirittura immaginare le sue dimissioni o una crisi seria del governo.
Leggi tuttoLa farraginosa
complicazione
del diritto europeo fa sì che ben pochi tra i comuni
cittadini siano consapevoli di quali siano le modalità
di governo della UE, un’organizzazione che sta diventando
sempre più determinante per le nostre vite. In questo
quadro oscuro, può accadere che organismi
informali prendano delle decisioni per le quali non hanno
alcun potere e al di fuori di ogni
certezza del diritto…e nessuno se ne accorga! Sul suo blog Goofynomics, il prof. Alberto
Bagnai analizza storia e origini dell’Eurogruppo,
quest’organo stravagante che paradossalmente (e non per
caso) ha in mano la gestione della crisi dell’euro. Una
lettura
indispensabile
Supponiamo che gli
assessori alla
finanza dei comuni di Manchester, Glasgow, Nottingham e Oxford
si incontrino per caso in spiaggia a Bristol (Regno Unito).
Decidono di prendere una
birra insieme e durante questo incontro informale prendono
un’altra, meno irrilevante, decisione: aumentare la
vostra pressione
fiscale. Sì, voglio dire proprio la vostra, anche
se vivete a Londra, o Smarden, o Edimburgo, o dovunque nel
Regno Unito …
Quali sarebbero le vostre reazioni il prossimo anno, una volta giunto il giorno felice di pagare le tasse? Suppongo che sareste contrariati. Ma, soprattutto, probabilmente vi porreste una ovvia domanda : “Chi o cosa mai al mondo ha dato a questa gente il diritto di aumentare la mia aliquota fiscale?”
La risposta è: nulla. Sono abbastanza sicuro che non c’è
niente nella Costituzione inglese (o francese, o tedesca) che
garantisce a una riunione informale di politici locali il
diritto di aumentare le tasse a livello nazionale, o anche a
livello locale.
Una decisione del genere, se fosse applicata da una qualche
autorità, provocherebbe subito una rivolta. Leggi tutto
1.
L'approccio analitico, che
ci fa affrontare un tema alla volta, pur cercando di
evidenziarne le connessioni generali e specifiche, può essere
talvolta fuorviante.
Proviamo allora a cogliere fenomenologicamente, per flash(es) essenziali lo scenario.
Questo approccio ci consente di meglio cogliere sia la tendenza "unificante" sia il livello di bis-linguaggio che domina l'informazione nel "blocco occidentale" (se pure questa definizione ha ancora un senso) e, soprattutto, in modo sempre più tragicomico, in Italia.
2. La prima cosa che risalta, sul piano globale, è che, da un lato, tutti si agitano sulla crisi dei BRICS, le vecchie locomotive post crisi sub-prime, che avrebbero tenuto a galla il mondo con la loro crescita e con l'afflusso di capitali (ora, al 50% già rifluiti verso un dollaro sempre più forte); ma, dall'altro, non si rinuncia a discutere della (altrettanto tragicomica) pantomima del rialzo dei tassi da parte della Fed.
Sul primo punto: è abbastanza evidente, ormai, dopo 7 anni di
mancata uscita dell'eurozona dalla recessione e dalla
stagnazione, per
manifesta "austerità credibile", cioè "espansiva" (dei debiti
pubblici), che non è il mondo emergente, i BRICS,
caratterizzati dall'essere esportatori (inter alios) di
materie prime e di manufatti da fabbriche "delocalizzate", a
tirare giù l'€uropa.
E' vero piuttosto il contrario. Leggi tutto
È un peccato che del post
pubblicato sul suo blog da Stefano Feltri
giovedì 13 agosto non sia rimasta traccia della versione
originale, pubblicata il giorno prima. Il breve articolo in
cui il vice direttore del
Fatto Quotidiano prendeva posizione contro le facoltà
umanistiche, tacciate di scarsa utilità e di spreco di risorse
pubbliche,
è stato successivamente corretto – cosa evidenziata da lui
stesso in calce all’attuale versione – poiché riportava
degli errori. E visto che il commento aveva suscitato un
dibattito piuttosto vivace – tanto che l’autore ha sentito poi
l’esigenza
di tornare sull’argomento il
giorno
dopo – sembrava giusto correggerlo. E fin qui nulla di
male: la rete consente di aggiornare le versioni dei propri
scritti e se ci si avvale
di questa facoltà onestamente (cioè segnalandolo) non c’è
alcun problema.
Tuttavia la versione originale, forse perché scritta di getto, magari prestandoci poca attenzione perché destinata al pubblico disattento della settimana di Ferragosto, aveva qualcosa di illuminante per quanto riguarda le scorciatoie mentali con cui trattiamo certi temi. Il pensiero di Stefano Feltri lo si può desumere direttamente dai suoi articoli, ma per completezza ne faccio una sintesi (estrema): un laureato in ingegneria ha più possibilità di trovare lavoro di un laureato in lettere, a cinque anni dalla laurea guadagna di più e può permettersi più servizi. E fin qui l’acqua calda. La conclusione, poi, è la seguente: perché la collettività dovrebbe accollarsi i costi di facoltà che producono disoccupati? Lo studio delle lettere, ad esempio, è poco funzionale alla produzione di posti di lavoro: che lo finanziamo a fare?
Leggi tuttoE’ come Mister Hide che dà del criminale a Jack lo squartatore. Il candidato repubblicano alla presidenza degli Stati uniti, Jeb Bush, fratello di George W., ha attaccato la candidata democratica alla presidenza Hillary Clinton ritenendola corresponsabile della crescita del sedicente Stato islamico (Daesh) per la sua gestione del dossier iracheno quand’era segretaria di Stato del presidente Obama: la colpa di Obama-Clinton sarebbe stata di aver fatto partire le truppe statunitensi dall’Iraq, ignorando la minaccia Daesh.
In realtà, H. Clinton è piuttosto responsabile (con tanti altri) per aver appoggiato tre guerre che hanno praticamente generato Daesh e tutti i suoi alleati che stanno distruggendo Medioriente e Africa. Tre guerre, un triangolo infernale.
Iraq 2003. H. Clinton votò a favore della guerra di Bush. L’invasione portò alla crescita di gruppi jihadisti. Le prigioni statunitensi in Iraq, in particolare Camp Bucca, furono la palestra nella quale jihadisti si conobbero, fecero proseliti e si organizzarono per le lotte future per il califfato.
Libia 2011. Il tristo esultare della Clinton davanti al linciaggio e alla morte di Muammar Gheddafi, quel suo «we came, we saw, he died» è solo la sguaiata punta dell’iceberg: dal febbraio 2011, in Libia, i paesi occidentali e del Golfo hanno collaborato dal cielo (bombardamenti Nato) e a terra (servizi segreti e corpi speciali) con i “ribelli” libici, fra i quali note forze qaediste.
Leggi tuttoAll'origine - e nessuno delle anime belle dell’integrazione (non ambita da nessuno) e del meticciato felice e dei piagnoni ipocriti che si stracciano le vesti sulla vera disperazione e sul vero maltrattamento dei migranti, a sinistra e destra, lo considera – c’è un’unica causa: le guerre militari ed economiche della cupola finanziaria e dei suoi tentacoli Usa, UE e Nato. E come deprecare l'allagamento della casa e assistere gli alluvionati senza pensare di chiudere il rubinetto e agevolare la volontà di ognuno di restare a casa sua, nella sua terra e cultura, tra la sua gente. Per prima cosa andrebbero denunziate e combattute le guerre dirette e di forze surrogate contro Stati sovrani ma disobbedienti all'Impero. Poi si dovrebbe evidenziare il doppio binario del sion-imperialismo: provocare migrazioni bibliche per sfoltire popolazioni e distruggere paesi e al tempo stesso cianciare di accoglienza e meticciato, con il bonus aggiuntivo Di riversarle sull'Europa, in particolare sulle sue componenti deboli, Grecia e Italia. Operazione finalizzata a destabilizzazione sociale, culturale, della coesione nazionale, di guerra tra poveri e scatafascio economico, a sfruttamento di lavoratori extracomunitari e di quelli autoctoni calmierati grazie ai primi e a intrecci politica-criminalità tipo mafia capitale.
Da quando, negli anni '40 e '50, la Cia ha promosso l'Unione Europea per togliere di mezzo gli Stati nazionali e le rispettive costituzioni democratiche (altrettanti scogli per la colonizzazione),sostituite da una bancocrazia non eletta e autocratica, sguattero Nato e pronta al TTIP, la strategia è di tenere sotto schiaffo un'Europa potenziale concorrente e deviante verso Est, indebolendola quanto basta a soffocarne bizze autonomiste.
Leggi tuttoAmici, Nessuno mi vuol dominare!
Nel 2012 Charles Kupchan, uno studioso geopolitico di orientamento “realista”, pubblicò No One’s World (Un mondo di nessuno), l’ennesimo interessante saggio sui rapporti di forza tra le grandi nazioni e tra le grandi aeree geopolitiche e geoeconomiche del pianeta. Il libro è stato pubblicato in Italia con il titolo Nessuno controlla il mondo (Il Saggiatore, 2013). La tesi centrale del libro è che, finita la vecchia supremazia occidentale (tre secoli di dominio: prima di marca europea e poi di marca statunitense) ed emersi definitivamente i Paesi che un tempo appartenevano all’aria del sottosviluppo (Cina, India, Brasile, Sudafrica, ecc.), il mondo si avvia a diventare sempre più il teatro di un conflitto sistemico (economico, scientifico, tecnologico, culturale, militare) multipolare che non lascia prevedere il trionfo di una sola potenza, o di una sola macro-area geopolitica, ai danni delle altre. «L’Occidente ha certamente goduto di un lungo ed eccezionale periodo di predominio mondiale, ma questa supremazia si avvia al tramonto. Nel corso di questo nuovo secolo il potere sarà distribuito in modo più ampio su tutto il globo. Paesi che hanno vissuto a lungo all’ombra dell’egemonia occidentale si stanno trasformando in potenze di primo piano e si aspettano ora di esercitare un’influenza proporzionata al loro status». Le potenze con aspirazioni globali saranno dunque costrette a rispettarsi (leggi: temersi) e a cercare insieme, obtorto collo, punti di mediazione che possano accontentare gli interessi vitali di tutti gli attori in campo. In questo senso il mondo non è di nessuno in particolare.
Leggi tuttoLa crisi borsistica
della Cina e dei
cosiddetti emergenti sta destando grande preoccupazione in
Europa e negli Usa. Non si tratta di una crisi puramente
finanziaria. Dietro il crollo
delle borse c’è il calo maggiore in sei anni e mezzo
dell’indice della produzione manifatturiera, il crollo
dell’export del
-7,3% nei primi sette mesi del 2015 rispetto all’anno scorso,
e il drastico rallentamento della crescita del Pil della Cina,
ormai la seconda
economia del mondo di cui negli ultimi anni è stata la vera
locomotiva.
Insomma, quella che si profila non è soltanto una possibile
crisi della Cina, del Brasile e degli altri emergenti. Si sta
profilando un
rallentamento, se non una crisi, della globalizzazione e il
rischio che si verifichi un secondo e più devastante secondo
tempo della crisi
iniziata nel 2007-2008, con lo scoppio della bolla dei mutui,
che ebbe come epicentro gli Usa. Gli effetti della crisi dei
mutui si estesero a tutto
il centro più sviluppato dell’economia mondiale, oltre agli
Usa, all’Europa occidentale e al Giappone. A distanza di otto
anni non
si è ancora verificata alcuna completa “recovery” in questa
parte dell’economia mondiale. Nonostante i reiterati
Quantitative
easing, cioè l’immissione di massicce dosi di liquidità da
parte delle banche centrali, nei casi migliori il tasso di
crescita del
Pil è ancora al di sotto di quello potenziale, e nei casi
peggiori (in Italia e nella maggior parte dell’area euro) la
crescita è
nulla e il Pil reale rimane ancora al di sotto del livello del
2007. Leggi tutto
«[...] l'imperfezione dell'infinito dipende dal suo carattere incompiuto.L'infinito è ciò fuori del quale resta sempre qualcosa; in altri termini, è ciò che non è intero, che non ha compimento. L'infito è dunque per sua essenza privazione». (Andrea Sani)
1. L'infinito buono e
l'infinito
cattivo.
E' opinione diffusa che la Grecia classica aborrisse l'infinito, e ciò nonostante si trattasse di un tema molto presente nel suo pensiero. Secondo tale opinione lo aborriva fondamentalmente perché l'infinito appariva ai greci come imperfetto, squilibrato, portatore di caos. L'ápeiron, in realtà, non significa solo "infinito" ma anche "illimitato" o "indefinito", manifestandosi già in questo la grande estensione di senso che si genera intorno a quel concetto. Il riferimento, sia pure privativo, al limite è illuminante: la struttura etimologica non lascia scampo, la a- privativa ("non") segnalando la mancanza del carattere che più di ogni altro garantiva, nella cultura ellenica, la perfezione e l'armonia, vale a dire il limite, espresso nel péros (appunto: "limite").
Ciò che era in gioco sembrava, a conti fatti, la forma, di cui poteva essere dotata solo un'entità finita, cioè limitata, di contro a una qualsivoglia manifestazione di un concetto, quale quello di infinito, che per ciò stesso non poteva aspirare alla perfezione. Che per i Greci era sempre perfezione formale.
Quello che sembra certo è che una concezione negativa
dell'infinito, apertamente avversa ad esso, fu quella dei
pitagorici - dal cui
pensiero germogliarono i paradossi zenoniani - sostenitori del
fatto che: Leggi tutto
La nomina
di
una corrispondente di guerra di provata fede atlantica alla
presidenza della Rai e il diktat emerito del «presidente
ombra» Napolitano ad
accelerare la concentrazione dei poteri nell’esecutivo hanno
forse qualche relazione con la nuova fase della guerra
nell’area
siriano-irachena e in Libia? In Siria, la campagna
terroristica-mediatica dell’Isis ha svolto efficacemente il
suo ruolo di provocazione e
disgregazione, preparando il terreno a un intervento degli
Stati Uniti e della Nato, ed è tempo di raccogliere i frutti
della semina. Resta da
risolvere la questione dell’indipendentismo kurdo, ma a questo
ci pensa la Turchia: la no-fly zone nel nord della
Siria, stabilita di
fatto dalla Turchia e dagli Stati Uniti senza perdere tempo
con mediazioni Onu, dal 24 luglio serve a bombardare gli
avamposti kurdi, in prima linea
contro l’Isis, e a sviluppare l’attacco alle posizioni
dell’esercito governativo siriano. Sul piano della diplomazia,
l’abile
proposta iraniano-siriana (6 agosto) di una soluzione politica
del conflitto (cessate il fuoco e nuovo governo di unità
nazionale in Siria),
non dovrà essere raccolta, provenendo dal vero obiettivo della
strategia statunitense e israeliana nell’intera area: l’Iran,
fortemente impegnato sul campo nella lotta ai terroristi
dell’Isis.
La dittatura militare in Egitto e la
preparazione di un intervento diretto della Nato in Libia,
usando la testa di ponte del
governo filoccidentale di Tobruk, completano il quadro. Leggi tutto
Intervista di Stefano Feltri a Paolo Prodi. «Se non c'è passato non c'è nemmeno futuro. E questo si traduce in una crisi visibile delle istituzioni democratiche: manca l'idea di progetto, il mutamento rimasto è quello delle tecnologie. Ma si cambia senza sapere dove si va». Il Fatto Quotidiano, 10 agosto 2015 (m.p.r.)
In una politica europea piena di populisti, indignati, ribelli contro l’austerità, l’ultima persona da cui ti aspetteresti discorsi sulla rivoluzione è Paolo Prodi. A 83 anni il professor Prodi, fratello del Romano che è stato premier, è uno dei più autorevoli storici italiani, ha scritto coltissimi libri sul potere e la storia delle nostre istituzioni. Adesso manda in libreria un piccolo saggio dal titolo che incuriosisce: Il tramonto della rivoluzione, pubblicato ovviamente dal Mulino.
Professor Prodi, cos'è una rivoluzione?
I colpi di Stato non sono mai mancati, la lotta di chi non ha potere contro chi ha potere esiste dalle civiltà mesopotamiche. Ma non è la rivoluzione. Quello che ha distinto l'Occidente dalle altre civiltà è la capacità di progettare un modello sociale nuovo. Spesso con gli aspetti tragici della sommossa, certo, ma all'interno di una visione di sviluppo.
Leggi tuttoSpesso sentiamo parlare del ruolo importante dell’innovazione e della ricerca come stimolo alla crescita economica. Spesso ci sentiamo dire che un’adeguata spesa in R&S è fondamentale per resistere e uscire dalle crisi economiche. Spesso in questo contesto, è lo Stato che, con la sua “inefficiente” macchina burocratica e le sue decisioni politiche “corrotte” viene presentato come il problema.
Il recente libro della professoressa Mazzucato, Lo Stato innovatore, docente di Economia allo Science and Technology Policy Research dell’Università del Sussex (UK), sfata ben più di qualche luogo comune su questo argomento.
In quasi tutti i paesi del mondo stiamo assistendo a un arretramento dello Stato.
Con questa premessa, il libro dimostra come lo Stato sia storicamente sempre stato un attore indispensabile del processo innovativo:
Nell’innovazione, è cruciale che i finanziatori siano pazienti dato che la R&S è un processo altamente incerto e dai tempi molto lunghi.
In quasi tutte le innovazioni più radicali e rivoluzionarie che hanno alimentato il dinamismo dell’economia capitalista, dalle ferrovie alla Rete fino alle nanotecnologie e alla farmaceutica dei nostri giorni, gli investimenti più coraggiosi, precoci e costosi sono riconducibili allo Stato.
Leggi tuttoSi è sollevato un gran
dibattito
mediatico intorno alla crisi greca, ma il ruolo della Banca
Centrale Europea (BCE) è stato piuttosto sminuito. La BCE è
stata spesso
presentata come una distante istituzione al di sopra di ogni
sospetto, il cui obiettivo principale è semplicemente quello
di stabilizzare il
sistema monetario e finanziario dell’eurozona, ed è stata
infatti celebrata come la più “indipendente” tra le banche
centrali. Tuttavia, sarebbe più corretto dire che la BCE è una
banca centrale sovranazionale che si pone come autorità
tecnocratica suprema che si presume agisca nel pubblico
interesse senza, ci dicono, favorire alcun governo o gruppo di
governi nazionali. La BCE
dirige ex cathedra l’intera costellazione di banche centrali
nazionali dell’eurozona all’interno di uno specifico framework
politico, dove queste sono soltanto sue controllate
nell’ambito del Sistema europeo delle banche centrali (SEBC).
Le banche centrali nazionali
sono quindi “indipendenti” dai loro governi nazionali ma, allo
stesso tempo, completamente dipendenti da un’autorità
tecnocratica superiore e presumibilmente “neutrale” e “basata
sulle regole”, la BCE, che dovrebbe attuare politiche con il
fine di raggiungere gli obiettivi del suo mandato originario
e, cioè, raggiungere la stabilità dei prezzi e il massimo
livello di
benessere all’interno dell’intera zona euro, senza pregiudizi
o parzialità. Leggi tutto
Riduzione del salario, fisco, carità: l'agenda neoliberale del governo Renzi. Il rapporto 2015 dell'Ocsel, l'osservatorio sulla contrattazione di secondo livello della CISL, ha censito 4.100 accordi siglati tra il 2009 e il 2014. Tanti. La lezione è semplice: non è vero che con la crisi si è fermata la contrattazione; è vero che si contratta diversamente. La contrattazione di secondo livello, neanche a dirlo, ha come obiettivo principale il contenimento o la riduzione del salario. Nel 2009, infatti, la contrattazione sugli aumenti salariali ricorreva nel 53% degli accordi, nel 2014 nel 13%. La CISL, lo stesso sindacato che paga ai suoi funzionari compensi superiori ai 300 mila euro l'anno (circa 25 mila euro al mese, poco meno di 1.000 euro al giorno), si compiace per il lavoro fatto. La CISL, esperimento riuscito di sindacato neoliberale, dalla parte dei più forti.
Tra i target autunnali delle imprese, conseguentemente di Renzi, c'è proprio la contrattazione. Ridurre al minimo quella nazionale, liberandola dai contenuti redistributivi; estendere al massimo quella aziendale. Spostando interamente – salvo i minimi (?) – la contrattazione salariale sul piano aziendale, il salario si trasforma in variabile dipendente dai risultati. Di più, si scambia salario con welfare aziendale: meno soldi ma il nido per i bimbi, tanto quello pubblico, distrutto dalla spending review, non sarà mai disponibile. Tutto torna.
E sarà proprio la spending review, di 10 miliardi
quella prevista per il 2016, a favorire la nuova politica
fiscale del governo: 35
miliardi di tagli nei prossimi 3 anni. Si comincerà dalla Tasi
e dall'Imu agricola, si proverà a disinnescare l'aumento Iva
previsto
dalla clausola di salvaguardia, poi Irap (nel 2017) e Irpef
(nel 2018). Leggi tutto
Modulazioni della crisi in Europa. Da Berlino, un breve
ed efficace commento di Paolo Caffoni: la politica estera
tedesca ha come primo scopo
quello di controllare la propria stessa popolazione? Il
baluardo del welfare teutonico si fonda sulla retorica dei
sacrifici che anche il resto dei
paesi europei dovrebbero affrontare. Impressioni sul
silenzio dell’elettorato di sinistra tedesco, tra senso di
inferiorità culturale,
memorie di un tremendo passato, paure ed ossessioni
*****
La prima considerazione che sicuramente va fatta, è che la questione greca non ha costituito fino a ora un fattore di attivazione politica per una grande fetta dell’elettorato di sinistra in Germania (fatemi passare il termine infelice). Il problema della crisi greca è lontano, i tedeschi non lo “sentono sulla pelle”. Se il movimento dei rifugiati è una realtà visibile che ha portato a una organizzazione trasversale e a una critica diffusa delle posizioni di governo, l’austerità è un concetto troppo astratto per gli abitanti del welfare tedesco, e con questo intendo quell’ambiguità fra tutela e controllo che abbiamo conosciuto come forma principale di governo nel XX secolo, e che in Germania sembra conservare ancora un baluardo del quale i cittadini ancora gongolano. Anche la propaganda dei giornali lavora molto per ridurre il conflitto greco-tedesco a una questione puramente economica, e in questo senso deresponsabilizza i tedeschi affermando “dalla riunificazione abbiamo ricostruito la nostra forza economia attraverso riforme e sacrifici (vedi riforme Hartz del mercato del lavoro), gli altri stati dell’Unione devono fare altrettanto”.
Leggi tuttoDa quando esiste, il Ministero delle Riforme è stato utile quanto il famoso Ministry of Silly Walks dei Monty Python.
Le riforme italiane infatti sono sempre state concepite esattamente con la stessa logica di quelle camminate. Un passo avanti, due indietro, tre di lato, un saltello, una piroetta, un calcio, un inchino. Tortuose coreografie ridicole fatte per complicare le cose invece di semplificarle, creare problemi anziché risolverli.
L’unica cosa nella quale le riforme italiane si siano mai
dimostrate efficienti è stata fottere i lavoratori.
In tutto questo le
riforme renziano-boschive battono persino i precedenti record
suini di Lega e PDL.
Diventata nazionalista per opportunismo, adesso la Lega
preferisce dimenticare gli anni della devolution, anzi de-evolution.
Anche il Senato renziano però è abbastanza involuto da
poter essere stato davvero concepito dalla Boschi.
In autunno sulle camminate sceme del Cazzaro si preannuncia una battaglia all’ultimo sangue a colpi di generatori automatici di emendamenti, trappole per canguri, zombie del Nazareno, ricatti e trabocchetti.
Leggi tuttoLo scorso 31 luglio l’Instituto Lula di San Paolo è stato oggetto di un attentato dinamitardo, una sorta di ultimo avvertimento dell’ultradestra al Brasile democratico e popolare. Negli ultimi due mesi è cresciuta la campagna d’odio dell’oligarchia terrateniente e della borghesia verdeoro affinché si creino le condizioni per dichiarare l’impeachment contro Dilma Rousseff, screditare lei e l’ex presidente Lula, intenzionato a ricandidarsi alla guida del paese, e gettare il Brasile nel caos.
La marcia convocata dalle destre per il prossimo 16 agosto sotto l’ambigua denominazione “Movimento Brasile Libero”, aperta ufficialmente a tutti i cittadini che credono in una società più equa, libera e giusta, rappresenta in realtà una vera e propria chiamata alle armi. “La guerra è cominciata” è lo slogan che circola maggiormente sui social network dell’estrema destra che, a corto di programmi e di una reale proposta politica, intende sfruttare al massimo il caso Petrobras e lo schema di corruzione che girava intorno all’ente petrolifero di stato per fare cassa a livello elettorale in occasione delle prossime presidenziali. È in questo contesto che tutto fa brodo, e allora si sfrutta l’arresto di José Dirceu, capo di gabinetto del primo governo Lula e peraltro ai domiciliari dal 2012 proprio per il caso Petrobras, per agitare un fantomatico impeachment contro la presidenta Dilma Roussef ed attaccare frontalmente Lula. Nel caso Petrobras e nell’operazione Lava Jato sono coinvolti i politici di tutti i principali schieramenti, ma i mezzi d’informazione hanno buon gioco nel gettare fango solo sul Partido dos Trabalhadores (Pt), che peraltro ha grosse responsabilità in questa situazione, se non altro per aver cercato di perseguire politiche di destra, la cui copia però non è ritenuta sufficiente dai veri conservatori, e così un giudice come Sergio Moro, astro nascente dell’oligarchia brasiliana, dopo Dirceu potrebbe dichiarare in stato d’arresto anche Lula.
Leggi tuttoI dati del Rapporto annuale dell’UNCTAD sui flussi di investimenti diretti esteri ci forniscono un quadro che conferma le attuali dinamiche dei sistema capitalistico, nella sua fase di globalizzazione, che comporta anche un cambiamento degli equilibri geoeconomici e, quindi, geopolitici, con tutte le contraddizioni che ne possono emergere, ma anche un peso sempre più dominante ed incontrollato delle multinazionali. Rispetto a questi fenomeni appare velleitario e forse un po’ nostalgico il richiamo ad un multilateralismo sovranazionale che aveva svolto un ruolo sicuramente importante in una fase storica differente, oggi difficilmente ripetibile, almeno nel contesto attuale
Introduzione
Il Rapporto annuale dell’UNCTAD “World Investment Report – WIR 2015” rappresenta un’utile istantanea delle attuali dinamiche del capitale mondiale. Il Rapporto non si occupa degli investimenti di portafoglio, cioè dei movimenti finanziari di natura speculativa, ma si concentra invece sui flussi internazionali di investimenti diretti esteri (IDE), cioè sostanzialmente sull’esportazione ed importazione di capitali nei vari paesi.
Da una lettura del Rapporto emergono alcuni dati interessanti che offrono spunti di riflessione dal punto di vista dell’analisi critica delle dinamiche del capitalismo contemporaneo.
Cominciamo con il dire che il volume globale di investimenti in entrata ha subito, nel 2014, una contrazione del 16% rispetto al 2013, attestandosi a 1.230 miliardi di dollari USA. Questo conferma sostanzialmente il quadro di crisi globale che, nonostante i proclami, gli annunci e le stime artificialmente ottimistiche diffuse dalle istituzioni economiche e finanziarie dominanti, non accenna a risolversi.
Leggi tutto1. Ancora pochi giorni fa, un amico
(nemmeno proprio un
semicolto, anche se, ahimé, legge “Micromega”, il concentrato
della demenza di “sinistra”) mi ha contestato il fatto
d’aver sostituito la lotta tra capitale e lavoro con la
geopolitica. Bontà sua, mi ha risparmiato la “lotta di
classe”, la
lotta tra borghesia e proletariato. Tuttavia, non c’è un gran
miglioramento, anzi! La “lotta di classe”, come idea intendo
dire, è partita quasi due secoli fa, ha avuto poi un rigurgito
un po’ nauseante (sempre come idea) con il ’68 del secolo
scorso ed
infine è finita in conflitto capitale/lavoro; in Italia, direi
soprattutto dopo la sconfitta della “Classe Operaia” alla Fiat
nel
1980.
La lotta di classe partiva da certe analisi di Marx – compiute nel suo “laboratorio” d’epoca, l’Inghilterra – che avevano un loro realismo, non avevano comunque proprio nulla dell’utopia. A metà ‘800 era appena terminata la prima “rivoluzione industriale” (grosso modo 1760-1840). Appena appena si cominciava ad intravvedere quella che verrà denominata impresa, che significa appunto iniziativa di un dato “soggetto” (non di un individuo). In definitiva, si indica una unità organizzativa attiva nella sfera economica; ma non necessariamente nel processo produttivo in senso stretto, di trasformazione di dati materiali in prodotti per soddisfare certe esigenze, trasformazione attuata in quelle che vengono più specificamente denominate fabbriche e che sono prese in considerazione da Marx quale struttura portante della società nel suo complesso. In base all’idea che per poter sopravvivere, ogni società (non solo quella capitalistica) deve produrre, nel senso di trasformare materiali forniti dalla natura in oggetti d’uso sociale; anche come mezzi di produzione per successivi processi trasformativi.
Leggi tuttoPubblichiamo la trascrizione (rivista e ridotta dall'autore) della relazione tenuta da Daniel Tanuro lo scorso 28 luglio al 32° campeggio internazionale anticapitalista, che ha avuto luogo in Belgio. La relazione è stata rivista anche sulla base degli interventi di quell'incontro, che hanno permesso all'autore di ritoccare e precisare il testo in alcuni punti
Di fronte all’urgenza
ecologica: progetto
di società, programma, strategia
In Aprile, due equipe differenti di glaciologi statunitensi specialisti dell’Antartide sono arrivati – con metodi diversi, basati sull’osservazione - alla stessa conclusione: rispetto al riscaldamento climatico globale, una porzione della calotta glaciale ha cominciato a sciogliersi e questo scioglimento è irreversibile.
Anche se gli scienziati sono riluttanti a considerare le loro proiezioni certe al 100%, sono stati comunque categorici: “il punto di non ritorno è superato" hanno dichiarato nel corso di una conferenza stampa congiunta. Secondo loro, nulla può impedire un aumento del livello degli oceani di 1,2 metri nei prossimi 3-400 anni. Stimano sia molto probabile che il fenomeno porti alla destabilizzazione accelerata della zona adiacente, ciò che potrebbe causare un aumento supplementare del livello degli oceani di più di 3 metri.
La catastrofe silenziosa è in marcia
Le conseguenze sociali dell’aumento del livello degli oceani di una tale ampiezza non possono sfuggire a nessuno. Basta ricordare che 10 milioni di egiziani vivono ad un'altitudine inferiore al metro slm - così come 15 milioni di bengalesi, una trentina di milioni di cinesi e indiani, venti milioni di vietnamiti… senza contare tutte le grandi città costruite nelle zone costiere :Londra, New York, San Francisco…
Leggi tutto“La lotta ci espone alla forma semplice del fallimento (l’assalto che non ha successo), mentre la vittoria ci espone alla sua più terribile forma: ci rendiamo conto che abbiamo vinto invano, che la nostra vittoria apre la strada alla ripetizione e alla restaurazione… Per una politica di emancipazione, il nemico che deve essere temuto maggiormente non è la repressione per mano dell’ordine stabilito. Esso è l’interiorizzazione del nichilismo e la crudeltà illimitata che può venire con la sua vuotezza” Così scriveva Alain Badiou in L’hypothèse communiste, del 2009, e a quanto sembra è stato miglior profeta di quanto non ci si potesse aspettare e augurare, visto ciò che è successo in Grecia e la progressiva perdita di terreno di Podemos dovuto sia a problemi interni che proprio ai fatti di Atene alle cui impossibili soluzioni Iglesias si è accodato: dopo l’exploit alle amministrative oggi i sondaggi lo danno terzo dopo la destra e i sedicenti socialisti alle politiche di novembre.
Il fatto è che il rinnovamento della sinistra è solo cominciato con Tsipras e con Iglesias, con Syriza e con Podemos, ma è rimasto in mezzo al guado: questi due movimenti hanno rinnovato il linguaggio, i riferimenti, l’organizzazione, la forma partito, i mezzi, le tattiche e la visione della sinistra spostandola dal concetto di classe a quello di popolo e di gruppo sociale, rinnovando la bussola secondo l’asse alto – basso, piuttosto che su quello destra -sinistra, ritornando al pragmatismo della vittoria ( qualche eco grottesca di quest’ultima pulsione si vede anche da noi). Soprattutto in varie forme essi si sono ricollegate con la gente, visto che non si potrebbe definire altrimenti il magma di singole individualità creato dall’egemonia liberista.
Leggi tuttoL’indeterminatezza della parola sinistra che consente al renzismo di rivendicarla deve spingerci a declinarla in modo nuovo: non siamo «più a sinistra», siamo «diversi»
Ai molti aspetti paradossali che contraddistinguono la sfera politica in Italia, possiamo aggiungere un altro paradosso che riguarda direttamente l’oggetto su cui Norma Rangeri ci ha invitato a discutere. Quanto più la «sinistra» diventa inconoscibile nelle «cose» tanto più estende i suoi confini nelle «parole».
A «sinistra del Pd» si stanno aprendo vastissimi spazi per la «sinistra». Con formulazioni appena un po’ differenti, frasi di tal genere vengono costantemente ripetute anche sulle colonne di questo giornale. Lo si dice ormai da tanto tempo, ma lo stato di cose presente ci prova in maniera difficilmente controvertibile quanto grande sia la differenza tra affermazioni desideranti e realtà effettuale. Comunque non è senza interesse chiedersi quale sia il modo con cui è possibile intendere il termine «sinistra».
Probabilmente la maggioranza di coloro che si sentono impegnati nella costruzione della cosiddetta «casa comune» ritiene che la «sinistra» in fieri, quella che dovrà occupare gli spazi lasciati liberi dal Pd, sia la sola legittimata all’uso di quel termine. Ci sono però anche coloro che pensano ad un soggetto politico «a sinistra» del Pd.
Leggi tuttoIl giornalista Giampaolo Pansa di recente ha rinnovato i suoi attacchi polemici contro l'ex segretario di Rifondazione Comunista, Fausto Bertinotti, definendolo ancora una volta il "parolaio rosso" ed accusandolo di aver affossato la sinistra facendo cadere per due volte i governi guidati da Romano Prodi. L'ex giornalista di "sinistra" adotta una tecnica polemica tipicamente di destra, anzi, da Neocon, senza preoccuparsi della coerenza delle accuse, ma gettando discredito da tutti i lati possibili. Chi faccia cadere due governi potrebbe essere legittimamente considerato uno che agisce per fare danni, ma non un "parolaio".
Le cronache raccontano le cose diversamente da come le ricostruisce Pansa. Se è vero che Bertinotti paragonò Prodi a Cardarelli, definito da Flaiano come il "più grande poeta morente", sta di fatto che a far mancare i voti in Parlamento a Prodi fu l'UDEUR di Clemente Mastella, allora ministro della Giustizia. Mastella fu spinto a tanto da due moventi noti e precisi. Il primo motivo era di cercare protezione contro un'inchiesta giudiziaria, ed il secondo era di sottrarsi all'accordo schiaccia-piccoli-partiti proposto al capo delle destre dall'allora segretario del PD, Veltroni. Il Buffone di Arcore, prima di quel ripescaggio veltroniano, era dato come politicamente morto, quindi è a Veltroni che spetta sicuramente l'onore di aver causato la caduta del secondo governo Prodi. Così la racconta persino Romano Prodi.
Leggi tuttoViaggio nelle lande della tecnocrazia dove previsioni e raccomandazioni scientifiche di “esperti” senza volto, declamanti la flessibilità e la “moderazione salariale”, si affiancano a panorami sociali devastati dalla crescente disoccupazione e dal crollo della produttività. Colpa della mancata realizzazione delle “riforme strutturali” o, al contrario, della loro pervicace attuazione? La coscienza della fallibilità e dell’incertezza delle soluzioni tecniche calate dall’alto potrebbe – forse – smascherare l’insostenibile leggerezza dei tecnici
“Houston
abbiamo un
problema”: ovvero dell’ultimo rapporto del Fondo Monetario
Internazionale
Nel cuore di una torrida estate ha fatto scalpore l’ultimo
rapporto periodico del Fondo Monetario Internazionale
sull’Eurozona in cui,
alla voce “Italia”[1],
si punta il
dito sull’elevato livello di disoccupazione che da tempo ha
ormai superato il 12% (e che potrà essere riportato ai livelli
pre-crisi solo
tra vent’anni), con un 60% dei disoccupati privi di lavoro per
almeno un anno ed il correlativo elevato rischio di
dispersione del
“capitale umano”, di incremento nella disuguaglianza dei
redditi e, in definitiva, con un sensibile aumento del
pericolo di cadere in
nuove sacche di povertà[2].
A tale fosco
quadro fa da cornice una produttività stagnante da circa
quindici anni, frutto anche di un mercato del lavoro
frammentato e poco flessibile, in
cui i costi del lavoro incidono negativamente[3].
Sebbene in prospettiva l’intervento
operato dal Jobs Act appaia idoneo ad incidere sulla storica
rigidità del mercato del lavoro italiano, ancora altri passi
devono essere fatti
dall’Italia sulla strada della riduzione del costi del lavoro
e dell’aumento della flessibilità, attraverso l’introduzione
ed
il potenziamento della contrattazione decentrata e
l’incremento della qualità del “capitale umano” per mezzo
della riforma
del sistema di istruzione[4].
Leggi tutto
Come era prevedibile
aspettarsi, l'esito
infausto della vicenda greca sta cambiando qualcosa, nelle
riflessioni interne al variegato mondo “antisistemico”, che è
costretto
a confrontarsi con quelle che, in altro contesto, Bobbio
chiamò “le dure repliche della storia”.
Finalmente una parte di quel mondo sta accettando una delle nostre tesi di fondo: cioè il fatto che mettere sul tavolo l'uscita dall'euro, almeno come “piano B”, è una condizione necessaria (anche se, come abbiamo ripetuto molte volte, non sufficiente) per qualsiasi programma politico di contrasto ai ceti dominanti nazionali e internazionali.
Ci sembra importante segnalare le sempre maggiori aperture che si stanno registrando in questo mondo, perché anche di qui passa la necessaria costruzione di un soggetto politico realmente antagonistico all'attuale organizzazione sociale.
Senza nessuna pretesa di esaustività, indichiamo alcune prese di posizione succedutesi dopo la sconfitta di Syriza (qualcuna l'avevamo già segnalata in post precedenti).
Riccardo
Achilli prende una
posizione netta a favore della nascita di “una sinistra
nazionale, che mette l'uscita dall'euro al centro della sua
proposta, e lo
smantellamento della sovrastruttura comunitaria, che deve
essere considerata un nemico, non un interlocutore.” Leggi tutto
1
Che la produzione sociale, nella società capitalista, prenda la forma della produzione di merci, è opinione largamente condivisa. E' questo il motivo per cui Marx considera la merce come la "forma elementare" della ricchezza capitalista, e la sceglie come punto di partenza analitico per la sua critica dell'economia politica. La teoria economica non ha alcuna idea di cosa farsene di un tale approccio teorico. Essa tratta il concetto per cui le persone mediano la loro socialità attraverso la produzione e lo scambio di merci come se fosse un truismo antropologico. Non considera mai un essere umano come qualcosa di diverso da un potenziale produttore privato che fabbrica cose per poi poterle scambiare con altri produttori privati, avendo sempre ben presente in mente i propri particolari interessi. La differenza fra produzione di ricchezza nella società capitalista moderna e produzione di ricchezza nelle comunità tradizionali viene quindi considerata come una mera differenza di grado, con la puntualizzazione per cui sotto il capitalismo la divisione sociale del lavoro è di gran lunga più sviluppata, a causa dei progressi tecnologici e che le persone diventano più produttive nella misura in cui divengono più specializzate.
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