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Oct 27, 2018, 6:43:20 PM10/27/18
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Andrea Fumagalli: Il grande business del debito italiano

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Il grande business del debito italiano

di Andrea Fumagalli

euro
frottageFa scandalo la richiesta del governo italiano di portare il rapporto deficit/pil al 2,4% e così si alimenta una campagna mediatica – a destra come a sinistra – che ha in realtà il vero obiettivo di spianare la strada alla speculazione finanziaria. In base ai nudi dati economici, l’Italia non è affatto a rischio di insolvenza. All’elevato debito pubblico, infatti, fa da contraltare uno dei più bassi valori del debito delle famiglie e delle imprese. Se poi aggiungiamo il surplus commerciale (che è superiore allo stesso deficit pubblico del 2,4%), l’allarme lanciato è solo giustificabile sul piano politico e ideologico e non economico. 

Dovrebbe invece fare scandalo che negli ultimi 25 anni sono state promosse politiche  fiscali che hanno ridotto le imposte per le società di capitale e le aliquote sui redditi più alti, aumentato le aliquote sui redditi più bassi, ridotto fortemente la progressività, a vantaggio della rendita finanziarie e dei più ricchi, Tali misure hanno sottratto ingenti risorse al bilancio dello stato favorendo, insieme alla spese per interessi, l’aumento del debito pubblico.

Dovrebbe fare ancor più scandalo che a fronte di questa situazione, uno dei cavalli di battaglia di questo governo, sia la “flat tax”.

* * * *

Due sono le principali accuse che la troika economica e le agenzie di rating (entrambe espressione degli interessi dell’oligarchia finanziaria internazionale) rivolgono alla proposta di legge di stabilità del governo italiano.

La prima ha a che fare con la scelta di portare al 2,4% il rapporto deficit/Pil, ben sopra al limite (1,6%) ufficiosamente pattuito dalle precedenti leggi di stabilità dei governi Renzi-Gentiloni (che, a fine 2017, è arrivato al 2,3% nel silenzio generale) ma ben al di sotto del limite ufficiale sancito dagli accordi del 1997 che è pari al 3%.


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Alessandro Pascale: Marxisti cinesi e italiani a confronto

la citta
futura

Marxisti cinesi e italiani a confronto

di Alessandro Pascale

Il movimento comunista italiano dovrebbe riflettere profondamente sulla necessità di approfondire la questione cinese, la quale rimane oggetto di mistero o di repulsione per molti comunisti italiani che, accettando il giudizio liquidatorio del marxismo occidentale, rischiano di stare dalla parte sbagliata della barricata

3b1f6cfb04191062fa576eb6c620f4fa XLDomenica 14 ottobre si è tenuto a Bologna il “V forum europeo sulla via cinese”. Promosso dall’Accademia di Marxismo presso l'Accademia delle Scienze Sociali della Repubblica Popolare Cinese e dall’Associazione Marx21, il seminario ha visto la partecipazione anche della Fondazione Gramsci Emilia Romagna e dell’Istituto Confucio dell’Università di Bologna, configurandosi come un fondamentale momento di confronto tra i marxisti italiani e alcuni dei più prestigiosi esponenti del think tank cinese, giunto alla terza tappa europea dopo aver tenuto conferenze in Portogallo e Spagna.

Davanti ad una sala gremita (250 persone presenti, molte richieste di partecipazione respinte per insufficienza di posti disponibili) hanno portato i propri saluti e svolto interventi di alto livello anche accademici italiani non prettamente marxisti, oltre a rappresentanti del PCI e del PRC. Assenti invece delegazioni ufficiali di PaP e PC. Il seminario si è strutturato in quattro sessioni, precedute dai saluti di apertura. Vista l'eccezionalità dell'evento, pare utile offrire di seguito un breve sunto di ogni intervento.

 

Saluti di apertura

Ad aprire gli interventi è stato Deng Chundong, presidente dell'Accademia del marxismo e “capo” della spedizione cinese, che ha motivato la partecipazione all'incontro e più in generale la politica attuale cinese così: “l'obiettivo è contribuire al progresso dell'Europa”.

Yang Han, direttore dell'Ufficio stampa dell'Ambasciata della Repubblica Popolare Cinese in Italia, ha ribadito che “la Cina non chiederà agli altri Paesi di copiare il suo sistema”, vantando poi i successi della via cinese al socialismo: “il 30% della crescita mondiale, per molti anni consecutivi, è merito della Cina”. Una crescita resa possibile grazie alla politica di “apertura” e “liberalizzazione” nella “globalizzazione” attuale. Han ha criticato gli impulsi crescenti al “protezionismo” che stanno prendendo piede in Occidente di fronte ad una globalizzazione sempre più egemonizzata dalla Cina, proponendo piuttosto la necessità di una “riforma del sistema della governance mondiale”.


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Moreno Pasquinelli: Dieci ragioni contro il cosmopolitismo

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Dieci ragioni contro il cosmopolitismo

di Moreno Pasquinelli

umanita
nazioneDobbiamo occuparci di Carlo Rovelli, fisico teorico e blasonato divulgatore scientifico — in gioventù, come molti, militante d'estrema sinistra. [1] Ma non è di filosofia della scienza che vogliamo parlare bensì di filosofia della storia, quindi politica. Parliamo di un articolo pubblicato per l'inglese The guardian, e che il CORRIERE DELLA SERA ha pubblicato il 31 luglio scorso dandogli un grande risalto. Il titolo è programmatico e apodittico: L'UNICA NAZIONE È L'UMANITÀ. Un trattatello in quattro teoremi nel quale egli ricapitola in modo esemplare la visione cosmopolitica dell'ultima borghesia.

 

Primo teorema

«Politiche nazionaliste o sovraniste stanno dilagando nel mondo, aumentando tensioni, seminando conflitti, minacciando tutti e ciascuno di noi. Il mio Paese è appena ricaduto preda di questa insensatezza».

In poche righe tre proposizioni.

(1) La prima proposizione è che l'Europa avrebbe conosciuto un cinquantennio di pace grazie al processo che è sfociato nella nascita dell'Unione europea. In verità l'assenza di conflitti — il nostro non prende nemmeno in considerazione quelli sociali e di classe — è stata dovuta all'equilibrio del terrore tra le due superpotenze (USA e URSS), e quindi al fatto che l'Europa occidentale è stata incapsulata nella NATO (che è la piattaforma su cui è nata la Comunità europea prima e la Ue poi).


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Felice Roberto Pizzuti: Pensioni, disinnescare la bomba sociale

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Pensioni, disinnescare la bomba sociale

di Felice Roberto Pizzuti

Visti i tagli all’assegno è ragionevole pensare che le adesioni a “quota 100” non potranno riguardare una parte consistente della platea potenziale. Inoltre per disinnescare la bomba sociale futura bisognerebbe iniettare nei giovani ed ex giovani di oggi qualche rassicurazione per il loro futuro. Altrimenti si corre il rischio di non ottenere neanche un effetto […]

I sistemi pensionistici vanno disegnati in rapporto sia alle esigenze previdenziali cui devono corrispondere sia al contesto dei più complessivi equilibri economici e sociali, tenendo conto che i due livelli interagiscono e che gli assetti stabiliti o i loro cambiamenti generano effetti che, da un lato, si proiettano nel lungo periodo, d’altro lato, ingenerano aspettative che influenzano gli equilibri sociali ed economici anche nel breve periodo. Purtroppo, gli interventi pensionistici che il governo sta proponendo e il dibattito che li accompagna trascurano queste interrelazioni e continuano ad eludere, da un lato, il disastro sociale che sta maturando in campo previdenziale e, d’altro lato, i suoi effetti negativi anche immediati.

La questione di grande rilievo che si sta trascurando può essere riassunta nel fatto che quasi la metà dei lavoratori dipendenti entrati nel mercato del lavoro dopo il 1995, avendo sperimentato retribuzioni saltuarie e basse, per le quali non si prospettano miglioramenti risolutivi, matureranno una pensione del tutto inadeguata.


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Fulvio Scaglione: Caschi bianchi, la fuga in Europa

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Caschi bianchi, la fuga in Europa

di Fulvio Scaglione

Le autorità della Giordania hanno annunciato che circa 300 Caschi Bianchi siriani sono partiti per il Regno Unito, il Canada e la Germania. Li troveranno sistemazione in base a un piano elaborato in accordo con le Nazioni Unite. Erano entrati nel regno hashemita nei giorni in cui l’esercito di Bashar al-Assad e l’aviazione russa davano le ultime spallate alla riconquista di Daraa, nel Sud del Paese. Negli stessi giorni, nel luglio scorso, altre centinaia di Caschi Bianchi venivano scortati dall’esercito israeliano e si mettevano al sicuro nei confini dello Stato ebraico. Per loro stessa sorte: l’espatrio verso i soliti Paesi d’accoglienza: Germania, Regno Unito, Usa, Canada.

Si chiude così una delle pagine più controverse della guerra tra propagande che da sette anni accompagna, con effetti poco meno micidiali, la guerra vera dei fucili e dei cannoni. Per il governo siriano, infatti, i Caschi Bianchi (in realtà più noti con il nome inglese di White Helmets, mentre quasi nessuno usa la denominazione ufficiale: Difesa civile siriana) non sono altro che un gruppo terroristico affiliato ad Al Qaeda, l’organizzazione originariamente fondata da Osama bin Laden, che nel conflitto siriano ha finito col prendere il nome di Al Nusra.


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Benedetto Vecchi: Il dono dell’incompiutezza

manifesto

Il dono dell’incompiutezza

di Benedetto Vecchi

«Marx eretico» di Carlo Galli, pubblicato per Il Mulino

Un libro felicemente anomalo, questo di Carlo Galli, filosofo della politica che ha ingaggiato da anni un corpo a corpo con le tesi del giurista Carl Schmitt, inquadrandolo in quella corrente di pensiero sotterranea, ma a suo modo potente, che dal nichilismo approda all’elegia della decisione. E che arriva a diventare la tonalità teorica dominante del nazismo.

ATTORNO A QUESTI TEMI, Galli ha lavorato molto, consegnando ai lettori testi importanti, come Genealogia della politica (Il Mulino), Spazi politici (Il Mulino), Contingenza e necessità nella politica moderna, Ancora Destra e Sinistra (questi ultimi due pubblicati da Laterza). La sua vita ha contemplato anche un impegno diretto, come deputato, nell’agone politico. Esperienza istituzionale che non lo ha molto entusiasmato, per i suoi riti e le sue ingessature, tanto in Parlamento che nel partito democratico che lo ha eletto.

Mai però Carlo Galli si era confrontato con le teorie marxiane, meglio con Karl Marx, autore che è stato certo letto, ma che è rimasto finora quasi sempre sullo sfondo, una specie di classico al quale fare riferimento senza nessuna sistematicità. Ed è da accogliere con piacere la pubblicazione del condensato, ma fertile saggio che il filosofo italiano ha dato alle stampe in occasione del duecentesimo anniversario marxiano con il titolo Marx eretico (Il Mulino, pp. 164, euro 13).


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Una cospirazione in piena luce

jacobin

Una cospirazione in piena luce

C’è la ghigliottina. La lama che cade separa. Non è un elogio della giustizia sommaria ma il simbolo di una necessità radicale di tracciare conflitti, di dividere quello che oggi artificialmente viene presentato come unito, magari sotto forma di “popolo” o all’insegna di un fantomatico “interesse nazionale”. Abbiamo bisogno di tracciare il campo di battaglia.

C’è un giacobino nero. Uno schiavo che, come accadde ad Haiti all’indomani della presa della Bastiglia, canta la Marsigliese rivolto alle truppe di Francia. La Francia di Napoleone che, reintroducendo la schiavitù, ha voltato le spalle alla rivoluzione. Quell’inno inatteso e straniante restituisce senso alle parole che da secoli terrorizzano gli oppressori e che non meritano di essere accantonate al primo passo falso: Libertà, Uguaglianza, Fraternità. Abbiamo bisogno di riprenderci tutto, a cominciare dalle parole che ci hanno sottratto.

C’è una galassia di cospiratori. Del tipo che un Dizionario filosofico-democratico stampato in Italia nel 1799, alla voce «giacobino», definisce così: «Vocabolo energico, che in sé comprende l’ateo, l’assassino, il libertino, il traditore, il crudele, il ribelle, il regicida, l’oppressore, il pazzo fanatico e quanto sinora vi fu di scellerato nel mondo». Abbiamo bisogno di riconnettere le congiure contro i tiranni di ogni tipo e di sottrarle alle narrazioni demonizzanti dei potenti.


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Francesco Paolella: Gli uomini e le cose

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Gli uomini e le cose

di Francesco Paolella

Fabio Dei, Cultura popolare in Italia. Da Gramsci all’Unesco, Il Mulino, 2018

Oggi più che mai, il mondo della cultura italiana, gli intellettuali e il ceto medio riflessivo, sembrano avere dei problemi con il popolo. Non lo capiscono più come una volta. Da quando il popolo non è più la classe, si è verificata una drammatica frattura fra l’alto e il basso, fra chi sa (cioè chi sa di sapere) e chi può (purtroppo, si dice ormai apertamente) decidere.

Ma non è soltanto la contingenza delle politiche governative o una questione di suffragio universale, con risultati elettorali sempre più indigesti, a pesare. È un problema che ha, e in particolar modo proprio per il caso italiano, una storia lunga e che questo libro di Fabio Dei ci restituisce, problematizzandola. Il volume è, infatti, dedicato a ricostruire gli studi degli ultimi due secoli sulla cultura popolare nel nostro Paese. Il folklore italico è stato oggetto di ricerca fin dall’Ottocento e poi lungo tutto il Novecento, con approcci e finalità ideologiche ovviamente discordanti (positivismo, fascismo, marxismo…). Al fondo, il tema può essere riassunto così: anche le classi subalterne (cioè, banalizzando un po’: gli ignoranti, i “webeti” si dice oggi, e in ultima analisi i poveri) possono esprimere una loro cultura, possono produrre un sapere, possono manifestarsi creativamente e non soltanto assorbendo passivamente, per caduta, i resti di quanto produce e crea la “vera” cultura, quella alta, borghese?


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Carlo Galli: A sinistra: da dove ripartire?

ragionipolitiche

A sinistra: da dove ripartire?

Virgilio Carrara Sutour intervista Carlo Galli

ph 120Professor Galli, parlando della distanza della sinistra e del centro-sinistra dall’elettorato che vorrebbero rappresentare, del loro eterno dividersi e della conseguente incapacità a reagire a forze che si accaparrano elementi del loro discorso, da dove possiamo partire per ricercare le cause di questa condizione?

Il fatto di parlare, allo stesso titolo, di ‘sinistra’ e di ‘centro-sinistra’ costituisce in sé un indice di indeterminatezza su ciò che oggi la sinistra è.

Con ogni evidenza, il centro-sinistra si è posto come architrave dell’attuale sistema socio-politico ed economico. Ciò ha funzionato finché il sistema ha avuto un minimo di capacità produttiva, di ordine e benessere. Quando il sistema, nel 2008, è andato in crisi (benché le ragioni della crisi siano insite nella sua stessa natura), la politica italiana è stata sospesa: abbiamo avuto governi tecnici sorretti in Parlamento quasi da tutta l’Assemblea. In seguito, abbiamo avuto un centrosinistra – la fase renziana – che ha promosso una serie di riforme funzionali a un assetto tutt’altro che ‘di sinistra’.

 

Ossia?

Allo scopo di rendere il sistema sociale ed economico più funzionante, conservandone tutte le contraddizioni interne, alcune riforme sono state fatte (il ‘Jobs Act’, la ‘Buona Scuola’); altre sono fallite: la Costituzione. Di fatto, il centro-sinistra non ha saputo – questo è il punto – individuare e, men che mai, correggere le contraddizioni del sistema, che produce più disagio che benessere, più povertà che ricchezza. Inoltre, quando produce ricchezza, non la distribuisce equamente. Il sistema genera disuguaglianza crescente e priva i cittadini, soprattutto i giovani, di un ragionevole futuro.


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Fulvio Grimaldi: La pagliuzza e la trave

mondocane

La pagliuzza e la trave

L'informazione, Di Maio, Calabresi

di Fulvio Grimaldi

Libertà come sei invecchiata, quando passi non ti riconosco più!

orsonSì, viaggiare (fuori, dentro, con e contro i media)

Nel primo tempo, quello del Vaffa, i 5 Stelle si astennero dal mescolarsi tra le anime morte, ma esuberantemente ciarliere, dell’informazione-comunicazione-intrattenimento-rintronamento, specie televisivi. Fecero bene a tirare un frego tra loro, che parlavano alla gente nelle piazze e in rete (ahimè solo per chi la frequentava), e coloro che le arrangiavano attraverso i canali consolidati del totalitarismo comunicativo. Nel secondo tempo, maturati, iniziarono a mescolarsi, con un certo occhio alla selezione. E fecero bene, giacchè ovunque apparissero e con chi, disintegravano l’interlocutore. Nei supplementari, oggi, si mescolano con chiunque, vanno dappertutto, anche da Barbara D’Urso. E non so se fanno bene, anche Renzi l’aveva fatto, davanti alle stesse ginocchia nude, d’attrazione e distrazione (che poi se uno le toccasse finirebbe alla garrota) della stessa intervistatrice, celebrante della star di turno. Forse gli tocca, giacché tutti, dappertutto, ne parlano e nel 99,9% dei casi male. E visto che sei al governo e ti ha messo lì la nazione, tocca rispondere. Sennò resta muto anche chi li ha eletti. E questo, in democrazia, non dovrebbe andar bene.

Inesperti e indisciplinati, non avvezzi alle buone regole, come sono tutti quelli che arrivano da fuori e in ritardo, i 5 Stelle a volte rispondono male. Senza neanche coprirsi la bocca. E tutti lo vengono a sapere e siccome quelli che gestiscono l’informazione, da sinistra a destra, li hanno in uggia, potete immaginare lo tsunami di riprovazione e damnatio memoriae, praesentis et futuri che gli arriva addosso. Uno tsunami che ha a disposizione tutti i venti per potenziarne la forza devastatrice: tv, stampa, metà dei social, i chierici, i laici benpensanti, gli amici del bar che guardano la Juve e le comari che festeggiano la gravidanza di Meghan e danno retta a Gramellini.


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Luca Benedini: Quale economia oggi per il bene comune?

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Quale economia oggi per il bene comune?

di Luca Benedini

Una serie di approfondimenti e riflessioni – riferiti eminentemente al mondo attuale – su Marx, l’evoluzione scientifica e la storia, sui “fallimenti del mercato”, sulla “economia del prendersi cura” (caring economics), sull’economia pluralistica, su lotta di classe e difesa dell’ambiente all’epoca della globalizzazione, su catena di montaggio e organizzazione del lavoro, su economia e qualità della vita

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Fondamenti economici e bene comune: una sintesi anche pratica

Quando politici ed economisti presentano attraverso i maggiori mass-media di un paese i modelli economici da loro caldeggiati o sponsorizzati, spessissimo si tratta semplicemente di tentativi di manipolare l’opinione pubblica insistendo su fasulle idee di facciata o su ideologie prive di effettivi riscontri nella realtà. Un rapporto onesto, corretto e autentico con le persone sull’economia richiede invece, innanzi tutto, di cercare di renderle consapevoli delle sue dinamiche effettive e dei suoi meccanismi reali [1]. E ciò a partire dalla questione che da tempo appare più scottante: il mercato.

 

Gli attuali pregi del mercato

Paradossalmente, uno degli effetti delle economie statalizzate che nel ’900 hanno cercato di ridurre a livelli minimi o addirittura nulli il mercato (dopo rivoluzioni come quelle russa, cinese, cubana, vietnamita, ecc., o dopo occupazioni militari come quella sovietica nei paesi del “patto di Varsavia” e in Corea del Nord) è stato proprio una crescente puntualizzazione dei meriti attualmente insostituibili del mercato.

Tra le innumerevoli voci che hanno notato questo, sintetizzava nel dicembre 1991 su Scientific American Nathan Rosenberg – docente di economia alla Stanford University – nel suo saggio Marx wasn’t all wrong: «Le economie centralizzate si sono dimostrate incapaci di condurre a livelli elevati di benessere materiale le masse socialiste», tanto più partendo da società scarsamente industrializzate.


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Mimmo Porcaro: Peggio di Guido Carli

rinascita

Peggio di Guido Carli

di Mimmo Porcaro

Guido Carli, Governatore della Banca d’Italia, ministro del tesoro, presidente di Confindustria, ecc., confessò nelle sue memorie di aver più volte aggirato il nostro Parlamento pur di preparare la strada ad una più compiuta unificazione europea.

Cosa che voleva fare per una limpida ragione di classe, ossia per offrire ai risparmiatori italiani la possibilità di pronunciare un secondo voto sull’operato del governo, in aggiunta a quello espresso nella cabina elettorale, scegliendo liberamente di investire o meno nei titoli nostrani o in quelli di altri stati, magari più “virtuosi”.

Un doppio diritto di voto che, ovviamente, spetterebbe in tal modo a chi viveva e vive di investimenti finanziari.

A chi vive solo o soprattutto di lavoro basta, chissà perché, un voto solo.

Nonostante questa sua esplicita motivazione classista, l’europeismo di Carli non era però senza discernimento: egli si batté con un certo successo per una Unione Europea dei pagamenti che potesse evitare la formazione di eccessivi squilibri trai partner del MEC, si preoccupò comunque dell’occupazione e non soltanto della stabilità monetaria e contrastò l’idea allora nascente secondo cui l’unico aggiustamento possibile per un paese in deficit fosse la deflazione.


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Gabriella Putignano: Se a dissolversi è il general intellect

alfabeta

Se a dissolversi è il general intellect

di Gabriella Putignano

Nel suo ultimo libro, Futurabilità, Franco «Bifo» Berardi si pone, anzitutto, l’obiettivo critico di decodificare il presente, di forgiare concetti per la comprensione di questo nostro mondo; in secondo luogo, intende scrutare la molteplicità di possibili futuri immanenti (la futurabilità, appunto), che implica un divenire altro, una mediazione relazionale e conflittuale.

L’odierno tessuto sociale si presenta, dunque, come una shitstorm (tempesta di merda), pervasa da risentimento identitario, desertificazione del pensiero complesso, autismo corale. È l’infosfera ad essere iper-satura, sovraccaricata e bombardata da stimoli d’ogni tipo, che annientano alla radice la lentezza scardinante della riflessione, il criticismo ponderato del lògos e fanno emergere una seriale ed estemporanea “cultura in polvere” (cfr. A. Appadurai, Modernità in polvere, Cortina Editore, Milano 2012), la demenzialità di urla scomposte e sguaiate.

Tale dinamiche, studiate a fondo da Bifo, si riverberano inevitabilmente nella struttura del contesto lavorativo attuale, la cui comprensione sarà la nostra principale premura. Difatti, nel passato, proprio dell’orizzonte fordista, assistevamo, sì, ad una riduzione del sé a corpo muto e ad una espropriazione del tempo vissuto, ma v’era al contempo una chiara definizione di “classe”, in grado di far vivere e vibrare concetti patici quali la compattezza unitaria, la coesione sociale, la reciproca complicità.


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Giuseppe Masala: Italia sotto attacco

lantidiplomatico

Italia sotto attacco

La narrazione non funziona quando c'è una spaccatura tra i corifei

di Giuseppe Masala*

E' già la seconda volta che capita. La prima volta pochi giorni prima della nascita del governo quando ci fu una forte fiammata dello spread. Da un lato Draghi, Oettinger (che disse addirittura che i mercati avrebbero insegnato agli italiani a votare) e Junker con a rimorchio tutti i corifei dei giornali e delle tv italiane ed europee a vaticinare sciagure per l'Italia qualora fosse nato il governo gialloverde. In meno di quarantotto ore ci fu un fuoco di sbarramento straordinario da parte della stampa anglosassone, Financial Times, Washington Post e Bloomberg addirittura arrivarono ad accusare la BCE di manipolare i mercati facendo aumentare artatamente lo spread per impedire la nascita di un governo considerato sgradito. Un attacco enorme che stranamente portò all'abbassamento istantaneo dello spread (excusatio non petita, accusatio manifesta…) ma che non ebbe purtroppo il seguito che avrebbe meritato con l'apertura di un indagine della magistratura italiana, ma tant'è.

Ora ci risiamo, dopo quindici giorni di attacchi concentrici da Bruxelles e da Francoforte (per bocca del solito Mariotto Draghi) contro la manovra italiana e in merito al piccolo declassamento di Moody's (che non ha alcun effetto pratico): il governo deve andarsene dicono i corifei all'unisono (da segnalare l'articolo dell'Ingegner Giavazzi sul Corriere che forse inconsapevolmente cita nientemeno che Lenin).


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Tonino D’Orazio: Sinistra e globalizzazione

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Sinistra e globalizzazione

di Tonino D’Orazio

Non si può essere di sinistra se favorevoli alla mondializzazione. Il vero viso della globalizzazione è lo sfruttamento della Terra e del genere umano tramite l’indebitamento. Ciò che abbiamo di fronte sono innumerevoli paradossi e terribili contraddizioni. Troppe.

Da un lato vi sono i buoni sentimenti e le emozioni umane, ancora molte per fortuna. Dall’altro c’è la dura realtà mascherata se non passivamente condivisa. Una sinistra che non ha più nulla da dire, talmente litigiosa e irretita intellettualmente che perde man mano il suo “corpus” ideologico. Recita il Manifesto: “The courage to stand alone” (Il coraggio di stare soli). Ovviamente non è più sufficiente. Dimenticando che una nazione ha sempre bisogno di un contro-potere credibile e che un popolo ha sempre bisogno di speranza di cambiamento per tentare di affrancarsi da nuove schiavitù.

La sinistra si vuole “aperta” sul mondo. In realtà è diventata anch’essa utile al totalitarismo mercantile. La triste realtà è che sfruttiamo la miseria del resto del mondo. Massacriamo l’ambiente, magari il più possibile lontano da noi, a casa d’altri, o per riverbero. La mondializzazione e l’ecologia, due “virtù” della sinistra sono in realtà le due più grandi ipocrisie attuali. Da idee sono diventate merci a vantaggio del capitalismo. La nostra ecologia consiste nel delocalizzare il nostro inquinamento. Il tutto per pagare meno i danni che facciamo, con grande margine di guadagno, movente deontologico del capitalismo.


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Miguel Martinez: Il transatlantico che non può girare

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Il transatlantico che non può girare

di Miguel Martinez

Come ben sapete, mi piace annoiarvi con storielle dell’Oltrarno, che però mi permettono di capire parecchie cose.

Certo, non tutte.

Vengo a sapere che la deputata del Partito Unico, di passaggio nella propria roccaforte, ha voluto andare a cena con il Marchese (proprio Lui in Persona, quello che ha una porticina segreta che gli permette di entrare anche di notte nella nota chiesa); con l’Antiquaria; e con il Fruttivendolo.

Allora capisci perché non è nemmeno immaginabile che si possa cambiare governo, qui.

Però in Italia, il governo è effettivamente cambiato, e ammetto di non riuscire a capire fino in fondo.

Uno dei motivi però me lo ha fatto capire una mia amica, che mi ricorda che oggi è l’ottavo anniversario di una dichiarazione dell’allora Sindaco, Matteo Renzi.

Parla proprio del nostro giardino:


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Oct 29, 2018, 1:17:44 PM10/29/18
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coniarerivolta: Tanto tuonò che non piovve

coniarerivolta

Tanto tuonò che non piovve

Perché i mercati sorridono al Governo nonostante la ‘bocciatura’

di coniarerivolta

amore
spreadLa bocciatura della manovra, o per meglio dire il rinvio della Commissione europea, potrebbe far pensare a un Governo in rotta con Bruxelles e, più in generale, con il Fondo Monetario Internazionale e con i mercati, a un’Italia con un piede fuori dall’Europa, con le agenzie di rating pronte a trasformare il debito pubblico italiano in spazzatura. Si potrebbe avere l’impressione che nubi nere si stiano addensando sull’Italia, preannunciando tempesta. La realtà è ben diversa. Per capirlo, bisogna andare oltre le dichiarazioni roboanti dei buffi soggetti coinvolti e l’altalena dello spread, e cogliere gli aspetti politici di fondo che muovono il Governo, da un lato, e le istituzioni europee dall’altro.

Questo Governo ha regolarmente dimostrato di non avere alcuna reale volontà di rottura dell’equilibrio europeo: dopo aver raccolto il voto di protesta contro l’Europa, ha sapientemente evitato di tradurlo in una radicale discontinuità con la disciplina europea. Sapientemente perché Salvini e Di Maio vogliono solamente gestire l’austerità al posto della precedente classe dirigente. Prova ne è la manovra finanziaria disegnata dai giallo-verdi: al di là degli strepiti della Commissione Europea, si tratta di una manovra in avanzo primario che sottrae risorse all’economia, indebolendo la domanda interna, la produzione e l’occupazione. Il Governo, fin dalla sua gestazione, non perde occasione per dimostrare la sua subalternità al paradigma dell’austerità. Avevano pensato ad un Ministro dell’Economia a parole molto critico verso la leadership tedesca che guida l’Europa, il temutissimo Savona, ma sono bastati pochi colpi di spread per convincerli a ripiegare su un grigio tecnico posto a garanzia dei conti. Avevano proposto una deviazione di tre anni dal percorso di rientro dal debito che veniva richiesto da Bruxelles, con la previsione di disavanzi continui del 2,4% dal 2019 al 2021; di nuovo, sono bastate poche bacchettate della burocrazia europea per convincerli a contenere la deviazione al solo 2019, ed imporre dal 2020 il vecchio percorso di contrazione del debito, che significa dosi crescenti di austerità, lacrime e sangue.


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Leonardo Mazzei: Falso ideologico su "quota 100"

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Falso ideologico su "quota 100"

I conti fasulli sulle pensioni del sig. Boeri Tito

di Leonardo Mazzei

1539330928220.jpg tito boeriLe uscite di Tito Boeri non si contano. "Uscite" nel senso più ampio del termine, dato che la sua principale attività non consiste nella gestione dell'Inps, come dovrebbe essere, ma nel mettere becco su ogni questione politica di pertinenza del parlamento. Essendo un uomo delle èlite per nascita, studi e collocazione ideologica, Boeri si permette da anni esternazioni di ogni tipo. Figuriamoci adesso, con il governo gialloverde che gli mette in pericolo il sacro dogma della Legge Fornero!

Nessuno stupore, dunque. Tanto più che lo strabordamento dal ruolo istituzionale di presidente dell'Inps è stato già consentito in passato al suo predecessore, l'indecente Antonio Mastrapasqua (2008-2014). Nessuno stupore, perché ci stiamo occupando dello stesso Boeri che il 19 luglio scorso è andato a sostenere alla Camera che il cosiddetto "Decreto Dignità" avrebbe provocato la perdita di 8mila posti di lavoro all'anno... Nessuno stupore, perché è evidente che il Boeri non è certo un tecnico super partes, bensì uno dei leader di fatto dell'opposizione sistemica al governo Conte. Nessuno stupore, ma davvero non se ne può più di esternazioni fondate su una presunta "autorità", certificata da media servili che mai vanno a scavare sull'attendibilità delle sparate di questo signore.

Dobbiamo dunque occuparcene, anche perché tante sono le bufale diffuse ad arte sul tema, tante le sciocchezze che circolano sia sulla stampa che sul web. E quasi tutte queste autentiche fake news hanno proprio come fonte primaria le apodittiche affermazioni del Boeri. Per farla breve, mettiamo a fuoco tre aspetti di quanto va dicendo il presidente dell'Inps: le sue contraddizioni, i suoi calcoli, le sue insinuazioni.


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Eros Barone: Dal sindacalismo collaborazionista ad un sindacalismo di classe

sinistra

Dal sindacalismo collaborazionista ad un sindacalismo di classe

Alcune riflessioni

di Eros Barone

mirafiori1980Lo sviluppo normale del sindacato è segnato da una linea di decadenza dello spirito rivoluzionario delle masse: aumenta la forza materiale, illanguidisce o svanisce del tutto lo spirito di conquista, si fiacca lo slancio vitale, all’intransigenza eroica succede la pratica dell’opportunismo…L’incremento quantitativo determina un impoverimento qualitativo e un facile accomodarsi nelle forme sociali capitalistiche, determina il sorgere di una psicologia operaia pidocchiosa, angusta, di piccola e media borghesia...Il sindacalismo si è rivelato nient’altro che una forma della società capitalistica, non un potenziale superamento della società capitalistica. Esso organizza gli operai non come produttori, ma come salariati, cioè come creature del regime capitalistico di proprietà privata, come venditori della merce lavoro. Il sindacalismo unisce gli operai…a seconda della forma che loro imprime il regime capitalista, il regime dell’individualismo economico.

Antonio Gramsci, «L’Ordine Nuovo», 8 novembre 1919.

  1. Il documento della maggioranza: il gergo di un ceto privilegiato e autoreferenziale

In questo periodo la CGIL sta tenendo le assemblee di base in vista dello svolgimento del XVIII congresso nazionale, che si terrà a Bari dal 22 al 25 gennaio 2019. I documenti presentati sono due: quello della maggioranza, intitolato “Il lavoro È”, e quello della minoranza, intitolato “Riconquistiamo tutto!”.

Orbene, fin dalle prime pagine il documento della maggioranza si configura come un tipico prodotto di quel linguaggio ‘sindacalese’ ‘politicamente corretto’ che, come osserva Stalin in un suo acuto scritto dedicato alla linguistica, impedisce la corretta comunicazione: «Basta soltanto che la lingua si allontani da questa posizione nei confronti dell'intera nazione, basta soltanto che la lingua si metta su una posizione di predilezione e di sostegno di un qualsiasi gruppo sociale a detrimento degli altri gruppi sociali della società, perché essa perda la propria qualità, cessi di essere mezzo di comunicazione tra gli uomini in seno alla società, si trasformi in gergo di un qualsiasi gruppo sociale, degradandosì e condannando se stessa al dileguamento».


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Sergio Cesaratto: E' il tasso di interesse, bellezza!

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E' il tasso di interesse, bellezza!

Scontro UE-Italia. La soluzione c'è ma "l'Europa" non la vuole

Federico Ferraù intervista Sergio Cesaratto

Il patto di stabilità e crescita "è un'assurdità perché in fase di depressione i bilanci pubblici hanno il dovere di andare in disavanzo e sostenere l'economia"

La commissione europea ha respinto al mittente la manovra italiana. "Il Governo italiano sta apertamente e coscientemente andando contro gli impegni presi verso se stesso e verso gli altri Stati membri", hanno detto i due commissari Moscovici e Dombrovskis nella loro replica al ministro Tria. Il motivo della bocciatura è la violazione del patto di stabilità e crescita per debito eccessivo. Alle parole dei commissari ha fatto eco, ieri sera, anche il presidente Mattarella. Sergio Cesaratto, ordinario di economia politica nell'Università di Siena, la pensa diversamente. L'equilibrio di bilancio "è un'assurdità perché in fase di depressione i bilanci pubblici hanno il dovere di andare in disavanzo e sostenere l'economia". Per Cesaratto occorre diminuire la spesa per gli interessi, l'Italia non ha altra strada. "La Bce ha i mezzi per intervenire. Se vuole". Ma non farà nulla, spiega l'economista.

* * * *

"La logica dell'equilibrio di bilancio non è quella di un astratto rigore", ha detto Mattarella, perché del disordine sui conti fanno le spese i più deboli. E' così, professore?


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Enzo Acerenza: Riformare il sistema? Demolirlo!

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Riformare il sistema? Demolirlo!

di Enzo Acerenza

Avanti, di giorno in giorno, alla prova dei fatti, il sistema non può essere riformato dall’interno. Qualunque modifica sostanziale del funzionamento dello Stato, della gestione delle risorse finanziarie, del rapporto fra il cosiddetto datore di lavoro e il dipendente trova dei limiti invalicabili. I cialtroni della piccola borghesia al governo che erano partiti in tromba stanno frenando. Dall’abolizione della Fornero, del jobs act, alla fine della povertà col reddito di cittadinanza sono arrivati ad una misura di prepensionamento, ad un misero intervento sui contratti a termine, ad un contributo di disoccupazione. La resa dei conti con la grande borghesia europea ed italiana li sta costringendo a più miti consigli. Alla fine la montagna partorirà un topolino. Si scontrano con limiti invalicabili che loro stessi hanno contribuito ad edificare. La produzione deve produrre profitti e il contenuto dell’accordo sull’ILVA sotto l’egida di Di Maio ne è la prova, anche se copre licenziamenti, operai e cittadini avvelenati. Le casse dello Stato devono servire principalmente a favorire gli affari dei padroni e delle banche ed allora contributi sugli investimenti in macchinario per sfruttare meglio gli operai. L’alta burocrazia non si deve toccare, è lei che garantisce il funzionamento della macchina statale.


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Matteo Moca: Alienazione e anestesia. Capitalismi oggi

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Alienazione e anestesia. Capitalismi oggi

di Matteo Moca*

Parafrasando le parole di Karl Marx e Friedrich Engels, lo spettro che si aggira ormai da tempo nell’Europa risponde al nome del capitalismo: ma tanta ed estesa è la sua frequentazione con il mondo, che esso ha imparato ad assumere forme e sembianze sempre diverse, sottostando ad un diabolico principio di mutevolezza che mai si placa e che lo rende sempre più sfuggente. Se il libro del 2013, divenuto più che celebre, di Thomas Piketty Il capitale nel XXI secolo, mostrava come esso dominasse nell’andamento delle disuguaglianze tra i redditi, sono recentemente usciti due saggi che tentano di esplorare alcune delle forme che il capitalismo sta assumendo oggi, letture imprescindibili per comprendere le nuove forme attraverso cui esso appare.

Da una parte l’analisi si muove in relazione alle sostanze farmaceutiche che, in diversa misura, prendono un posto decisivo nel quotidiano delle esistenze, dall’altra indaga invece come l’illusione della tecnica e della tecnologia miri a nascondere le alienazioni del presente, tutt’altro che scomparse. Si tratta del libro di Laurent de Sutter Narcocapitalismo. La vita nell’era dell’anestesia, edito da Ombre Corte con la traduzione di Gianfranco Morosato e di La grande alienazione. Narciso, Pigmalione, Prometeo e il tecnocapitalismo del sociologo Lelio Demichelis, pubblicato da Jaca Book.


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Mayer Hillman: Siamo condannati: una realta' climatica che nessun altro osa menzionare

comedonchisciotte

Siamo condannati: una realta' climatica che nessun altro osa menzionare

Intervista a Mayer Hillman

“Siamo condannati”, dice Mayer Hillman, con un sorriso così radioso che occorre qualche istante per capire veramente il senso della frase. “Il risultato è la morte ed essa rappresenta la fine della maggior parte delle forme di vita del pianeta, perché siamo diventati completamente dipendenti dai combustibili fossili. Non c’e modo di invertire il processo che sta provocando la fusione delle calotte glaciali. E, a quanto pare, sono pochi quelli in grado di riconoscerlo.”

Hillman, un ottantaseienne studioso di scienze sociali e membro emerito anziano del Policy Studies Institute, lo riconosce. Le sue fosche previsioni su un cambiamento climatico ormai fuori controllo, e lo dice senza enfasi, sono “le sue ultime volontà e il suo testamento”. Il suo ultimo intervento nella vita pubblica. “Non ho intenzione di scrivere più niente, perché non c’è più nulla da dire”, aveva affermato la prima volta che lo avevo sentito parlare, di fronte ad una platea sbalordita all’Università dell’East Anglia, l’anno scorso.

Da Malthus, fino al Millennium Bug, le teorie apocalittiche hanno sempre dato risultati assai poco significativi. Ma, quando vengono da Hillman, potrebbe valere la pena starle a sentire. In più di 60 anni, nelle sue ricerche, ha utilizzato dati di fatto per sfidare l’opinione comune degli uomini politici. Nel 1972 aveva criticato i centri commerciali extra-urbani vent’anni prima che il governo, per fermare la loro diffusione, cambiasse la regolamentazione urbanistica.


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Pasquale Cicalese: La bomba dei crediti deteriorati è esplosa

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La bomba dei crediti deteriorati è esplosa

di Pasquale Cicalese

Succede che con la più devastante crisi economica che l’Italia abbia mai conosciuto i crediti non riscossi dalle banche, vale a dire i crediti deteriorati o, detto in inglese, Non performing Loans (NPL) esplodano fino a passare da 42 miliardi del 2008 a 360 miliardi del 2016.

Succede che la Vigilanza Bancaria Europea obblighi le banche italiane a diminuire il totale degli NPL sui bilanci bancari.

Succede che le banche italiane, costrette a disfarsi presto degli NPL, li vendano ad un valore inferiore al 20%.

Succede che fondi avvoltoi comprino questi NPL e incomincino a riscuotere il credito con metodi da strozzino.

Succede che l’associazione degli armatori Confitarma informi che diverse compagnie marittime navigano in brutte acque.

Succede che i crediti delle banche siano state cedute a fondi avvoltoio, i quali chiedono il fallimento e riscuotano decine e decine di navi poi messe in vendita.

Succede che diverse compagnie armatoriali facciano questa fine, a tal punto che Confitarma lancia l’allarme sul calo della proprietà italiana nella flotta mercantile.


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Francesco Petrini: L’Unione Europea è un’opportunità o una gabbia?

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L’Unione Europea è un’opportunità o una gabbia?

Intervista al prof. Francesco Petrini

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860x280A ridosso della manifestazione del 20 ottobre per rivendicare la nazionalizzazione dei settori strategici dell’economia, consideriamo utile pubblicare un’intervista inedita da noi realizzata questa estate a Francesco Petrini, professore presso il Dipartimento di Scienze Politiche, Giuridiche e Studi Internazionali dell’Università di Padova.

Oggetto della chiacchierata erano stati la genesi e lo sviluppo delle istituzioni dell’Unione Europea. Una battuta su tutte: gli organismi comunitari vedevano la luce mentre contemporaneamente in Italia si stava per animare il dibattito che alla fine del 1962 avrebbe visto la nazionalizzazione dell’energia elettrica, e già allora la Cee ebbe un ruolo nel fornire a Confindustria argomentazioni favorevoli a osteggiare questo risultato. Cinquanta e più anni dopo, siamo qui a raccogliere i cocci delle reti infrastrutturali nazionali privatizzate sotto la spinta della consolidata architettura comunitaria, e come giovani continuiamo a essere il target prescelto per una propaganda ormai già stantia secondo cui le privatizzazioni dovrebbero essere l’orizzonte di un futuro desiderabile. Sappiamo invece il danno che hanno provocato in questi decenni, e come l’infiltrazione dei meccanismi ordoliberali all’interno dell’amministrazione statale abbia condizionato anche istituzioni ancora formalmente in mano al controllo pubblico: il caso emblematico del mondo della formazione e della ricerca, ancora pubblico ma sempre più rivolto agli interessi del mercato, ci permette di parlare di una eterogenesi dei fini in cui la semplice rivendicazione di maggiori investimenti pubblici nel settore, tanto cara alla sinistra, risulta una lancia spuntata quando non porta addirittura acqua al mulino dei sostenitori della costruzione di pochi modelli di eccellenza. Nazionalizzare quindi significa invertire questa rotta mettendo un bastone negli ingranaggi delle macine che ci stanno tritando, riportare al centro gli interessi del pubblico con un cambio di prospettiva sistemico che va ben aldilà della mera titolarità sulla proprietà delle reti, dei beni e dei mezzi.


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György Lukács: Crisi parallele

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Crisi parallele

Intervista a György Lukács

In «L’utopia concreta. Rivista quadrimestrale», I, n. 1, ottobre 1993 [da «New Left Review», n°60, marzo – aprile 1970]

1 paolo morso da un vipera dopo il naufragio a
                malta roma basilica di san paoloCompagno Lukács, come giudica la sua vita e l’epoca storica in cui ha vissuto? In cinquantanni di lavoro scientifico e rivoluzionario ha avuto la sua parte di onori e di umiliazioni. Sappiamo anche che è stato in pericolo dopo l’arresto di Béla Kun nel 1937. Se dovesse scrivere un’autobiografia o delle memorie personali, quale lezione fondamentale ne trarrebbe?

Per rispondere brevemente, direi che è stata una mia grande fortuna aver vissuto una vita intensa e densa di avvenimenti. Lo considero come un particolare privilegio di cui ho avuto esperienza negli anni 1917/1919. Poiché provenivo da un ambiente borghese – mio padre era un banchiere di Budapest – e pur attuando un’opposizione piuttosto individuale in «Nyugat»1 – facevo parte tuttavia dell’opposizione borghese.

Non arriverei a dire – non potrei – che il puro e semplice impatto della prima guerra mondiale sarebbe stato sufficiente a fare di me un socialista. Fu senza dubbio la Rivoluzione russa e i movimenti rivoluzionari che ne seguirono in Ungheria che mi spinsero a diventarlo, e a ciò sono rimasto fedele. Ritengo che questo sia uno degli aspetti più positivi della mia vita. È un’altra questione se, oppure no, essa, nel suo insieme, abbia subito degli alti e bassi, in qualsiasi direzione, si può dire però che abbia avuto una certa unità. Guardando indietro, posso individuare le due tendenze che hanno prevalso lungo tutto l’arco della mia esistenza: in primo luogo, esprimere me stesso, poi, essere al servizio del movimento socialista – così come io l’ho inteso in ogni momento. Queste due tendenze non si sono mai disgiunte, né sono mai stato assillato da un qualche conflitto tra di esse.


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Daniele Benzi: Chiuso per fallimento (e lutto)

sinistra

Chiuso per fallimento (e lutto)

Il “laboratorio” politico latinoamericano quindici anni dopo

di Daniele Benzi 1

10502410 659101007511710 2302139020584301410 nDefeat is a hard experience to master: the temptation is always to sublimate it.
Perry Anderson, Spectrum

La vittoria elettorale di un fascista nel più grande e popoloso paese dell’America latina, un ex capitano omofobo, sessista e razzista, appoggiato dall’esercito, dalle chiese evangeliche, dai proprietari terrieri e adesso anche dal capitale finanziario, che ha già ricevuto quasi 50 milioni di voti al primo turno, sarebbe un ulteriore passo verso l’abisso in Brasile.

La trasfigurazione di un mai ben chiarito “socialismo del XXI secolo” in una cleptocrazia pretoriana in Venezuela, paese ormai sull’orlo del collasso e che rischia seriamente un’invasione e/o una guerra civile qualora certe trame geopolitiche, sociali o finanziarie fuori controllo del governo la rendessero conveniente (o necessaria), è una tragedia per chi ha accompagnato, criticamente, l’evoluzione del processo bolivariano.

Comunque vadano le cose, però, in questi e in altri paesi (Nicaragua in primis), il peggio per le sinistre purtroppo è già accaduto. Il “laboratorio” politico latinoamericano che le aveva ridato fiato, fiducia e speranze non è temporaneamente chiuso per ferie, ma per fallimento. E lutto. Rivelando, fra le altre cose, che almeno per ora un altro mondo non è possibile. Forse solo alcune esperienze locali lo sono, importantissime, ma pur sempre locali, come il neo-zapatismo messicano, difficilmente riproducibili, difficilmente esportabili, difficilmente comprensibili al di fuori del loro contesto, e che si inceppano non appena oltrepassano la soglia di casa.


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Manlio Dinucci: Tridente Nato da Napoli al Nord Atlantico

manifesto

Tridente Nato da Napoli al Nord Atlantico

di Manlio Dinucci

L'arte della guerra. Con un dispiegamento di circa 50mila uomini ha preso il via l’esercitazione Nato Trident Juncture 2018 che si svolge nella Norvegia centrale e orientale, nelle aree adiacenti del Nord Atlantico (fino all’Islanda) e del Mar Baltico (inclusi gli spazi aerei di Svezia e Finlandia). Vi prendono parte le forze armate dei 29 paesi membri della Nato, più Svezia e Finlandia

Marines Usa, sbarcati da convertiplani ed elicotteri della nave da assalto anfibio Iwo Jima, hanno «messo in sicurezza» l’aeroporto di Keflavík in Islanda, dove sono arrivati da Sigonella aerei Poseidon P-8A per la caccia ai sottomarini nemici. Così ha preso avvio il 17 ottobre l’esercitazione Nato Trident Juncture 2018, la cui fase principale si svolge dal 25 ottobre al 7 novembre nella Norvegia centrale e orientale, nelle aree adiacenti del Nord Atlantico (fino all’Islanda) e del Mar Baltico (inclusi gli spazi aerei di Svezia e Finlandia). Vi prendono parte le forze armate dei 29 paesi membri della Nato, più quelle di due partner, Svezia e Finlandia. Complessivamente, circa 50mila uomini, 65 grandi navi, 250 aerei, 10 mila carrarmati e altri veicoli militari. Se questi fossero messi in fila, l’uno accosto all’altro, formerebbero una colonna lunga 92 km. Comandante dell’esercitazione, una delle maggiori degli ultimi anni, è l’ammiraglio statunitense James Foggo.


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Riccardo Paccosi: Ucraina e Brasile

quadernirozzi

Ucraina e Brasile

di Riccardo Paccosi

Se in questi due paesi torna l’alleanza fra neoliberismo ed estrema destra, occorre aggiornare alcune analisi

Se fra una settimana Jair Bolsonaro diventerà presidente del Brasile avremmo, nel mondo, due paesi nei quali si sarà ri-attualizzata la saldatura strategica fra estrema destra – più o meno neofascista – ed èlite capitaliste occidentali: Ucraina e Brasile. Troppi e troppo importanti, per poter fare finta di niente.

 

1. Sul ruolo di neofascisti e post-fascisti oggi

Ma procediamo con ordine: nel mio recente articolo intitolato “Tentativo di fare il punto su fascismo e antifascismo, ma al di fuori del penoso dibattito in corso” (pubblicato da quadernirozzi.it, lintereferenza.info e sinistrainrete.info), ho tentato di analizzare come il ruolo delle formazioni politiche neofasciste e post-fasciste fosse, in questa fase, non tanto quello dei decenni passati di avanguardia anti-operaia e spalleggiante l’imperialismo Nato, quanto quello di gatekeeper del dissenso: il ruolo odierno di neofascisti e post-fascisti, cioè, consta dell’incanalare il dissenso generato dalle contraddizioni di classe entro prospettive securitarie “legge e ordine”, con l’abbellimento cosmetico di qualche proposta di protezione sociale.


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Roberto Romano: La scatola nera della legge di Bilancio 2019

sbilanciamoci

La scatola nera della legge di Bilancio 2019

di Roberto Romano

Difficile districarsi con numeri che cambiano in corsa, cerchiamo allora di fare chiarezza tra deficit tendenziale e strutturale, sull’impatto di condono, reddito, pensioni. Andando oltre il paradosso della storia recente per cui il deficit è diventato di destra e classista e il rigore di sinistra. Ricordando la lezione di Leon

Districarsi tra i numeri del bilancio è sempre stata un’impresa complicata. È sicuramente più agevole leggere una manovra che predisporla, ma la proposta di bilancio 2019 del governo in carica mette a dura prova anche gli analisti. Potremmo anche usare le argomentazioni della lettera di Dombrovskis e Moscovici inviata al governo Conte (18 ottobre 2018), rispettivamente vice presidente della Commissione europea e Commissario Ue, ma le argomentazioni adottate reiterano e denunciano l’incoerenza del Documento Programmatico di Bilancio 2018 rispetto al Patto di Stabilità e Sviluppo come declinato nel Fiscal compact, cioè “la deviazione significativa rispetto allo sforzo strutturale dello 0,6% del Pil raccomandato dal Consiglio del 13 luglio 2018”. Un esercizio che tradirebbe il buon senso economico a tutto vantaggio dei così detti “Poteri Ignoranti” (P. Leon) e dell’ipocrisia neoclassica che ha perso il gusto (inteso come sapere) dell’economia quale scienza sociale.


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Mauro Miccolis: Molto Spread, molto onore

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Molto Spread, molto onore

di Mauro Miccolis

Uno degli indicatori più usati per valutare la crisi italiana è lo “spread con i bund tedeschi”. Ma che cosa significa?

Lo spread è considerato un indicatore della capacità di un paese di restituire i prestiti.

Lo spread è la differenza o “allargamento” (spread in inglese) di rendimento tra i titoli di Stato (come i btp) italiani e quelli tedeschi (“bund”), meno l’Italia è credibile, più alti sono gli interessi che deve pagare per avere prestiti e più aumenta lo spread con i titoli tedeschi, giudicati molto affidabili.

Se dal punto di vista economico uno stato “ha i conti a posto“, i suoi titoli sono caratterizzati da un interesse basso, mentre al contrario uno stato considerato meno affidabile pagherà un interesse maggiore a chi compra le sue obbligazioni.

La questione sembra andare contro la logica: perché un rendimento più alto è sintomo di un’economia in crisi? Molto semplice: questi titoli sono considerati un rischio dagli investitori: è possibile acquistarli sperando di ricavarne molti interessi, ma bisogna sempre considerare che in seguito ad una bancarotta si perderà tutto il denaro investito.

Per rendere quindi appetibile l’investimento da parte degli scettici, vengono proposti rendimenti molto elevati, i quali permetterebbero di coprire un’eventuale acquisto di CDS a garanzia dell’investimento dei titoli italiani (una specie di assicurazione sull’investimento che ti permette di coprire l’eventuale perdita).


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Redazione: Potere al popolo, come proseguire dopo la conta?

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Potere al popolo, come proseguire dopo la conta?

di Redazione

La conta come era prevedibile ha scosso e creato confusione in diverse assemblee territoriali. Non si può far finta di niente

La battaglia sullo statuto di Potere al Popolo si è conclusa e ora sono più chiare diverse questioni. Intanto solo a distanza di giorni viene confermato, candidamente, da alcuni dirigenti, che essa era una battaglia innanzitutto politica (basti vedere gli scritti in merito di Prinzi). Peccato che se ne siano accorti in pochi, dato che lo scontro è stato mascherato all’interno della contesa sulle regole del gioco e questo la dice lunga sul rispetto che il Coordinamento nazionale provvisorio (con l’eccezione di qualche singolo) ha dei militanti di base: utili portatori di acqua nella sfera del “fare”, usati come massa di manovra per la conquista del potere, ma da tenere fuori da ogni possibilità di battaglia delle idee. Talvolta la realtà gioca brutti scherzi e si diverte a ribaltare tutti i piani preparati a tavolino, per questo siamo materialisti e dialettici perché sappiamo di dover fare i conti con la prassi oltre che con il suddetto tavolino. Ma qui a ribaltare le cose ci si è provato di proposito, anteponendo la discussione sulle regole a quella sulla linea politica. Adottando una tattica forse utile in una fase pre-rivoluzionaria, possiamo confermare che le cose le stiamo facendo veramente al contrario.


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tonino

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Oct 31, 2018, 4:44:59 AM10/31/18
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Redazione: Lo spread sul filo del rasoio tra mito e realtà

senzasoste

Lo spread sul filo del rasoio tra mito e realtà

di Redazione

Spread IT DLo spread oltre la propaganda, la retorica e la campagna elettorale permanente. "Ricordate lo spread del 2011? Bene, chi ha comprato allora, nel 2011, i Btp, alla data di oggi, tra cedole e apprezzamento ha guadagnato oltre il 50% cumulativo. Per pagare il tutto il paese non è fallito ma è stato, semplicemente, tosato. Il governo Conte sta facendo una scommessa simile, offrire un titolo appetibile senza entrare in una zona dove lo stato finisce sbancato, coltivando sostanzialmente il proprio elettorato". "l’Italia in pratica è l'unico paese Ocse che paga rendimenti sui titoli di stato superiori all'inflazione". "Il conto si pagherà. A spese della società italiana, ovvio, ma niente è gratis".

* * * *

Come ampiamente prevedibile la vicenda spread ha catturato l’attenzione politica. Non solo dei soggetti istituzionali ma anche di chi, da differenti posizioni, si occupa di politica. Non è la prima volta che accade, nel 2011 lo spread in poche settimane passò da quota 150 a oltre 500 causando il crollo del governo Berlusconi. E’ la prima volta che accade con un uso consolidato dei social media. Quindi con un radicamento microfisico del tema e della criticità sociale che l’accompagna. Certo, per diversi trader, lo spread a 500 rappresenta solo lo scrollone di un albero che sta comunque in piedi ma, dal punto di vista politico e sociale, è un grosso elemento di fibrillazione.

Nei mesi scorsi, a livello di mainstream, erano circolate due tesi differenti. La prima è che lo spread non era così importante per valutare le finanze di un paese. La seconda, di tipo opposto, è che si stava preparando il grande complotto contro l’Italia.


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di Mauro Casadio: I comunisti, la politica e la classe. Fare i conti con passato e futuro

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I comunisti, la politica e la classe. Fare i conti con passato e futuro

di Mauro Casadio*

Burani
belloLa decisione del PRC di non partecipare alle elezioni di Potere al Popolo sullo Statuto, presa la sera prima della consultazione online, ci sembra sia stata una scelta errata e da un certo punto di vista incomprensibile. Un pronunciamento politico degli aderenti ad una forza, in cui il PRC ha evidentemente un peso notevole, non può portare ad una crisi e ad una spaccatura politica se si condividono i fini del progetto avviato un anno fa con l’assemblea del Teatro Italia.

Probabilmente è su questi fini che bisogna tornare a ragionare, per capire cosa è accaduto, al di là del clima conflittuale e del delirio sui Social, che si dimostrano essere sempre più un elemento dannoso di confusione dove l’opinione personale, cioè l’individualismo spinto, travolge ogni capacità di analisi raziocinante della difficile realtà con la quale tutti noi dobbiamo fare i conti, fuori dalla virtualità di quel mondo.

In questo frangente contraddittorio, prodotto da una trasformazione radicale delle condizioni generali in cui operiamo, sentiamo spesso nei ragionamenti fare riferimento alla questione dell’unità, che è certamente un elemento importante, in quanto non ci si può certo augurare la frammentazione. Una questione, l’unità, che nella storia della sinistra in Italia a partire dagli anni ’70 ha accompagnato (casualmente?) il declino della sinistra stessa fino all’attuale condizione, che non dipende certo dalle divergenze interne a PaP. Tale constatazione, evidente agli occhi di tutti, ci porta alla conclusione che non possiamo scindere la questione dell’unità necessaria dai contenuti che non sono “divisivi”, come oggi va di moda dire, ma che essa è il prodotto di determinate visioni della realtà, delle sue dinamiche e delle prospettive con cui ci si intende misurare.


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Carlo Formenti: America Latina: chi lotta può perdere, chi non lotta ha già perso

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America Latina: chi lotta può perdere, chi non lotta ha già perso

di Carlo Formenti

from to r nicaragua 890b diaporamaIl giro a l’izquierda in America Latina, la svolta a sinistra che ha visto l’andata al potere di governi progressisti in Argentina e Brasile e la nascita di regimi variamente definiti postneoliberisti, populisti di sinistra o socialismi del secolo XXI in Bolivia, Ecuador e Venezuela non ha mai suscitato l’entusiasmo delle sinistre radicali (autonomi e trotskisti in particolare). Negri, ad esempio, ha definito Chavez e Correa come due ducetti fascisti e dichiarato che il liberismo è preferibile al loro neosviluppismo statalista; quanto ai trotskisti, è noto che qualsiasi regime che non segua la loro linea politica (cioè tutti, visto che non hanno mai svolto un ruolo egemone in qualsiasi processo rivoluzionario – ad eccezione di Trotsky, che non era trotskista) è per loro un nemico.

Questa postura ideologica riflette sentimenti e interessi di quell’ampio e variegato corpaccione di ceti medi latino americani (professori, studenti, funzionari pubblici, artigiani, piccoli imprenditori e commercianti, nuove professioni “creative”, tutti coloro che si è ormai soliti chiamare “ceto medio riflessivo”) che, ancor più di quello di casa nostra, oscilla fra reazione e sovversivismo piccolo borghese. Quando i movimenti di massa avanzano, come è avvenuto fra fine anni Novanta e inizio del Duemila, costoro si accodano, lucrando vantaggi economici, ideali e di status sociale (le costituzioni bolivariane registrano non a caso i desiderata dei “nuovi movimenti” che hanno appoggiato i processi rivoluzionari in cambio del riconoscimento di certi diritti individuali).


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Alessandro Avvisato: In Europa non regge la finta contrapposizione tra “europeisti” e nazionalisti

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In Europa non regge la finta contrapposizione tra “europeisti” e nazionalisti

di Alessandro Avvisato

A Strasburgo si è rotta, anche visivamente, la “contrapposizione ingannevole” tra presunti europeisti liberali e nazionalisti di destra. Lo schieramento a favore della bocciatura della “legge di stabilità” italiana da parte della Commissione europea, infatti, ha visto dissolversi il cosiddetto “fronte sovranista”, con l’Austria e altri “compari di merende” europei di Salvini compattamente schierati con Bruxelles. Mentre le voci in difesa del diritto di qualsiasi paese membro – dunque anche dell’osceno governo italiano in carica – di scegliere il modo di impiegare il proprio bilancio sono arrivate soltanto dalla quella sinistra che contesta radicalmente il sistema dei trattati e l’ordoliberismo mercantilista dell’Unione Europea.

Sorpresi? Solo perché siete immersi nella disinformazione tossica diffusa a piene mani in Italia…

Andiamo con ordine.

Nel corso di una conferenza stampa, il leader de La France Insoumise, Jean-Luc Mélenchon ha detto:

“Io preferisco difendere la sovranità popolare e il governo italiano. Per la prima volta la Commissione se la prende con il budget votato dal Parlamento di uno Stato che rispetta i trattati. Dal momento che non si tratta di rispettare i trattati, ma di una scelta di budget, si capisce che è una espropriazione della sovranità dei popoli, qualunque cosa pensiamo delle scelte che hanno fatto.


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Militant: L’Unione Europea e i “populisti ingenui”

militant

L’Unione Europea e i “populisti ingenui”

di Militant

Fin dal giorno dopo l’insediamento del governo giallo-blu (sulla questione cromatica ci torneremo in un prossimo post) i due vice ministri Salvini e Di Maio hanno continuato a ripetere urbi et orbi che non esiste alcun piano B per la fuoriuscita dall’Unione Europea né, tantomeno, dalla zona euro. Aggiungendo che la loro reale intenzione è quella di riformare l’Ue e non certo di romperla.

Ognuno dei loro scontri dialettici con i “burocrati bolliti” di stanza a Bruxelles, diventati sempre più frequenti dopo la presentazione del DEF, è stato così idealmente procrastinato al redde rationem del prossimo maggio, quando con le elezioni europee, a detta loro, l’ondata populista metterà finalmente fine al duopolio PPE-PSE. Ora, noi non abbiamo elementi per dire se queste dichiarazioni servano opportunisticamente a non far “agitare i mercati” da cui dipende il costo del debito italiano, o se invece i due siano effettivamente convinti di quanto sostengono. A naso, però, propenderemmo per la seconda ipotesi, visti anche i limiti strategici che sono intrinseci ad ogni ragionamento populista.

Tanto per fare un esempio il ministro leghista Lorenzo Fontana, in un’intervista riportata sul Corriere della Sera del 23 ottobre (leggi) in cui annuncia la nascita dell’internazionale sovranista per il prossimo febbraio, è arrivato addirittura a sostenere che dopo maggio l’europarlamento a trazione sovranista porrà mano ai trattati, cambiandoli.


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Marcello Minenna: Come può la UE rifiutare una manovra che rispetta i parametri di Maastricht?

vocidallestero

Come può la UE rifiutare una manovra che rispetta i parametri di Maastricht?

Dietro la disputa tra Bruxelles e Roma

di Marcello Minenna

L’economista mainstream Marcello Minenna, sul quotidiano mainstream Wall Street Journal, spiega la disputa in corso tra Bruxelles e Roma sul bilancio italiano. Al centro della contesa stanno stime econometriche sulle quali, afferma Minenna, è più che probabile che il governo italiano abbia ragione. Bruxelles tende a sottostimare il potenziale di crescita di un’Italia che viene da anni di crisi con disoccupazione elevata. Tra queste stime ci colpisce, in particolare, il tasso di disoccupazione sotto il quale non dobbiamo scendere per non attivare pressioni inflazionistiche sui salari (NAWRU). Ma perché non possiamo tollerare pressioni inflazionistiche (specie se si tratta di far lavorare i disoccupati) ora che l’inflazione è decisamente sotto il due per cento? Minenna non lo dice, ma qui lo sappiamo, da anni: l’euro (come ogni cambio fisso) è insostenibile se economie diverse viaggiano a tassi di inflazione diversi

La resa dei conti tra Roma e Bruxelles occupa da settimane i media europei e gli investitori. Il nuovo governo italiano, composto da partiti politici particolarmente ribelli, ha proposto un deficit di bilancio pari al 2,4 percento del PIL per il prossimo anno. Martedì la Commissione Europea ha dichiarato che questa cifra è troppo elevata e ha dato all’Italia tre settimane di tempo per proporre una revisione della bozza di bilancio. Tuttavia, il 2,4 percento è ben sotto il limite del 3 per cento stabilito dal Trattato di Maastricht. Perché Bruxelles impone a Roma un limite così stretto?


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Manuel de Palma: UE: oltre la propaganda, nulla di democratico da segnalare

rinascita

UE: oltre la propaganda, nulla di democratico da segnalare

di Manuel de Palma

Io proprio non capisco cosa piace di questa Unione Europea… per quanto io mi sforzi, non riesco proprio a capire cosa ci sia di così positivo.

L’Unione Europea è tutto fuorché una “fratellanza europea”: mentre ai francesi viene concesso di sforare il tetto del deficit del 3% e ai tedeschi di fare mercantilismo della peggior specie, all’Italia si dichiara guerra economica e alla Grecia si impongono misure massacranti.

La concezione che sta dietro l’Unione Europea è “moneta comune, ma ciascuno per i cazzi suoi”… perché ovviamente a tedeschi e francesi, di condividere le ricchezze con i terroni italiani, greci e spagnoli, non gliene può fregare di meno.

Ovviamente non gliene può fregare nemmeno di condividere i problemi: la Francia ci scarica gli immigrati e ci mette i militari al confine, mentre a noi viene imposto il trattato di Dublino.

L’Unione Europea sembra essere unita soltanto quando si tratta di far rispettare le assurde e totalmente insensate regole dei trattati agli stati del sud. Fa molto ridere poi l’idea di Unione Europea come garante della democrazia, dal momento che essa non è assolutamente in grado di accettare le decisioni democratiche che vadano in direzione contraria a quella dettata dai loro burocrati (e questo lo dicono esplicitamente sia Moscovici, sia Oettinger).


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comidad: Il colonialismo ideologico della lobby della deflazione

comidad

Il colonialismo ideologico della lobby della deflazione

di comidad

Infuria la polemica sulle dichiarazioni del neopresidente della RAI, Vittorio Foa, ad un quotidiano israeliano circa i rapporti tra il PD ed il finanziere George Soros. Non è chiaro se Foa abbia effettivamente parlato di “finanziamenti” di Soros al PD, in quanto i virgolettati dei giornali lasciano il tempo che trovano. Quel che è certo è che il documento interno della Open Society Foundation di Soros esibito da Foa non appare molto significativo. Il documento parla infatti di “alleati affidabili” all’interno dell’attuale parlamento europeo, il che può indicare anche soggetti dimostratisi particolarmente manipolabili.

Il punto vero è che, al di là di ciò che Foa abbia dichiarato o meno, la questione dei finanziamenti del PD si presenta in parte come fuori tempo ed in parte fuorviante. Dal 2014 e sino all’anno scorso infatti Soros appariva come il maggiore investitore, con una quota di poco superiore al 5%, nella IGD, una delle principali società della Lega delle Cooperative. L’uscita di Soros ha portato alla defezione anche di altri investitori americani, come Morgan Stanley.

Dati i rapporti organici tra PD e lega delle Cooperative, si può dire che il feeling finanziario tra PD e Soros sia ormai tramontato, probabilmente perché è venuta a cadere di fatto la principale motivazione: frenare i rapporti di un partito di governo italiano con la Russia. L’anno scorso il PD era già un partito “cotto” sul piano elettorale, perciò non aveva più senso cercare di condizionarne la politica estera.


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Orsola Costantini: Perché l’isteria sul Def italiano non ha senso

vocidallestero

Perché l’isteria sul Def italiano non ha senso

di Orsola Costantini

Gli organi di informazione, con sprezzo del ridicolo, lanciano quotidianamente l’allarme rosso sugli sforamenti di qualche punto di indici economici da ben pochi davvero compresi nel loro complesso calcolo e funzionamento. Ottimo dunque questo articolo pubblicato sul sito dell’Institute for New Economic Thinking, che mostra come, se si stenta a capire il senso dei parametri imposti dall’Unione europea è, molto semplicemente, perché questo senso non c’è. Formule e modelli basati su presupposti economici sbagliati servono più che altro a confondere e distrarre l’opinione pubblica, che discutendo a perdifiato (e spesso anche a vanvera) su cifre e percentuali perde la sostanza che c’è sotto: una strategia economica fondata su modelli irrealistici, ormai smentiti anche a livello accademico, al servizio di un disegno politico

italy italian 1280x500Le reazioni alle cifre inserite nel documento programmatico di bilancio si basano su ipotesi screditate e tradiscono un fondamentale fraintendimento della crescita economica e dell’austerità.

In questi giorni, niente accende gli animi come un nuovo documento programmatico di bilancio. Se poi è presentato dal governo più controverso (o forse al secondo posto) in Unione europea, quello italiano del Movimento Cinque Stelle e Lega, l’agitazione è garantita.

Il 27 settembre il ministro delle Finanze italiano Giovanni Tria ha comunicato alla Commissione europea l’intenzione di apportare modifiche al programma di bilancio stabilito dal precedente governo. “Il nuovo programma genererebbe un rapporto deficit/ PIL del 2,4% nel 2019, implicando un saldo strutturale di bilancio in rapporto al PIL di -0,8%, ossia una deviazione programmata dell’1,4% rispetto all’obiettivo".


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Militant: Rileggendo Victor Serge

militant

Rileggendo Victor Serge

di Militant

cover 9788866328636 2000 600Ha ancora senso rileggere le Memorie di Victor Serge? Intesa seriamente, è una domanda che pone più di un problema. Il militante politico di questi anni, non necessariamente giovane ma già fuori dalla storia del Novecento (lontano non tanto anagraficamente, quanto soprattutto intellettivamente), leggerebbe senza difficoltà e con ammirazione le straordinarie esperienze politiche dell’autore, si entusiasmerebbe del suo spirito critico, e al tempo stesso sarebbe naturalmente portato a disprezzare la macchina repressiva del socialismo realizzato. Troverebbe conferma della sua tensione anti-totalitaria, scoprirebbe quelle parole, quelle idee di fuoco e al tempo stesso accorte, che confermerebbero la sua rottura ideale con il comunismo, col maledetto XX secolo di guerre e dittature, di sinistra e di destra. Se si è alla ricerca di uno strumento che agiti le coscienze inquiete segnate dalla precarietà e dallo straniamento post-moderno, Victor Serge ha una funzione liberatoria e profetica. Questa lettura mancherebbe però di gran lunga la comprensione effettiva del suo testamento biografico. Dovremo allora chiederci: serve al giorno d’oggi un libro che ci racconti l’orrore del Novecento? Di un testo che, per quanto sopraffino, non farebbe che confermare l’ideologia media dominante, che relega i «totalitarismi» dello scorso secolo a tragico e inevitabile destino di ogni critica della democrazia liberale? No, non serve. Se siamo solo alla ricerca di conferme sull’orrore del comunismo leggiamo pure estasiati Victor Serge. Non ne comprenderemo che una patina ordinaria e volgarizzata, ad uso e consumo del post-moderno, della democrazia liberale, dello status quo, dell’esodo. Victor Serge, per quanto corresponsabile, non merita una fine simile. Se invece siamo alla ricerca dei motivi originari del comunismo – inteso come movimento rivoluzionario per come effettivamente ha preso forma e si è organizzato, attorno a quali idee e a quali battaglie ideologiche – le Memorie di Serge possiedono ancora un valore tutt’altro che superato. Ma che va disincrostato, per così dire.


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Federico Repetto: Marx reso attuale dal neoliberalismo

sinistra

Marx reso attuale dal liberalismo

di Federico Repetto

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marx 1971 07 011. Con la crisi globale si ritorna a parlare di Marx, ma in francese, tedesco, spagnolo e inglese più che in lingua italiana

Se su Worldcat.org, il catalogo mondiale delle biblioteche, si cercano opere con le lettere “marx” nel titolo e anche come parola chiave, si può constatare che il decennio 2007-2016, segnato dalla crisi globale, segna un netto ritorno del grande scienziato rivoluzionario rispetto al decennio precedente. Un fenomeno del genere si era già prodotto nel periodo 1966-1977 in confronto a quello 1956-1967. Anche quegli anni furono tra l’altro anni di crisi economica, ma la memoria collettiva ne ricorda soprattutto i movimenti politici e culturali. Dopo di allora diverse grandi trasformazioni sia nel mondo anglofono -e in particolare angloamericano- sia in quello italiano hanno messo da parte Marx: Reagan e Berlusconi, le mutazioni della TV, i nuovi stili di vita, Internet, i social, la disintermediazione generalizzata...

Se usiamo questo incerto indicatore come segnale dell’autonomia della cultura dal pensiero unico e dall’egemonia neoliberale, notiamo che quella di lingua italiana, dopo la generale caduta di interesse per Marx degli ultimi decenni, in quello più recente non riesce più nemmeno a eguagliare il dato del 1967-1976, superato invece nelle altre lingue. Forse essa si è particolarmente piegata al vento dell’”innovazione”, che secondo Matteo Renzi sarebbe l’essenza stessa della sinistra.

Monografie, articoli, file, filmati, ecc. in possesso di biblioteche con la parola Marx nel titolo e con Marx come parola chiave nel catalogo delle biblioteche mondiali (worldcat.org)

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Federico Rucco: La secessione reale è cominciata

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La secessione reale è cominciata

Il Veneto “autonomo” al Consiglio dei Ministri

di Federico Rucco

Da ieri il paese ha perso un pezzo e non se n’è neanche accorto. Infatti è arrivato in Consiglio dei ministri il disegno di legge sull’autonomia del Veneto, rispetto al quale il vicepremier Salvini ha già annunciato l’immediata approvazione. A breve ne seguiranno due analoghi: uno per Lombardia ed Emilia. In pratica siamo davanti alla “secessione dei ricchi”.

A Venezia il presidente della Regione, Luca Zaia, ha incontrato il ministro per gli Affari regionali, Erika Stefani del tutto complice su quanto sta avvenendo. “Vorrei che l’autonomia fosse già oggi, domani. L’incarico che mi è stato conferito, quello più grande è stato di dare una risposta a delle domande di autonomia” ha detto il ministro. A un anno dal referendum sull’autonomia della Regione Veneto, Zaia ha affermato che: “il cambiamento epocale non riguarderà solo il Veneto, ma l’Italia intera perché tutte le comunità dovranno avere la loro autonomia”.

Su questo disegno di legge il Parlamento non potrà emendare, sarà chiamato a esprimere solo un «sì» o «no» in blocco. E la maggioranza di governo si è detta già d’accordo

Con l’approvazione della legge, la Regione Veneto gestirà per conto suo 23 materie finora amministrate di concerto con lo Stato centrale: dalla sanità ai trasporti, dalla scuola all’ambiente. Per fare un esempio la Regione Veneto deciderà per conto suo i programmi scolastici. Le assunzioni e i trasferimenti saranno solo locali e i docenti non potranno andare in altre regioni se non dimettendosi.

Ma, molto furbescamente, tutto questo lo farà potendo contare sia sui generosissimi fondi statali finora ottenuti, sia su una generosa integrazione che gli sarà consegnata in modo permanente dallo Stato. E come mai tutta questa generosità in epoche di tagli dolorosi a molte, anzi a tutte, le altre regioni? Perché il Veneto non solo è ricco ma è anche “virtuoso”. E più di lui lo sono la Lombardia e l’Emilia (che lo sono sin dalla conquista coloniale e sabauda del Meridione).

Il principio del Patto di Stabilità applicato alle regioni e manipolato dal federalismo, è che un territorio ricco ha più bisogno di servizi pubblici di un territorio povero. Ha bisogno di più strade, più ospedali, più biblioteche. Un ribaltamento completo della coesione sociale e del principio dello Stato sociale dovrebbe cercare di ridurre le distanze verso chi ha meno reddito e meno servizi. Non solo. E’ passato il principio che il maggiore gettito fiscale, cioè le tasse pagate, deve determinare un maggiore bisogno anche lì dove non c’è. Infatti il 90% del gettito delle tasse del Veneto, dovranno rimanere in Veneto.

Ma se lo Stato centrale riceve meno tasse e imposte dalle regioni più ricche, significa che le risorse necessarie verranno sottratte da altre parti. A farne le spese sarà ovviamente e soprattutto il Meridione – ma non solo – che così si vedrebbe ulteriormente ridotti i finanziamenti per servizi spesso già al di sotto del minimo essenziale. Le graduatorie sanciranno poi la narrazione dominante documentando la minore qualità della vita nelle regioni “meridionalizzate”, magari accusandole di inadempienza, sprechi e quant’altro. La minore ricchezza, come nella migliore tradizione liberista, sarà come una colpa da far pagare. La guerra contro i poveri si combatte su molti fronti.



Loris Caruso: La sovranità non è uno scandalo ma neppure un feticcio identitario 

manifesto

La sovranità non è uno scandalo ma neppure un feticcio identitario 

di Loris Caruso

Egemonia non è stabilirsi sul terreno avversario ma disarticolare il suo discorso. Alcuni toni della sinistra neo-nazionalista sono anche inutili dal punto di vista elettorale

A sinistra è nato un nuovo appassionante dibattito: sovranisti contro internazionalisti, nazionalisti contro cosmpoliti, rossobruni contro no-borders. Come in molti dibattiti recenti della sinistra italiana, non ci si risparmia: il tono da guerra di religione, l’illusione che il risultato della contesa sarà decisivo per le classi popolari, l’accusa all’interlocutore di essere quinta colonna dell’ideologia degli avversari, l’assenza di una traduzione concreta delle due posizioni.
Si può provare a inserire in questo dibattito un po’ di laicità?

Il ruolo della Nazione è importante nella tradizione della sinistra, anche e soprattutto quando è riuscita a fare rivoluzioni o governare nazioni. Il concetto moderno di nazione nasce con la Rivoluzione francese e le rivoluzioni democratiche dell’Ottocento. La nazione nasce quindi progressista e democratica. Senza la mobilitazione del ‘popolo’ su base nazionale contro potenze pubbliche e private straniere non ci sarebbero state la rivoluzione russa, quella cinese, quella cubana. Più recentemente non ci sarebbero stati il ciclo della decada ganada in America Latina e il socialismo del XXI secolo di Chavez e Morales.


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Redazione: Sovranità nazionale e populismo di destra

sollevazione2

Sovranità nazionale e populismo di destra

di Redazione

Il 5 settembre scorso tre esponenti di punta della sinistra spagnola, Anguita, Monereo e l'economista Illueca, pubblicarono un articolo che fece molto scalpore —Fascismo en Italia? Decreto dignidad. Si contestava il giudizio che va per la maggiore anche nella penisola iberica, quello per cui l'Italia, coi "sovranisti" al governo, si starebbe fascistizzando.

L'articolo ricevette critiche durissime e la polemica giunse sulle prima pagine dei principali media spagnoli. A queste critiche i tre risposero subito con un intervento che pubblicammo il 16 settembre — IN ITALIA TUTTI I GATTI SONO GRIGI?.

Anguita, Monereo e Illueca non solo hanno confermato le loro critiche a quella sinistra che ripete a pappagallo gli argomenti dell'élite euro-liberista, ma le fondano su una visione teorica che non solo condividiamo, che riteniamo una stella polare anche per la sinistra patriottica italiana.

* * * *

Sovranità, democrazia e socialismo

di Julio Anguita, Manolo Monereo e Héctor Illueca

L'Unione europea è la negazione della sovranità e della democrazia. Lo abbiamo detto in passato e non lo ripetiamo. Il vacuo europeismo esibito dalle élite politiche ed economiche, la loro difesa accanita dell'euro e del mercato unico, non è altro che un alibi ideologico del nazionalismo economico tedesco


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ilsimplicissimus: Tutti zitti e Moody’s

ilsimplicissimus

Tutti zitti e Moody’s

di ilsimplicissimus

Che le agenzie di rating siano formate da gangster che chiedono il pizzo a quelli che dovrebbero essere giudicati , è scontato. Che siano un sottoprodotto dell’ ipocrisia neoliberista e dei suoi conflitti di interesse fa talmente parte dell’ovvio che persino Mario Draghi le accusa di “essere altamente carenti e discreditate”. Tuttavia nel marasma occidentale e soprattutto europeo, in questa terribile cachessia dell”unione e della ragione, persino Moody’s che ha abbassato il rating del Paese per fare da battistrada a Bruxelles, ha voce in capitolo pur essendo una nota centrale di corruzione e corruttori che ormai dagli anni 90 è tristemente nota per sbagliare clamorosamente, ma non gratuitamente i propri giudizi . E infatti famigerata tra l’altro per aver attribuito la tripla A, ovvero il massimo della valutazione a Lehman Brothers poco prima del suo crollo, nonostante che le notizie sulla reale situazione della banca fossero ampiamente note, se non proprio di pubblico dominio, per aver dovuto pagare l’anno scorso 864 milioni di dollari di multa per aver gonfiato il rating dei mutui ipotecari in Usa, 11 milioni ad Hong Kong e altri 17 e passa di una multa della Sec. Da noi è conosciuta per il fatto che alcuni funzionari di questa ‘ndrina finanziaria sono stati sotto indagine nelle inchieste di Trani e di Milano con l’accusa di aver manipolato i mercati con dati falsi.


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Christian Marazzi: Il sovranismo del dollaro

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Il sovranismo del dollaro

di Christian Marazzi

È molto probabile che il processo di deglobalizzazione, la disarticolazione dell’ordine economico mondiale costruito negli ultimi trent’anni e voluto dai cosiddetti sovranisti alla Trump o alla Salvini (ma anche da una parte importante della sinistra), sia ormai ben avviato.

Lo smottamento dei mercati finanziari di settimana scorsa, la crescente divergenza tra i rendimenti azionari degli Stati Uniti e dei paesi emergenti, la guerra commerciale con la Cina, la stessa uscita degli USA dall’accordo sul nucleare con l’Iran e le stesse elezioni politiche in Italia, sono tutti sintomi di una svolta reale di portata storica. Inutile far finta di niente, è così.

Paradossalmente, in questa volontà di potere sovranista o isolazionista, in particolare dell’America trumpiana, qualcosa va in direzione esattamente opposta. Si tratta del dollaro, la moneta americana che in questi anni di crisi ha addirittura accresciuto il suo dominio all’interno del sistema finanziario globale.

Ha ragione Jean-Claude Junker, presidente della Commissione europea, quando si lamenta del fatto che l’Europa paga l’80% della sua bolletta energetica in dollari mentre solo il 2% delle sue importazioni energetiche provengono dagli Stati Uniti o quando dice che le imprese europee acquistano aerei europei pagandoli in dollari.


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tonino

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Nov 4, 2018, 6:05:33 AM11/4/18
to sante gorini

Sahra Wagenknecht: “Se vuoi distruggere la Ue, devi fare quello che fa Bruxelles”

contropiano2

“Se vuoi distruggere la Ue, devi fare quello che fa Bruxelles”

Deutschlandfunk intervista Sahra Wagenknecht

sarahGrande è il disordine sotto il cielo, la situazione è dunque almeno interessante… L’arrivo dell’estrema destra al governo in Italia, con la collaborazione sottomessa dei Cinque Stelle, ha cambiato molte carte in tavola. Fin quando infatti l’avvento della destra nazionalista era solo un “pericolo” lo schema politico e mediatico era abbastanza semplice: “stringetevi intorno ai partiti di centro, liberali ed europeisti, se non volete trovarvi con il fascismo alle porte”. Anche molti stracci “di sinistra” abboccavano facilmente a quest’offerta, sostanzialmente perché non avevano nulla di originale da dire e molto da temere.

L’immagine somministrata dai media era quella di una “marea nera” che dissolve il vecchio ordine neoliberista, rompendo la “solidarietà europea” (che nessuno ha mai visto, tocca dire) e riaprendo conflitti tra paesi peraltro a abituati a darsele di santa ragione nei secoli. Il corollario non detto era che questa “marea nera” fosse in grado di compattarsi e assumere le redini del processo europeo, per distruggerlo o guidarlo in altra direzione.

C’era del vero, in questa immagine, ma solo a metà. E si è visto subito. Non sul tema dell’immigrazione – dove l’unità dei razzisti è ultra-scontata – ma sulla “legge di stabilità”, ovvero sulla legge fondamentale con cui ogni Stato, a prescindere dal colore della maggioranza politica governativa, decide le modalità di redistribuzione dei carichi fiscali e della spesa pubblica, favorendo o danneggiando specifiche figure sociali.

Qui il cosiddetto “fronte sovranista” (il termine è uno stigma strumentale, come abbiamo provato a spiegare) si è immediatamente sovrapposto al suo teorico avversario (il “fronte repubblicano da Macron a Tsipras”), condannando senza appello e con toni durissimi il governo italiano. In quanto italiano, senza alcuna indulgenza per il suo essere di estrema destra e razzista.


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Enrico Galavotti: Capitalismo e grande industria (Cinico Engels)

socialismo.info

Capitalismo e grande industria (Cinico Engels)

di Enrico Galavotti

bahr arbeitsunfall akg 2 g111 a8 1889 1Le rivoluzioni nel capitalismo maturo

E' difficile cercare di capire il motivo per cui, nel suo Anti-Dühring, Engels ritenesse che solo “la grande industria sviluppa quei conflitti che rendono ineluttabilmente necessario un rivoluzionamento del modo di produzione: conflitti non solo tra le classi ch’essa forma, ma anche tra le stesse forze produttive e le forme di scambio ch’essa parimenti crea”. È come se avesse voluto dire: “Siamo arrivati a un punto tale di progresso tecnologico e produttivo che è impossibile andare avanti senza cambiare qualcosa di molto significativo”. La grande industria, nata intorno al 1830, “sviluppa, proprio in queste gigantesche forze produttive, anche i mezzi per risolvere questi conflitti”. Come se prima della grande industria non ci fossero stati i mezzi e i modi per risolvere alla radice i problemi dell’antagonismo sociale!

Questo modo di ragionare è quanto meno deterministico. Forse saremmo esagerati a sostenere che per Engels le rivoluzioni “socialiste” sono possibili solo in presenza di un capitalismo maturo; però di sicuro voleva dire che, in assenza di tale capitalismo, le rivoluzioni sono destinate a fallire i loro obiettivi, a inverarsi nel loro contrario. Nella sua concezione di socialismo il capitalismo maturo porta le contraddizioni a un tale livello di conflittualità che le rivoluzioni diventano inevitabili. È un modo di accontentarsi: anche nel caso in cui manchi la volontà politica di emanciparsi, ci penseranno le circostanze, con tutta la loro crudezza, a farla venir fuori. Detto altrimenti: il proletariato farà la rivoluzione quando sarà disperato, quando non avrà più nulla da perdere, se non avrà saputo farla prima, in condizioni più decenti, più vivibili.1


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Fulvio Grimaldi: Tappare la vita o tappare il TAP

mondocane

Tappare la vita o tappare il TAP

di Fulvio Grimaldi

no tap 2Quando i 5 Stelle stavano dove era giusto stare

Nei percorsi, nelle ricerche e nelle denunce dei miei più recenti documentari – Fronte Italia-Partigiani del Duemila, “L’Italia al tempo della peste” e “O la Troika o la vita” (trailer e selezioni nel mio sito) – mi sono ripetutamente ritrovato a fianco esponenti, attivisti, rappresentanti eletti del M5S. Più loro che di qualsiasi altro partito. E’ un dato di fatto sul quale potete sbertucciarmi quanto volete, ma è un dato di fatto. Che si trattasse del TAV in Valsusa e del Terzo Valico, della base di guerra MUOS statunitense a Niscemi, del TAP e in genere della devastazione ambientale e sociale provocata dal’ossessione fossile. E se il referendum contro le trivelle, seppur mancando per poco il quorum, aveva conseguito una maggioranza schiacciante degli anti-trivelle, il merito ne è andato in gran misura a chi con le sue mobilitazioni di massa ne aveva favorito l’esito, i 5 Stelle. In particolare, attivisti ed eletti 5 Stelle hanno accompagnato e istruito me e la coautrice dei film, Sandra, negli approfondimenti sul terremoto nelle Marche e nel Lazio (quelli che grazie al TAP verranno squartati in coincidenza con le aree più sismiche), al punto che senza la loro conoscenza-competenza-passione non ne saremmo mai venuti a capo. Al punto che ne è fiorita un’amicizia rigogliosa in profondità e nel tempo.

Questi amici mi hanno espresso stamane rabbia, delusione, frustrazione, dolore. La stessa dei disperati e mortificati che in Puglia erano stati mandati in massa in Parlamento sull’onda della loro adesione ai No Tap. Una rivolta di testa e di pancia, come è giusto sempre che sia, contro quanto questo governo ha deciso su una delle più nefaste, sporche e letali delle Grandi Opere. Grandi Opere, cioè grandi devastazioni, ruberia, mafiosità.


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Giuseppe Masala: Bye, Bye Angela. Non sarà la primavera ma almeno l'inverno è finito

lantidiplomatico

Bye, Bye Angela. Non sarà la primavera ma almeno l'inverno è finito

di Giuseppe Masala

La prossima dipartita di Angela Merkel dallo scenario politico europeo e mondiale va salutata come si saluta l'arrivo della prima rondine dopo l'inverno: non sarà la primavera ma almeno l'inverno è finito.

La Kanzlerin tedesca, che ha dominato l'Europa in questi ultimi 18 anni, andrebbe ricordata per una azione politica folle e sconsiderata alla quale forse sarà difficile porre rimedio.

Ha trasgredito il Trattato di Roma che è alla base dell'UE: la solidarietà tra nazioni europee è stata sostituita dalla competitività che ha trasformato l'intero continente in una agone dove gli animal spirits delle varie nazioni si sono confrontati con una ferocia inaudita. Una eterna lotta per contendersi quote di mercato a scapito dei partners grazie ad una feroce svalutazione del costo del lavoro.

Ha trasformato l'EU in una zona priva di crescita autonoma totalmente dipendente dalla crescita dei paesi importatori extra UE, in primis gli USA.

Grazie ad un uso spregiudicato del trattato di Maastricht ha affogato la forza del marco nella miseria della peseta, dell'escudo, della dracma e della lira consentendogli di aumentare artificialmente le esportazioni tedesche fuori dalla UE senza che l'Euro si rivalutasse.


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Ugo Boghetta: Maastricht addio!

rinascita

Maastricht addio!

di Ugo Boghetta

Ernesto Galli della Loggia sembra uno dei pochi dell’area liberaldemocratica a tentare un’analisi concreta della situazione concreta.

Anche se sembra farlo inutilmente ed in modo sconsolato come si evince dal fondo pubblicato sul Corriere della Sera di domenica. Il titolo: “L’irrealtà politica sul baratro” ed il paragone dello stato dell’Unione Europea all’URSS di Gorbaciov la dicono tutta.

Scrive Galli della Loggia:

“Anche se faccio parte del popolo italiano, con buona pace del vicepresidente Salvini non mi sento affatto sotto attacco se l’euro-commissario Moscovici critica la manovra finanziaria del governo pentaleghista di Roma. Penso che nel merito, infatti, Moscovici abbia sicuramente degli argomenti dalla sua (quelli davvero decisivi ce l’hanno in realtà gli acquirenti del nostro debito pubblico). Peccato però che sia l’istituzione che egli rappresenta, cioè l’Unione europea, questa Unione europea, a non avere più alcuna presentabilità e credibilità politica. Da questo punto di vista Moscovici ricorda Gorbaciov, l’ultimo segretario del Pcus: diceva cose giuste ma parlava a nome di qualcosa, l’Unione sovietica, che palesemente stava ormai per esalare l’ultimo respiro.


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Manlio Dinucci: Il convitato di pietra al tavolo Italia-Russia

manifesto

Il convitato di pietra al tavolo Italia-Russia

di Manlio Dinucci

Il giorno dopo che il premier Conte definiva «eccellente» lo stato dei rapporti bilaterali tra Roma e Mosca, le forze armate italiane iniziavano sotto comando americano l’esercitazione di guerra Trident Juncture 2018 diretta contro la Russia

Ritengo molto importante confrontarci con un partner strategico come la Federazione Russa, necessaria per individuare soluzioni alle principali crisi regionali». Lo ha dichiarato il premier Conte alla conferenza stampa congiunta al termine dell’incontro col presidente Putin, il 24 ottobre a Mosca. Questione fondamentale da risolvere – ha sottolineato – è «la crisi in Ucraina, che ha messo in discussione i fondamenti del rapporto tra Unione europea e Russia». Ma, «nonostante il permanere delle ragioni che hanno condotto alle sanzioni europee, strumento che va superato quanto prima», lo stato dei rapporti bilaterali Italia-Russia è «eccellente».

Dichiarazioni che ricordano quelle del premier Renzi, a una tavola rotonda col presidente Putin a San Pietroburgo nel 2016: «La parola guerra fredda è fuori dalla storia e dalla realtà. Ue e Russia devono essere ottimi vicini di casa». Dichiarazioni che diplomaticamente vengono riprese e amplificate da Mosca, nel tentativo di allentare le tensioni: «Conte a Mosca, sempre più forte l’alleanza con la Russia», titola il 25 ottobre l’agenzia russa Sputnik, parlando di «visita a 360 gradi».


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Franco Berardi Bifo: L’innocenza e l’orrore

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L’innocenza e l’orrore

di Franco Berardi Bifo

Cinque ragazze toscane formano un gruppo musicale che si chiama Le Stars (proprio così). La più giovane ha sedici anni, la più grande ventuno, Rossella, la cantante, ha una passione per la black music.

Un impresario musicale, forse un idiota o forse un mascalzone, le ingaggia, le porta in tournée in varie città italiane, in Calabria, in Lombardia. Poi gli fa firmare un contratto che prevede tournée nell’estremo oriente.

Siamo nell’estate del 1968.

Si parte per una tournée in Oriente, anzi per la precisione per il Vietnam del sud. Nessuna di loro sa niente di quel che sta accadendo nel mondo. Hanno studiato a Piombino, a Livorno, non hanno sentito parlare delle manifestazioni che in tutto il mondo sfilano contro la sporca guerra. Oppure, se ne hanno sentito parlare non ci hanno fatto caso, sono ragazzine di famiglie povere della provincia toscana.

Sbarcano all’aeroporto di Saigon e si rendono conto del fatto che non è proprio tutto normale: bombe accatastate in un angolo, crateri tutt’intorno alle piste, uomini armati balzano giù dagli elicotteri.


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Redazione Contropiano: L’ultimo errore del Prc

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L’ultimo errore del Prc

di Redazione Contropiano

La coincidenza potrebbe essere del tutto casuale ma il risultato non lo è affatto. Negli stessi giorni – sabato e domenica scorsi – il parlamentino di Rifondazione Comunista ha decretato il suo goodbye a Potere al Popolo, mentre Sinistra Italiana ha fatto lo stesso con Liberi ed Uguali.

Due esperienze – assai diverse tra loro per composizione, radicamento, programma e finalità – nate entrambe in occasione delle elezioni del 4 marzo, hanno visto così sfilarsi due “azionisti” di relativo peso.

Con qualche interessante, si fa per dire, ricorso storico. Sia il Prc che Sinistra Italiana, frutto della scissione verificatasi al congresso di Rifondazione del 2008 a Chianciano, si ritrovano dieci anni dopo nuovamente in sincronia e in sintonia. Su un progetto strategico che rimetta al centro l’antagonismo di classe nel paese? No, ovviamente. L’orizzonte resta pur sempre una scadenza elettorale: quella delle europee di maggio 2019. E l’obbiettivo non cambia mai: “eleggere” qualcuno, non importa troppo chi, per continuare a sopravvivere.

Uno scenario dunque fin troppo prevedibile, sconsolante nella sua ritualità. Indifferente ai veloci mutamenti economico-politici dell’ultimo decennio – quello della più lunga recessione globale del dopoguerra – agli smottamenti geopolitici e al montare del “rancore sociale” nelle classi popolari.


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Michael Roberts: Keynes

la citta
futura

Keynes

di Michael Roberts

I. L'economia. Rivoluzionario o reazionario?

Durante la Grande Depressione degli anni '30 Keynes fece a meno delle soluzioni monetariste alle crisi e optò per uno stimolo fiscale, proponendo persino la "socializzazione degli investimenti", una politica molto più radicale rispetto alla produzione di più i soldi

47ebf2096320f78ee7f8e3622b33f968 XLKeynes era un rivoluzionario nel pensiero e nella politica economica? Era almeno radicale nelle sue idee? O era un reazionario contrario agli interessi dei lavoratori e un conservatore nella teoria economica? Ann Pettifor è una dei principali consiglieri economici dei dirigenti laburisti di sinistra britannici, Jeremy Corbyn e John McDonnell. È direttrice di Prime Economics, una società di consulenza economica di sinistra e autrice di numerosi libri, in particolare il recente The Production of Money.

E ha appena vinto il premio tedesco Hannah Arendt per il pensiero politico, concentrandosi su "l'impatto politico e sociale dell'attuale sistema di produzione del denaro, gestito principalmente dalle banche attraverso il credito digitale" e operando un’efficace critica del "settore finanziario globale, che opera al di fuori della portata dell'influenza politica e del controllo democratico".

Quindi Ann Pettifor è un’indiscussa combattente contro le politiche economiche di austerità della scuola neoclassica e una promotrice di misure governative per ripristinare i servizi pubblici e rilanciare l'economia. Ma per riuscirci, si basa interamente sulle teorie e sulle politiche di JM Keynes e del "keynesismo". Recentemente ha pubblicato un breve articolo per il prestigioso Times Literary Supplement, intitolato Gli sforzi instancabili di J. M. Keynes. (…)

In questo articolo, Pettifor paragona le teorie di Keynes nel campo economico a quelle di Charles Darwin nella biologia, per il cambio di paradigma prodotto da entrambe. Secondo lei, Keynes avrebbe "inventato" la macroeconomia, lo studio delle tendenze nelle economie a livello aggregato, sfuggendo alla soffocante ossessione neoclassica con la microeconomia (lo studio del valore e dei mercati a livello della singola unità).


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PuntoCritico: ATAC, perchè privatizzare non è la soluzione

puntocritico

ATAC, perchè privatizzare non è la soluzione

Una risposta e 5 domande all’Istituto Bruno Leoni

di PuntoCritico

atac roma 2Sul sito dell’Istituto Bruno Leoni, Andrea Giuricin, fellow research dell’Istituto, ha pubblicato recentemente un focus sulla situazione dell’ATAC, l’azienda di trasporto pubblico locale della Capitale: ‘Il buco ATAC peggiora ma è possibile chiuderlo’.

Il saggio elenca alcuni dati relativi ai risultati aziendali, aggiornati al bilancio 2017 dell’ATAC ilancio 2017 dell’ATAC e riassunti in alcuni grafici e disegna il profilo di un’azienda zavorrata dai debiti – quasi 830 milioni di euro solo quelli accumulati nei confronti del settore pubblico (Comune, INPS, Fisco ecc.) – in totale 1,5 miliardi che la società deve ai suoi creditori pubblici e privati e oggi soggetti al concordato preventivo autorizzato di recente dal Tribunale di Roma. Le corse effettuate dal 2012 al 2017 precipitano da oltre 160 a 144 milioni di chilometri annui, il 16% meno di quanto previsto dal contratto di servizio tra ATAC e il Comune di Roma, che scade l’anno prossimo e che il Comune vorrebbe prolungare senza gara fino al 2021. L’età del parco mezzi è alta e in crescita, il che spiega anche l’aumento dei mezzi che prendono fuoco: 14 nel 2016, 20 nel 2017, 9 nei primi mesi di quest’anno.

Per Giuricin il problema è essenzialmente legato ai costi: il costo per chilometro è passato dai 5,94 euro del 2015 ai 6,47 del 2017, contro i 2-2,5 della media europea. Questa situazione sarebbe imputabile in primis alla spesa per il personale, che nel 2014 rappresentava il 44,8% del bilancio, mentre nel 2017 sale al 51,6%. Giuricin cita di sfuggita il dato sull’assenteismo, il 12%, e afferma che ATAC potrebbe fornire lo stesso servizio con 2500 dipendenti in meno.


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Bruno Steri: Una prima valutazione sul progetto di manovra del governo

marx xxi

Una prima valutazione sul progetto di manovra del governo

di Bruno Steri

Riceviamo dal compagno Bruno Steri e pubblichiamo come contributo alla discussione sulla fase politica che stiamo attraversando 

Palazzo Chigi Roma 2010«L’obiettivo dei comunisti e di una sinistra di classe resuscitata dal coma in cui è precipitata deve essere, quale esito di un’opposizione “intelligente”, il disvelamento delle contraddizioni strutturali contenute nel combinato disposto Di Maio/Salvini & C e, con ciò, il fallimento del patto politico “post-ideologico”». Questo dicevamo una diecina di giorni fa; e questo va ribadito oggi, alla luce del progetto di manovra appena licenziato dal governo.

Detto di passaggio, al suddetto obiettivo ha inteso corrispondere la manifestazione dello scorso 20 ottobre, cui il Pci ha aderito, essendo i contenuti della stessa concentrati nella parola d’ordine «nazionalizzazioni»: ciò al fine di evidenziare l’attrito fra le estemporanee dichiarazioni degli esponenti governativi e il più che probabile perdurare di un’assenza di fatti concreti; ma anche per riappropriarsi di un tema strategico che è nostro, che cioè comparirebbe in primo piano in una nostra proposta programmatica, accanto a una riforma fiscale fortemente orientata in senso progressivo (l’opposto della flat tax) e a una consistente imposta patrimoniale (la stessa che Matteo Salvini ha seccamente escluso) . La fase è difficile e tutt’altro che favorevole dal punto di vista dei rapporti di forza, ma ciò non autorizza a restare silenti in attesa degli eventi. Occorre ricostituire le forze, muovendo sin dall’inizio i passi giusti. E provando a dire le cose giuste.

 

Dare a Cesare quel che è di Cesare

Ma ricapitoliamo i termini della questione. Cominciando in primo luogo col riconoscere a Cesare quel che è di Cesare.


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Carlo Formenti: Il ritorno dei partiti

rinascita

Il ritorno dei partiti

di Carlo Formenti

È da decenni che sociologi, filosofi e politologi profetizzano la fine dei partiti politici, ridotti a reliquie del passato dalla globalizzazione, dai social network, dalla volatilità dell’elettorato e dal diffuso rifiuto della politica.

Queste tesi si sono diffuse assieme agli annunci di fine della storia, all’idea – divenuta luogo comune – del declino dello stato nazione, soppiantato dalle istituzioni della governance globale (senza stato niente partiti), all’ideologia “orizzontalista” dei nuovi movimenti (ecologisti, femministe, no global, ecc.) accomunati dal rifiuto di ogni struttura gerarchica (nei Forum mondiali ai partiti non era concesso diritto di parola).

Una mutazione culturale, osserva Paolo Gerbaudo in un lungo articolo dal titolo “The Return of the party”, pubblicato dalla rivista Jacobin, che non a caso evoca il classicissimo odio liberale nei confronti delle organizzazioni di massa del movimento operaio.

Già gli elitisti di fine Ottocento/inizio Novecento – con parole identiche a quelle che ascoltiamo oggi negli appelli “anti populisti” – paventavano i rischi di una democrazia partitica che avrebbe condotto alla “dittatura della maggioranza”.


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Marcello Minenna: La febbre del debito è ai massimi storici

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La febbre del debito è ai massimi storici

di Marcello Minenna

Il debito globale ha raggiunto un nuovo picco, salendo a 260 trilioni di $ (260.000 miliardi) nel secondo trimestre del 2018. Il rapporto globale tra debito e prodotto interno lordo (PIL) ha superato il 320%. Del totale, il 61% (160 trilioni) è debito privato del settore non finanziario mentre solo il 23% è rappresentato dal tanto vituperato debito pubblico.

Gli USA hanno emesso oltre il 30% del debito pubblico in circolazione, con una decisa accelerazione negli ultimi 2 anni di gestione Trump seguiti da Giappone e Cina e, a distanza, dai Paesi dell'Eurozona. Il valore riportato dalle agenzie pubbliche cinesi va preso con le molle per via dei ripetuti casi di falsificazione delle statistiche, anche da parte di funzionari governativi. È verosimile dunque che non solo il debito pubblico del Dragone ma anche quello delle sue corporations, già il più alto al mondo, sia parecchio superiore alle stime ufficiali.

Ovviamente vale la regola generale per cui il debito, sia pubblico che privato, tende a crescere nel tempo insieme alle dimensioni dell'economia, a meno di improvvisi default. Dunque l'elevata dimensione del debito complessivo non può fornire informazioni sulla sua sostenibilità. Né è possibile inferire che un debito complessivo basso sia segno di stabilità finanziaria; anzi è più verosimile che implichi una completa mancanza di fiducia da parte dei mercati tale da escludere qualsiasi prestito, come è stato nel caso dell'Argentina nei 5 anni successivi al default del 2002.


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Mauro Indelicato: Il colpo grosso dell’Italia: “Haftar sarà a Palermo”

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Il colpo grosso dell’Italia: “Haftar sarà a Palermo”

di Mauro Indelicato

La visita di Giuseppe Conte a Mosca, sul fronte libico, sembra aver mosso a cascata tante importanti pedine. Del resto, quando ad inizio mese il ministro degli esteri, Enzo Moavero Milanesi, si è recato al Cremlino l’impressione è stata quella di un vero e proprio via ufficiale del tour de force diplomatico italiano in vista del vertice sulla Libia di Palermo. Moavero ha, per usare un gergo calcistico, posto in essere un assist e, successivamente, il premier Conte si è incaricato di raccoglierlo e di “ricordare” a Putin l’appuntamento presso il capoluogo siciliano. Da parte sua il presidente russo, anche se non ha confermato la presenza, ha comunque dato il suo benestare ad una rappresentanza russa di alto livello in Sicilia. Si parla del primo ministro Medvedev, accompagnato dal ministro degli esteri Lavrov. Ma ciò che più importa, in vista di Palermo, è che il disco verde del Cremlino funga come catalizzatore per altri benestare, a partire da quello di Haftar. L’uomo forte della Cirenaica dovrebbe essere al vertice e, con lui, altri attori libici: capi tribù, sindaci, capi fazione ed altri ancora. Adesso, per l’Italia, inizia la corsa contro il tempo: il vertice scatta il 12 novembre, occorre ancora stilare un programma, organizzare la logistica e preparare tutto quanto occorre per la buona riuscita di un appuntamento considerato importante da Farnesina e Palazzo Chigi.


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Edoardo Castellucci: A proposito del TAP

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A proposito del TAP

di Edoardo Castellucci*

Riguardo alla vicenda TAP (Trans Adriatic Pipeline), il gasdotto progettato per portare in Europa il gas naturale estratto in Azerbaigian, che dall’Albania arriverà a ridosso della spiaggia di San Foca (Melendugno LE), e alle dichiarazioni del Presidente del Consiglio Conte e del Ministro dello Sviluppo Economico Di Maio bisogna far notare che ancora una volta si affermano cose non vere e si prendono in giro i cittadini e i movimenti che si oppongono alla realizzazione dell’opera.

Il TAP , non è un’opera pubblica, ma è un’opera privata di interesse pubblico. Non c’è nessun contratto tra il consorzio TAP e lo Stato italiano, ma solo un contratto tra TAP e aziende che stanno realizzando l’opera, tra cui Saipem, Renco e Bonatti, e un altro contratto, venticinquennale, con le aziende (Enel, Edison ed Hera etc.) che hanno già acquistato il gas che arriverà dall’Azerbaijan.

Non essendoci un contratto tra TAP e Stato italiano, non possono esserci «penali» che lo stato dovrebbe pagare in caso di interruzione dei lavori.

Quello che lo Stato dovrebbe eventualmente pagare sarebbero “probabilmente” risarcimenti alle aziende coinvolte nel progetto, dato che nel 2015 la costruzione del gasdotto fu autorizzata dal ministero dello Sviluppo economico, all’epoca guidato da Federica Guidi.


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Benedetto Vecchi: Mappe d’orientamento per smanettoni

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Mappe d’orientamento per smanettoni

di Benedetto Vecchi

È una curiosità rinnovata, dopo aver seguito e partecipato per anni alla diffusione dell’attitudine hacker, il modo migliore per avvicinarsi al saggio di Sébastien Broca sull’Utopia del software libero (Mimesis). Sul free software è stato scritto ed elaborato molto; così come si è ampiamente dibattuto sulle differenze tra come viene prodotto il software libero – presentato come potenzialmente alternativo al modo di produzione capitalistico – e l’open source, distribuito invece come manufatto digitale compatibile con la produzione dominante della ricchezza.

È NOTO CHE HA VINTO l’open source e che si è consolidato un sistema misto tra software proprietario e programmi informatici open source, che ha garantito un flusso più o meno continuo di innovazione produttiva e sociale. Il merito di Broca sta nel cercare di seguire il fiume carsico del software libero e di come continui a essere un elemento perturbante, potenzialmente conflittuale con i rapporti sociali capitalistici.

TUTTO PARTE DAL CONCETTO di hackability, che indica la generica capacità dei singoli di modificare, intervenire dentro la scatola nera della tecnologia senza essere necessariamente esperti. Altro elemento fondamentale è la tendenza degli «smanettoni» a cooperare e condividere le informazioni.


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tonino

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Nov 4, 2018, 7:19:22 AM11/4/18
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Carlo Galli: La crisi dell’Europa e la sinistra che non c’è

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La crisi dell’Europa e la sinistra che non c’è

di Carlo Galli

ph 123I risultati elettorali in Assia e in Baviera confermano il trend di sgretolamento dei partiti dell’establishment, di centro e di centrosinistra. Come la pelle di zigrino il loro spazio politico si riduce senza sosta, e al contempo le loro aspettative di vita.

È un trend iniziato con la Brexit, proseguito con le elezioni italiane del 4 marzo, confermato dalle vittorie politiche delle forze illiberali in parecchi Paesi dell’Europa centrale. È l’inabissarsi del progetto “atlantico” del secondo dopoguerra, che voleva far coesistere l’economia sviluppata, la democrazia liberale sociale, e la costruzione in Europa di istituzioni sovrastatuali. Ed è il tramonto delle élites, e dei partiti, che lo hanno sostenuto e vi si sono identificati.

Inabissamento e tramonto che non sopraggiungono per cause esterne, ma per le interne contraddizioni che sono esplose quando quel progetto atlantico ha incrociato la globalizzazione, quando la civiltà keynesiana si è trasformata in civiltà neoliberista, quando la costruzione europea, tutta funzionalista, si è trasformata nel dominio dell’ordoliberismo, nell’Europa di Maastricht, dell’euro, di Lisbona. Cioè in un’Europa unita dall’euro ma non dalla politica, da regole e discipline ma non dal consenso dei popoli.

Un’Europa minacciosa per l’Inghilterra, che non ne ha sopportato la burocrazia e i vincoli comunque sussistenti – benché non fosse entrata nell’euro – interpretati come costi e imposizioni ben più gravi dei benefici che ne derivavano. E così ha abbandonato la nave prima che affondasse, alle prime avvisaglie delle crepe. Per lei la civiltà atlantica sarà sostituita dalla “relazione speciale” con gli Usa, se Trump ne vorrà ancora sentire parlare.


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Paolo Ciofi: Marx e il capitale come rapporto sociale

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Marx e il capitale come rapporto sociale

di Paolo Ciofi*

TYP 465971 4815891 marx gOgni qual volta il capitalismo entra in crisi - e ciò si verifica sempre più frequentemente, fino a diventare uno stato permanente - Carlo Marx, dato per morto e sepolto, regolarmente ricompare e oggi il suo spettro aleggia di nuovo in Europa e nel mondo. Al punto tale che Time, settimanale americano con svariati milioni di lettori, è arrivato a scrivere che «Marx aveva ragione». E l’Economist, caposcuola britannico del pensiero liberale, ha affermato di recente che «la principale ragione per cui Marx continua a suscitare interesse è che le sue idee sono più pertinenti oggi di quanto non lo siano state negli ultimi decenni».

Tuttavia, una reticenza permane proprio sulla questione di fondo, ossia sulla natura del capitale. Giacché, scoprendo l’arcano del capitale, vengono in chiaro le ragioni delle sue crisi e le condizioni del suo superamento. Due aspetti inscindibili che hanno fatto di Marx uno dei pensatori più potenti e al tempo stesso un rivoluzionario instancabile, che concretamente lottava per trasformare la realtà: un esempio di coerenza, di alta moralità. La personificazione dell’unità tra teoria e prassi.

Una «immane raccolta di merci», osserva il pensatore e rivoluzioanrio di Treviri, caratterizza la società dominata dal capitale. Ma cos’è il capitale? Non semplicemente una somma di denaro, che a conclusione della produzione e della circolazione della merce, o dell’impiego nella finanza, si trasforma in una somma maggiore di quella investita; e che ci appare nelle più svariate forme di capitale industriale, bancario, fisso, costante, variabile e così via. Fino al capitale cosiddetto umano, in cui nel nostro tempo, ridotti a cose, si identificano gli esseri umani che producono ricchezza.


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Marco Della Luna: L’Italia e il nemico carolingio

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L’Italia e il nemico carolingio

di Marco Della Luna

Non si tratta di nazionalismo, ma di legittima difesa dell’economia contro interessi opposti

WidukindMentre scrivo queste righe, si scalda lo scontro sul deficit del bilancio 2019 (2,4% sul PIL) presentato dal governo italiano e la c.d. Europa, con impennate dello spread: Bruxelles, Moskovici, Dombrovskis lo cassano e minacciano una procedura di inflazione.

Oggi gran parte del mondo – USA, Cina, India, Russia… – ha ripreso con successo, più o meno vigorosamente, politiche espansive, di investimenti (a deficit), di riduzione fiscale e di crescita. I loro sistemi bancari fanno credito all’economia reale e non solo a quella finanziaria.

All’opposto, l’Unione Europea, con la BCE, resta stolidamente abbarbicata a un modello finanziario deflativo, incentrato su austerità e competizione nell’esportazione – cioè, non potendosi abbassare il corso dell’Euro, per recuperare competitività nell’export i paesi non dominanti abbassano salari. Di conseguenza, l’area comunitaria, e soprattutto l’Eurozona, è in coda ai paesi OCSE in quanto ad andamento economico. L’Italia è in coda a questa coda, per le ragioni che ora vedremo. Il sullodato modello finanziario deflativo non è frutto di masochismo, né incompetenza economica, né di ostinazione su dogmi smentiti dai fatti: esso è funzionale agli interessi del capitalismo tedesco e francese, e a ricaduta agli interessi degli elettorati tedesco e francese. Esso infatti, assieme all’Euro, serve al rastrellamento delle risorse dei paesi deboli e all’assunzione definitiva di un ruolo egemonico sull’Europa occidentale, da parte dell’Asse carolingio Berlino-Parigi. Il meccanismo è molto semplice, spiegato in tutti i testi di economia internazionale:


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Militant: San Lorenzo mon amour

militant

San Lorenzo mon amour

di Militant

Quelle appena passate sono state giornate tese, è inutile nasconderselo. Prendendo a pretesto la tragedia della sedicenne Desirée Mariottini attori diversi, a livelli diversi, hanno provato a giocarsi la propria partita politica o economica, tentando di ridefinire la geopolitica romana che da più di 70 anni ha fatto del quartiere di San Lorenzo un simbolo della sinistra di classe. Non ci interessa, in questa occasione, ritornare sulla vicenda di cronaca in sé. Appare evidente, con il passare dei giorni, che il “degrado” e “l’abbandono” in cui è maturato l’omicidio non riguardano solo le baracche di via dei Lucani, ma anche l’ambiente umano che ha portato una ragazzina a perdersi in quel modo. Dev’essere altrettanto chiaro, però, che niente e nessuno può giustificare, e nemmeno attenuare, le colpe di chi si è approfittato ed ha abusato della fragilità di un’adolescente. Mai. Esiste un confine, nemmeno troppo sottile, che separa la bestialità dalla capacità di rimanere umani. Una linea di demarcazione che rimane ben visibile in ogni frangente. E chi la oltrepassa ci è comunque nemico, al di là del suo vissuto, del colore della sua pelle, del passaporto cha ha in tasca o della lingua che parla.

Ma come scrivevamo non è su questo, però, che vorremmo concentrare il nostro ragionamento, quanto sulla risposta quasi inaspettata che il nostro “popolo”, la nostra “gente”, ha saputo dare con intelligenza e determinazione in questi giorni disinnescando la trappola in cui avrebbero voluto farci infilare.


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Fabrizio Marchi: Salvini alla corte di Bolsonaro

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Salvini alla corte di Bolsonaro

di Fabrizio Marchi

Il leader della Lega nonché di fatto primo ministro (in competizione costante col suo dirimpettaio Di Maio), Matteo Salvini, si è affrettato a celebrare il trionfo del neonazista Bolsonaro alle recenti elezioni presidenziali svoltesi in Brasile.

Bolsonaro è la sintesi del peggio che possa esistere al mondo. Ammiratore di Hitler per sua stessa ammissione, nostalgico delle feroci dittature militari (sponsorizzate e armate dagli USA) che per quasi mezzo secolo hanno letteralmente insanguinato l’intero continente latinoamericano, ultra filosionista (in una delle sue primissime dichiarazioni ha annunciato la decisione di chiudere l’ambasciata palestinese), ultraliberista in politica economica, omofobo, integralista religioso (più per opportunismo che per fede…), seguace fanatico delle sette evangeliche che dagli Stati Uniti stanno da tempo colonizzando l’America Latina, filo americano, antisocialista e anti comunista viscerale, appoggiato da Trump, Bannon, e naturalmente da Netanyahu e da tutta la destra e l’estrema destra sud e nord americana, israeliana ed europea, Bolsonaro è il simbolo della “riscossa” reazionaria in America Latina. E’ la risposta della borghesia, delle multinazionali e degli USA ai movimenti e ai governi progressisti e socialisti latinoamericani, da Chavez e ora Maduro a Morales, Correa, Lula, Ortega, Sanchez, che, pur fra diverse contraddizioni, hanno osato mettere in discussione il dominio dell’impero USA nel continente.


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Piccole Note: Daily Express: Khashoggi aveva le prove dell'uso di armi chimiche saudite in Yemen

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Daily Express: Khashoggi aveva le prove dell'uso di armi chimiche saudite in Yemen

di Piccole Note

Jamal Khashoggi stava per rivelare che l’Arabia Saudita aveva usato armi chimiche nello Yemen ed era in procinto di ottenere prove documentali su tale crimine. Così un amico intimo del giornalista ucciso il 2 ottobre nel consolato saudita di Istanbul al Daily Express.

 

Le rivelazioni del Daily Express

La fonte del giornale britannico, che ha chiesto l’anonimato, aveva incontrato il dissidente saudita una settimana prima della sua morte, e lo aveva trovato “triste e preoccupato”.

Avendo egli chiesto il motivo di tanta preoccupazione, Khashoggi aveva dapprima nicchiato, per poi rivelare quanto poi pubblicato sul Daily.

Il giornale britannico riporta anche le dichiarazioni di una fonte interna all’intelligence del Regno Unito, il quale sua volta ha affermato che i servizi segreti di Londra sapevano che Riad aveva ordinato di rapire il cronista e portarlo in Arabia Saudita. Missione che in realtà poteva avere anche altri sviluppi, compreso il suo assassinio.

Invero, si può aggiungere, la via del rapimento non era affatto percorribile. Una sua carcerazione a Riad sarebbe stata insostenibile: avrebbe suscitato la reazione dei suoi colleghi del Washington Post e innescato una crisi irreparabile con gli Usa.


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Dante Barontini: Merkel e Juncker. Crollano i pilastri dell’Unione Europea

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Merkel e Juncker. Crollano i pilastri dell’Unione Europea

di Dante Barontini

Una costruzione di qualsiasi tipo si regge su “pilastri portanti”. In politica, specie internazionale, difficilmente le singole personalità riescono a diventare dei pilastri, ma se restano a lungo al centro della scena significa, quanto meno, che sono loro il punto di coagulo, mediazione, tenuta, di un complesso gioco di forze economiche, politiche e militari.

L’inizio del nuovo millennio, in Europa, è stato segnato dalla centralità di Angela Merkel. Ossia della Germania e di un certo modello di accumulazione – mercantilista e ordoliberista – che ha disegnato l’Unione Europea (il sistema dei trattati) su misura per le proprie esigenze. Sia produttive che finanziarie.

La sua annunciata uscita di scena – nel 2021, se non ci saranno precipitazioni della crisi interna anche prima di quella data – è quindi una bomba sugli equilibri altamente instabili che caratterizzano sia la potenza continentale egemone che tutta l’Unione. O, più precisamente, il segnale d’allarme proveniente dalle faglie sotterranee che sostenevano quegli equilibri; l’indizio che rivela rotture difficilmente ricomponibili.

Le pesanti sconfitte politiche registrate dalla Cdu in Baviera e in Assia, nelle ultime due settimane, sono state accompagnate da cadute ancora più gravi dello storico alleato-dipendente, la Spd. Il centro dello schieramento politico che aveva segnato tutta la storia recente – sia tedesca che europea – è venuto meno.


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tonino

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Nov 6, 2018, 2:30:57 AM11/6/18
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Paolo Gerbaudo: Il ritorno del partito

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Il ritorno del partito

di Paolo Gerbaudo

Perché sono tornati i partiti di massa? Perché sono ancora il modo migliore affinché coloro che non hanno potere, possano sfidare i potenti. Pubblichiamo la traduzione di un articolo dal sito della rivista americana Jacobin

344056 thumb full redflag280916rcE’ un luogo comune osservare come l’epoca post crisi sia definita dall’ascesa di movimenti populisti sia sul fronte della sinistra che su quello della destra, nel mezzo di una crescente polarizzazione politica. Tuttavia, non è stata sufficientemente sottolineata la centralità del partito nell’arena politica. In Occidente, e in Europa in particolare, stiamo assistendo ad una rinascita del partito politico. Sia i vecchi partiti, come quello Laburista in Gran Bretagna, che quelli nuovi, come Podemos in Spagna e la France Insoumise, hanno visto una crescita enorme nel corso degli anni, ponendosi tra l’altro al centro di importanti innovazioni organizzative. Dal momento che per molti anni sociologi e politologi hanno concordato nel preannunciare la perdita del primato del partito politico in una società digitale sempre più globalizzata e diversificata, questa rinascita della forma partitica è degna di nota. In effetti, l’attuale ritorno della sinistra ha di fatto smentito queste previsioni. La tecnologia digitale non ha rimpiazzato il partito. Gli attivisti l’hanno piuttosto utilizzata al fine di sviluppare meccanismi innovativi per fare appello ai cittadini, pur riaffermando la forma partitica quale strumento principale per la lotta politica.

 

Previsioni maldestre

Il fatto che i partiti politici stiano tornando nuovamente alla ribalta, è innanzitutto evidente dal crescente numero di membri all’interno dei partiti, una chiara svolta rispetto al progressivo calo di adesioni a cui hanno dovuto assistere molti partiti storici europei all’inizio degli anni Ottanta. In Gran Bretagna, il Partito Laburista sta per raggiungere i 600.000 membri, dopo aver raschiato il fondo nel 2007, alla fine del mandato di Tony Blair, con appena 176.891 adesioni.



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Lelio Demichelis: Alienazione e nuove forme di lavoro

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Alienazione e nuove forme di lavoro

di Lelio Demichelis*

L’alienazione, sebbene mascherata, è presente più che mai anche nelle nuove forme di lavoro. Secondo Lelio Demichelis, il compito della sociologia e dell’economia oggi è costruire uno scenario alternativo, umanistico ed ecologicamente responsabile

alienazione 640x432L’alienazione, questa sconosciuta. Non se ne parla più, come se fosse magicamente scomparsa dalla scena. Come se le retoriche neoliberali dell’essere imprenditori di se stessi e di vivere la propria vita come un’impresa in competizione con gli altri – unitamente alle retoriche del condividere, del fare community, dei social, dello smart-working e dello smart-job, dello smart-phone e delle smart-cities e, prima ancora, dell’economia della conoscenza e del capitalismo intellettuale (sic!) – avessero davvero cancellato quella ‘cosa’, l’alienazione appunto che per un secolo e mezzo aveva invece caratterizzato pesantemente e drammaticamente le forme e le norme capitalistiche di produzione e di organizzazione del lavoro. L’alienazione, la sua riconoscibilità e il suo contrasto erano – una volta – i fattori-base per la costruzione di quella coscienza di classe senza la quale, diceva Marx, era difficile immaginare una soluzione alternativa al capitalismo – o anche solo a democratizzarlo, come avvenuto nel post-1945.

Oggi, scriveva Luciano Gallino nel 2012, si deve purtroppo constatare che il tema dell’alienazione – fondamentale per cercare di rendere le persone capaci di controllare il lavoro che svolgono, piuttosto che esserne schiave – è scomparso totalmente dal programma di riflessione e dal campo di analisi della sociologia mainstream (sempre più schiacciatasi – aggiungiamo – sulla ricerca quantitativa, divenendo incapace di guardare i processi nell’insieme).



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Norberto Fragiacomo: Una battaglia di Sinistra: riscrivere l’art. 81

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Una battaglia di Sinistra: riscrivere l’art. 81

di Norberto Fragiacomo

vauro democrazia pignorata banche 01La provocazione “gialloverde” insita nell’ormai celebre rapporto deficit-PIL al 2,4% è stata prontamente raccolta da attori esterni e interni: fra questi ultimi annoveriamo forze politiche liberiste e globaliste (PD, FI ecc.[1]), media ultraeuropeisti e commentatori più o meno schiacciati sulla vulgata sistemica. Tra gli opinionisti sono in parecchi a essere andati fuori tema: c’è chi si straccia le vesti per l’immancabile fascismo ad portas[2] e chi ripete stancamente le usuali giaculatorie sul debito pubblico – ma dalla cacofonia di voci emergono taluni che, più originali, si baloccano con critiche nuove e suadenti. Sta acquisendo credito la seguente posizione: indipendentemente dai suoi contenuti, la manovra in fieri sarebbe incostituzionale perché lesiva dell’articolo 81 Cost. versione 2012, e di conseguenza il Quirinale dovrebbe bocciarla.

Cosa dispone la norma citata? Che “Lo Stato assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico.” Attenzione: qui non si parla di formale «pareggio» fra entrate e uscite, bensì di equilibrio – vale a dire della necessità che le spese siano finanziate con risorse per così dire buone e comunque proprie, come quelle derivanti dal patrimonio pubblico o il gettito tributario. Il 2° comma difatti precisa che

Il ricorso all’indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e, previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali”, mentre il 6° demanda a una legge rafforzata la fissazione di “contenuto della legge di bilancio (…) criteri volti ad assicurare l’equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci e la sostenibilità del debito”.



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Alessandro Giannelli: Legge di bilancio e vincoli europei: tanto rumore per nulla!

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Legge di bilancio e vincoli europei: tanto rumore per nulla!

di Alessandro Giannelli

In attesa di capire come evolverà la querelle (più mediatica che reale) tra istituzioni europee e governo gialloverde, una prima lettura del testo della legge di bilancio firmato ieri dal Presidente della Repubblica e del decreto fiscale collegato, suggerisce una riflessione: se una manovra con uno scostamento sul deficit minimo rispetto ai “desiderata” delle oligarchie finanziarie, con un progressivo decalage nel corso del triennio, con misure sociali o rappresentate tali (quota 100 per le pensioni e reddito di cittadinanza) talmente evanescenti da non comparire nemmeno nel testo, ha provocato la bagarre alla quale abbiamo assistito in queste settimane, vuol dire davvero che quella costruzione politica, ipocritamente chiamata Unione Europea, è immodificabile.

Lo è non solo perché per cambiare qualsiasi virgola dei trattati occorrerebbe l’unanimità dei Paesi aderenti – impossibile da raggiungersi in un dispositivo costruito appositamente per accentuare le differenze tra gli Stati e tra le classi sociali all’interno dei singoli Stati – ma anche, e soprattutto, perché la rigidità dei vincoli contabili non ammette deroghe di alcun tipo.

Non le ammette nemmeno rispetto ad una legge di bilancio che pure si colloca perfettamente nel solco del liberismo, figurarsi se fosse varata una manovra davvero espansiva che, per esempio, avviasse un serio piano occupazionale per la messa in sicurezza del territorio ed un percorso di ri-nazionalizzazione degli asset strategici per lo sviluppo sociale del paese.



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Andrea Muratore: La Commissione Ue gioca sporco. Il piano per piegare il governo

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La Commissione Ue gioca sporco. Il piano per piegare il governo

di Andrea Muratore

Respingendo la manovra economica dell’Italia la Commissione europea ha compiuto un atto senza precedenti, portando all’apice la tensione tra Bruxelles e Roma e il dibattito tra il “partito del rigore”, che i commissari Moscovici e Dombrovskis e il presidente Juncker hanno incarnato nelle ultime settimane, e l’esecutivo Movimento Cinque Stelle-Lega, che con l’obiettivo di portare al 2,4% il rapporto deficit/Pil ha imposto un cambio di direzione rispetto al recente passato.

Le criticità della manovra economica del governo Conte esistono, e sono ben note. La stessa eterogeneità ideologica tra le forze di governo contribuisce ad acuirne le componenti contraddittorie ma, al tempo stesso, è necessario sottolineare come con l’Italia, ultimamente, le istituzioni comunitarie abbiano trattato in una maniera a dir poco dilettantesca, non mostrando alcuna sintonia con l’avvenuto cambio di prospettive politiche nel Paese e, anzi, rilasciando molto spesso a mercati aperti dichiarazioni nette, cariche di afflato moralistico verso l’Italia, che hanno influenzato in maniera sfavorevole a Roma l’andamento delle borse e dello spread

 

La “fronda” italiana contro la Commissione

La Commissione percepisce la presa di posizione italiana come una vera e propria “fronda” contro i parametri comunitari: idea a suo modo bizzarra se si pensa che la manovra italiana, di fatto, è largamente all’interno della soglia del 3% nel rapporto debito/Pil.



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Gustavo Borges: Venezuela, radiografia dell'assedio

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Venezuela, radiografia dell'assedio

Geraldina Colotti intervista Gustavo Borges* 

Bruxelles. Durante la fondazione della Rete europea di solidarietà con la rivoluzione bolivariana, abbiamo intervistato Gustavo Borges, direttore del sito di inchiesta Mision Verdad, venuto a rappresentare il suo paese insieme a Pablo Sepulveda Allende, Yonata Vargas e Jimmy Laguna.

* * * *

In cosa consiste il lavoro di Mision Verdad?

Il nostro collettivo redazionale è nato nel 2012, nel pieno della campagna elettorale del Comandante Chavez. Dopo un anno di rodaggio, abbiamo continuato ad approfondire l'analisi del proceso politico venezuelano. Cerchiamo di fornire una radiografia del crescente assedio economico, mediatico, diplomatico e dei tentativi di aggressione militare incombenti. Cerchiamo, insomma, di dare un volto alla complicata situazione che stiamo vivendo, al tipo di guerra a cui ci stiamo confrontando. Il Venezuela è un esperimento, un laboratorio di forme inedite di intervento messe in atto da un capitalismo in crisi strutturale che, anche con il supporto delle nuove tecnologie, cerca di bloccare i propri antagonisti sia dall'esterno che dall'interno. Si mira a distruggere non solo la legittimità dello stato, ma anche la resistenza popolare, il tentativo di costruire un proprio modello alternativo.



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Dario Borso: Fachinelli, Eco e l’eroina

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Fachinelli, Eco e l’eroina

di Dario Borso

I.

Su “La repubblica” il 9 dicembre 1988, giorno dell’approvazione in Parlamento del disegno di legge Jervolino-Vassalli (che secondo il cofirmatario Bettino Craxi valeva a “introdurre il principio della punizione dei tossicodipendenti”) Elvio Fachinelli pubblicò I drogati e Beccaria, dove traeva la conseguenza che “qualunque consumatore di droga si troverà esposto a un ampio ventaglio di sanzioni, decise a discrezione del giudice: il drogato si trova dunque davanti alla maestà della legge”.

Ma, continua, “non ci si è interrogati sul rapporto che i drogati hanno con la legge. Ora, è proprio questo rapporto dei soggetti coinvolti il punto nodale della questione”.

Innanzitutto da considerare è “il rapporto di ogni drogato con la propria legge interna, con la propria istanza di controllo”. Ora, “il rapporto tra questa istanza e ciò che egli si aspetta dalla droga (piacere, potenza, intelligenza o semplicemente ripristino dello stato anteriore) è variabile, non può essere ricondotto a una proporzione definita una volta per tutte”, mentre “l’unico effetto globale, seppur non appariscente, sarà forse un incremento della tendenza alla trasgressione, all’avventura della trasgressione”.



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Mauro Armanino: Impostori, complici e passanti nel Sahel

sinistra

Impostori, complici e passanti nel Sahel

di Mauro Armanino

 

Niamey, ottobre 2018. Tutta un’impostura. La Banca Mondiale, esperta e complice dell’impoverimento globale, stila rapporti fingendosi un organismo di beneficenza a cui stanno a cuore i poveri. L’ultimo suo rapporto sulla povertà non lascia alcun dubbio in proposito. Sui 27 Paesi che presentano il tasso di povertà più elevato nel mondo, 26 si trovano in Africa. L’Africa sub-sahariana, secondo il rapporto citato, concentra sul suo suolo, più della metà delle persone che vivono con meno di 1,90 dollari al giorno. Ciò significa, secondo la stessa fonte, che 413 milioni di persone su un totale di 736 milioni di poveri nel mondo, nel 2015, si trovano dalle nostre parti. Il Sahel, da par suo, contribuisce in modo ragguardevole al consolidamento della statistica citata. L’impostura e dunque la menzogna è duplice: nelle statistiche e nei politici di questa parte del mondo. Non si vive di moneta, i dollari come parametro assoluto del governo del mondo è un’impostura. La monetizzazione della povertà è funzionale alle statistiche e ai piani di diistruzione strutturale e sistematica delle economie locali. Non entra nel calcolo la solidarietà, la produzione e il consumo locale, la sobrietà di vita e la povertà che un tempo era ‘conviviale’ come ben ricordava Ivan Illic, prima di diventare monetaria.



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Enrico Grazzini: Braccio di ferro tra governo, mercati e UE

micromega

Braccio di ferro tra governo, mercati e UE

Scenari su euro, moneta e democrazia

di Enrico Grazzini

71ZZYQ 52lLLa domanda oggi è: come finirà il braccio di ferro tra il governo giallo-verde da una parte e i mercati e la Unione Europea dall'altra? Il governo Conte riuscirà a far decollare il suo programma economico? Oppure l'aumento dello spread – ovvero del differenziale tra i rendimenti dei titoli di debito italiani e quelli tedeschi - farà fallire le manovre del governo, e forse anche il governo stesso? L'Italia è nella morsa dei mercati finanziari mentre l'Unione Europea è ormai a pezzi e la Commissione UE è in scadenza, ma, come gli animali feriti a morte, è più minacciosa che mai. Di fronte alla crisi italiana ed europea sono possibili diversi scenari sul piano economico e politico. L'incertezza aumenta e gli esiti possono essere drammatici. Un'alternativa però esiste: il governo italiano potrebbe evitare di dipendere esclusivamente dai mercati finanziari e, pur restando nell'eurozona, potrebbe creare dei titoli quasi-moneta per finanziare la sua manovra economica, aumentare i redditi interni e diminuire il debito in euro.

 

Se l'Italia non pagasse gli interessi sul debito pubblico avrebbe il bilancio in pareggio

Il programma espansivo del governo si propone obiettivi di crescita molto ambiziosi (nelle condizioni attuali, probabilmente anche troppo ambiziosi). Per rilanciare l'economia, il governo punta all'introduzione del reddito di cittadinanza – che in realtà è diventato un reddito per l'avviamento al lavoro da garantire ai poveri e ai disoccupati –, all'aumento delle pensioni minime e al rilancio (insufficiente) degli investimenti pubblici. Inoltre deve anche trovare le risorse per servire l'elevato debito pubblico. Per fare tutte queste cose il governo deve chiedere soldi al mercato finanziario - cioè alle banche d'affari nazionali e internazionali, ai fondi di investimento, fondi speculativi, fondi pensione, assicurazioni, ecc -.



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György Lukács: Le basi ontologiche del pensiero e dell’attività dell’uomo

gyorgylukacs

Le basi ontologiche del pensiero e dell’attività dell’uomo

di György Lukács

La conferenza sulle Basi ontologiche del pensiero e dell’attività dell’uomo fu redatta nei primi mesi del 1968 e doveva essere letta al congresso mondiale di filosofia che si sarebbe tenuto a Vienna nel settembre di quell’anno. Tuttavia, non avendo poi Lukács partecipato a quel congresso, il testo della conferenza fu reso pubblico nel 1969 sia in traduzione ungherese, sia nella stesura originale tedesca. Quanto al contenuto, la conferenza si fonda sulla cosiddetta «grande» Ontologia, il cui manoscritto era allora praticamente già terminato.

Originariamente apparso in italiano in L’uomo e la rivoluzione, Editori Riuniti, Roma 1973, ora Edizioni Punto Rosso, Milano 2013.

9788895563565 0 0 764 75I. Chi voglia illustrare in una conferenza, anche soltanto entro certi limiti, almeno i principi più generali di questo complesso problematico, si trova di fronte a una duplice difficoltà. Da un lato bisognerebbe dare un panorama critico dello stato attuale della discussione su tale problema, dall’altro occorrerebbe porre in luce l’edificio concettuale di una nuova ontologia, perlomeno nella sua struttura fondamentale. Per essere in qualche modo esaurienti almeno sulla seconda questione, che è in concreto quella di fondo, dovremo rinunciare a soffermarci, per quanto brevemente, sulla prima.

Tutti sanno che negli ultimi decenni il neopositivismo, radicalizzando le vecchie tendenze gnoseologiche, ha dominato incontrastato con il suo rifiuto di principio verso ogni e qualsiasi impostazione ontologica, considerata non scientifica. E non solamente nella vita filosofica vera e propria, ma anche nel mondo della prassi. Se analizzassimo bene le costanti teoriche dei gruppi dirigenti politici, militari ed economici del nostro tempo, scopriremmo che esse – consapevolmente o inconsapevolmente – sono determinate da metodi di pensiero neopositivistici. Di qui è derivata l’onnipotenza quasi illimitata di tali metodi e di qui, quando il confronto con la realtà avrà condotto alla crisi aperta, si produrranno grandi rivolgimenti a partire dalla vita politico-economica sino alla filosofia nel senso più lato del termine. Ma giacché noi siamo soltanto all’inizio di tale processo, può bastare avervi fatto cenno.

Noi in questa sede non ci occuperemo neppure dei tentativi ontologici degli ultimi decenni. Ci limitiamo a dichiarare semplicemente che li riteniamo estremamente problematici, bastandoci rimandare agli ultimi sviluppi di un notissimo iniziatore di questa corrente come Sartre, per accennare almeno a tale problematica e al suo indirizzo.



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Arturo: Mussolini the original: tra liberalismo e sovranità senza popolo

orizzonte48

Mussolini the original: tra liberalismo e sovranità senza popolo

di Arturo

Fondamentale post "fenomenologico" di Arturo. Inutile dire che nella lettura occorre prendersi il dovuto tempo di riflessione. E non trascurare i links. Neppure uno

8188340751. Continuano a moltiplicarsi, in forme anche grottesche, le accuse di fascismo rivolte al governo, alla maggioranza, ai suoi elettori ma anche agli italiani in generale.

Visto che il fascismo storico fu un impasto confuso di filoni politici diversi – sindacalismo, nazionalismo, combattentismo, idealismo, elitismo, eccetera – esso si presta bene ad analisi che si concentrino sul coté ideologico, individuino questo o quell’elemento astrattamente ritenuto essenziale per ricostruire una genealogia in grado di isolare il virus malefico e formulare atti d’accusa.

Con l’impiego di metodologie siffatte si è riusciti nella notevole impresa di identificare le origini del fascismo nell’opera di De Maistre (Isaiah Berlin), come in quella di Marx (Settembrini). Risultati tanto disparati dovrebbero però far sorgere qualche perplessità sul metodo.

Di puro buon senso mi paiono quindi le riserve in proposito formulate dal più noto storico dell’ideologia fascista, Emilio Gentile:

Nessuno può prevedere a quali altri esiti potrebbe condurre questo modo di studiare le origini dell’ideologia fascista su un piano esclusivamente teorico-intellettualistico, accentuando ora l’uno ora l’altro degli elementi - o dosando in proporzione differente gli elementi - che si reputano essenziali per definire l’essenza di un «fascismo idealtipico».” (Le origini dell’ideologia fascista (1918-1925), Il Mulino, Bologna, 1996, pag. 19).

 

2. Da parte nostra, abbiamo provato a ricollocare il fascismo sul terreno dei rapporti materiali e del conflitto sociale. Un approccio che, se non può vantare l’appeal della novità, mi pare ancora fornito di un certo potere esplicativo.



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Ernst Lohoff: Le contraddizioni di Marx sul valore d'uso ne "Il Capitale"

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Le contraddizioni di Marx sul valore d'uso ne "Il Capitale"

Addio al concetto trans-storico di valore d'uso

di Ernst Lohoff

Per quanto riguarda il valore d'uso, Marx, durante la sua esposizione ne Il Capitale, si annoda in quella che appare una flagrante contraddizione. All'inizio del Capitale, si legge: «I valori d'uso costituiscono il contenuto della ricchezza, qualunque sia la sua forma sociale. Nella forma sociale che andiamo ad esaminare, essi costituiscono allo stesso tempo i portatori materiali del valore (...) di scambio» (Marx, Il Capitale, Libro I).

Il valore d'uso viene quindi qui assunto come se fosse solo un'altra parola per descrivere la ricchezza sensibile materiale che viene creata dall'uomo, e che viene quindi intesa come se si trattasse di una grandezza trans-storica. Tuttavia, nelle fasi successive dell'esposizione che viene svolta nel I Libro del Capitale, Marx parla di due merci, rispetto alle quali la sua analisi dimostra che: oltre al loro valore d'uso, sensibile materiale, esse possiedono anche un secondo valore d'uso - sopra-sensibile e puramente sociale - che, nell'economia borghese, è anche il loro valore d'uso essenziale. Questo vale anzitutto per la merce generale chiamata in causa: il denaro. L'oro, diventando denaro, viene investito del valore d'uso, che consiste nel rappresentare del valore sotto forma della sua scambiabilità immediata. Questo valore d'uso non possiede né carattere materiale né carattere trans-storico.



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Militant: San Lorenzo mon amour

militant

San Lorenzo mon amour

di Militant

Quelle appena passate sono state giornate tese, è inutile nasconderselo. Prendendo a pretesto la tragedia della sedicenne Desirée Mariottini attori diversi, a livelli diversi, hanno provato a giocarsi la propria partita politica o economica, tentando di ridefinire la geopolitica romana che da più di 70 anni ha fatto del quartiere di San Lorenzo un simbolo della sinistra di classe. Non ci interessa, in questa occasione, ritornare sulla vicenda di cronaca in sé. Appare evidente, con il passare dei giorni, che il “degrado” e “l’abbandono” in cui è maturato l’omicidio non riguardano solo le baracche di via dei Lucani, ma anche l’ambiente umano che ha portato una ragazzina a perdersi in quel modo. Dev’essere altrettanto chiaro, però, che niente e nessuno può giustificare, e nemmeno attenuare, le colpe di chi si è approfittato ed ha abusato della fragilità di un’adolescente. Mai. Esiste un confine, nemmeno troppo sottile, che separa la bestialità dalla capacità di rimanere umani. Una linea di demarcazione che rimane ben visibile in ogni frangente. E chi la oltrepassa ci è comunque nemico, al di là del suo vissuto, del colore della sua pelle, del passaporto cha ha in tasca o della lingua che parla.

Ma come scrivevamo non è su questo, però, che vorremmo concentrare il nostro ragionamento, quanto sulla risposta quasi inaspettata che il nostro “popolo”, la nostra “gente”, ha saputo dare con intelligenza e determinazione in questi giorni disinnescando la trappola in cui avrebbero voluto farci infilare.




L’inquinamento dell’aria colpisce il 90% dei bambini nel mondo

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L’inquinamento dell’aria colpisce il 90% dei bambini nel mondo

Il Nord Italia è il luogo peggiore dove vivere

Nonostante i lenti miglioramenti, l'inquinamento atmosferico continua a superare i limiti e le linee guida dell'Unione europea e dell'Organizzazione mondiale della sanità. In Europa su 3,9 milioni di persone abitano in aree dove sono superati i limiti dei principali inquinanti il 95% vive nel Nord Italia

In occasione della prima Conferenza Mondiale sull'Inquinamento Atmosferico e la Salute, organizzata dall'Organizzazione mondiale della sanità (WHO) l’Agenzia europea dell’ambiente (EEA) ha presentato i dati sull’inquinamento In Europa.

Il report si chiama Air quality in Europe 2018 (scaricabile nella versione in inglese cliccando qui) e per certi versi non dice nulla di nuovo, ma l’ordine di grandezza dei numeri in campo è impressionante e dovrebbe colpire in primis governo e cittadini italiani. Alcuni numeri su tutti: in Europa 3,9mln di persone abitano in aree dove sono superati contemporaneamente e regolarmente i limiti dei principali inquinanti dell'aria (Pm10, biossido di azoto e ozono). Di queste, 3,7mln, cioè circa il 95%, vive nel Nord Italia. Il nostro Paese è al secondo posto in Europa per morti per Pm2.5 (60.600) e al primo per le morti da biossido di azoto (20.500) e per l'ozono (3.200).



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Andrea Zhok: Ottimismo della volontà

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Ottimismo della volontà

di Andrea Zhok

Guardando al panorama nazionale, internazionale e mediatico è difficile non essere presi dallo sconforto. Tutto sembra congiurare perché si intensifichi e diffonda una deriva autoritaria.

La alimenta la globalizzazione finanziaria, che spinge alla richiesta diffusa di protezione.

La alimentano le pressioni migratorie e il depotenziamento dei governi democratici, connessi alla globalizzazione economica, che spingono in direzione identitaria.

La alimenta l’insicurezza economica crescente, legata all’ubiquo incremento delle diseguaglianze, e cui si risponde cercando sicurezza, economica, sociale e legale.

Tutte queste sono spinte reali, dinamiche oggettive e perciò non possono essere scongiurate con qualche gesto apotropaico. Non vale a nulla, come fanno i media, opporsi scandalizzati alle conseguenze mentre le cause restano tranquillamente all’opera.

Così, i padroni dei media, accoccolati nei propri privilegi, lamentano con toni apocalittici lo sgretolarsi di un’immaginaria età dell’oro liberale (forse per loro davvero dorata), e danno sfogo a questo lamento sconsolato tirando il freno a mano, e cercando di innestare la retromarcia. L’effetto complessivo è solo quello di screditarsi, e con ciò la loro funzione civile si esaurisce.



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Lorenzo Vita: Miliardi di debiti ed Europa a pezzi

gliocchidellaguerra

Miliardi di debiti ed Europa a pezzi

Così Juncker ha affondato l’Europa

di Lorenzo Vita

I debiti si ereditano. E quelli che Jean-Claude Juncker lascerà all’Unione europea una volta finito il suo mandato, sono enormi. Economici e politici. I primi, come rivelato da L’Espresso, ammontano a circa mille miliardi di euro all’anno. Perché con il suo Paese, il Lussemburgo, a essere la capitale dell’elusione (o dell’evasione) fiscale nel continente europeo, il bilancio dell’Ue e dei 28 Stati membri è disastroso.

Una voragine di tasse non riscosse, multinazionali che fanno miliardi di profitti cercando di non pagare le imposte, con il contributo di Stati membri dell’Unione europea che fanno a gara per diventare il miglior luogo dove spostare i propri capitali.

In questo gioco sanguinario per le casse degli Stati più ligi al dovere, Juncker, con il suo Granducato, ha avuto un ruolo fondamentale. Essendo stato per anni il padre-padrone del Lussemburgo, il suo potere ha trasformato il piccolo Paese del Benelux un vero e proprio paradiso fiscale all’interno dell’Unione europea. Tanto è vero che l’inchiesta LuxLeaks del 2014, proprio quando Juncker si insediava a Bruxelles come presidente della Commissione europea, ha svelato 28mila documenti riservati con accordi fiscali fra Lussemburgo e 340 multinazionali che avrebbero pagato meno dell’1% di tasse.



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Dario Bianzani: Manovre NATO: pretestuosamente il nemico viene ancora da est

rinascita

Manovre NATO: pretestuosamente il nemico viene ancora da est

di Dario Bianzani

NATO, dopo l’annuncio del presidente Trump che gli USA intendono abbandonare il trattato sulla riduzione dei missili nucleari a medio e corto raggio siglato negli anni ’80 con l’Unione Sovietica guidata da Gorbaciov, da ieri fino al 7 novembre si tengono le più grandi manovre militari dell’alleanza atlantica dalla fine della guerra fredda.

Queste imponenti manovre che fanno parte del Trident Juncture 2018, di cui il mainstream evita accuratamente di parlare si svolgono in Norvegia e vi partecipano 50.000 soldati di 31 paesi con 65 mezzi navali, 250 aerei e migliaia di altri mezzi militari.

Le operazioni occupano lo spazio marittimo davanti alle coste norvegesi fino all’Islanda e al mar Glaciale Artico e vanno ad influenzare anche lo spazio aereo di Svezia e Finlandia che come è noto non sono parte della sopracitata alleanza, ma stante questo, risultano dunque di fatto partecipare alle manovre.

Senza tralasciare anche che la Norvegia condivide 198 km di frontiere con la Russia, la quale ha già esternato il suo disappunto. La portavoce degli Esteri russi Maria Zakharova ha detto in un briefing a Mosca che l’esercitazione è “apertamente antirussa” e dall’Ambascita russa ad Oslo, fanno sapere che “…un’attività del genere sembra provocatrice, anche se si prova a giustificarla con obiettivi puramente difensivi”.



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Francesco Erspamer: Il più guardato del reame

controanalisi

Il più guardato del reame

di Francesco Erspamer

Ah, questa è una vera notizia, da breaking news, giustamente ripresa da CNN e poi da La Repubblica: Ronaldo ha superato Selena Gomez ed è diventato la persona più seguita al mondo. Su Instagram, naturalmente, il social di moda, e dunque da un pubblico che a leggere si annoia, anche solo poche righe, o fa troppa fatica quando non si tratti delle cento parole che capisce e usa, e che per lo stesso motivo disprezza la politica, la cultura, il pensiero in generale, mentre la pubblicità altroché se la segue, facendosi dettare comportamenti e consumi compulsivi (anche se non hanno idea di cosa significhi).

Sono soprattutto giovani, privi di tradizioni, sradicati da comunità che non siano rigorosamente generazionali e solitamente virtuali, ignoranti non più per condizione ma per scelta, indotti a un analfabetismo di ritorno (che cioè cancelli ciò che hanno o avrebbero potuto imparare a scuola o a casa) da un sistema globale, il liberismo, che vuole enormi masse di servi e schiavi incapaci di coscienza e di linguaggi (soprattutto se diversi da un inglese ipersemplificato), incapaci di logos, che come avevano capito i Greci è lingua e al tempo stesso logica, razionalità.



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tonino

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Nov 8, 2018, 2:31:51 AM11/8/18
to sante gorini

Enzo Gamba: Considerazioni su Potere al popolo dopo la votazione sugli statuti

la citta
futura

Considerazioni su Potere al popolo dopo la votazione sugli statuti

di Enzo Gamba

Il progetto politico mantiene la sua validità ma rimane il rischio di perdere, per l’ennesima (forse l’ultima?) volta, una grande occasione

BANZAILIQSOLD1 20180118162916215In questo ultimo anno, complici le iniziative fiorite e sfiorite al Brancaccio, si è dibattuto molto sul problema di quale dovesse essere il progetto politico dell’immediato futuro per la sinistra di classe e per i comunisti in particolare. Era necessario ragionare e discutere per chiarire ciò che si dovesse fare, al fine di invertire l’andamento della lotta di classe - ormai agìta quasi sostanzialmente solo dal capitale - di ricompattare la classe dei lavoratori salariati e subordinati (gli sfruttati) e dei loro possibili alleati sociali, per cominciare a cambiare e risalire la china.

Si era fatta strada tra molti compagni l’idea che dovessimo pensare ad una ipotesi politica che individuasse in un “movimento politico organizzato” il soggetto politico unitario che, sulla base di un programma minimo, di fase, agisse e si muovesse sulla scena politica della lotta di classe nel nostro paese; movimento politico dove i comunisti avrebbero potuto nuovamente riprendere il legame con la classe e riattivare nel contempo il loro patrimonio teorico politico. Né quindi un nuovo partito ideologico dei comunisti, né l’ennesimo tentativo di “intergruppi” sotto l’etichetta delle “sinistre unite”, né una federazione associativa di vari e diversi movimenti perlopiù monotematici. L’avvio di un percorso unitario con la nuova proposta di Potere al Popolo! sembrava rispondere non solo a queste esigenze, ma rappresentava una concreta articolazione di tale progetto politico. Il Manifesto fondativo di PaP era lì a dimostrarlo e anche le principali organizzazioni comuniste avevano dato il loro fattivo assenso.

Ciò che però è successo in PaP in questi ultimi tempi impone, oggettivamente, di entrare nuovamente nel merito della questione, non tanto delle posizioni che si sono confrontate, ma degli elementi e aspetti peculiari del progetto politico che, a nostro avviso, avrebbero dovuto e dovrebbero sostanziare PaP e che sotto traccia hanno condizionato in modo negativo il confronto.


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Piemme vs Fabrizio Marchi: L'elogio di Salvini a Bolsonaro

sinistra

L'elogio di Salvini a Bolsonaro

Una discussione tra Piemme e Fabrizio Marchi

* * * *

sollevazione2

Che ci dice l'elogio salviniano di Bolsonaro

di Piemme

bolso
salviniFabrizio Marchi su l'interferenza dice l'essenziale del neopresidente del Brasile Jair Bolsonaro:

«Bolsonaro è la sintesi del peggio che possa esistere al mondo. Ammiratore di Hitler per sua stessa ammissione, nostalgico delle feroci dittature militari (sponsorizzate e armate dagli USA) che per quasi mezzo secolo hanno letteralmente insanguinato l’intero continente latinoamericano, ultra filosionista (in una delle sue primissime dichiarazioni ha annunciato la decisione di chiudere l’ambasciata palestinese), ultraliberista in politica economica, omofobo, integralista religioso (più per opportunismo che per fede…), seguace fanatico delle sette evangeliche che dagli Stati Uniti stanno da tempo colonizzando l’America Latina, filo americano, antisocialista e anti comunista viscerale, appoggiato da Trump, Bannon, e naturalmente da Netanyahu e da tutta la destra e l’estrema destra sud e nord americana, israeliana ed europea, Bolsonaro è il simbolo della “riscossa” reazionaria in America Latina».

Non dice, Marchi, le immense responsabilità che un quindicennio di governi del PT lulista hanno avuto nel causare la vittoria di questo energumeno — politiche liberiste che hanno accresciuto a dismisura le già enormi diseguaglianze sociali, una gestione nepotistica e corruttiva del potere.

Ma non è questo adesso il punto; condividiamo del pezzo del Marchi il ribrezzo per lo sconcio e sguaiato appoggio che Salvini ha promesso a Bolsonaro.

Con l'esaltazione di Bolsonaro Matteo Salvini ha compiuto un'altro passo o strappo per attestare la sua Lega nel campo della destra reazionaria —alla faccia di certi amici che ce la menano col discorso che sarebbe finita la "dicotomia sinistra-destra": la verità è che più la sinistra si imputridisce e s'inabissa nel campo liberale, più le destre avanzano, per di più secernendo le pulsioni più antidemocratiche.


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Tiziana Drago: Disarmare il capitale

operaviva

Disarmare il capitale

L'alternanza scuola-lavoro secondo Roberto Ciccarelli

di Tiziana Drago

124253729 f6da7fbc 36bb 454d bef5 461a39577773È intorno al centro traumatico del culto del capitale che ruota l’ultimo libro di Roberto Ciccarelli, Capitale disumano. La vita in alternanza scuola lavoro, manifestolibri, 2018. La mostruosità di un universo tutto risolto in un profitto onnivoro e feroce, il massacro dei desideri individuali e collettivi, quel groviglio di vulnerabilità, acredine e impotenza che imbriglia i tentativi di disarticolare la bulimia del sistema. E, insieme, l’impresa titanica di immaginarne lo sgretolamento. Chi non avesse letto i precedenti lavori dell’autore (Forza lavoro. Il lato oscuro della rivoluzione digitale, DeriveApprodi, 2018 e, insieme a Peppe Allegri, La furia dei cervelli, Manifestolibri, 2011 e Il quinto stato. Perché il lavoro indipendente è il nostro futuro, Ponte Alle Grazie, 2013) troverà ora una porta di accesso non meno preziosa a un immaginario così angolato e delineato e insieme così proliferante e inesauribile. Nel presente inasprito e rancoroso che ci tocca, questa dedizione incondizionata e in controtendenza è un ethos limpido e inattuale, una forma del desiderio di cui è difficile trovare esempi, proprio perché assoluta e non negoziabile: cosa rarissima in un mondo in cui desiderio e adattamento sono diventati sinonimi. D’altra parte, i bei libri si coniugano sempre al futuro e ci chiedono di interrogarci, più che su cosa siamo stati, su cosa potremmo ancora essere («questo libro è un esercizio etico per prendere le distanze da ciò che siamo, aprendoci alle possibilità non ancora determinate dalle verità di qualcuno e imposte alla vita degli altri, ma presenti nel nostro vivere insieme»: p. 11).


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Alessandro Visalli: Se questa è la sinistra … 

tempofertile

Se questa è la sinistra … 

Su una critica alle politiche di spesa in deficit

di Alessandro Visalli

Una rivista che recita il nome della sinistra, ma in inglese, nel titolo. Che afferma essere “l’unico giornale di sinistra”, ospita un breve intervento di un autore, rispettabile e di grande competenza specifica, come il professore ordinario di Scienza delle Finanze presso l’Università di Bari, Ernesto Longobardi. Il professore ha nel suo lungo curriculum esperienze come “membro per l’attuazione della riforma tributaria”, nel lontano 1982-3, e membro del “Gruppo di lavoro per lo studio degli effetti del mercato unico europeo sul sistema fiscale italiano”, nel 1989.

Lo stesso firma in Sinistrainrete, a marzo 2018, un interessante articolo, dal titolo “Il liberismo non è un dato di natura”, nel quale propone di superare sia il liberismo, sia il marxismo, per privilegiare “una prospettiva, lunga e paziente, di opposizione sul piano culturale, che muova da un totale rifiuto della visione antropologica alla base del neoliberismo [e del marxismo]”. Andando oltre anche alla visione della “socialità acquisita con la ragione” del marxismo, in favore della prospettiva di un mutamento fondato sull’antropologia di Massimo Fagioli, psichiatria italiano recentemente scomparso, propugnatore della “teoria della nascita”.

La sinistra “lunga e paziente”.


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Carlo Clericetti: Secondo i conti Ue stiamo crescendo troppo

soldiepotere

Secondo i conti Ue stiamo crescendo troppo

di Carlo Clericetti

Vi preoccupate per la crescita zero del Pil nel terzo trimestre? Cominciate ad avere gli incubi per la paura che il quarto vada addirittura in negativo? Vuol dire che non conoscete le pregevoli analisi dei tecnici della Commissione europea, quelli che hanno detto che fissare un deficit al 2,4% segna uno scostamento di una gravità “senza precedenti” rispetto alle cifre da loro calcolate per il rientro del debito pubblico. Eggià, perché secondo queste analisi la nostra crescita è già ora troppo veloce, e porterebbe il Pil del 2019 oltre il suo potenziale.

Ricordate che cos’è il Pil potenzale? E’ quello che si otterrebbe se un paese impiegasse al meglio tutti i fattori della produzione, cioè con piena occupazione e pieno utilizzo dei capitali, ma senza provocare pressioni inflazionistiche. Il concetto è stato inventato per un motivo condivisibile. Si concorda cioè che quando un’economia è più debole di quanto potrebbe, per ragioni legate all’andamento della congiuntura, può usare più spazi di bilancio – ossia più spesa pubblica – per rafforzare la crescita. Benissimo, Keynes sarebbe stato d’accordo. Ma come al solito il diavolo si nasconde mei dettagli, che in questo caso sono i metodi con cui questo Pil potenziale si calcola.


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Luca Mercalli: “Mare troppo caldo, ecco perché arrivano piogge eccezionali e tempeste”

lavocedigenova

“Mare troppo caldo, ecco perché arrivano piogge eccezionali e tempeste”

intervista a Luca Mercalli

Il noto climatologo: “Il cambiamento climatico è sotto gli occhi di tutti, ormai non ci sono correttivi. Il riscaldamento globale è il grande nemico”

E’ il papillon più famoso della televisione (insieme a quello di Philippe Daverio), ma soprattutto è un meteorologo affermato, uno studioso scrupoloso e un prezioso divulgatore scientifico.

Luca Mercalli, torinese classe 1966, per tutta la sua carriera si è occupato di clima, di ambiente, di fenomeni naturali. Ha scritto decine di libri, pubblicato articoli su riviste internazionali, organizzato migliaia di incontri e conferenze. L’obiettivo è chiaro: sensibilizzare le persone, far loro conoscere il concetto di cambiamenti climatici, di riscaldamento globale, di scioglimento dei ghiacci e quant’altro. Più consapevolezza c’è, più si possono adottare correttivi per evitare catastrofi. Nel suo ultimo libro, uscito lo scorso 9 ottobre, Mercalli, noto ai più come meteorologo a ‘Che tempo che fa’, tocca questi e altri argomenti. Il saggio s’intitola "Non c’è più tempo - Come reagire agli allarmi ambientali", lo pubblica Einaudi.

* * * *

Mercalli, come si può spiegare quanto successo ieri in Liguria? E’ un fenomeno raro?

“Raro direi assolutamente di no. Già nel 2011 in Liguria accadde qualcosa di simile: l’alluvione delle Cinque Terre, seguita da quella di Genova, insieme ad altre giornate di forte maltempo e fenomeni climatici assolutamente notevoli.


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Pier Francesco Zarcone: Palestinesi, addio?

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Palestinesi, addio?

di Pier Francesco Zarcone

Spiace dirlo, ma il futuro dei Palestinesi si presenta più buio e desolante che mai, perché i paesi arabi sunniti si sono disinteressati di loro e nel mondo non hanno amici potenti. Oggi la loro solitudine è sempre più forte ed evidente, essendo venuti meno anche i residui veli di ipocrita retorica da parte di chi tra gli Arabi potrebbe sostenerli, disponendo di denaro e influenza politica e mediatica. E vediamo perché.

Le cosiddette primavere arabe sono state un fallimento totale acuito non solo dall’irrompere dell’islamismo politico (fenomeno rispetto a cui l’Occidente non è rimasto estraneo) ma altresì dagli appetiti politici dei paesi della penisola araba, che in vario modo hanno appoggiato o fomentato eventi dissolutivi dalla Siria all’Iraq, all’Egitto, alla Libia e alla Tunisia. La cinica realpolitikesercitata con spirito di potere, sempre più caratterizza l’azione di tali paesi, che peraltro non se la passano bene. L’Egitto ha i suoi problemi, economici e di sicurezza interna; in Siria il conflitto non è del tutto terminato; l’Iraq deve uscire dalle devastazioni lasciate dall’Isis; la Giordania non conta nulla e in più il re deve pensare agli opportuni equilibrismi per restare su un trono dai piedi di argilla.

Nel Vicino Oriente i conflitti iracheno e siriano, con i decisivi interventi di Russia e Iran in favore dei locali governi antijihadisti hanno finito col dare una mano involontaria al disinteresse sunnita per la Palestina, dove ormai i sionisti fanno quello che vogliono.


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Fulvio Scaglione: Salvini, come tutti gli altri prima di lui, in Qatar con il cappello in mano

lantidiplomatico

Salvini, come tutti gli altri prima di lui, in Qatar con il cappello in mano

di Fulvio Scaglione

La vicenda del vicepremier leghista dimostra che tra la campagne elettorale e l'azione di governo c'è una grande differenza. Ma nello schieramento degli incoerenti Salvini è in buona compagnia

Non è stato difficile prendere in castagna il vicepremier Matteo Salvini durante la visita in Qatar. È bastato confrontare le sue dichiarazioni del recente passato, quando il petro-emirato era solo uno sponsor del terrorismo i cui investimenti in Italia andavano almeno rivisti se non proprio bloccati, con quelle delle ultime ore, in cui lo stesso Qatar è diventato un Paese innocente che accumula benemerenze investendo nelle aziende italiane. Se poi Salvini mette sul piatto anche qualche bella foto dove lo si vede imbracciare (male, peraltro) pure un mitra, il gioco è fatto.

La piccola vicenda salviniana, però, in sé e per sé è poca cosa. Dimostra, se ce ne fosse ancora bisogno, che tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare, e che tra i facili propositi delle campagne elettorali e le dure necessità dell’azione di governo di mezzo c’è forse l’oceano.

Tanto più che, negli stessi giorni della visita del segretario politico in Qatar, la Lega ha presentato un progetto di legge (firmato Guido Guidesi, sottosegretario alla presidenza del Consiglio) per mettere sotto controllo i fondi che arrivano dell’estero per la costruzione di moschee in Italia.


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Leonardo Mazzei: Rotta di collisione

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Rotta di collisione

intervista a Leonardo Mazzei

Il rifiuto italiano di piegarsi ai diktat della Commissione europea e lo scontro che ne deriva è una delle questioni più dibattute in Germania. Il sito tedesco Makroskop ha rivolto a Leonardo Mazzei alcune domande. Qui sotto l'intervista

Rotta
di CollisioneLa commissione europea ha rifiutato il budget italiano definendolo una “deviazione senza precedenti” dai patti. Perché questa durezza?

La "deviazione senza precedenti" è un'esagerazione evidente. Negli ultimi quarant'anni solo 4 volte il rapporto deficit/pil è stato più basso del 2,4% previsto dal governo per il 2019. Anche nei due anni della massima austerità (governo Monti) questo rapporto fu al 3%. La posizione della Commissione europea, che oggi è arrivata a bocciare il Documento programmatico di bilancio italiano, si spiega solo politicamente. Si vuole colpire in maniera dura un governo che, pur senza attuare una netta svolta verso politiche espansive (come sarebbe stato invece necessario), ha deciso però un'inversione di tendenza rispetto alle politiche austeritarie.

 

La risposta italiana sembra ferma. È inevitabile una escalation?

La maggioranza di governo non può permettersi una retromarcia. Sarebbe un disastro politico. Essa sta cercando di realizzare dei risultati concreti - pensioni, reddito delle fasce più povere, fisco - senza arrivare allo scontro frontale con l'UE. Ma questa ricerca di un compromesso non è stata accolta a Bruxelles, anzi. L'escalation sembra dunque l'ipotesi più probabile.

 

Rimane comunque uno spazio per un compromesso? Conte ha detto che forse posticiperanno alcune spese. Un cambio di alcuni decimali non sembra decisivo.


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Eros Barone: Il governo piccolo-borghese e antioperaio degli ‘amici del popolo’

sinistra

Il governo piccolo-borghese e antioperaio degli ‘amici del popolo’

di Eros Barone

populismo korovin nel mondo1Per comprendere l’evoluzione (o l’involuzione) della situazione politica del nostro paese, occorre prendere le mosse dalla ristrutturazione dei ‘vincoli esterni’ (UE, USA e BRICS) che, oggi come non mai, ne condizionano il decorso. Da questo punto di vista, la legge di bilancio del governo per il 2019 e l’uso politico delle variabili economico-finanziarie (lo ‘spread’ e il ‘rating’) sono lo specchio fedele di contraddizioni e conflitti del tutto interni alle diverse frazioni della borghesia capitalistica , legati a contrastanti indirizzi politici concernenti il rapporto con i mercati internazionali e con gli attuali schieramenti imperialisti. La crisi economica mondiale ha infatti acuito le fratture esistenti nel sistema capitalistico sia a livello verticale, tra la grande impresa monopolistica e la piccola e media produzione nazionale, sia a livello orizzontale, tra le diverse frazioni (industriale, finanziaria, commerciale) del grande capitale. Pur con tutte le mediazioni che ancora si interpongono (ma che sono destinate a ridursi via via che lo scontro si inasprisce), la Lega e il Movimento 5 Stelle sono per l’essenziale, in quanto “nomenclatura di classi sociali” (Gramsci), 1 l’espressione di tali contraddizioni.

L’attuale fase politica si situa dunque nel quadro di una “crisi organica” 2 della mediazione istituzionale di tipo tradizionale e segna una nuova tappa dello sforzo che da tempo vede impegnate alcune frazioni del blocco dominante sul terreno della ricerca di un’alternativa endosistemica al l’europeismo, cioè alla subordinazione dell’eurozona all’asse capitalistico franco-tedesco, quale si è espressa attraverso il ‘connubio’ dei due partiti (PD e FI) con cui, a partire dagli anni novanta del secolo scorso, le classi dominanti, ‘giocando’ sulla regolazione del vincolo europeistico, hanno realizzato una certa unità e difeso i loro interessi economici.


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Paolo Ortelli: Contro la trappola della rassegnazione

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Contro la trappola della rassegnazione

Leggere e rileggere Luca Rastello

di Paolo Ortelli

immagine art rastello 1Di Luca Rastello si è scritto e detto moltissimo, post mortem. Lo conoscevano in pochi, forse perché era mosso dall’amore per la verità e aveva uno spirito avverso a ogni conformismo e, quindi, alle logiche da cui dipende la visibilità mediatica. Ha vissuto molte vite – giornalista culturale, reporter, analista politico, viaggiatore, narratore, filosofo, redattore, operatore solidale– e ogni volta ha saputo reinventare sé stesso. Ha lottato fino alla fine contro la sua malattia, e lo ha saputo raccontare in maniera per niente retorica nel suo ultimo libro (pubblicato postumo, nel terzo anniversario della sua morte avvenuta nel 2015) “Dopodomani non ci sarà”, romanzo che si presenta più come un laboratorio di scrittura, una miniera di riflessioni filosofiche e politiche, spiazzanti e memorabili. Figura complessa, irriducibile e da riscoprire per i più, l’opera di Rastello rappresenta un prisma formidabile attraverso cui guardare il presente e per «non cadere mai nella trappola della rassegnazione e dell’accettazione»

* * * *

Di Luca Rastello si è scritto e detto moltissimo – post mortem. Le parole che, per esempio, hanno speso per lui intellettuali come Goffredo Fofi, Nicola Lagioia, Alessandro Baricco, Roberto Saviano, Walter Siti, Wu Ming, Giorgio Vasta, si riservano solo ai grandi del pensiero e della letteratura.

Non è un caso che Un passo più in là, documentario sulla sua vita trasmesso da RaiStoria, inizi con una domanda: «Perché erano così in pochi a conoscerlo?». E si potrebbe aggiungere: perché soltanto dopo la sua morte, avvenuta il 6 luglio 2015, è diventato un “mito” letterario?

Lo conoscevano in pochi perché Luca Rastello era mosso dall’amore per la verità (anzi, per le tante verità possibili), da una sconfinata curiosità e un senso purissimo della giustizia; aveva uno spirito inflessibilmente critico e perciò avverso a ogni conformismo, alle orazioni civili e alle logiche markettare da cui dipende la visibilità mediatica.

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Militant: Gialloverde o gialloblu?

militant

Gialloverde o gialloblu?

 

di Militant

Quando ci riferiamo all’esecutivo Di Maio-Salvini dovremmo parlare di governo gialloverde oppure del governo gialloblu? E, nel caso, questa precisazione rimanda ad una qualche forma di pignoleria semantica, oppure dietro la questione cromatica c’è un dato più prettamente politico? Insomma, aveva ragione Bertoli quando cantava che nella vita ogni cosa ha un suo colore?

Ilvo Diamanti in una recente pubblicazione collettanea sull’analisi del voto scrive:

Il segno più marcato delle elezioni politiche 2018 si osserva, probabilmente, sul piano territoriale. Nella geografia politica del Paese. Perché il territorio sottende e riassume diversi fattori e specifiche relazioni “di lunga durata” che intrecciano la storia, la cultura, l’economia, la società. Per questo in Italia, nel corso del dopoguerra, la geografia elettorale si è dimostrata a lungo stabile: caratterizzata da “regioni” politiche riconoscibili, e riconosciute, definite attraverso colori ben precisi, che ne richiamavano “la bandiera” e, dunque, l’identità politica.

Diversi colori che indicavano “diverse Italie”. Il bianco della “prima Italia”, ascrivibile al mondo cattolico, era il colore della DC nonché la tinta prevalente nelle provincie del nord, soprattutto quelle nel Nord-est.


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Marta Fana: Foodora Glovo: oligopoli a chiamata

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Foodora Glovo: oligopoli a chiamata

di Marta Fana

Dopo le minacce di lasciare il paese, Foodora Italia viene acquisita da Glovo. L'ascesa del gigante spagnolo esprime una trasformazione più profonda delle piattaforme di consegna

La notizia dell’acquisizione di Foodora Italia da parte di Glovo ha ben poco a che fare con le vicende legate al mondo del lavoro e alle proteste dei riders che hanno riempito le prime pagine dei giornali nei mesi scorsi. Niente a che vedere con le dichiarazioni di metà giugno del Ceo di Foodora italia, Matteo Cocco: «Se fossero vere le anticipazioni del ‘decreto dignità’ […] dovrei concludere che il nuovo governo ha un solo obiettivo: fare in modo che le piattaforme digitali lascino l’Italia». Il cosiddetto “Decreto rider” tra l’altro ha avuto vita giusto il tempo per il ministro del lavoro Luigi di Maio di fare un po’ di dichiarazioni e provare a riprendersi le prime pagine dei giornali, offuscato dall’aggressività del collega Matteo Salvini. Nel frattempo però il capitale fa il bello e il cattivo tempo, mai messo in discussione nella sua libertà di azione.

 

È la finanziarizzazione, bellezza!

La scelta di Foodora di lasciare l’Italia, cioè vendere, è una vicenda tutta interna al capitale e risponde prima di tutto alla tendenza alla centralizzazione su scala internazionale. Una strategia dichiarata da Niklas Östberg, Ceo di Delivery Hero, cioè la società, ancora definita start-up, che nel 2014 aveva acquisito Foodora:


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Fulvio Grimaldi: 1914-1918, si apre l'era dei masskiller

mondocane

1914-1918, si apre l'era dei masskiller

di Fulvio Grimaldi

Nei prossimi giorni ci assorderanno con le celebrazioni della vittoria, il Piave mormorò, i nostri fanti, il generale Diaz, Trento e Trieste, “I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano discese con orgogliosa sicurezza”. Tra cimbali e fanfare, corse di bersaglieri, penne dritte degli Alpini, Vittorio Veneto, commossi elogi e severi moniti all’unità nazionale e all’amore per l’Europa “che ci ha dato 70 anni di pace” (Jugoslavia, spedizioni Nato e guerra ai poveri escluse) pronunciati dal capo dello Stato, siamo tutti chiamati a festeggiare la “vittoria”. Dal 2 novembre, giorno dei morti, al 4, giorno del “compimento del Risorgimento” con la ripresa delle “terre irridente” (Trento e Trieste, va pure bene, ma Bolzano, il Brennero e una popolazione straniera soggiogata che c’entravano?), patria, nazione, sovranità gonfieranno i petti e orneranno le labbra dei cerimonieri sui colli e dei loro chierichetti nelle redazioni. Subito dopo torneranno ad avere il sapore tossico che gli si attribuisce quando risultano concetti formulati dalla nota peste sovranista, populista, nazionalista, razzista e, perché no, va bene per ogni disturbatore, anche un bel po’ fascista.


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Ugo Boghetta: Il PIL non va, la rabbia sì

rinascita

Il PIL non va, la rabbia sì

di Ugo Boghetta

La notizia di ieri è che il PIL non cresce. Sembra che per nessuno sia una sopresa. In effetti sono anni che taluni vanno dicendo che così rimanendo stiamo andando incontro a lunghi tempi di stagnazione.

L’argomento è affrontato dal Corriere della Sera in due articoli. il primo è firmato dal noto Dario Di Vico. Il secondo consiste in un’intervista a Francesco Pugliese amministratore delegato di Conad.

De Vico afferma che lo stallo del PIL è dovuto al crollo della vendita delle auto (- 25%); ma non sarebbe un caso solo italiano. In Germania il crollo è addirittura del 30%.

Il secondo dato, quello forse più allarmante, è il crollo degli investimenti in macchinari.

Anche il mondo del mattone è piatto come i consumi delle famiglie.

I dati sono tali, dice il nostro, che gli effetti si proietteranno oltre l’anno prossimo. E qui comincia l’elenco delle cose che non vanno del governo Conte: le previsioni innnazitutto e l’impatto che la manovra non avrà sul PIL.

Questo perchè non è detto che tutti quelli che andranno in pensione con la Fornero verranno sostituiti. E il reddito di cittadinanza non si sa se e come verrà speso. Ed entrambi i provvedimenti, inoltre, entreranno in vigore ad anno inoltrato diminuendone gli effetti.


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Mariaenrica Giannuzzi: Il tempo della secolarizzazione

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Il tempo della secolarizzazione

di Mariaenrica Giannuzzi

Il tempo della secolarizzazione. Karl Löwith e la modernità (Mimesis, Milano- Udine, 2015) di Giorgio Fazio ripercorre la biografia intellettuale di Karl Löwith, lì dove l’asse biografico non è che un puntello per aggregare il dibattito filosofico di Weimar, e del Dopoguerra tedesco, intorno a temi e progetti fondamentali. Ed è conveniente che Fazio possa elencarne i principali per vedere poi quale sia stato il posto di un Löwith soldato, di un Löwith prima esistenzialista e poi Naturphilosoph, nel panorama singolarmente cupo dello scorso secolo. Il libro si divide in tre fasi, che potrebbero considerarsi la gioventù, la maturità e la vecchiaia del filosofo monacense. La prima parte è titolata Antropologia e modernità, dove s’indaga la posizione scettica di Löwith rispetto alle spinte mitiche o cripto-protestanti di un Klages o di Martin Heidegger durante gli anni di formazione, che includono anche un interesse per la critica marxiana del mondo e dell’esistenza borghese con Max Weber e Karl Jaspers. Di questo periodo, o poco precedente, è lo scritto (in genere non menzionato negli studi sul pensiero filosofico) Fiala. Storia di una tentazione, storia, in pratica, del progetto di uccidersi, che fa il paio con la famosa dissertazione di Löwith L’individuo nel ruolo del co-uomo, naturalmente analizzata qui a fondo, con maestria e dovizia di genealogie.


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tonino

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Nov 10, 2018, 2:29:35 AM11/10/18
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Carlo Formenti: Quando sovranismo fa rima con socialismo

micromega

Quando sovranismo fa rima con socialismo

di Carlo Formenti

sovranismo 510 lChe certi termini abbiano assunto questo significato deteriore non è avvenuto a caso. Si tratta di una reazione del senso comune contro certe degenerazioni culturali, ecc., ma il ‘senso comune’ è stato a sua volta il filisteizzatore, il mummificatore di una reazione giustificata in uno stato d’animo permanente, in una pigrizia intellettuale altrettanto degenerativa e repulsiva del fenomeno che voleva combattere>>: così Gramsci nei “Quaderni” (Quaderno 8, § 28, p. 959 dell’edizione critica Einaudi).

Proviamo ad applicare questa citazione all’uso che oggi viene fatto di termini come populismo e sovranismo da parte dei partiti tradizionali, di destra come di sinistra. La parola populismo, che occupa da tempo un ruolo non marginale nella storia del moderno dibattito politico - nel corso della quale ha assunto valenze e significati diversi - è stata “emulsionata” dal linguaggio contemporaneo dei media, i quali l’hanno ridotta a puro strumento di propaganda politica, anatema da scagliare contro ogni forma di opposizione al pensiero unico liberal liberista. Quanto a sovranismo – che è un neologismo di origine relativamente recente (si riferisce originariamente ai movimenti che rivendicavano l’indipendenza del Québec dal resto del Canada) -, ha subito in tempi brevi un destino analogo: è stato adottato dalla langue de bois mediatica per analoghi fini propagandistici, per accreditare cioè l’associazione automatica fra ogni posizione politica che rivendichi la riconquista della sovranità nazionale e l’uscita dall’Unione europea e i nazionalismi di destra.

Chi non si accontenta di tali semplificazioni, e nutre salutari sospetti nei confronti degli interessi che le ispirano, dispone ora di due nuovi strumenti di approfondimento critico: sono usciti, a breve distanza l’uno dall’altro, i libri di Thomas Fazi e William Mitchell (“Sovranità o barbarie. Il ritorno della questione nazionale”, ed. Meltemi) e di Alessandro Somma (“Sovranismi. Stato, popolo e conflitto sociale”, ed. DeriveApprodi) che smontano, il primo le narrazioni sull’inesistenza di alternative al mondo globalizzato, il secondo quella che attribuisce alla Ue il ruolo di baluardo della democrazia contro il ritorno dei nazionalismi.


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Paolo Missiroli: “Scritti sull’alienazione” di Karl Marx

pandora

“Scritti sull’alienazione” di Karl Marx

di Paolo Missiroli

Recensione a: Karl Marx, Scritti sull’alienazione. Per la critica della società capitalistica, Testi scelti e introdotti da Marcello Musto, Donzelli, Roma 2018, pp. 160, 18 euro (scheda libro)

Marx181Esattamente duecento anni or sono, in una non enorme casa nel centro di Treviri, una non grande città nell’allora non esteso Regno di Prussia, nasceva Karl Marx.

Non eccessivamente ricca la sua famiglia, non troppo noto il suo cognome, non incredibilmente colti i suoi genitori. Tutte le caratteristiche per descrivere l’inizio di una vita nella media, si direbbe. Invece, come tutti sanno ancora oggi, infinita sarebbe stata la sua fortuna. Di Marx appena ventiquattrenne si diceva:

“Immaginati Rousseau, Voltaire, d’Holbach, Lessing, Heine e Hegel fusi in una sola persona. Ecco il dottor Marx.”

Questo ragazzo di Treviri avrebbe ridisegnato i confini del mondo e dell’analisi di esso.

Ma forse, ancora più dell’Ottocento, è il Novecento il secolo di Marx. Dopo quel secolo (breve o lungo che sia stato), cosa possiamo farcene di Marx? Perché continuiamo a parlare di lui? Come è possibile che molti, leggendo le sue pagine oggi, rimangano ancora folgorati dalla realtà di cui parla, che essi percepiscono come la loro realtà, la nostra realtà? In fondo, spesso lo si sente dire, Marx è morto nel 1883. Tutto quello di cui parla non è forse (ammesso che fosse vero il suo dire) finito, terminato? Per andare avanti, non bisogna forse, dimenticare Marx?

È curioso come, al contrario di questi discorsi, lo spirito di Marx soffi più forte, oggi, nel 2018, che poco più di una decina di anni fa. Marx scorre potente nel pensiero contemporaneo, per alcuni non abbastanza, certo, ma ha di nuovo un peso.


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Ivan Mikhajlovič Syroežin: Pianificabilità, pianificazione, piano

sinistra

Pianificabilità, pianificazione, piano

di Ivan Mikhajlovič Syroežin

Capitolo 2 - All’origine della pianificabilità

selmi21Introduzione di Paolo Selmi

L’immagine di copertina questa volta ha più a che vedere con il sottoscritto e col suo appuntamento al buio, dopo oltre venticinque anni di spensierata e ignorante lontananza, con il magico mondo della matematica. Tutto sommato, sono contento di essermi difeso con onore anche in questa parte non semplice. In questo capitolo, infatti, il buon Syroežin pensa bene di portarci in corda doppia su passaggi non agevoli, almeno per me. Tuttavia, oltre a ringraziare il fatto di non andare malaccio nella materia, di avere quindi un fondo atletico minimo (anche se, riprendendo il manuale di analisi di quinta, ho avvertito un groppo alla gola non indifferente), oltre che non mollare mai per natura (nonostante spesso mi sentissi molto più come il tizio in maglione della foto, più che quello in camicia), ringrazio anche il fatto che il Nostro corre poco, verrebbe da dire quasi il minimo sindacale, si ferma ad aspettare, e nel prosieguo delle sue dimostrazioni riprende concetti già espressi poc’anzi, quasi a volerti incoraggiare, a dire che si, hai capito bene, oppure che no, è meglio se rileggi di nuovo quel manuale che ti sei bellamente scordato, e recuperi prima qualche concetto di base perso per strada.

Questa foto mi è piaciuta, come penso anche che sarebbe piaciuta a un grande della fotografia del secolo scorso, Robert Doisneau, anche per altri motivi: questa scena di vita quotidiana universitaria, di giovani sovietici ripresi durante la preparazione di un esame sicuramente “tosto”, non si stanno facendo le scarpe tra di loro, puntando a quella spietata scrematura del péloton, frutto di una “selezione naturale” che può fare da noi Analisi I, Lingua e Letteratura Giapponese I, o il Mortirolo, piuttosto che lo Zoncolan, presi a trenta all’ora sin da sotto le pendici. Al contrario, si aiutano. C’è chi ci arriva subito e chi ci metterà decisamente di più, tuttavia alla fine con il dovuto impegno ci arriveranno tutti. Anche questo è socialismo, e ho avuto la fortuna e l’onore di sperimentarlo in prima persona studiando cinese con professori cinesi e italiani in tempi molto diversi da questi.


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Pasquale Cicalese: L’Italia e l’eurozona si scoprono fragili

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L’Italia e l’eurozona si scoprono fragili

di Pasquale Cicalese

Indice manifatturiero ai minimi da 46 mesi, sotto la soglia dei 50 punti che rimarca espansione o recessione, crescita nulla del Pil nel terzo trimestre, forte calo degli ordinativi interni. L’Italia, che ha puntato sul modello tedesco basato sul mercantilismo a bassi salari dove l’unica valvola di sfogo è l’export, si riscopre nuovamente fragile.

Ecco come inquadra la questione Carlo Bonomi di Assolombarda ieri su La Repubblica:

“In Germania gli ordinativi sono in forte calo, e per la manifattura italiana, che ha intrecci produttivi strettissimi con le filiere industriali tedesche, è una pessima notizia. La domanda estera è in forte calo, quella interna non è mai di fatto ripartita”.

Il classico pianto del subfornitore italiano.

Ecco che l’Italia, che ha costruito negli ultimi 25 anni, a seguito dello smantellamento degli oligopoli pubblici, una vasta rete di subfornitura italiana al servizio dei colossi tedeschi e che ha puntato dal 2011 sulla domanda estera massacrando quella interna, si scopre senza appigli, senza uno sfogo di domanda pagante a cui aggrapparsi.

Ma è l’intera eurozona che è messa così: il rapporto domanda estera/pil della zona euro è pari al 44%, in Usa al 18,4%, in Cina al 17,8%. L’eurozona è senza domanda interna, avendola massacrata da Maastricht in poi, e di cui in questi giorni si “festeggiano” i 25 anni.


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Marco Beccari: Una parte del proletariato immigrato è scesa in piazza

la citta
futura

Una parte del proletariato immigrato è scesa in piazza

Un’occasione mancata per Potere al Popolo

di Marco Beccari

Se Pap vuole essere protagonista delle esigenze di cambiamento sociale non può selezionare solo alcune lotte ignorando tutto ciò che si muove fuori da un certo perimetro piuttosto limitato

A Roma il 27 ottobre, nel silenzio generale anche della stampa di “sinistra”, si è tenuta una manifestazione nazionale indetta dal SI COBAS. Notevole la partecipazione della parte più combattiva del proletariato immigrato, quella che lavora nella logistica, organizzata da questo sindacato. Era presente anche ciò che resta del movimento degli immigrati a Roma, una parte del movimento per il diritto alla casa, degli studenti, qualche componente delle numerose organizzazioni comuniste e i compagni che si richiamano all'autonomia di classe. Almeno cinquemila persone reali hanno dato luogo ad un corteo da piazza della Repubblica ai Fori Imperiali.

Gli slogan più urlati sono stati gli insulti al vicepremier e ministro dell'interno Salvini. Delle parole d’ordine che non denotano un’elevata coscienza di classe, ma che senz'altro sono indice del clima fortemente repressivo vissuto da questo settore di classe operaia. Non che non siano mancate parole d’ordine più coscienti, ma la mancanza di un soggetto che interpreta e organizza tale coscienza di classe si fa sentire e non poco. I lavoratori della logistica sono a tutti gli effetti un settore di classe operaia, perché come ben analizzava Marx la catena del valore, la trasformazione D-M-D' si realizza anche grazie al trasporto della merce dal luogo di produzione a quello di vendita.


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Mauro Indelicato: Il Belgio ha usato i soldi di Gheddafi per favorire l’immigrazione in Europa

gliocchidellaguerra

Il Belgio ha usato i soldi di Gheddafi per favorire l’immigrazione in Europa

di Mauro Indelicato

Quando scoppia il caos in Libia nel 2011 e la Francia assieme alla Gran Bretagna iniziano a preannunciare un intervento bellico, nelle tv di tutta Europa vengono annunciati a più riprese alcuni provvedimenti che scattano contro Gheddafi. In primo luogo vengono congelati i beni del rais in Europa. Non sono certamente pochi: tra fondi di investimento statali, partecipazioni, quote e società, in ballo ci sono miliardi di Euro custoditi nelle banche di buona parte del vecchio continente. Si tratta, nella realtà, non tanto di beni privati della famiglia di Gheddafi bensì di soldi dei libici. Con la stessa imprecisione con la quale all’epoca si dà notizia di fosse comuni e bombardamenti sui manifestanti attuati da Gheddafi, si definisce “tesoro” del rais quello che in realtà costituisce un blocco di beni e denaro di fondi di investimenti sovrani e non solo. Tutto però viene congelato, in attesa di sviluppi. O almeno così pare: dal Belgio infatti emerge l’ombra di uno scandalo riferibile proprio ai soldi libici congelati.

 

Lo scandalo che imbarazza Bruxelles

A congelare quei beni contribuiscono anche alcune risoluzioni dell’Onu. Questo non è un episodio di poco conto nell’economia della guerra che si sviluppa poi con l’intervento Nato.


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Alberto Negri: "È inutile commuoversi, la bambina dello Yemen muore anche per colpa nostra"

lantidiplomatico

"È inutile commuoversi, la bambina dello Yemen muore anche per colpa nostra"

di Alberto Negri - Tiscali

C’è un filo rosso che lega il caso Khashoggi, le sanzioni all’Iran e la bambina morta di Yemen: la complicità attiva delle politiche americane e occidentali con i peggiori regimi del Medio Oriente. Mentre i giornali e le tv europee e americane grondano di retorica sulle stragi di civili in Yemen, che durano da anni, gli Stati Uniti, prima quelli di Obama e adesso quelli di Trump, continuano a rifornire di armi la monarchia saudita e a dirigere i bombardamenti nello Yemen. Non solo. Facciamo affari e diamo armamenti ai Paesi della cosiddetta “coalizione araba” alleata di Riad, in primo luogo gli Emirati Arabi Uniti, che hanno sul campo oltre 30mila militari, in gran parte mercenari, che con i sauditi combattono gli Houthi, i ribelli sciiti zayditi sostenuti dell’Iran.

Il caso di Riad è stranoto. Un Paese proprietà di una famiglia, i Saud, che fonda la sua legittimità sull’Islam wahabita, una delle versioni più conservatrici e retrograde dell’Islam, la stessa ideologia religiosa intollerante che in Pakistan alimenta le proteste contro l’assoluzione della cristiana Asia Bibi.

Sono decenni che i sauditi si oppongono agli sciiti in Medio oriente. Negli Ottanta incoraggiarono e finanziarono Saddam Hussein per attaccare l’Iraq: una guerra che fece un milione di morti.


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Mauro Armanino: Un Paese in vendita. Il Niger nel mercato del Sahel

sinistra

Un Paese in vendita. Il Niger nel mercato del Sahel

di Mauro Armanino

Niamey, Novembre 2018. Vendiamo le migliori cipolle del Sahel. Per imparare a piangere più in fretta quando occorre. Vendiamo carne di ottima qualità, troppo cara per le famiglie povere dei quartieri della capitale Niamey. Nel mentre si progetta di costruire una delle macellerie con camere frigorifiche più importanti della regione. Vendiamo la sabbia a chiunque voglia installarsi, con garbo, nello spazio saheliano. Del vento neppure a parlarne: arriva gratuito e dunque si offre a prezzo scontato, secondo le circostanze. E’offerto a cittadini e residenti occasionali quasi a ogni stagione dell’anno. Il turismo, lui pure in vendita, è stato spazzato via dalla storia dei rapimenti di occidentali e dai gruppi armati del Nord del paese che della non pace hanno fatto il loro business.

Vendiamo migranti ai migliori acquirenti della piazza. Agenzie umanitarie, ONG improvvisate al momento, associazioni, club amatoriali, giornalisti d’inchiesta, ricercatori, antropologi, autisti, commercianti all’ingrosso e al dettaglio, militari e strateghi. Tutti in cerca di loro, meglio se irregolari, illegali e clandestini: saranno meglio apprezzati dal mercato. Gli specialisti di diritti umani, quelli per curare i traumi post migratori, gli addetti al rimpatrio, gli assistenti sociali, i salvatori del deserto col telefono giallo-sabbia e infine coloro che denunciano gli abusi nei campi di detenzioni.


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Alfonso Geraci e Marco Palazzotto: Indietro non si torna... purtroppo

palermograd

Indietro non si torna... purtroppo

​di Alfonso Geraci e Marco Palazzotto

potere
al popolo 2Dopo Nuovo PCI e Sinistra Anticapitalista, anche il PRC ha abbandonato il progetto PAP. Il documento votato dal CPN di Rifondazione non suscita entusiasmi, ma anche noi – che abbiamo condiviso per un anno il cammino di Potere al Popolo – abbiamo lasciato PAP dopo la votazione sui due statuti contrapposti, ritenendo (con motivazioni e preoccupazioni in buona misura diverse da quelle espresse dalla mozione di cui sopra) che si sia giunti a un capolinea, e che PAP abbia costruito e “blindato” un meccanismo di funzionamento sbagliatissimo e che rende molto difficile se non impossibile al singolo militante partecipare coscientemente ed efficacemente alla vita dell’organizzazione. Queste nostre riflessioni intendono avviare un dibattito, per cui auspichiamo che sia i compagni che proseguiranno il percorso di PAP che quelli che l’hanno abbandonato vogliano intervenire. [AG, MP]

 

Potere al Popolo prevede il potere al popolo?

La festa appena cominciata è già finita… (Sergio Endrigo)

Lo scorso 9 ottobre si sono concluse le consultazioni svolte nella piattaforma informatica di Potere al Popolo che hanno sancito, secondo il comunicato dello stesso movimento (qui maggiori dettagli ), la vittoria dello statuto 1 – sostenuto dalle componenti dell’Ex OPG occupato “Je so’ pazzo” e Eurostop – sullo statuto 2 – sostenuto invece dal PRC, ritirato all’ultimo momento dagli estensori e rimasto comunque online per il voto dopo la decisione della maggioranza del coordinamento nazionale provvisorio.

Hanno votato a favore dello statuto 1 circa 3300 persone su più di 9000 iscritti e quindi il 37% circa degli aventi diritto, e pari al 55% degli utenti attivi.


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Mattia Gambilonghi: Per una critica socialista dello Stato liberale di diritto: note sparse

marxismoggi

Per una critica socialista dello Stato liberale di diritto: note sparse

di Mattia Gambilonghi

Sign for the Trusty Servant geograph.org.uk 10360091. Origini e caratteri essenziali

Principale punto d’approdo di quel filone contrattual-razionalistico che, agli albori della modernità, aveva cominciato a ridisegnare la politica in senso individualistico e antiorganicistico, ponendo al centro del proprio progetto il Soggetto per eccellenza – quello borghese – e definendo i termini di una mediazione razionale tra individui capace di dar vita ad un artificio politico – lo Stato – incaricato di tutelare questi ultimi e i loro diritti naturali, lo Stato liberale di diritto rappresenta la forma di Stato che contrassegnerà lo scenario europeo dalla Rivoluzione francese alla fine della Seconda guerra mondiale.

Il fatto di nascere e svilupparsi da un lato in reazione all’ordinamento cetuale e particolaristico proprio dell’Ancien regime, e dall’altro al fine di razionalizzare politicamente e dare una veste di diritto pubblico ad una società mercantile che vede oramai il motore del proprio sviluppo in quello “scambio di equivalenti” reso possibile dalla reciprocità strutturalmente connessa all’istituto giuridico del contratto – autentico perno delle società proto-liberali e proto-capitalistiche[1] –, fa sì che i caratteri che sin da subito contraddistingueranno lo Stato liberale di diritto siano quelli dell’astrattezza, della generalità e dell’uniformità, veri e propri «punti salienti [del] programma politico-ideologico» della Rivoluzione francese[2]. La modernità giuridica sente infatti in maniera quasi ossessiva la necessità di “semplificare tutto”, riprendendo le parole del giurista di età napoleonica Jean-Étienne-Marie Portalis: non più la molteplicità di corpi, fonti del diritto e regimi giuridici, ma una società (presunta) omogenea composta da individui dotati di una eguale capacità giuridica. È evidente come il carattere dell’astrattezza investa in primo luogo i tratti e le qualità proprie dei soggetti politico-giuridici posti al centro dei nuovi ordinamenti, dei soggetti che idealtipicamente ricalcano una precisa e storicamente determinata figura sociale, quella dell’individuo-proprietario, il bourgeois[3].


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Salvatore Bravo: Marx un cane morto?

sinistra

Marx un cane morto?

di Salvatore Bravo

AFP
13Z6VJ kH0B U4348L’accettazione del sistema sociale vigente quale unico possibile è il volto abbagliante dietro il quale si cela la sua verità, l’abbaglio è il disorientamento, il turbocapitalismo vive e si espande nella caduta del senso critico, nella rinuncia individuale e di massa al riorientamento disalienante verso la condizione disumana a cui, tutti, sono sottoposti, malgrado le innegabili differenze delle condizioni materiali. Naturalmente la sua ideologica fatalizzazione consente al capitale trasformato in motore della Storia collettiva ed individuale di essere il vero protagonista delle storie, in quanto la storia è nel concreto il luogo delle scelte individuali che si aprono all’alterità per fondare la comunità. Le storie con il vociare del possibile sono sostituite con velocità crescente di ordine geometrico dal capitale, il quale divenuto ipostasi non riconosciuta, ed in forza omologatrice delle storie individuali. Le vite divengono in quanto abitate dal capitale indifferenziate, non hanno che gli stessi attributi del valore di scambio, così come le merci sono valore di scambio e dunque astratte perché hanno perso il valore d’uso, nella stessa maniera i soggetti sono posti tutti sulla stessa linea indifferenziata, essi sono tempo astratto, e quindi il valore di ciascuno passa per le forche caudine della rinuncia alla propria individualità in favore di criteri astratti di quantificazione. Il tempo di lavoro di ciascun individuo è sottoposto alla legge comune a tutti, ogni individualità è soppressa, svuotata perché serva del tempo astratto, ovvero del tempo dedicato alla produzione ed al consumo coatto.


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Militant: Patriottismi fuori tempo massimo

militant

Patriottismi fuori tempo massimo

di Militant

Da tempo un vasto fronte politico-culturale chiede a gran voce l’istituzione del 4 novembre come festa nazionale legata ad un giorno festivo. E’ una richiesta interessata: attraverso la celebrazione del 4 novembre come “festa degli italiani” si vorrebbe concretamente derubricare il 25 aprile quale festa “divisiva”, non più adeguata a rappresentare quello spirito di riconciliazione incarnato invece nel ricordo del 4 novembre. Ma cosa si vorrebbe ricordare in questa data? In primo luogo, va ricordato che la «giornata dell’unità nazionale e delle forze armate», ancora oggi festa nazionale, fino al 1976 era connessa al giorno festivo. Una reintroduzione, insomma, legata alla fine della Prima guerra mondiale. Una data che i più, ormai anche a sinistra, definiscono come «Vittoria». Proprio così, con la V maiuscola e il petto infuori. Ma siamo impazziti?

Nel novembre del 1918 si concluse l’evento più traumatico del Novecento, che addirittura inaugurò – per tramite della sua forza materiale ed evocativa – quel Secolo breve segnato dall’irruzione delle masse nella vita politica degli Stati nazionali. Un evento che va ricordato, costantemente interpretato, addirittura valorizzato nella sua unicità, ma mai “celebrato”.


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T.J. Coles: Perché una società neoliberista non può sopravvivere

vocidallestero

Perché una società neoliberista non può sopravvivere

di T.J. Coles

Torniamo ancora una volta a occuparci dell’approccio teorico all’ideologia neoliberista. T.J. Coles, ricercatore presso il Cognition Institute dell’Università di Plymouth e autore di diversi libri, tra cui Human Wrongs (2018, iff Books), in questa analisi critica sostiene, sulla base di una serie di studi socio-psicologici, che le politiche neoliberiste portano alla distruzione della società e hanno come risultato una situazione di caos ed anarchia diffusi, da cui solo pochi possono trarre vantaggio, ma che in ultima istanza porta all’autodistruzione della civiltà così come la conosciamo. In questo contesto, l’inversione di tendenza che si afferma con sempre più forza a livello globale è incoraggiante. Tuttavia è necessario conoscere e capire i fenomeni attuali per poter combattere il declino sociale dell’egoismo e utilitarismo di politiche di austerità ultra-liberiste

Gli esseri umani sono creature complicate. Siamo sia cooperativi che settari. Tendiamo a essere cooperativi all’interno di gruppi (ad es. un sindacato) mentre competiamo con gruppi esterni (ad esempio, una confederazione di imprese). Ma società complesse come la nostra ci costringono anche a cooperare con gruppi esterni – nei quartieri, nel lavoro e così via. Negli ecosistemi sociali, la selezione naturale favorisce la cooperazione. Inoltre, esiste una preferenza per i comportamenti etici, quindi la cooperazione e la condivisione sono qualità apprezzate nelle società umane.


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ilsimplicissimus: Gli antifascisti dei miei stivali

ilsimplicissimus

Gli antifascisti dei miei stivali

di ilsimplicissimus

Il pericolo fascista è ormai la maggiore preoccupazione dei salotti che s’immaginano progressisti e di una intellighentia cinica e crepuscolare, ma sempre terribilmente mediocre, che fa da megafono ai suoi referenti politici e ai poteri che li burattinano. Purtroppo tutto questo attivismo non si accompagna ad alcuna plausibile definizione di fascismo, anche perché chi ne parla da qualche cattedra mediatica, quasi sempre immeritata, ne sa poco o nulla: è fatica leggere la storiografia e le interpretazioni del fascismo da Hobsbawm a De Felice, da Gramsci a Lukacs, mentre nel mondo contemporaneo non esiste virtù più specchiata del velleitario semplicismo mimetizzato e mischiato con qualche capriola verbale: quasi di direbbe che è televisione di intrattenimento con altri mezzi. Da questo concettoide scomposto infatti non emerge un’idea chiara e distinta, anzi nemmeno confusa, bensì una casistica dalla quale si può dedurre che il fascismo sia: 1) tutto ciò che non sacrifica un gallo all’Europa e i suoi dettami economici e dunque anche lo sfruttamento del lavoro così come del terzo mondo, corollari ovviamente messi sotto il tappeto dell’ipocrisia; 2) ogni riferimento alla sovranità popolare e allo stato nella quale si concretizza; 3) qualsiasi atteggiamento critico verso l’immigrazione incondizionata ancorché provocata dalle guerre occidentali come se si trattasse di onorare una partita di giro; 4) tutto ciò che non fa parte delle chincaglierie dell’universo del salotto benestante a cui vergognosamente si è ridotta molta parte della sinistra.


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Pierluigi Fagan: Nebbia in Europa

rinascita

Nebbia in Europa

di Pierluigi Fagan

E così, anche dieci paesi del nord Europa si sono visti, parlati e si son travati d’accordo su qualcosa, lasciamo perdere cosa. Sono stati battezzati gli “anseatici” riprendendo una antica alleanza commerciale in voga nel nord Europa dal XII al XVI secolo.

Lo hanno fatto da tempo anche i quattro di Visegrad che però sono anche i quattro del segmento centro-nord dell’Europa dell’est, quattro più dieci fa quattordici.

Gli stessi di Visegrad poi, cercano affinità con un area più grande che ricorrendo alle tracce storiche geopolitiche (Intermarium polacco) è stato ribattezzato gruppo del Trimarium, sono altri otto, quattordici più otto fa ventidue (alcuni si sovrappongono con il gruppo del nord). In pratica, quelli del Trimarium, sono gruppi a differente composizione dei paesi dell’Europa dell’est.

Con Brexit, i britannici o più che altro gli inglesi (Remain vinse in tutta la Scozia, l’Irlanda del Nord e parte del Galles), ci hanno fatto sapere che loro sono inglesi ed inglese ed europeo sono insiemi che hanno qualche sovrapposizione ma non tanto da fare cose importanti assieme. Bastava leggere un libro di storia per saperlo in anticipo ma finché faremo commentare la storia a gli economisti non capiremo un tubo. Così l’UE scenderà da 28 paesi a 27.


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coniarerivolta: Centri per l’impiego: un topolino per abbattere la montagna della disoccupazione

coniarerivolta

Centri per l’impiego: un topolino per abbattere la montagna della disoccupazione

di coniarerivolta

Uno dei cavalli di battaglia della campagna elettorale del Movimento 5 Stelle è stato il cosiddetto “reddito di cittadinanza”, ma di questo provvedimento, ad oggi, si sa ancora poco. Per ora, la legge di bilancio per il 2019, che sarà presentata a breve alla Camera, contiene la creazione di un fondo pari a 9 miliardi di euro, con il quale si dovrebbero finanziare il reddito di cittadinanza e la pensione di cittadinanza. Tali misure, così come la famigerata “quota 100”, dovrebbero essere introdotte con appositi provvedimenti normativi nel 2019. Durante i tre presumibili passaggi parlamentari, al fondo in questione potrebbe succedere di tutto. Anche successivamente, ammesso che il fondo venga effettivamente creato, il governo potrebbe sempre avere un ripensamento e decidere di utilizzare quel denaro (tutto o parte di esso) per altri fini, magari più graditi alla Commissione europea.

Per ora, questo è certo, questa dilazione concede al governo maggior tempo per definire come il reddito di cittadinanza dovrebbe funzionare, perché questo, al momento, non è evidentemente chiaro a nessuno.

L’unico elemento certo del reddito di cittadinanza è la “condizionalità” attraverso cui si potrebbe accedere all’assegno.


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tonino

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Nov 12, 2018, 7:04:40 AM11/12/18
to sante gorini

Domenico Moro: Gli ex combattenti della Grande guerra e l’"orrido" sovranismo piccolo-borghese

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Gli ex combattenti della Grande guerra e l’"orrido" sovranismo piccolo-borghese

Analogie ed errori a cent’anni di distanza

di Domenico Moro 

11544 20140530 172312“Coloro che non ricordano il passato sono costretti a ripeterlo”
George Santayana

Gli errori di cento anni fa

Cento anni fa aveva termine la Prima guerra mondiale. L’Italia ne uscì vittoriosa. Tuttavia, per assecondare le mire imperialiste del grande capitale industriale, pagò un prezzo molto superiore persino a quello della Seconda guerra mondiale: oltre 650mila caduti, centinaia di migliaia di feriti e mutilati e più di mezzo milione di vittime civili. Inoltre, la guerra provocò una crescita repentina ma squilibrata dell’industria, e, grazie agli enormi profitti e alle sovvenzioni statali, una fortissima centralizzazione del potere economico.

I quattro milioni di ex combattenti, dopo quattro anni di morte e sofferenza nelle trincee, ritornarono alle loro case ma non trovarono lavoro. Nelle città era difficilissimo riconvertire a scopi civili la ridondante industria bellica. Nelle campagne i proprietari avevano sostituito la forza lavoro partita per la guerra con moderni macchinari e non volevano espandere la produzione a causa della riduzione della domanda interna.

La guerra aveva scavato un solco tra le élite e le masse e l’Italia era attraversata da contraddizioni profonde che svilupparono ampie lotte sociali e democratiche. Il Partito socialista vinse le elezioni del 1919 con il 32,28% dei voti, seguito dai Popolari al 20,3% e dai Liberali al 15,9%. Inoltre, tra 1919 e 1920 il Paese fu attraversato da un imponente movimento di occupazione delle fabbriche. Eppure, nel giro di pochi anni la reazione capitalistica portò all’affermazione di una forza nuova, il fascismo, che la sinistra non riuscì a contrastare.


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Michele Filippini: Il popolo non esiste

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Il popolo non esiste

di Michele Filippini

Una riflessione per sottrarre il pensiero di Laclau alle derive sovraniste e alla subalternità alla destra

populismo 990x361È ormai difficile negare che l’Italia si trovi in un “momento populista”, caratterizzato dall’emergere di forze politiche nuove, nuovi discorsi politici e nuova costruzione di senso comune. Si tratta di una fase che, in altri tempi e con altra sensibilità, Antonio Gramsci aveva chiamato «guerra di movimento», un «interregno», una fase di passaggio verso la successiva stabilizzazione egemonica di un ordine. La rapida ascesa di partiti e personalità nuove (M5S, Salvini), l’altrettanto rapida caduta di altre (Monti, Renzi), l’elevata mobilità elettorale (il M5S che in pochi anni balza al 32,7% o la Lega che passa dal 4% al 32% dei sondaggi odierni) e la politicizzazione estrema di alcuni temi (Europa, migranti, sicurezza) sono tutti segnali di una fase di intensa ridefinizione dello spazio politico, dei soggetti in campo e delle loro parole d’ordine.

In un contesto come questo sembra perdere di significato la contrapposizione che aveva sostenuto quasi tutte le battaglie contro il neoliberismo degli ultimi anni: quella tra un discorso radicale-democratico di attivazione e contestazione del potere, e uno istituzionale governamentale di contenimento attraverso la spoliticizzazione. Al contrario, oggi più che mai il discorso del potere è un discorso populista e radicale, mentre la sua contestazione sembra relegata al piano della critica morale e paternalista. La crisi del neoliberismo ha riattivato le “faglie politiche” sulle quali si costruiscono i soggetti collettivi, e la destra razzista e i qualunquisti nostrani hanno compreso meglio di chiunque altro le opportunità di quest’apertura.


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György Lukács: Lenin. Unità e coerenza del suo pensiero

gyorgylukacs

Lenin. Unità e coerenza del suo pensiero

Postilla all’edizione italiana 1967

di György Lukács

Originariamente apparso in italiano in Lenin. Unità e coerenza del suo pensiero, Einaudi , Torino 1970, ora in L’uomo e la rivoluzione, Edizioni Punto Rosso, Milano 2013

jpgQuesto volumetto fu scritto subito dopo la morte di Lenin, senza lavori preliminari, per il bisogno spontaneo di fissare teoricamente ciò che allora mi sembrava essenziale, il centro della sua personalità intellettuale. Perciò il sottotitolo Unità e coerenza del suo pensiero, indicante che intendevo soprattutto riprodurre non il sistema oggettivo, teorico, di Lenin, ma quelle forze motrici, di tipo oggettivo e soggettivo che avevano permesso questa sistemazione, la loro incarnazione nella persona e negli atti di Lenin, senza neppure tentare di spiegare per esteso e per intero questa unità dinamica nella sua vita, nella sua opera.

Se oggi c’è un certo interesse per scritti di questo genere, lo si deve soprattutto alle circostanze particolari di questi tempi. Da quando è cominciata la critica marxista del periodo staliniano, con essa è sorto anche un interesse per le tendenze d’opposizione degli anni venti. Ciò è comprensibile anche se, dal punto di vista teorico e concreto, spesso si commettono eccessi. Per quanto falsa fosse la soluzione data da Stalin e dai suoi seguaci alla crisi allora in corso della rivoluzione, non si può dire che a quel tempo qualcuno offrisse un’analisi, una prospettiva capace di servire anche da orientamento teorico per i problemi delle fasi successive. Chi oggi vuole collaborare utilmente alla rinascita del marxismo deve considerare gli anni venti su un piano puramente storico, come un periodo passato e concluso del movimento operaio rivoluzionario. Solo così potrà valutare giustamente le sue esperienze e i suoi insegnamenti in rapporto alla fase attuale, essenzialmente nuova. Proprio la figura di Lenin, come è regola nel caso di grandi uomini, ha talmente incarnato il suo tempo che i risultati, e soprattutto il metodo delle sue affermazioni e dei suoi atti, possono conservare una determinata attualità anche in circostanze ampiamente mutate.


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coniarerivolta: Il profitto all’assalto del trasporto pubblico locale

coniarerivolta

Il profitto all’assalto del trasporto pubblico locale

Perché votare NO al referendum su ATAC

di coniarerivolta

Domenica 11 novembre a Roma si svolgerà un referendum che ha l’obiettivo di promuovere la liberalizzazione del trasporto pubblico locale. L’ATAC, azienda del Comune di Roma che oggi gestisce il servizio pubblico, verte in condizioni disastrose, fornendo agli utenti servizi fatiscenti e imponendo ai lavoratori turni estenuanti e pessime condizioni di lavoro. Davanti al declino inesorabile del servizio di trasporto pubblico romano, i promotori del referendum – che stanno animando la campagna per il Sì – invocano la liberalizzazione, che significa mettere a gara la gestione del servizio ed affidarlo al miglior concorrente. Alle virtù della gara – al mito della concorrenza – viene così affidata la rinascita del trasporto pubblico: si presume che il vincitore sarà il più efficiente sul mercato, a tutto beneficio degli utenti e dei lavoratori.

Per comprendere a fondo la narrazione tossica che viene diffusa dagli estensori del referendum basta guardare un’infografica curata dal Comitato per il Sì che sta facendo il giro della rete: in caso di liberalizzazione il servizio rimarrebbe comunque pubblico con il controllo del servizio, la pianificazione delle tratte ed il prezzo del biglietto sempre stabiliti dal Comune, e le uniche differenze sarebbero il passaggio dal grigio monopolio alla variopinta concorrenza, da un lato, e la possibilità per il Comune di imporre al gestore delle sanzioni in caso di gravi disservizi dall’altro.


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ilsimplicissimus: Elezioni di medio terminator

ilsimplicissimus

Elezioni di medio terminator

di ilsimplicissimus

Oggi, tanto per annoiarvi un po,’ cercherò di parlare delle elezioni di mezzo termine in Usa che tutta l’informazione italiana dalla televisione al web ha trattato nel solito modo superficiale, anche al di là dell’ anti trumpismo di maniera, traendone solo banali considerazioni di schieramento e una valanga di valutazioni sul fatto che anche ciuffo Trump si troverà, come Obama. a governare con un Senato a maggioranza repubblicana e un Congresso a guida democratica, cosa che peraltro conta pochissimo, anzi nulla, in relazione agli interessi dell’impero. In realtà queste elezioni hanno messo in luce un sommovimento profondo della politica americana e uno spostamento dei punti di riferimento tradizionali che ancora non si percepisce chiaramente.

La cosa interessante non è che i democratici si siano ripresi il Congresso, ma quali democratici lo abbiano fatto perché emerge un dato abbastanza evidente: quando la sinistra corre come la destra perde e si tratta di doppia perdita. Quando la sinistra corre come la sinistra invece vince. Riguardo a questi ultimo caso si possono citare Franklin Bynum, Alexandra Ocasio – Cortez e Julia Salazar.


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Marco Grispigni: "Quelli che se ne vanno"

controlacrisi

"Quelli che se ne vanno"

di Marco Grispigni

Nel dibattito politico italiano quando si parla di flussi migratori il tema unico è quello della presunta invasione dei migranti provenienti dalle coste dell’Africa. Se ne parla sempre con toni di allarme che possono andare dal delirio razzista sul progetto di sostituzione etnica a quello ‘democratico’ della necessità di regolare i flussi perché non c’è posto per tutti e dobbiamo “aiutarli a casa loro”.

Ogni tanto qualche articolo di giornale, specie in occasione della presentazione di uno dei tanti studi sui flussi migratori che interessano il nostro paese, ricorda che in realtà il saldo tra arrivi e partenze è ormai da diversi anni negativo per l’Italia: sono di più le persone che lasciano l’Italia di quelle che arrivano e si stabiliscono nel nostro paese. Il tema resta però totalmente assente dal dibattito politico; nessun partito, né i difensori della “purezza etnica” del nostro paese, né i democratici sostenitori di un flusso controllato di migranti si interrogano sui numeri e sulle cause di un nuova ondata di emigrazione dal nostro paese che ormai per numeri rinvia agli anni Sessanta del secolo scorso.

A fianco delle ponderose ricerche di fondazioni e istituti vari, delle vere e proprie miniere di informazioni, un agile e meritorio libro (Enrico Pugliese, Quelli che se ne vanno. La nuova emigrazione italiana, il Mulino, 2018, 154 pp. 14 euro) pone con chiarezza e forza argomentativa sul tavolo cifre e caratteristiche di quello che chiama un vero e proprio “tsunami demografico”.


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Giorgio Lonardi: Scuola, laboratorio di secessione

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Scuola, laboratorio di secessione

di Giorgio Lonardi*

Che l’Italia sia da sempre spaccata in due non è certo un segreto per nessuno, che la questione meridionale venga tirata fuori ad anni alterni nemmeno. Oggi, tuttavia, la questione del divario Nord- Sud è molto più rilevante e strategica che in passato in quanto è il riflesso di ciò che sta accadendo nell’intera zona euro.

Il Continente è ormai polarizzato, anche se con contraddizioni interne molto forti e crescenti, tra un Nord produttivo che detiene le chiavi dell’egemonia politica e finanziaria europea e un Sud mediterraneo che obbedisce, in un’ottica puramente ancillare, alle esigenze e alle direttive impartite dalle politiche economiche decise da Berlino e Bruxelles. Non è il caso di approfondire qui l’argomento, basterà rimandare ai dati dell’ultimo rapporto SVIMEZ che confermano, se ancora ce ne fosse bisogno, la profonda cesura che separa il Nord dal Sud del nostro paese, mettendo in fila una serie di dati che evidenziano la situazione drammatica di un Meridione ormai omologabile alla Grecia devastata dalle politiche di austerità europee1.

Questo il contesto nel quale va compresa anche la politica scolastica inaugurata dal nuovo governo fasciostellato, auspice un leghista al Viminale e uno al ministero dell’istruzione. Si tratta della cosiddetta regionalizzazione dell’istruzione.


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Renato Caputo: Dogman vs Sulla mia pelle

la citta
futura

Dogman vs Sulla mia pelle

di Renato Caputo

Un tipico esempio di film complice del sistema ed espressione dell’ideologia dominante e un altrettanto tipico film di denuncia in grado di divenire un momento di mobilitazione collettiva contro il sistema

Abbiamo aspettato fino all’ultimo per affrontare la visione dell’ultimo film di Matteo Garrone: Dogman. Dopo i davvero pessimi Il racconto dei raccontie Gomorra e dopo aver visto il trailer del film e letto alcune recensioni avevamo delle aspettative bassissime, tanto che se il film non fosse stato malauguratamente candidato italiano al premio Oscar per il miglior film straniero ce lo saremo ben volentieri risparmiato. Purtroppo il film non ha fatto che confermare le nostre infauste previsioni. Si tratta di un film davvero pessimo di cui ha senso parlare solo in quanto è stato esaltato da tanta critica, anche sedicente di estrema sinistra, al punto da esser proposto come miglior film del nostro paese al più importante concorso internazionale. Tale sciagurata candidatura ha un senso solo in quanto rivela il livello davvero sorprendente di decadenza della critica cinematografica in primo luogo italiana ed è una testimonianza, a suo modo esemplare, del degrado del cinema “d’autore” italiano degli ultimi anni. Vi è, dunque, una perfetta corrispondenza fra la rovinosa crisi della struttura economico-sociale del nostro paese e la penosa decadenza delle sue sovrastrutture, da quelle politiche, si pensi al livello di degrado raggiunto dall’attuale governo e dalla sedicente opposizione parlamentare, al livello putrescente della cultura dominante, naturalmente espressione della classe dominante.


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Giorgio Agamben: Homo Sacer

doppiozero

Homo Sacer

Antonio Lucci intervista Giorgio Agamben

giorgio agamben wall portrait 0Il 25 ottobre 2018 è uscita in edizione unica per i tipi Quodlibet l’opera che ha tenuto Giorgio Agamben impegnato per vent’anni, vale a dire il progetto Homo sacer. Questo, apertosi con il volume omonimo, uscito nel 1995, si è concluso, infatti, con quello che porta la numerazione IV.2, L’uso dei corpi, uscito nel 2014. Nei volumi che fanno parte di quest’opera sono stati definiti e introdotti nel dibattito filosofico concetti che poi diverranno patrimonio comune (anche nel loro essere stati spesso oggetto di critiche) della filosofia contemporanea: quello di “sacertas”, di “nuda vita”, di “campo”, di “forma-di-vita”, la dicotomia “bios/zoe”, per nominarne solo alcuni. L’enorme successo in particolare del primo volume del progetto nel mondo anglosassone ha creato le premesse per la diffusione dei dibattiti avanzati da Agamben a livello planetario (Agamben è al momento, con ogni probabilità, il filosofo italiano più conosciuto all’estero), tra i cui effetti di ritorno vi è anche quella che poi sarebbe stata definita Italian Theory, ossia un movimento di autoriflessione e di interrogazione della filosofia italiana sulle proprie categorie fondative, che ha investito anche (e soprattutto) il mondo anglofono – interessato a comprendere come un pensatore come Agamben potesse essere posto in dialogo con altri autori, sempre italiani, che hanno animato i dibattiti teorico-critici dei decenni scorsi (tra tutti Toni Negri e Roberto Esposito).

L’intervista che segue, che si concentra principalmente sul progetto Homo sacer e sulla struttura del volume in uscita, è frutto di una riflessione di chi scrive riguardo alle questioni “architettoniche” dell’opera agambeniana. Oltre a dovere un sincero ringraziamento a Giorgio Agamben per l’occasione di dialogo, vorrei in questa sede ringraziare l’amico Carlo Salzani per i preziosi suggerimenti che mi hanno portato alla formulazione di alcune delle domande presentate.

* * * *

Antonio Lucci: Giorgio Agamben, escono in questi giorni, per Quodlibet, in un’edizione unica i nove volumi di Homo sacer, un lavoro che l’ha tenuta occupata, praticamente, per vent’anni. Lei stesso, nella prefazione all’ultimo dei volumi della serie, L’uso dei corpi, sosteneva che un’opera «può essere solo abbandonata», rifiutando, all’epoca, di mettere la parola “fine” al progetto. In questa edizione completa, Lei vede, a tre anni di distanza dalla pubblicazione dell’ultimo volume del progetto, un lavoro definitivamente chiuso, o qualcosa ancora passibile di integrazioni?


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Daniele Benzi: Le sinistre ai tempi del colera

sinistra

Le sinistre ai tempi del colera1

(promemoria per populisti smemorati)

di Daniele Benzi

f12ea0b9 29b6 4546 bfa3 6c35f38bf22d large…però bisogna farne altrettanta per diventare così coglioni, da non riuscire più a capire che non ci sono poteri buoni (Fabrizio De André, Storia di un impiegato)

Sono arrivato in America Latina dieci anni fa cercando di sottrarmi alla penosa situazione di disoccupazione e precariato che è toccata alla maggior parte della mia generazione. Ma anche per sfuggire alla sgradevole sensazione di frustrazione ed impotenza che, soprattutto dopo le legnate prese al G8 di Genova nel 2001, mi provocava l’insignificanza politica e l’enorme frammentazione delle sinistre radicali in Europa e in particolare nel mio paese. Molti europei, in effetti, precari e frustrati come me, non certo grandi scienziati o strateghi della rivoluzione come a volte si sono presentati in Venezuela, Bolivia o Ecuador, sono arrivati in America Latina richiamati, o più spesso incantati, dalle sirene della “svolta a sinistra”.

Per formazione e interessi di ricerca, nel bene e nel male ho sempre guardato alla “marea rosa” da un punto di vista regionale e globale, non come una somma di processi e casi nazionali. Ciò mi ha permesso di osservare quotidianamente, specialmente vivendo abbastanza a lungo in un paese periferico nell’economia mondiale come l’Ecuador, certi condizionamenti strutturali e le complessità geopolitiche in cui si sono trovati i governi “progressisti” che spesso sfuggono ai movimenti dal “basso”. Non per questo, tuttavia, la mia posizione e il mio giudizio sono stati più indulgenti o meno critici sui loro limiti, incoerenze e contraddizioni che li hanno condotti alla situazione penosa in cui ci troviamo oggi.

In questo senso, secondo me il dibattito sulla “fine del ciclo” progressista che l’anno scorso e quest’anno ha infiammato inutilmente, credo, molti intellettuali e militanti, intrecciandosi purtroppo con i fatti tragici in Venezuela, è un dibattito chiuso.


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Fulvio Grimaldi: Drago buono, san Giorgio no buono

mondocane

Drago buono, san Giorgio no buono

In margine ai travagli di Travaglio, Di Maio, Draghi…

di Fulvio Grimaldi

paolo uccello 001 san giorgio e il drago 1460Ampia fiducia, massimo rispetto… ma decchè?

Li conoscete, questi mantra, vero? Che uno si senta inquisito a torto o a ragione, non c’è verso che non dichiari urbi et orbi “Ampia fiducia nella magistratura”. Che è, un po’, una captatio benevolentiae di chi dovrà processarlo e, molto, tentativo di accreditarsi all’opinione pubblica illibato al 100%. Dai sodali del dichiarante ciò provocherà plauso commosso, dai suoi avversari ghignante spernacchiamento. Personalmente, per quanto avrei ben donde di dichiararmi fiducioso nella magistratura, visto che l’ho scampata indenne da ben 150 procedimenti per reati di stampa (diffamazioni, apologia di reato e simili) quando ero direttore di Lotta Continua, come da più recenti querele giudicate infondate o temerarie, mi morderei la lingua prima di pronunciare quella formuletta che riconosce ai magistrati un’assoluta purezza di intenti e atti. Per un Borelli e un Davigo abbiamo avuto un Carnevale (“l’ammazzasentenze”), per un Di Matteo, un De Magistris, un Robledo e un Woodcock, abbiamo avuto il famigerato “porto delle nebbie romano” e magistrati perseguitati fino al CSM. E che CSM! Dunque, c’è poco da giurare sulla perfezione di chicchessia, né del primo potere dello Stato, né del secondo e neppure del terzo. E pur sempre lo Stato capitalista della borghesia.

 

Carta vince, carta perde

E se Marco Travaglio viene condannato a 95mila euro per aver diffamato il padre dell’ex-premier, uno che entra ed esce da inchieste giudiziarie come fossero il bar sotto casa e a Virginia Raggi tocca vivere sotto un gragnuola di denunce e procedimenti, fino ad ora tutti a vuoto; e se i responsabili di grandi avvelenamenti collettivi, di stragi da amianto o da uranio, di bombardamenti su civili serbi, la fanno franca; e se nelle nostre carceri i colletti bianchi sono meno che in qualsiasi altro Stato europeo, a dispetto dei nostri primati in mafia, corruzione, evasione…


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Manlio Dinucci: La fake news del Muos «maxi radar»

manifesto

La fake news del Muos «maxi radar»

di Manlio Dinucci

«M5S diviso sul maxi radar siciliano», titola il Corriere della Sera, diffondendo una maxi fake news: non sul fatto che la dirigenza del Movimento 5 Stelle, dopo aver guadagnato in Sicilia consensi elettorali tra i No Muos, ora fa marcia indietro, ma sullo stesso oggetto del contendere.

Definendo la stazione Muos di Niscemi «maxi radar», si inganna l’opinione pubblica facendo credere che sia un apparato elettronico terrestre di avvistamento, quindi difensivo.

Al contrario, il Muos (Mobile User Objective System) è un nuovo sistema di comunicazioni satellitari che potenzia la capacità offensiva statunitense su scala planetaria. Il sistema, sviluppato dalla Lockheed Martin per la U.S. Navy, è costituito da una configurazione iniziale di quattro satelliti (più uno di riserva) in orbita geostazionaria, collegati a quattro stazioni terrestri: due negli Stati uniti (nelle Hawaii e in Virginia), una in Sicilia e una in Australia.

Le quattro stazioni sono collegate l’una all’altra da una rete terrestre e sottomarina di cavi in fibra ottica (quella di Niscemi è direttamente connessa alla stazione in Virginia).

Il Muos, già in funzione, diverrà pienamente operativo nell’estate 2019 raggiungendo una capacità 16 volte superiore a quella dei precedenti sistemi.


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Marco Cedolin: L'assurda storia di Aldo Bianzino morto in carcere senza un perché

ilcorrosivo

L'assurda storia di Aldo Bianzino morto in carcere senza un perché

di Marco Cedolin

In queste ultime settimane si è parlato molto della morte di Stefano Cucchi, pestato da un gruppo di carabinieri mentre si trovava in stato di detenzione, e la tragica fine del ragazzo romano è stata raccontata perfino in un film uscito nelle sale il 12 ottobre scorso. Così come molto a suo tempo si è parlato della morte di Federico Aldrovandi durante un fermo di polizia, omicidio per il quale nel giugno 2012 sono stati condannati in via definitiva i 4 poliziotti responsabili.

Ma purtroppo le morti apparentemente inspiegabili di cittadini, intervenute mentre albergano in carcere o si trovano in stato di fermo sono davvero tante e la maggior parte di esse non ha sicuramente avuto l'esposizione mediatica dei casi di Cucchi o di Aldrovandi....

Un caso su tutti è quello di Aldo Bianzino che colpisce profondamente sia per la tragicità della sua fine, viene lasciato morire fra atroci dolori alla sua seconda notte di detenzione, sia per l'atmosfera kafkiana che permea l'intera vicenda all'interno della quale ogni cosa sembra non avere un perché.

Aldo Bianzino è un falegname (ebanista) che dopo essersi separato dalla moglie decide di cambiare radicalmente il proprio stile di vita e si trasferisce a Pietralunga, un piccolo borgo nel verde delle colline umbre ad un'ora di auto da Perugia, dove acquista un casolare nel quale inizia a vivere con la nuova compagna Roberta Radici, l'anziana madre di lei ed il figlioletto Rudra.


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Bazaar: Il "primate" della politica

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Il "primate" della politica

Economia, politica, diritto, Stato e mercato...

di Bazaar

Siamo lieti di informare i nostri sempre più numerosi lettori che l'amico Bazaar ha accettato di collaborare stabilmente con SOLLEVAZIONE

Schmitt bisticciava con Kelsen, che bisticciava con Hayek, che bisticciava con tutti; il tema principale era il rapporto tra diritto, politica ed economia. Ora: occuparsi di epistemologia delle scienze sociali è una delle attività intellettuali più importanti e delicate che si possano intraprendere.

Nell’epistemologia delle scienze sociali si studiano le fondamenta stesse dell’organizzazione sociale, ovvero — dal pensiero che lega insieme economia, diritto e politica — nasce quella che può essere o meno — non una semplice società — ma un nuovo ordine sociale.

Quindi la materia va presa con la dovuta serietà: ogni parola ha un suo peso, un determinato significato in funzione del contesto dialettico e della cornice dottrinaria.

Il più famoso epistemologo delle scienze sociali è stato indubbiamente Karl Marx, con la sua critica all’economia politica, Il Capitale.

Lo spunto di riflessione sarà basato su un’impostazione marxiana; vediamo Kelsen: egli viene ricordato per l’atteggiamento neokantiano per cui un’Idea si trasformerebbe in una Grundnorm, e questa «norma fondamentale» si tradurrebbe in una Costituzione che farebbe da base alla piramide dell’ordinamento giuridico.


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Michele Franco: Piove governo ladro, sicuramente

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Piove governo ladro, sicuramente

Ma il tema vero è l’alternativa di società!

di Michele Franco*

La realtà sociale della natura, la scienza umana della natura, la scienza naturale dell’uomo sono espressioni equivalenti!

Karl Marx, Manoscritti economici e filosofoci, 1844

Piove, governo ladro è sempre stato un efficace adagio popolare che ha saputo rappresentare i dolori ed i lutti, particolarmente dei ceti sociali subalterni, a fronte delle avversità della natura, dei guasti e dei danni provocati da cataclismi e tragedie ascrivibili, a vario titolo, ai meccanismi di funzionamento dell’eco/sistema climatico e naturale.

Prima la saggezza contadina e, successivamente, l’insieme dei ceti popolari hanno sempre riconosciuto in questa puntuale affermazione la maledizione adatta da scagliare contro i re, i potenti e i governi in ogni latitudine del pianeta.

La recente ondata di maltempo abbattutasi sull’Italia e le rovinose conseguenze che sta provocando sia sul versante della perdite di vite umane e sia su quello dell’ulteriore manomissione dell’assetto idrogeologico ed ambientale dei territori non sfugge a questa sacrosanta invettiva e conferma – tragicamente – come le scellerate politiche degli ultimi decenni hanno contribuito a rendere la vita umana e l’equilibrio ambientale più esposto e precario a fronte delle dinamiche della natura.


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Sandro Dell'Orco: La ragion d'essere dell'Unione Europea

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La ragion d'essere dell'Unione Europea

Due brevi considerazioni

di Sandro Dell'Orco

1 ― Secondo ogni apparenza e secondo l'ideologia borghese la legge fondamentale della società è lo scambio di equivalenti. Nulla deve essere più sottratto agli altri con l’inganno o la violenza, all’ombra di privilegi e dispotismi ormai morti e sepolti, ma tutto deve essere ottenuto onestamente attraverso un giusto e libero scambio di beni. Il capitalismo è il regno della giustizia e della libertà. Ne deriva che tutti coloro che tentano di fermare o intralciare il suo trionfo nel mondo sono degli ingiusti: cioè ladri, falsari e truffatori.

Lo Stato appartiene a questa categoria di soggetti. Infatti con la sua sovranità commette cinque peccati capitali contro il giusto scambio: le tasse, il debito, la creazione ex nihilo di denaro, la svalutazione e i dazi. Il primo si caratterizza come rapina: lo Stato, incurante di ogni scambio di equivalenti, sposta con le tasse, coattivamente e arbitrariamente, la ricchezza fra le classi sociali del proprio paese. Il secondo è identico al primo, visto che il debito consiste in tasse differite. Il terzo è un reato di falsificazione di moneta: come il falsario, infatti, lo Stato stampa e diffonde carta moneta priva di valore e con ciò realizza in modo diverso lo spostamento di ricchezza fra le classi di cui sopra. Cioè ottiene con l’inganno ciò che con le tasse e il debito otteneva con la violenza. Infine, con la svalutazione e i dazi lo Stato commette il reato di truffa: abbassa artificiosamente il valore dei beni nazionali per accrescere le proprie esportazioni; oppure alza artificiosamente il valore dei beni stranieri per far decrescere le proprie importazioni.


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tonino

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Nov 14, 2018, 1:51:15 AM11/14/18
to sante gorini

Sergio Cesaratto e Antonino Iero: È il tasso di interesse, bellezza!

econopoly

È il tasso di interesse, bellezza!

di Sergio Cesaratto e Antonino Iero

Pubblichiamo un post di Sergio Cesaratto, professore ordinario di Politica monetaria e fiscale nell’Unione Monetaria Europea, Università di Siena, e Antonino Iero, staff Direzione Regolamentazione e Studi Economici gruppo Unipol* 

http 2F2Fd1e00ek4ebabms.cloudfrontNel pieno della polemica di queste settimane, il commissario europeo Pierre Moscovici ha affermato: “Una manovra che aumenta il debito pubblico che è già 132%, il cui rimborso annuale ammonta a 65 miliardi l’equivalente del bilancio per l’istruzione, e che pesa 1.000 euro a italiano, non è bene per il popolo. È il popolo che paga ed è il popolo che rimborsa. Sono i più vulnerabili” (La Repubblica, 26 ottobre 2018). La ricetta di Moscovici, presentata come puro buon senso dalla maggior parte degli opinionisti, consisterebbe nell’abbattere il debito pubblico per abbattere la mole di interessi. O viceversa? Due cose oltre a tasse e funerale sono certe: le manovre di abbattimento del rapporto fra debito pubblico e PIL sono una fatica di Sisifo, in quanto spesso deprimono il denominatore più che il numeratore. La spesa per interessi non è una “variabile indipendente”, un fattore ineluttabile: i tassi di interesse li fanno le banche centrali e non i mercati, a meno che questi vengano lasciati operare liberamente.

Un altro commentatore, Carlo Bastasin (2018), nel passato spesso molto lucido, ha scritto che alla tesi che l’austerità sia stata responsabile dell’”aumento di circa 33 punti percentuali del debito pubblico tra il 2008 e il 2016, non corrisponde a un’analisi appena approfondita. Sono sufficienti pochi calcoli per verificare che l’aumento del debito è in larghissima parte attribuibile all’incremento della spesa per interessi sul debito stesso. Altri fattori più tecnici (tra cui quasi 4 punti di Pil in aiuti italiani ai Paesi europei in difficoltà) possono aver contribuito, ma è stata la tensione sui tassi d’interesse, causata soprattutto dall’incertezza sulla permanenza dell’Italia nell’euro, a far esplodere il debito”.

Più che con elevatezza del debito, Bastasin sembra prendersela con il timore di una Italexit. Ma il timore dell’Italexit dipende proprio dall’aumento dei tassi, gli spread ormai ben noti anche alla casalinga di Voghera: una volta superata una qualche soglia fatidica – i “pundit” dell’economia nel 2012 parlavano di un rendimento sui decennali al 7%– per un Paese non ha più senso ricorrere ai mercati, ma la solvibilità e la possibilità materiale di pagare stipendi e pensioni potranno essere garantite solo riappropriandosi della stampa della propria moneta.


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Sandro Moiso: Le false promesse del “capitalismo di Stato”

carmilla

Le false promesse del “capitalismo di Stato”

di Sandro Moiso

Mark Harrison, Ulrich Herbert, Larry Liu, Otto Nathan, Peter Robinett, La politica economica del nazionalsocialismo, Countdown Studi sulla crisi/2, Asterios, Trieste 2018, pp. 270, euro 30,00

comedonchisciotte controinformazione alternativa
            auschwitz cancelli 300x225Ciclicamente tornano in scena i dibattiti, sia da sinistra in chiave keynesiana che da destra con richiamo orgoglioso ai fasti statalisti del Ventennio, sull’utilità dell’intervento dello Stato nell’economia, esattamente come è avvenuto nei giorni successivi al crollo del ponte Morandi a Genova. Tale dibattito rimuove sempre la funzione ultima dello Stato, relegandolo al ruolo di agente neutrale della regolazione del sistema economico, ma dimenticando che, in realtà, fin dalla sua prima apparizione ha avuto come scopo ultimo quello di garantire che la ricchezza socialmente prodotta forse drenata quasi esclusivamente verso un solo polo della società: quello dei detentori dei mezzi di produzione, siano questi ultimi sotto forma di capitale costante oppure di capitali finanziari. Siano questi rappresentati da individui, aziende, società per azioni o partiti.

Lo dimenticano anche coloro che si esaltano per i “socialismi nazionali”, dimenticando così che dall’URSS di staliniana memoria a tutti gli altri esperimenti condotti in seguito, dalla Cina al Sud America, tale nazionalizzazione degli apparati produttivi ha svolto la funzione di un’accumulazione capitalistica primigenia giunta in ritardo, ma poi svoltasi spesso, anche se non sempre, in maniera accelerata rispetto a quella originale dell’Occidente. Appare così utile, ai fini di una riflessione più ampia e meno superficiale, la pubblicazione del testo della casa editrice Asterios di Trieste, nella collana Countdown -Studi sulla crisi /2, dedicato alla disanima della politica economica nazionalsocialista.

Countdown, il cui sottotitolo recitava e continua a recitare Studi sulla crisi, è stata fin dalla sua prima comparsa nel 2016, all’epoca per le edizioni Colibrì, una rivista attenta ai motivi della crisi economica che travaglia l’economia mondiale da diversi anni a questa parte, che ha indagato con articoli quasi sempre legati ad una lettura non ‘ufficiale’ e non superficiale della stessa.


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Marco Veronese Passarella: Brexit, prendere tempo per non perdere spazio?

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Brexit, prendere tempo per non perdere spazio?

Giuseppe Molinari intervista Marco Veronese Passarella

 104177355 brexit nodeal illustrationDagli scorsi mesi stiamo prestando particolare attenzione ai processi che stanno determinando un sostanziale cambiamento del quadro politico, economico e sociale internazionale. Sono sempre più evidenti quelle espressioni di rifiuto dello status quo all’interno della composizione sociale che, connesse ad una crisi che sembra infinita e a conflitti intercapitalistici più o meno diretti, ridefiniscono l’ordine mondiale: la globalizzazione è messa in discussione, così come il predominio secolare degli Stati Uniti, mentre l’Unione Europea vive al suo interno sempre maggiori contraddizioni, a partire da quanto sta succedendo in Gran Bretagna.

* * * *

Ne parliamo con Marco Veronese Passarella, a cui chiediamo, alla luce delle trattative tra governo britannico e Commissione europea, com’è orientato, ad oggi, il dibattito interno in Gran Bretagna? L’attesa prolungata e la mancata determinazione di una soluzione definitiva ha portato ad un rafforzamento delle posizioni moderate – nelle scorse settimane, per esempio, ci sono state alcune manifestazioni di piazza a favore dell'indizione di un nuovo referendum - o il sentimento pro-Brexit continua ad essere preponderante?

Nelle scorse settimane sono scesi in piazza i cosiddetti “ceti medi riflessivi”, ovvero coloro che vivono la Brexit con un certo senso di colpa e che sono ancora ottimisti sul possibile risultato di un secondo referendum. Va ricordato, innanzitutto, che il referendum del giugno 2016 fu una scelta fatta dai Tories per cercare di arginare e annullare l’Ukip e riportare quella massa di elettori nel recinto conservatore; da questo punto di vista l’operazione è riuscita, anche se, come abbiamo visto, ha determinato un esito diverso, incontrollabile per gli stessi conservatori.


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Said Bouamama: “Senza la lotta anti-imperialista, la lotta per l’accoglienza dei rifugiati è incompleta”

investigat

“Senza la lotta anti-imperialista, la lotta per l’accoglienza dei rifugiati è incompleta”

di Said Bouamama

640px 20151030 Syrians and Iraq refugeesGli europei devono stringere la cinghia e sentono parlare la crisi dei rifugiati ogni giorno. Di conseguenza, il Vecchio Continente si sta lacerando. Da un lato, abbiamo coloro che vogliono una politica di migrazione più decisa. Dall’altro, quelli che denunciano una mancanza di umanità. Tutto sul fondo dell’ascesa dell’estrema destra. Per Said Bouamama, autore del “Manuel stratégique de l’Afrique” (Manuale Strategico dell’Africa, ulitmo libro delle edizioni Investig’Action) stiamo vivendo un punto di svolta storico. Un processo di fascistizzazione è in corso e non dovrebbe essere preso alla leggera. Ma il sociologo spiega anche come fermarlo.

* * * *

Grégoire Lalieu : In tutta Europa e negli Stati Uniti stiamo assistendo a un’espansione dei movimenti di estrema destra. Quali sono le cause di questa emergenza?

Saïd Bouamama : Le cause sono molteplici. Primo, siamo in una nuova fase storica che può essere descritta come la più grande regressione sociale dal 1945. Non è una semplice piccola crisi che avrebbe portato alcune misure di austerità. Siamo davvero di fronte a un’offensiva ultra liberale partita dagli Stati Uniti che ha raggiunto l’Europa da trent’anni.

 

I famosi anni Reagan-Thatcher …

Assolutamente. Ma insisto, viviamo una nuova fase storica, perché il progetto non è più lo stesso. Non si tratta più di tagliare un certo numero di conquiste sociali con l’austerità. Ciò che è al lavoro oggi è la messa in discussione dell’equilibrio derivante dai rapporti di forza dopo la seconda guerra mondiale.


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Roberto Romano: Bruxelles e Roma: la sconfitta dalla ragione

sbilanciamoci

Bruxelles e Roma: la sconfitta della ragione

di Roberto Romano

La Commissione europea sbatte la porta in faccia all’Italia in nome del rischio di una espansione fiscale restrittiva che, in una congiuntura economica per niente rosea, è un assurdo logico. Il governo Conte non ha una politica economica, quelli precedenti non sono meno colpevoli con i loro deficit postdatati

Nel mentre lo scenario economico internazionale manifesta un rallentamento economico che condizionerà l’attività produttiva, il lavoro, il reddito e conti pubblici, al netto della bolla finanziaria incipiente che potrebbe far saltare ogni previsione economica, l’Europa dei tecnocrati vuole imporre misure di contenimento della spesa pubblica per contenere e ridurre il debito pubblico. Il modello sotteso è quello del Fiscal compact e la sua declinazione econometrica che spaccia una disoccupazione al 10% come coerente per sostenere la crescita in assenza di inflazione.

Paradossi dell’output gap europeo che durante la crisi più nera ha sostenuto la cosiddetta “austerità espansiva”, mentre ora declina, per interposta persona – Olivier Blanchard e Jeromin Zettelmeyer – il rischio di una espansione fiscale restrittiva.

L’attuale gruppo – tecnocrate – europeo riabilita persino Friedrich August von Hayek; era molto critico rispetto alle politiche pubbliche, ma non avrebbe mai sostenuto l’output gap europeo e la sottesa politica di contrazione del PIL. Sostenere che il vincolo europeo è l’inflazione – secondo questa tesi la crescita del deficit fa aumentare l’inflazione – è un assurdo economico che qualsiasi studente al primo anno saprebbe smontare.


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Ugo Boghetta: Legge Salvini: leggi insicurezza

rinascita

Legge Salvini: leggi insicurezza

di Ugo Boghetta

Il decreto Salvini è diventato legge. Il padano esulta: la bandiera della sicurezza è stata issata. Ma le cose non stanno davvero così!

Cerchiamo di affrontare il testo con lo stesso spirito con cui abbiamo affrontato la questione immigrati nel seminario dedicato a questo argomento delicato: “Né buoni né cattivi, ragioniamo…”.

La legge contiene vari aspetti e non tutti dello stesso segno. Poichè molti non lo hanno letto vale la pena riepilogare i contenuti:

1) abrogazione del permesso per motivi umanitari e trasformazione in permesso di soggiorno temporaneo per esigenze di carattere umanitario: atti di particolare valore civile, grave sfruttamento lavorativo, violenza domestica, eccezionali calamità naturali etc.;

2) revoca della protezione internazionale per chi commette atti di violenza sessuale, produzione e traffico di droga, rapina, estorsione, violenza a pubblico ufficiale, mutilazioni di organi sessuali femminili, furto aggravato;

3) la domanda di richiesta asilo viene sospesa per pericolosità sociale o se il richiedente abbia avuto una condanna in primo grado;


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Gianni Giovannelli: Debiti e crediti

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Debiti e crediti

di Gianni Giovannelli

I componenti del governo combinano continuamente guai, è vero. Ma dobbiamo ammettere che questo avviene perché nella situazione in cui si trovano, con tutta la buona volontà, non sono in grado di agire sensatamente. Si muovono alla spicciolata, senza far mancare dichiarazioni avventate ai giornalisti inviati dai loro avversari.

La Lega e il Movimento 5 Stelle hanno ottenuto, nelle urne del 4 marzo scorso, molti consensi, ma questo, in fondo rientrava nelle previsioni. Sorprendente invece è stata la conseguenza nella distribuzione dei voti, nell’assegnazione dei seggi di Camera e Senato. La composita rete di rappresentanti del vecchio potere contava sulla frammentazione per imporre una grande coalizione in salsa italiana, e tutti si sono curati assai poco del disprezzo crescente che si erano guadagnati sul campo. Con arroganza hanno rifiutato di riconoscere il clamoroso errore di calcolo, l’eccesso di sicurezza. E si sono trovati di fronte ad una strana alleanza, che per carenza di fantasia non ritenevano possibile, e che invece si è rumorosamente insediata al governo, annunciando il cambiamento.

Mario Draghi non ha mai tenuto in gran conto le pretese di autonomia della politica dal sistema monetario.


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Pierluigi Fagan: Il logos del Mondo Nuovo

lantidiplomatico

Il logos del Mondo Nuovo

Post inadatto a chi è debole in geografia ed in pragmatica

di Pierluigi Fagan

Perché ieri il ministro dei trasporti israeliano Israel Katz in Oman rilanciava l’idea della “ferrovia della pace”?

“Logos” è uno di quei termini antico-Greci su cui puoi scrivere una enciclopedia di significati. Noi scegliamo “logica”, quando applichi la logica alla interconnessione fisica di merci e persone, vien fuori la “logistica”. Mentre analisti in preda al delirio dello s-materialismo a-storico avevano profetato un mondo “post-geografico”, il mondo che è e sarà sembra voler rimanere pienamente geografico e la sua logica, traspare da ciò che sta accadendo nei progetti di logistica.

Qui abbiamo il ministro dei trasporti israeliano Israel Katz che ieri in Oman, rilancia l’idea della “ferrovia della pace”, una ferrovia che andrebbe parallela a Mar Rosso-Suez, ma anche al piano indo-iranian-russo di cui abbiamo parlato qualche post fa. Sostanzialmente si tratta di collegare l’Oceano indiano al Mediterraneo, attraccando in Oman e venendosene su per gli Emirati prima e l’Arabia Saudita poi, giungendo al nuovo presunto nodo regionale di interconnessioni dell’area in Giordania, sfociando infine in Israele-Mediterraneo. Diramazioni ovvie con i porti del Bahrein e del Kuwait, ancora dietro la lavagna il Qatar, da vedere fra qualche anno che fare con Iraq e Siria. La faccenda certo non farà piacere a Doha, Teheran ma anche al Cairo.


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Elisabetta Teghil: Nodi irrisolti

Coordinamenta2

Nodi irrisolti

di Elisabetta Teghil

2007-2017/ dieci anni di femminismo ovvero come il femminismo si è consegnato nelle mani del nemico

nodi
irrisolti 1Il femminismo è di gran moda. Se ne fa un gran parlare, non c’è canale televisivo, quotidiano, rivista, sede istituzionale o paraistituzionale che non parli di femminicidio, che non nomini la violenza sulle donne, da quella sessuale agli abusi sul lavoro, dalla necessità delle quote di rappresentanza femminili, di qua o di là, alla disparità di trattamento economico e via discorrendo. Si vendono le cuffie con le orecchie rosa, le borse con il simbolo di genere perfino nei mercatini rionali. Detto così sembrerebbe un gran bene. Invece il “femminismo” che va per la maggiore, svuotato di ogni valenza antagonista e liberatoria, diventato merce e strumento delle logiche di dominio, sta portando ai resti il femminismo tutto.

E’ stato un lungo percorso che si è dipanato dalla fine degli anni’70 fino ad oggi e nella deriva a cui siamo giunte ha una parte importantissima la scelta politica di non affrontare e risolvere alcuni nodi fondanti: la sorellanza, l’emancipazione, la trasversalità, l’interclassismo, il conflitto.

Tra la fine degli anni ’60 e gli anni ’70 le donne hanno scoperto di essere tutte sorelle nella consapevolezza della comune oppressione. Non più un problema femminile, dunque, di cui tutti quelli che avevano a cuore una società migliore avrebbero dovuto e voluto occuparsi, non più una carenza di attenzione e di diritti a cui la società avrebbe dovuto porre rimedio, bensì una questione strettamente legata ad un modello socio-economico, il patriarcato, assunto e affinato dalla società del capitale, che prevedeva ruoli sessuati precisi, gerarchicamente impostati, in cui il maschile veniva costruito come dominante e il femminile dominato per una resa ottimale degli individui messi al lavoro in una divisione precisa dei compiti e con uno sfruttamento differenziato e gerarchico.


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Il Pedante: Il cadavere nel pozzo

ilpedante

Il cadavere nel pozzo

di Il Pedante

16004Restando sul tema che ha motivato la sospensione di questo blog, ho seguito con interesse le risposte date dall'onorevole Stefano Patuanelli, capogruppo M5S al Senato, al pubblico di una trasmissione locale andata in onda il 26 ottobre scorso a proposito del disegno di legge n. 770, che porta la sua firma. Il DDL, che si candida a sostituire la legge Lorenzin in tema di vaccinazioni obbligatorie e il cui testo è oggetto di audizioni in Senato in questi giorni, è già stato qui criticato in quanto, collocandosi in perfetta continuità con la norma varata dal governo precedente, ne moltiplica i difetti e ne amplia la forza sanzionatoria, la portata, i destinatari.

Ai lettori - fortunatamente pochi - che ancora si interrogano su quanto sia giustificata l'attenzione ormai quasi esclusiva che dedico al nuovo obbligo vaccinale, dovrebbe bastare il fatto che in tutta la storia d'Italia - inclusa, quindi, quella caratterizzata da ondate epidemiche oggi sconosciute - non si era mai assistito a un'imposizione farmaceutica di massa di queste proporzioni e alla collegata limitazione dei più elementari diritti sociali. Come è logico aspettarsi, la riduzione dei casi di malattie infettive si era invece accompagnata, fino all'anno scorso, a un progressivo allentamento dei già blandi obblighi di vaccinazione senza peraltro incidere negativamente sulle coperture. O dovrebbe ancora prima bastare l'altrettanto inaudita pressione ricattatoria esercitata sui professionisti della sanità che - lo ripetiamo: per la prima volta nella storia nazionale - devono oggi temere provvedimenti disciplinari qualora, in scienza e coscienza, fornissero ai propri assistiti il «consiglio di non vaccinarsi». Ho descritto gli intuibili effetti che questa militarizzazione del personale sanitario sta producendo sull'indipendenza dei medici e quindi sulla fiducia dei pazienti - e quindi sulla loro salute - nel libro Immunità di legge.


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Sandro Moiso: Rapporto su una guerra già da lungo tempo in atto

carmilla

Rapporto su una guerra già da lungo tempo in atto

di Sandro Moiso

notap
599x557Tra il 5 e il 7 ottobre si è svolto nel Salento un workshop internazionale dal titolo “Policing extractivism: security, accumulation, pacification”, già precedentemente annunciato su Carmilla (qui). Nata dalla collaborazione tra il Movimento No Tap, il Transnational Institute, l’Associazione Bianca Guidetti Serra – Puglia e l’Università del Salento-Cedeuam, l’iniziativa, chiusasi con un’assemblea popolare a Melendugno nel pomeriggio di domenica 7 ottobre, ha visto la partecipazione di accademici, rappresentanti di vari movimenti in difesa dei territori sconvolti dallo sfruttamento intensivo delle risorse minerarie o agricole oppure da grandi opere inutili e dannose e di organizzazioni internazionali che si battono in difesa della Terra e dei diritti dei popoli che la abitano, che hanno dato vita e corpo ad un programma e a un dibattito intenso e mai scontato.

L’attività del workshop, che è stata preceduta il 4 ottobre da una visita al cantiere di San Basilio da parte di una folta delegazione internazionale, ha visto rappresentato al proprio interno gran parte del mondo occidentale, considerato che sia gli accademici che i militanti dei movimenti e delle differenti organizzazioni (tutte rigorosamente apartitiche) provenivano dall’Italia, dalla Francia, dal Regno Unito, dall’Olanda, dal Canada, dagli Stati Uniti, dal Perù e dall’Argentina e, pur con le dovute differenze e specificità locali e nazionali, ha potuto dare vita ad un confronto sui temi dell’estrattivismo inteso come sfruttamento sia agricolo che speculativo dei suoli sia, ancora, come estrazione vera e propria di ricchezza dall’uso dei sottosuoli tramite l’estrazione di materie prime (gas e petrolio in primis), mettendo costantemente in luce come tale accaparramento privato delle ricchezze così prodotte non solo vada a colpire economicamente le comunità interessate, ma anche, e forse in maniera ancora più dannosa, l’ambiente e il futuro delle stesse, locali o nazionali che esse siano.


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Enrico Galavotti: La statizzazione del capitale nell'Anti-Dühring

socialismo.info

La statizzazione del capitale nell'Anti-Dühring

di Enrico Galavotti

index9076Engels faceva bene a dire nell'Anti-Dühring che “né la trasformazione in società anonime, né la trasformazione in proprietà statale sopprime il carattere di capitale delle forze produttive”. Che cos'è infatti una “società anonima”? È la possibilità di acquistare, da parte di chiunque disponga di capitali, di quote azionarie di una qualsivoglia azienda quotata in borsa.1

Chi compra è già un “capitalista” (anche se non ha un'azienda con operai da sfruttare); lo è perché beneficia indirettamente di un modo di produzione che lo precede nel tempo, e siccome ha fatto sua l'ideologia che lo giustifica, si aspetta che il suo investimento produca interessi significativi. Può anche non far nulla per far maturare questi interessi. Può, se ha un'impresa, affidarne la gestione a manager specializzati. Ma pretende continue rendicontazioni, in quanto, al primo accenno di crisi, vuol poter decidere liberamente sul destino delle proprie azioni. La proprietà quindi può essere suddivisa tra i capitalisti azionari (i cui nomi, peraltro, non sono resi pubblici), di cui hanno voce in capitolo solo i più importanti, quelli che hanno fatto gli investimenti più significativi (il peso delle decisioni è in stretto rapporto alle quote possedute, anche se nelle assemblee generali periodiche s'invitano tutti gli azionisti). La gestione della società è tutta capitalistica.

Lo stesso avviene a livello statale. Quando lo Stato partecipa direttamente allo sfruttamento dei lavoratori, lo fa in nome del capitalismo nazionale, offrendo p.es. capitali per le ristrutturazioni, gestendo imprese troppo grandi per i singoli imprenditori, salvando (o nazionalizzando) situazioni disperate...


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Alessandro Barile: Frammenti di un discorso anticapitalistico

carmilla

Frammenti di un discorso anticapitalistico

di Alessandro Barile

Jean-Claude Michéa, Il nostro comune nemico, Neri Pozza, 2018, pp. 248, € 18,00.

Cosa farne di Jean-Claude Michéa? L’intrico di contraddizioni attraverso cui prende forma la sua critica del capitalismo rischia di confondere anche il lettore più accorto. Poco letto e ancor meno compreso in Italia, dove è oggetto di un’incompresa venerazione da parte del cascame rossobruno di rito fusariano, l’autore si sottrae effettivamente a un catalogo poco ragionato delle etichette politiche. Il suo ultimo testo pubblicato in Italia, Il nostro comune nemico, contribuisce a questa faticosa ermeneutica. Il problema è che in Michéa convivono effettivamente più derivazioni politiche e filosofiche, poste in termini raffinati e anti-ideologici, che lo rendono suo malgrado, ma anche per sua precisa responsabilità, adatto a tutte le latitudini della politica “anti-sistema”. E’ d’altronde il suo vero obiettivo filosofico, quello di rompere definitivamente con qualsiasi attribuzione “di sinistra” al fine di recuperare un socialismo originario che, a suo dire, nulla avrebbe in comune con il concetto di sinistra.

Questo approccio, che contiene un guscio di verità conficcato dentro una serie di grossolane forzature storiografiche, lo rende effettivamente affascinante per quella destra mimetizzata dietro prose para-socialiste. Eppure confinare Michéa alla destra rossobruna sarebbe un errore, possibile solo grazie al deperimento che vive il dibattito politico di sinistra in Italia.


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Lele Rizzo: Lettera aperta notav

notav

Lettera aperta notav

Sulla manifestazione di sabato

di Lele Rizzo

Questa lettera è indirizzata a chi abita a Torino, a chi in questi giorni è bombardato da notizie relative al Tav Torino Lione e ha voglia di provare a capire il perché di  tuttaquesta enfasi di alcuni notabili della città per la manifestazione di sabato

Avrete letto i giornali o visto i Tg, e avrete visto che il consiglio comunale di Torino ha approvato un ordine del giorno che qualifica il comune di Torino come comune notav. Un atto politico che segna un primo vero passo di discontinuità rispetto ai tanti sindaci passati da Torino in questi anni.

Da quel giorno è ripresa la campagna elettorale e i politici di professione della nostra città, hanno deciso di buttarsi a pesce per provare a guadagnare un po’ di nuovo consenso rispetto ai tanti danni fatti in tutti questi anni.

Hanno individuato il Tav come panacea di tutti i mali della città, con il solito modo: prendendo in giro i cittadini! E sapete perché? Perché la linea Torino Lione non risolverà neanche uno dei problemi della nostra città.

Volete davvero credere che un tunnel a più di 50 km da Torino, destinato perlopiù a trasportare merci (che non ci sono!), risveglierebbe l’economia della nostra città?


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Benoït Bohy-Bunel: L'evoluzione delle categorie psichiatriche nell'epoca dell'imbarbarimento della società capitalista

blackblog

L'evoluzione delle categorie psichiatriche nell'epoca dell'imbarbarimento della società capitalista

di Benoït Bohy-Bunel

Nel suo libro del 2016, "Psychiatric Hegemony: A Marxist Theory of Mental Illness" ["Egemonia Psichiatrica: Una Teoria Marxista della Malattia Mentale"], Bruce Cohen svolge un'analisi materialistica storica, ed anticapitalista, del DSM [Manuale Diagnostico Statistico dei Disturbi Mentali] I, arrivando fino al DSM V. I fatti che, così facendo, espone, dovranno essere in grado di definire con maggiore precisione quella che è l'evoluzione della dissociazione razionalista- validista [N.d.T.: "Capacitismo ( o validismo ) è un termine usato per descrivere la discriminazione, l'oppressione e l'abuso derivato dalla nozione che le persone con disabilità sono inferiori alle persone senza disabilità"] del valore, così come è avvenuta dal 1952 fino al decennio del 2010. Bruce Cohen mostra come la psichiatria che si trova inscritta nel DSM definisca sempre più quali sono le norme socialmente accettabili nella sfera del lavoro, a scuola, nella sfera privata, e nella vita personale, e lo fa nello stesso momento in cui maschera ancora meglio la sua dimensione politica di controllo, definendo ideologicamente quella che sarebbe una certa «oggettività scientifica» dei disturbi.


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Francesco Erspamer: Strage di un sociopatico fallito in Usa

lantidiplomatico

Strage di un sociopatico fallito in Usa

"Non è terrorismo!" La prima preoccupazione di Repubblica

di Francesco Erspamer*

Sono splendidi i media americani e giustamente La Repubblica cerca di imitarli. Un sociopatico fallito (quelli vincenti diventano milionari) ammazza una dozzina di giovani in un bar e la prima cosa di cui si premurano è far sapere che non si tratta di terrorismo, a evitare che la gente possa fraintendere e spaventarsi e riflettere sulle possibili cause della disgregazione sociale e della violenza.

E la gente si tranquilizza subito: ah meno male che CNN ha chiarito la situazione, certo ormai di stragi ce n'è almeno una al giorno ma mica dobbiamo terrorizzarci e magari mettere in dubbio l'individualismo estremo e il culto del successo che fanno comodo ai liberisti e che, vabbè, creano decine di milioni di disperati e milioni di disadattati, alcuni dei quali esplodono, ma è colpa loro, sono dei perdenti, superati dalla storia, non ci si può fare niente, il progresso ha inevitabilmente delle vittime e un nuovo gadget val bene qualche massacro.

Terrorismo è un'altra cosa, tipo inviare per posta delle bombe-carta a qualche celebrity, un gesto velleitario e che non ha provocato alcun danno ma che ha monopolizzato le prime pagine dei giornali per settimane, capirete, aveva delle implicazioni politiche, addirittura una critica del sistema e dei suoi dèi, i ricchi.


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tonino

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Nov 16, 2018, 1:54:37 AM11/16/18
to sante gorini

Paolo Gerbaudo: Perché Varoufakis non è la soluzione ma parte del problema

micromega

Perché Varoufakis non è la soluzione ma parte del problema

di Paolo Gerbaudo

Dopo aver incontrato Corbyn, il leader di Diem25 si appresta a vedere Sanders per lanciare un'internazionale progressista che si contrapponga ai populismi di destra. L'iniziativa, che a prima vista sembra condivisibile, è velleitaria, senza radici e controproducente. Impossibile riformare l'esistente su base cosmopolita, meglio la proposta di rottura con l'UE teorizzata da Melenchon

varoufakis diem25Una grande internazionale progressista, dagli Stati Uniti all’India, passando per la Gran Bretagna e l’Italia. Questa la proposta altisonante lanciata nelle ultime settimane dall’ex ministro delle finanze greco durante il governo Tsipras Yanis Varoufakis. Una proposta che vuole controbattere a quell’Internazionale Nazionalista che Steve Bannon, l’ideologo di Donald Trump, ha messo in moto negli ultimi mesi e che si potrebbe concretizzare alle elezioni europee con un trionfo dell’estrema destra: da Marine Le Pen, e Viktor Orban alla Lega di Matteo Salvini. Quella di Varoufakis è un’iniziativa che a prima vista sembra condivisibile, anche visti gli indubbi meriti del carismatico politico greco nel costruirsi una nicchia nel dibattito mediatico, e nello svelare i meccanismi perversi della governance europea in diversi suoi libri di successo. Tuttavia questa proposta è la manifestazione più lampante dei limiti di Varoufakis e della sua avventura politica: un vero e proprio condensato di quello che la sinistra non dovrebbe fare per rispondere all’avanzata dei Trump di tutto il mondo.

L’appello lanciato dalle pagine del quotidiano britannico di area liberal The Guardian e poi diffuso da varie testate internazionali, tra cui il manifesto in Italia, vuol inserirsi in una fase storica che sembra incupirsi giorno dopo giorno, con l’ondata del populismo di destra che sta trionfando in diversi paesi, per ultimo in Brasile, con l’elezione del neofascista Jair Bolsonaro, che promette minacciosamente di “fare pulizia” della sinistra e dei movimenti popolari. Contro questi macabri figuri che approfittano della crisi della globalizzazione per dare linfa ad una agenda smaccatamente reazionaria, l’idea di Varoufakis è chiara: prendere la direzione opposta e rivendicare un internazionalismo cosmopolita, che vada all’attacco della xenofobia e dello sciovinismo che sembrano dominare il discorso politico.


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Davide Cassese: Deficit strutturale italiano: una questione di stime

economiaepolitica

Deficit strutturale italiano: una questione di stime

di Davide Cassese

La Commissione europea ha bocciato la manovra italiana perché considera il deficit troppo alto, ma si tratta di giudizi frutto di stime contestatissime nel mondo scientifico che però, di fatto, ostacolano qualunque politica di crescita per il Paese

neosurreal.24Da qualche settimana va avanti lo scambio di battute tra l’esecutivo italiano e la Commissione Europea sul contenuto della Manovra economica. La Commissione ha respinto la manovra, rimandandola indietro al governo perché ne rivedesse la sostanza, in quanto manifesta una deviazione significativa dai parametri del Patto di Stabilità e crescita e un allontanamento dal percorso di aggiustamento dei conti pubblici.

Secondo la Commissione il maggiore deficit indicato nella NADEF 2018 dal governo rispetto al deficit tendenziale, diversamente da quanto prevede il governo, non apporterà benefici alla crescita e non contribuirà a ridurre il rapporto debito/PIL secondo quanto stabilito dai Trattati.

Nello specifico, la lettera della Commissione indica che a fronte dello sforzo strutturale dello 0.6% del PIL raccomandato dalla Commissione, il governo italiano presenta un deterioramento strutturale pari allo 0.8% del PIL. Tutto ciò rappresenta una deviazione dal rispetto del Patto di Stabilità e crescita senza eguali nella storia.

 

Il deficit strutturale e il PIL potenziale

Il termine “strutturale” accoppiato alla parola “deficit” identifica una specifica fattispecie: la differenza tra le entrate e le spese dello Stato al netto delle circostanze cicliche (peggioramento della congiuntura) e delle misure una tantum (misure imprevedibili come catastrofi naturali o emergenze sociali come l’immigrazione). Il deficit strutturale, dunque, rappresenterebbe la condizione dei conti pubblici di un Paese in corrispondenza del PIL potenziale, vale a dire in corrispondenza di una situazione in cui l’economia riesce ad impiegare tutte le risorse di cui dispone – lavoro e capitale – senza generare pressioni inflazionistiche. Per l’Italia, che è un Paese con elevato debito pubblico, le regole europee prescrivono un deficit strutturale pari a zero.


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Noi Restiamo: Il decreto Salvini su immigrazione e sicurezza alla luce della fase politica

noirestiamo

Il decreto Salvini su immigrazione e sicurezza alla luce della fase politica

Tra DEF, commissione Europea e propaganda

di Noi Restiamo

Matteo Salvini decreto sicurezza migrantiIl decreto-legge 113 del 2018, meglio noto come decreto Salvini, è diventato uno dei nodi centrali del dibattito politico nell’ultimo mese e mezzo. Per la Lega, oltre che per il social media manager di Matteo Salvini, è diventato un baluardo identitario estremamente importante attorno a cui continuare ad agglomerare sostegno e costruire consenso elettorale – anche a fronte delle difficoltà di reperire coperture finanziare alla flat tax nella legge di stabilità, un altro dei temi agitati con più forza in campagna elettorale e che aveva perso terreno nel discorso pubblico in termini di credibilità. La sua natura liberticida, razzista e repressiva merita ai nostri occhi un approfondimento che sia in grado di dare una lettura politica a quegli aspetti che sembrano più “neutralmente” tecnici.

Purtroppo, molte volte si è avuto prova del fatto che la politica non è attenta alla tenuta costituzionale delle leggi ma al mantenimento dello status quo, che siano poltrone, come per i grillini, o che sia la ben più pesante tenuta della compatibilità europea, come è stato per Mattarella.

L’insussistenza dei requisiti di straordinaria necessità e urgenza per l’emanazione di un decreto-legge (ex art. 77 Cost.) – format di produzione normativa che spesso è servito ad aggirare le lungaggini e i rischi di rallentamento che caratterizzano i lavori parlamentari –;

l’eliminazione del permesso di soggiorno umanitario, senza introdurre istituti che coprano completamente lo spazio lasciato vuoto, che comporta un peggioramento delle condizioni di vita dei titolari dei nuovi permessi speciali, limitando la possibilità di accedere al Servizio Sanitario Nazionale (ledendo il diritto alla salute, art. 32 Cost.) ed, essendo notevolmente più brevi (invece che i vecchi 2 anni, ora saranno di 6 mesi o massimo 1 anno), ostacolando l’accesso alle prestazioni di assistenza sociale o agli alloggi di edilizia residenziale pubblica1;


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Lea Melandri: Psicanalisi e politica

dinamopress

Psicanalisi e politica

di Lea Melandri

Melandri rilegge sotto il segno della continuità la traiettoria teorica e la pratica politica ed analitica di Elvio Fachinelli che dal ’68, passando per l’apertura dell’asilo di Porta Ticinese fino all’89, aveva lottato per mettere al centro il desiderio. La sua ricerca “bio-psico-sociologica” si propone di rovesciare sia i rapporti di classe che i rapporti familiari, mostrando l’inseparabilità di una trasformazione che riguardi sia il privato che il politico

pag 50 51 img3 1114x557L’originalità del pensiero e della pratica di Elvio Fachinelli sta nell’intreccio tra politica e psicanalisi, come ricerca di “nessi” tra poli tradizionalmente contrapposti, resa possibile dall’aver inteso la politica nel senso marxiano di “politica radicale” – capace di andare alle radici dell’umano –, e la psicanalisi come pratica disposta ad andare “oltre” la «segregazione di un rapporto duale».

A monte, come diceva egli stesso, stava per un verso la «passione per il preistorico», ereditata da Freud, che lo portava a cercare in un lontano passato sia le ragioni della “rovinosa dialettica” che ha diviso e contrapposto biologia e storia, corpo e pensiero, individuo e società, sia i segnali di insospettate potenzialità antropologiche, e per l’altro, la sua “curiosità spinta” per tutto ciò che avveniva intorno a lui.

A fare da cerniera è il tempo:

«Sono sempre stato diviso tra l’interesse per ciò che mi passa accanto in un preciso momento e un uso più profondo, più personale e intenso del tempo. Vorrei dire quasi un uso solitario». [1]

In realtà una divisione netta, nella sua ricerca teorica e pratica, non c’è mai stata. Anche in quel pieno di «nuovi paesaggi», quale è stata la «stagione breve, intensa, esclusiva» del ’68, Fachinelli non ha mai smesso di guardare in profondità, come dimostrano gli scritti nati dalla sua presenza nelle università occupate, a Trento e a Milano – Il desiderio dissidente (febbraio ’68), Gruppo chiuso o gruppo aperto?” (novembre ’68) –, e quelli che vi hanno fatto seguito: Che cosa chiede Edipo alla Sfinge, Il paradosso della ripetizione, forse il suo saggio più importante, nato dalla riflessione sulle ragioni profonde che avevano visto un movimento antiautoritario, fluido e creativo ripiegare su frazionamenti, formazioni rigide, di stampo partitico: le «fortezze nel deserto».


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Danilo Corradi e Marco Bertorello: Il governo gialloverde sfida davvero i dogmi liberisti?

jacobin

Il governo gialloverde sfida davvero i dogmi liberisti?

di Danilo Corradi e Marco Bertorello

È bastato un timido aumento della spesa pubblica per creare l'allarme dei custodi europei dell'austerity. Ma Di Maio e Salvini non hanno un vero progetto economico alternativo

In queste settimane quel che resta dei partiti di sinistra ha dibattuto sul Documento di economia e finanza (Def) del governo intorno a due poli opposti: da un lato vedendo nei provvedimenti un semplice approfondimento delle politiche dei governi precedenti dall’altro enfatizzandone le positive novità. Ci si può sottrarre da queste polarità se si prova a ragionare nel merito dei provvedimenti in via di approvazione ponendosi in una logica di scarto dalle politiche economiche dominanti.

Il Def giallo-verde ha un parziale segno diverso da quelli degli ultimi governi. È moderatamente espansivo, ovvero attenua la prospettiva dell’austerità ma senza arrivare a una rottura. L’attenuazione è evidente nella parziale controtendenza sul piano della spesa, l’assenza della rottura sta nella dimensione di questa controtendenza, nelle forme concrete che assume e nella mancanza totale di una strategia politica capace di fare i conti con il costo del debito pubblico. Per rompere davvero servirebbe una strategia di livello internazionale che tenga insieme ridiscussione del debito, politiche fiscali redistributive e limiti alla competizione al ribasso sul lavoro.


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Gilad Atzmon: Divide et impera

comedonchisciotte

Divide et impera

di Gilad Atzmon

Non sono nemmeno lontanamente un sostenitore di Trump. Penso però che sia riuscito ad esporre il livello di morbosità della politica occidentale, sia a destra che a sinistra. Trump è l’ultima icona post politica – il sintomo e la malattia.

Negli ultimi quarant’anni, l’Occidente ha sùbito un’intensa rivoluzione culturale e sociale. La causa della “giustizia sociale” ha apportato alcuni cambiamenti fondamentali nella società. I diritti elementari, come la libertà di pensiero, sono stati sradicati, e sostituiti da un rigido regime di politically correct. A posteriori, c’è stata poca resistenza a questi eroi della giustizia sociale. Solo cinque anni fa sembrava che la Tirannia della Correttezza fosse qui per restare. Ma poi, inaspettatamente, il vento è cambiato.

Prima il referendum scozzese ci ha fatto sapere che un cittadino su due voleva separarsi dal Regno Unito. Poco dopo, metà degli inglesi ha votato per separarsi dall’UE; infine, in modo totalmente inaspettato, Trump ha vinto le elezioni presidenziali.

È stata questa vittoria ad aver davvero portato alla ribalta la guerra dell’identità. Per qualche motivo, sono stati Trump e la sua retorica combattiva a mostrare chiaramente la linea di demarcazione che divide l’Occidente.


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Sandro Dell'Orco: Giorgio Agamben

sinistra

Giorgio Agamben 

di Sandro Dell'Orco

Incontro rapido con un suo saggio sul concetto di contemporaneità1. Impressioni altrettanto rapide e irriflesse

I - Gli studenti che nel 2006 hanno ascoltato la lezione di Agamben sulla contemporaneità, devono esserne rimasti alquanto sconcertati. Nel senso che devono averne ricavato ben poco sul piano pratico, che è quello che in definitiva conta. La domanda era: come si fa ad essere contemporanei dei testi del passato? E la risposta che viene fornita loro nel corso della lezione, invece di fare appello alla ragione, li invita a cogliere intuitivamente, al di là del presente empirico, un suo ipotetico ed oscuro fondamento che lo collegherebbe al passato e al futuro. Insomma il vero contemporaneo della propria epoca non è colui che esperisce sensibilmente e intellettualmente il presente fenomenico, cercando di spiegarlo con leggi storiche, ma colui che, sintonizzandosi sul suo invisibile “sottostante”, si rende misticamente partecipe dei nessi, necessari quanto oscuri, tra presente, passato e futuro.

II - Dietro il suo pensiero c'è l'ennesima pretesa di sanare la contraddizione di soggetto / oggetto riportando ingenuamente il soggetto all'oggetto. Nella tradizione millenaria della 'reductio ad unum' che accomuna tutte le ontologie materialiste o idealiste e che viene interrotta da Marx. Dimenticando la lapalissiana verità che il soggetto non può esser ridotto all'oggetto, né questo al soggetto (2).


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Salvatore Bravo: Le parole del Capitale

sinistra

Le parole del Capitale

di Salvatore Bravo

Lo scandalo del capitale passa attraverso il linguaggio. In prima serata al TG delle 19,00 del 30/10/ 2018 su rai Tre la Boldrini commentando i dati sull’occupazione femminile afferma con automatico candore che la bassa occupazione femminile specie nell’Italia meridionale ha l’effetto di abbassare il PIL nazionale, nessun riferimento ai diritti negati ed ai motivi per i quali larghe masse della popolazione sono spinte alla marginalità sociale. Le donne a cui il sistema di censo e che esulta per l’aziendalizzazione di tutto, istruzione compresa, nega il diritto alla qualità di vita, alla scoperta di sé, sono definite dalla Boldrini capitale umano: un vero ossimoro esseri umani associati a merce o denaro per investimento. Lo scandalo è solo nei punti di PIL persi e non nelle vite disperse dalla violenza capitale, mai posto in discussione, ma sempre sostenuto. L’automatica quantificazione impedisce di guardare l’ingiustizia ed i diritti negati. L’assenza di diritto è quantificato in modo da evitare parole non gradite all’incultura del capitale. Ogni riferimento alla cultura dei diritti sociali è rimossa, al suo posto non vi è che il regno della quantificazione, il PIL come unico paradigma per cui lottare. Nessun cenno ai motivi che inducono uomini e donne a non essere appetibili per il mercato del lavoro. La risposta è che il pensiero stile Boldrini è ad immagine e somiglianza del capitale, pertanto si verificano i dati commerciali e ci si preoccupa, solo, del PIL che non c’è.


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Vladimiro Giacché: La UE e la BRI: un rapporto complicato

marx xxi

La UE e la BRI: un rapporto complicato

Troubles down the Road

di Vladimiro Giacché

Relazione al V Forum Europeo sulla via cinese: “L’approccio cinese e lo sviluppo europeo in una nuova era” (Academy of Marxism, Chinese Academy of Social Sciences – Associazione Marx XXI – Fondazione Gramsci Emilia Romagna – Istituto Confucio, Bologna – Edizioni MarxVentuno), Bologna, 14 ottobre 2018

europa
cina mappa1. Considerazioni introduttive

Nel corso del III forum Italia-Cina, svoltosi a Roma 2 anni fa, avevo messo in luce alcune contraddizioni nel rapporto UE-Cina. [1] Queste contraddizioni derivavano a mio giudizio da tre fattori principali:

1) la natura in sé complessa delle relazioni economiche (mai soltanto economiche, ma sempre intrecciate a obiettivi politici e geopolitici, e comunque determinate dalla formazione sociale prevalente e dalla gerarchia di interessi conseguente);

2) la natura specifica dell’UE (non un’unione politica, ma tutt’altro che monolitica anche da un punto di vista economico; anzi, afflitta da una contraddizione specifica: il fatto cioè che proprio l’integrazione monetaria ha accentuato - per meccanismi sui quali esiste ormai abbondante letteratura - le differenziazioni interne e anzi la vera e propria divergenza economica tra gli Stati che ne fanno parte);

3) infine, il fatto che gli interessi dei diversi Stati dell’Unione non riescono a trovare una composizione armoniosa all’interno dell’UE.

Ritengo che da allora queste contraddizioni si siano aggravate e si stiano oggi ripercuotendo sugli accordi commerciali, sull’atteggiamento da tenere nei confronti degli investimenti diretti esteri (IDE) cinesi in Europa e anche nei confronti della Nuova Via della Seta (Belt and Road Initiative, BRI).

 

2. L’UE e la BRI: un atteggiamento poco costruttivo

A quest’ultimo riguardo sta sempre più emergendo un atteggiamento che vede nella BRI un progetto non da condividere, ma da ostacolare. Si è passati da uno “scetticismo passivo” [2] a qualcosa di peggio.


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Leonardo Casalino: Un laboratorio di scrittura, un libro sovversivo*

carmilla

Un laboratorio di scrittura, un libro sovversivo*

di Leonardo Casalino

Luca Rastello, Dopodomani non ci sarà. Sull’esperienza delle cose ultime, a cura di Monica Bardi, pp. 320, € 16,90, Chiarelettere, Milano 2018

195008422 f8a61f94 0b8c 49f2 a750 d8106f2eff93Due temi percorrono le pagine di questo libro. Il primo è quello legato alle cose “penultime”: per Luca Rastello rappresentano “un tratto quasi terminale della corsa – quando l’inizio è dimenticato e la fine è certa e verosimilmente prossima, ma non ancora arrivata – che viene rischiarato da una sorprendente lucidità, come da una luce più forte”. È la sola parte dell’universo che può essere raccontata, come ci aveva spiegato in ‘Undici buone ragioni per una pausa’, edito nel 2009 per i tipi della Bollati Boringhieri.

Il secondo è il tema del “prendere tempo”, del narrare come strumento per rimandare la morte. In una bella conferenza tenuta a Milano nell’autunno 2014 Luca Rastello, partendo dal ‘Tristam Shandy’ di Sterne, aveva offerto un esempio raffinato e intelligente di letteratura comparata mettendone in relazione le pagine con Proust, Carlo Levi, Hašek, ‘Le Mille e una notte’ e Virgilio.

Prendere tempo, dunque, per prolungare le cose penultime. Nel leggere i testi di Dopodomani non ci sarà, ritrovati in un file del computer dopo la morte e pubblicati postumi, è però difficile sottrarsi all’impressione di trovarsi di fronte alle “ultime” pagine di Rastello. Come riuscire, allora, ad attribuire loro una natura di “penultime”, in modo da poter prolungare il dialogo con la voce e le parole del loro autore? Ho provato a farlo mettendo in relazione il libro con le recensioni – ancora non raccolte in volume – che Luca Rastello pubblicò sulla rivista L’Indice dei Libri del Mese nel corso degli anni Ottanta; un decennio, quest’ultimo, su cui non disponiamo di un suo testo narrativo o giornalistico.


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Gianfranco Marelli: Istantanea del Sessantotto

thomasproject

Istantanea del Sessantotto[1]

[Per una rinascita ontologica del Movimento]

di Gianfranco Marelli

La redazione di Thomasproject pubblica il saggio breve di Gianfranco Marelli apparso nella ripubblicazione del volume di Giorgio Cesarano dal titolo “I giorni del dissenso. La notte delle barricate. Diari del Sessantotto” (a cura di Neil Novello e con uno scritto di Gianfranco Marelli, Castelvecchi, 2018, pp.218, € 17,50). Ringraziamo l’autore e la casa editrice per averci concesso la pubblicazione online

COVER i giorni del dissenso DEF«Nessuno può decentemente arrogarsi
il lugubre diritto
d’insegnare quando si può solo imparare,
di predicare quando si può solo esserci
e facendo cercare di capire».
Giorgio Cesarano

      “Compagni, cordoni”!

Se queste due parole non suscitano in chi legge forti emozioni contrastanti, difficile sarà comprendere il Séssantotto di Giorgio Cesarano e di tutti quelli che vissero la breve stagione dove l’impossibile era non credere possibile una trasformazione radicale della propria vita. Una trasformazione in grado di far maturare le proprie esperienze individuali entro un afflato collettivo sfociante nella rivoluzione che ti fa, anche se non la si fa. Certo, una rivoluzione che ti fa essere ciò che desideri essere qui e ora brucia nel volgere di un momento la miccia detonante senza neppure il tempo di poter fare la rivoluzione; o forse inconsciamente sai che il tempo che ti fa essere rivoluzionario non coincide con il tempo necessario per fare la rivoluzione. Eppure… eppure, “Compagni, cordoni!”: l’immaginazione è rivoluzionaria, ossia il rinascere di un sentire – testimonia Cesarano nei suoi diari – «che è qualcosa di diverso dall’ideologia e da ogni tipo di dogmatica certezza, è qualcosa che aggalla quasi di colpo nella mente e precipita in fatti collettivi e travolgenti le idee che un attimo prima, il giorno o l’ora prima erano potevano essere anche soltanto segregata speranza o disperazione, macerata e avvilita collera, sapienza impotente e amaro senso dell’impossibilità».

Pertanto, più che parlare della “rivoluzione” del ’68 – un attimo storico esauritosi nel volgere commemorativo e celebrativo della meglio gioventù – parleremo della “rinascita” nel ’68 dell’immaginazione rivoluzionaria di un sé collettivo la cui esistenza nella società ha fatto da spartiacque tra un prima e un dopo: da persona/oggetto disinteressata dei fatti, a individuo/soggetto interessato a farsi altro; passaggio obbligato per quelli che erano caparbiamente intenzionati a «non voler somigliare ai loro padri – a me [scriverà con lucida autocritica Cesarano] – e a quanto pare decisi a non farsi catturare a nessun costo».


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Vincenzo Morvillo: Sulla mia pelle: un Cristo contemporaneo tra Kafka e Pasolini

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Sulla mia pelle: un Cristo contemporaneo tra Kafka e Pasolini

di Vincenzo Morvillo

cucchiborghiLa delinquenza – come anche, con essa, la tossicodipendenza – e la marginalità, la miseria, l’indigenza che spesso le determinano, all’interno di una società capitalistica e sviluppata, sono produttive. Producono cioè l’intero sistema legale, il conseguente apparato di sorveglianza e punizione (per rimandare a Foucault), nonché l’indotto complessivo, in termini culturali, sociali e repressivi. Ma, soprattutto, fanno comodo ai padroni.

«I padroni si servono della delinquenza: additando al disprezzo delle masse – servendosi dei loro giornali – i poveracci, i manovali del furto, quegli sbandati che, con la loro dottrina, hanno instradato al crimine. Si rifanno così una verginità, e abituano la gente a pensare che le uniche rapine, estorsioni, furti, omicidi, sono quelli fatti da questi disperati “pistola in pugno”, e non quelli che ogni giorno commettono (lor signori, ndr), con lo sfruttamento. Preparano l’opinione pubblica alla polizia che spara e uccide, condannando a morte senza processo, dietro il comodo paravento della “difesa della tranquillità dei cittadini”».

E ancora:

«Il carcere è forse l’aspetto più evidente dello scopo di uccidere che si pone il capitalismo. È sempre stato usato per ricattare, spaventare, tenere sottomesso il popolo, e dove l’intimidazione non bastava, è servito per torturare, ridurre a larve umane, uccidere lentamente e legalmente, tutte le volte che i padroni non avevano la forza o il coraggio di fucilare o massacrare nelle piazze tutti quelli che non accettavano passivamente lo sfruttamento e la miseria».

E infine:


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Fabrizio Marchi: Torino: dalla “marcia dei quarantamila” a quella dei trentamila

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Torino: dalla “marcia dei quarantamila” a quella dei trentamila

di Fabrizio Marchi

La media borghesia targata PD (anche se camuffata dietro a movimenti e associazioni formalmente apartitici) è scesa in piazza a Torino per dire SI alla TAV e alle logiche “sviluppiste” e vetero industrialiste, sponsorizzata anche dalla Lega, alleata di governo del M5S (“I lavori sono già iniziati – ha dichiarato prontamente Salvini – tanto vale completarli”…). Logiche industrialiste e sviluppiste sostenute ovviamente anche e soprattutto dell’alta borghesia, sia industriale che finanziaria, nazionale ed extranazionale.

E’ evidente anche a chi non ha occhi per vedere, come l’alleanza di governo fra Lega e M5S sia in realtà poco più che un mero accordo a termine e non una vera alleanza programmatica e strategica, dettato dalla situazione contingente, cioè dalla necessità e dall’impossibilità di dare vita ad un altro esecutivo o comunque altre ipotesi e soluzioni politiche. Forse, in una determinata fase, i 5 Stelle hanno veramente creduto di poter raggiungere un consenso tale da potergli consentire di governare da soli. Si sono, ovviamente, resi conto di quanto potesse essere non realistica tale ambizione e hanno dovuto cedere a dei compromessi (come è del tutto normale che avvenga in politica…).

M5S e Lega sono divisi pressochè su tutto, perché su tutto hanno una visione molto diversa: politica economica, politica fiscale, nazionalizzazioni, rapporto fra privato e pubblico, “grandi opere”, reddito di cittadinanza, giustizia, politica estera.


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Tommaso Nencioni: Lo scandalo del populismo

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Lo scandalo del populismo

di Tommaso Nencioni

“La crisi consiste appunto nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere: in questo interregno si verificano i fenomeni morbosi più svariati”. Dagli Stati Uniti di Trump al Brasile di Bolsonaro, dall’Italia di Salvini alla Germania dove la nuova destra prende sempre più campo ad ogni tornata elettorale; dalle metropoli alle periferie, insomma, son tornati a circolare i “fenomeni morbosi più svariati”, e la nota asserzione di Antonio Gramsci è il memento dell’inquietante terremoto politico che attraversa le nostre società. Bisognerebbe tuttavia conservare la forza (la speranza?) per leggere per intero il celebre passo dei Quaderni. Ci accorgeremmo che questo contiene uno sguardo sul futuro più aperto di quanto si possa immaginare. “L’interregno – si chiede il prigioniero – si risolverà necessariamente a favore di una restaurazione del vecchio?”. Oppure la crisi delle vecchie ideologie, il loro stanco rinsaldarsi attorno a formule canoniche, l’emergere di forze giovani non più inquadrate nel vecchio ordine; la rottura, insomma, “tra masse popolari e ideologie dominanti”, finiranno per aprire “la possibilità (e necessità) di formazione di una cultura nuova”? Questo interrogativo, col quale il passo dei Quaderni si chiude, non resta privo di ambiguità. Ma l’ambiguità – nel senso di non chiuso, non definito – costituisce la cifra della crisi.


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Miguel Martinez: Crisi di astinenza da crescita

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Crisi di astinenza da crescita

di Miguel Martinez

Seguo la straordinaria manifestazione che si è svolta ieri a Torino a favore del TAV.

Alla testa di tutto, c’è la Confindustria:

“Confindustria ribadisce “con forza l’assoluta necessità di completare i lavori della Tav”. E annuncia “che proprio a Torino convocherà un Consiglio generale straordinario allargato alla partecipazione dei Presidenti di tutte le Associazioni Territoriali d’Italia per protestare insieme contro una scelta, il blocco degli investimenti, che mortifica l’economia e l’occupazione del Paese”.”

Leggo su Repubblica la composizione, invece, della piazza:

“Il sit-in è stato promosso dall’associazione “Sì Torino va avanti” e da “Sì lavoro”, legata a Mino Giachino, ex sottosegretario ai Trasporti del governo Berlusconi, che ha lanciato una petizione online arrivata a più di 65mila sottoscrizioni. Hanno aderito il Partito democratico, i moderati, Forza Italia e anche la Lega, nonostante il partito di Matteo Salvini governi insieme al Movimento 5 Stelle che intende bloccare i cantieri e ha annunciato l’analisi costi benefici per l’alta velocità.

In piazza anche i Radicali e Fratelli d’Italia, che raccolgono firme per due referendum.”

Casa Pound, che è ovviamente fortemente schierata dalla parte delle Opere che Fanno Grande l’Italia, all’ultimo momento ha deciso di non scendere direttamente in piazza,


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Enrico Galavotti: Gentile e l’integralismo cattolico

socialismo.info

Gentile e l’integralismo cattolico

di Enrico Galavotti

Giovanni Gentile era partito bene, col suo ateismo implicito o criptico (quello non espressamente professo), nei due saggi giovanili dedicati alla Filosofia di Marx, apprezzati in due righe dallo stesso Lenin nella bibliografia alla voce “Marx” scritta nel 1914 per l’Enciclopedia Granat: “Il libro di un idealista hegeliano…, è degno di nota. L’autore tratta alcuni aspetti importanti della dialettica materialistica di Marx che di solito sfuggono all’attenzione dei kantiani, dei positivisti, ecc.”. In effetti, bisogna ammettere che la sua rilettura, in chiave laicistica, di Rosmini e Gioberti, al fine di trovare un accordo col materialismo marxiano era stata piuttosto originale.

Tuttavia proprio Gentile fu la dimostrazione più lampante che non basta essere “atei” per essere “democratici”. Cosa che già Marx aveva detto ai compagni della Sinistra hegeliana, che volevano portare il razionalismo hegeliano alla sua espressione ateistica più logica e consequenziale, indirizzando le loro critiche verso lo Stato confessionale prussiano e verso la Chiesa di stato luterana. La soluzione proposta da Marx era chiara: bisognava affrontare in maniera politico-rivoluzionaria le contraddizioni del sistema, mettendosi dalla parte del proletariato nullatenente, l’unico titolato a realizzare quegli ideali di giustizia e libertà che la filosofia tedesca era solo riuscita a teorizzare.


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tonino

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Nov 18, 2018, 4:27:23 AM11/18/18
to sante gorini

Giorgio Paolucci: Il proletariato e la rivoluzione comunista nell’epoca del robot

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onoratodamen

Il proletariato e la rivoluzione comunista nell’epoca del robot

di Giorgio Paolucci

La rivoluzione comunista o sarà opera del proletariato o non sarà e in tal caso sarà la rovina dell’intera società

lamartineNelle aspettative dei suoi cantori, nel suo inarrestabile sviluppo, il progresso tecnico e scientifico avrebbe dovuto sconfiggere la povertà e regalare agli uomini tantissimo tempo libero da dedicare alla cura di sé e del proprio spirito. Per esempio, Keynes, nel suo famoso saggio del 1930 Possibilità economiche per i nostri nipoti, pur mettendo in guardia dai rischi della disoccupazione tecnologica conseguente ai miglioramenti apportati al sistema delle macchine impiegate nella manifattura, era convinto che il maggior problema dei suoi nipoti, vale a dire le generazioni odierne, non sarebbe stato quello economico ma: “ Come impiegare la loro libertà dalle cure economiche più pressanti, come impiegare il tempo libero che la scienza e l’interesse composto gli avranno guadagnato, per vivere bene, piacevolmente e con saggezza.”

Poi, con l’introduzione della microelettronica e dell’informatica nei processi produttivi e gestionali è sembrato davvero che il sogno fosse ormai a portata di mano; è accaduto esattamente il contrario. I lavoratori si sono sempre più impoveriti e i ricchi sono diventati ancora più ricchi. Negli Stati Uniti, per esempio, Walmart “Paga i suoi lavoratori, se includiamo anche quelli part-time 8,80 dollari l’ora. Adesso – suggerisce di fare il professore e segretario del lavoro della presidenza Clinton, Robert Reich - confrontate questo dato con quello del 1955, quando il maggior datore di lavoro degli Stati uniti era la General Motors, che pagava, in media, i suoi lavoratori l’equivalente di quelli che sarebbero 37 dollari oggi.”[1]

Di contro ormai solo otto persone detengono la ricchezza di metà umanità mentre dieci anni fa erano 385.[2]


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Marta Fana e Lorenzo Zamponi: Cottarelli, il fascino discreto dell’austerità

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Cottarelli, il fascino discreto dell’austerità

di Marta Fana e Lorenzo Zamponi

Ogni domenica appare in prima serata su Raiuno, affabilmente intervistato da Fabio Fazio. Incarna il mito conservatore del "tecnico" che riduce l'economia ad equilibrio dei conti pubblici

Cottarelli 990x361Appare ogni domenica sera, in prima serata, su Raiuno. Affabilmente intervistato dall’ingenuo e sornione Fabio Fazio, mostra tabelle, elenca voci di spesa, snocciola dati. Carlo Cottarelli è diventato ormai una presenza fissa sull’ammiraglia della tv pubblica. Recita il suo Angelus finanziario poche ore dopo quello di papa Francesco, segnando la fine del weekend e il ritorno alle preoccupazioni della quotidianità feriale. “L’economia in prime time non si pensava potesse essere un argomento – ha esordito Fazio domenica 21 ottobre – invece si sta comprendendo quanto sia vitale nella vita di ciascuno di noi”. Un progetto didattico, quindi, di informazione scientifica, con l’idea di fare dell’ex commissario della spending review una specie di Piero Angela dell’economia. Una scelta non casuale e rivelatoria. La promozione di Cottarelli a divulgatore economico per eccellenza della tv di stato, voce neutra e autorevole, in quanto “tecnica”, della scienza che governa le vite di tutti, ci dice parecchio sull’idea di economia che domina il dibattito pubblico, sull’ossessione diffusa per i conti pubblici e il rigore di bilancio e sulla completa rimozione di dettagli come lavoro, produzione, moneta, e lo stesso mercato dall’idea di economia pubblicamente discussa in Italia.

 

L’uomo dei conti

Chi è Carlo Cottarelli e come è arrivato a occupare lo spazio tra Flavio Insinna e Luciana Littizzetto nella domenica sera degli italiani? Laurea a Siena, master alla London School of Economics, incarichi tra la Banca d’Italia e l’Eni, poi nel 1988, giovanissimo, vola a Washington, dove inizia una lunga e fortunata carriera al Fondo Monetario Internazionale, l’istituzione protagonista dei famosi “programmi di aggiustamento strutturale” nel sud del mondo, e più recentemente dell’imposizione di misure di austerità senza precedenti alla Grecia.


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Pier Paolo Portinaro: Le mani su Machiavelli. Una critica dell’Italian Theory

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Le mani su Machiavelli. Una critica dell’Italian Theory

di Pier Paolo Portinaro

de2df791682f079f8397226a3ff38bc7 XL[È uscito in questi giorni, per Donzelli, Le mani su Machiavelli. Una critica dell’Italian Theory di Pier Paolo Portinaro. Ne presentiamo alcune pagine. «Italian Theory», si legge nel risvolto del libro «è espressione, non priva di ambiguità, che riassumerebbe un presunto tratto comune della filosofia italiana, racchiudendo in un unico orizzonte Machiavelli e Gramsci fino all’operaismo e alla biopolitica. È proprio quest’ultima, invece, oggi, ad aver generato un terreno favorevole al diffondersi di quella postura antipolitica che è esattamente l’opposto della lezione del Segretario fiorentino. Ma alla lezione di Machiavelli può essere più sobriamente ricondotto quel filone di pensiero elitistico che ha accompagnato criticamente la via italiana alla democratizzazione – un altro Italian Style, potremmo dire, quello dei maestri del disincanto democratico: Salvemini, Bobbio, Miglio, Sartori, Pizzorno. È questo altro filo del pensiero politico italiano che Pier Paolo Portinaro ricostruisce nel volume: seguendo il quale, secondo l’autore, l’enigma dell’eterna crisi italiana può essere meglio decifrato, senza ricorrere a troppo inclusive – e impropriamente apologetiche – letture metapolitiche della storia»].

* * * *

[…]. Questo – risulterà evidente fin dalle prime battute – è uno scritto polemico e idiosincratico, di cui è bene circoscrivere fin d’ora le finalità. Non intendo infatti contestare che nei decenni passati molti ingegni italici si siano spesi con serietà e competenza all’interno della comunità transnazionale degli studiosi, quella che un tempo si chiamava «repubblica dei dotti», e per questo abbiano trovato rispettosa e partecipe accoglienza in essa. Né intendo sottostimare il fatto che la straordinaria fioritura della letteratura italiana tra Dante Alighieri e Torquato Tasso abbia creato le condizioni, e non da ieri, per una ricerca multidisciplinare sulla specificità della cultura italiana e della sua forza di proiezione nel mondo. O ancora che autori come Alessandro Manzoni e Giacomo Leopardi siano stati determinanti nel conferire una cifra e una tonalità di pessimismo storico alla letteratura italiana contemporanea.


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Giacomo Foglietta: Il canone minore

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Il canone minore

di Giacomo Foglietta

R. Ronchi, Il canone minore. Verso una filosofia della natura, Feltrinelli 2017

John William WaterhouseIl canone minore. Verso una filosofia della natura di Rocco Ronchi ci pone subito di fronte ad un’idea insolita per chi si occupa di filosofia. La storia del pensiero filosofico conosce un canone ‘maggiore’ ma, al contempo, anche un canone minoritario, una chiave di interpretazione alternativa delle grandi domande teoretiche. Tradizione di pensiero che – sostiene Ronchi senza mezzi termini – sarebbe l’unica a poter fregiarsi propriamente del titolo di filosofia. Per cominciare a capire la proposta di Ronchi può essere utile allora provare a mettere in chiaro di cosa parliamo quando parliamo di canone maggiore. Quali sono e quali sono state le caratteristiche del pensiero filosofico dominante? Se è la filosofia a determinare la natura della modernità, allora per rispondere alla suddetta domanda bisognerà innanzitutto chiedersi che cosa significhi essere moderni in filosofia. Secondo Ronchi la contemporaneità, da Kant in avanti, ha assunto rispetto a questo problema una posizione ben precisa facendo della finitezza la chiave di interpretazione della realtà e della verità. La finitezza come dato immediato e come condizione di accesso all’ente è diventata la cifra della modernità filosofica, la quale ha visto nella millenaria consapevolezza della nostra mortalità, del nostro limite costitutivo, una nuova forma di assoluto. In questo nuovo orizzonte di riferimento la mancanza strutturale dell’essere umano, la sua sottomissione al desiderio, alla limitatezza della ragione, lo identifica quindi come l’unico essere veramente finito e come tale depositario di una comprensione più profonda della verità.

L’alternativa proposta da Ronchi si prefigge allora in prima istanza proprio la messa in discussione di questo dominio della finitezza e, di conseguenza, la messa in discussione dell’eccezione umana. Ronchi sceglie una via antica, frequentata prima di lui da teologi speculativi, filosofi della natura rinascimentali e, in epoca contemporanea, anche da autori pienamente moderni.


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Manlio Dinucci: I distruttori della Libia ora «per la Libia»

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I distruttori della Libia ora «per la Libia»

di Manlio Dinucci

La Conferenza internazionale "per la Libia" si sta svolgendo a Palermo, in quella Sicilia che sette anni fa è stata la principale base di lancio della guerra con cui la Nato sotto comando Usa ha demolito lo Stato libico

Una mezzaluna (simbolo dell’islamismo) raffigurata come uno stilizzato emisfero che, affiancato da una stella e le parole «for/with Libya» (per/con la Libia), rappresenta «un mondo che vuole porsi dalla parte della Libia»: è il logo della «Conferenza per la Libia» promossa dal governo italiano, come evidenzia il tricolore nella parte inferiore della mezzaluna/emisfero.

La Conferenza internazionale si concluderà oggi a Palermo, in quella Sicilia che sette anni fa è stata la principale base di lancio della guerra con cui la Nato sotto comando Usa ha demolito lo Stato libico. Essa veniva iniziata finanziando e armando in Libia settori tribali e gruppi islamici ostili al governo di Tripoli e infiltrando nel paese forze speciali, tra cui migliaia di commandos qatariani camuffati da «ribelli libici».

Veniva quindi lanciato, nel marzo 2011, l’attacco aeronavale Usa/Nato durato 7 mesi. L’aviazione effettuava 30 mila missioni, di cui 10 mila di attacco, con impiego di oltre 40 mila bombe e missili. L’Italia, per volontà di un vasto arco politico dalla destra alla sinistra, partecipava alla guerra non solo con la propria aeronautica e marina, ma mettendo a disposizione delle forze Usa/Nato 7 basi aeree: Trapani, Sigonella, Pantelleria, Gioia del Colle, Amendola, Decimomannu e Aviano.


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Piemme: Convergenze parallele

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Convergenze parallele

di Piemme

«Siamo all'anticamera della dittatura. Siamo come nel 1994, avevamo allora il pericolo di un partito comunista ma con in più questa volta una più forte ispirazione all'invidia sociale, allo statalismo e un'assoluta incompetenza».

Con queste parole Silvio Berlusconi ha tentato di mettere il cappello ad un fine settimana segnato dalle manifestazioni contro il governo giallo-verde.

Quella di Torino per il sì alla TAV — c'era tutta la Torino borghese, da sinistra a destra, dal Pd a Forza Italia, passando per la Lega. Quella dell'estrema sinistra a Roma contro il "decreto sicurezza" e per "l'accoglienza per tutti". Infine, in diverse città quelle femministe contro il cosiddetto "Ddl Pillon".

In piazza non c'erano Moscovici e Juncker, Macron e la Merkel, il Fmi o i grandi banchieri. Di certo essi hanno gongolato. Tutto fa brodo, dal loro punto di vista, per preparare le condizioni al rovesciamento del governo giallo-verde, quindi spianare la strada ad un governo Monti 2.0 se non direttamente della troika.

Non si discute qui, beninteso, il diritto a protestare contro il governo, tanto più se fa delle porcherie come il "decreto sicurezza". Nè si vuole dire che esse siano dello stesso segno, o che ubbidiscano ad un centro di comando.


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Eros Barone: F & R: Gianni Rodari

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F & R: Gianni Rodari

di Eros Barone

Il digramma con cui ho scelto d’intitolare questo profilo di Gianni Rodari riassume il binomio che ha contrassegnato la sua opera di scrittore: ‘fantasia e razionalità’. Una fantasia razionale, che non dimentica mai il duro rapporto con il mondo reale, e una razionalità resa meravigliosamente lieve da una fantasia che, senza essere mai chimerica o arbitraria, diviene parabola e allegoria della possibilità di un mondo fraterno di liberi e di uguali. Rodari è stato e rimane, infatti, un intellettuale che con le poesie, con le favole e con i racconti, ma anche con le riflessioni narratologiche e pedagogiche (si pensi alla geniale Grammatica della fantasia del 1973) ha saputo parlare alla mente, alla immaginazione e al cuore degli insegnanti e dei bambini, operando una costante stimolazione di quella straordinaria risorsa che è il pensiero divergente, sempre guardato con sospetto e mai sufficientemente valorizzato tanto nella scuola quanto nella società.

Proprio nella Grammatica della fantasia si ritrova l’itinerario culturale, e in particolare l’itinerario pedagogico, seguiti per giungere a realizzare storie e a comporre libri: la Grammatica squaderna, con la semplicità dei grandi classici, gli arnesi del mestiere e le tecniche dell’invenzione di racconti, arnesi e tecniche la cui acquisizione permette ai bambini di impadronirsi meglio, e per giunta giocando e divertendosi, di tutti gli usi della lingua.


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Giovanni Di Benedetto: David Harvey e la follia del capitale

palermograd

David Harvey e la follia del capitale

di Giovanni Di Benedetto

“Una condizione della produzione fondata sul capitale è quindi la produzione di un cerchio della circolazione costantemente allargato […]. La tendenza a creare il mercato mondiale è data immediatamente nel concetto del capitale stesso. Ogni limite si presenta come un ostacolo da superare. […] Nei confronti di tutto questo esso è distruttivo e agisce nel senso di un perenne rivoluzionamento, abbattendo tutte le barriere che ostacolano lo sviluppo delle forze produttive, l’espansione dei bisogni, la molteplicità della produzione e lo sfruttamento e lo scambio delle forze della natura e dello spirito.”

(Karl Marx, Grundrisse. Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica)

David Harvey è uno dei più importanti studiosi di Marx. Nel suo lavoro si coniugano il tentativo ostinato, pedagogico si potrebbe dire, di rendere, per quanto è possibile, immediatamente comprensibile la teoria di Marx e la convinzione che la ricerca marxista, per essere davvero produttiva, debba lavorare in campo aperto, superando gli angusti vincoli della tradizione e gli steccati dell’ortodossia e dello specialismo disciplinare. Il taglio peculiare dell’interpretazione di Harvey è costituito dall’interesse per il modo in cui l’accumulazione del capitale si dispiega entro le coordinate geografiche dello spazio e quelle storiche del tempo. Questi tratti caratteristici del suo lavoro, che lo rendono particolarmente efficace nell’illustrare tutta l’eterogeneità e la complessità del capitalismo, possono essere agevolmente rilevati nell’ultimo libro pubblicato in Italia da Feltrinelli, Marx e la follia del capitale (2018).


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Antonio Carlo: Capitalismo 2018. L’anno delle ricette impossibili e delle paure riemergenti

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Capitalismo 2018. L’anno delle ricette impossibili e delle paure riemergenti

di Antonio Carlo

altan crisi economica1) Bilancio 2017 dagli squilli di tromba al terrore per il crollo prossimo venturo

A) I risultati del 2017. Ripresa solida o recessione in agguato?

Nel 2017 il PIL mondiale cresce del 3,7% con punte del 6,5% (Cina), del 2,4% in USA e nella UE, mentre il Giappone si ferma all’1,8%1 . I primi commenti sono assai positivi, la ripresa è solida, si dice, non più fragile e modesta come si sosteneva per gli anni precedenti, eppure dopo poco il prof. Feldstein, capofila degli economista conservatori americani, osserva che negli USA una nuova recessione è alle porte2 , gli fa eco il noto politologo Bremmer per cui il mondo trema ancora a 10 anni dal crac del 20083 e con lui esponenti del mondo degli affari USA4 . Forse la stroncatura più dura della ripresa posteriore alla crisi del 2008 la leggiamo in un giornale non certo sospettabile di anticapitalismo come “Il Corriere della sera”, con toni degni di un marxista radicale e con argomenti che chi scrive avanza dal 20055 , se non dagli anni ’80 del secolo passato6 . Scrive Salvatore Bragantini: “La causa profonda e negletta della lunga crisi è lo spostamento di ricchezza a danno dei ceti medi che l’ha preceduta. Raghiram Rajan, non un sovversivo né uno sprovveduto, scrisse in Fault Lines (2010) che i 2/3 di tutto il reddito addizionale, prodotto tra il 1977 ed il 2007 in USA è andato al famigerato 1%. Solo lì sono affluiti i guadagni di produttività che prima erano spartiti con i lavoratori dipendenti, via via politicamente indeboliti dalla metà degli anni ’80; essi hanno trovato nella droga del debito il sostegno di un tenore di vita inesorabilmente in calo. Parola di Ben Bernake, governatore della Banca Centrale USA al tempo del crac: “L’origine è indietro nel tempo, decenni di stagnazione dei salari, diseguaglianze …”.


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Jacques Sapir: Il dibattito sul bilancio italiano e la questione della sovranità

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Il dibattito sul bilancio italiano e la questione della sovranità

di Jacques Sapir

Dopo lo straordinario successo dell’edizione 2018 del convegno annuale organizzato dall’associazione Asimmetrie – quest’anno intitolato “Euro, mercati, democrazia – Sovrano sarà lei!” – tenuta a Montesilvano (Pescara) il 10 e 11 novembre scorsi, presentiamo la traduzione dell’intervento di Jacques Sapir, già direttore degli studi all’École des hautes études en science sociales di Parigi, direttore del Centre d’études des modes d’industrialisation e membro straniero dell’Accademia Russa delle Scienze. Il discorso ha aperto due intense giornate di conferenze e dibattiti, che hanno coinvolto ottocento spettatori in attento e partecipato ascolto di venti relatori tra economisti, giornalisti, politici e scrittori, italiani ed europei. E dimostra come la sovranità sia un elemento necessario, anche se non sufficiente, alla stessa democrazia

Goofy7Sapir e1541966585536 1280x500L’attuale crisi che oppone l’Italia e la Commissione europea sulla manovra di bilancio italiana, dopo la sua pubblicazione[1], apparentemente verte su alcune percentuali[2]. In realtà, si tratta della questione essenziale di sapere chi è legittimato a decidere del bilancio italiano: il governo, costituito dopo elezioni democratiche, o la Commissione e le sue varie appendici, che pretendono di imporre regole provenienti dai trattati?

Una questione che oggi è fondamentale: si governa in nome del popolo o in nome delle regole? Essa ha implicazioni evidenti: chi ha il potere di governare, il legislatore la cui legittimità deriva dalla sovranità democratica, o il giudice che governa nel nome di un diritto?

Dietro la questione della percentuale di deficit consentito o rifiutato al governo italiano non c’è solo la questione della fondatezza della decisione italiana[3], ma anche quella di sapere se l’Italia è ancora una nazione sovrana. Questo spiega perché il sostegno al governo italiano sia giunto da tutti i partiti per i quali la sovranità è uno dei fondamenti della politica, e in particolare da France Insoumise[4]. La questione della sovranità è quindi di centrale importanza in questo conflitto.

L’aspirazione alla sovranità dei popoli si esprime oggi in molti Paesi e in forme diverse. Eppure questa sovranità è messa in discussione dal comportamento delle istituzioni dell’Unione Europea. Ne sono una prova le dichiarazioni fatte da Jean-Claude Juncker in occasione delle elezioni greche del gennaio 2015 [5].


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Arianna Tassinari: Le esternalizzazioni: l’altro volto dell’austerità

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Le esternalizzazioni: l’altro volto dell’austerità

di Arianna Tassinari

Per anni ci hanno raccontato che affidare ai privati i servizi pubblici razionalizzava spesa ed efficienza, in realtà si è abbassata la qualità e precarizzato il lavoro. Ma proprio nel Regno unito scopriamo che non sono processi irreversibili

esternalizzazioni 990x361Nell’assenza totale di dibattito pubblico, in Italia è sempre più alto il numero di servizi “pubblici” gestiti da attori privati ed erogati da lavoratori ingaggiati con condizioni e salari ai limiti dello sfruttamento. È la realtà dilagante delle esternalizzazioni: un processo strisciante ma sempre più pervasivo che, da vent’anni a questa parte, rende indefiniti i confini del settore pubblico nel nostro paese, creando una corsa al ribasso sul costo del lavoro, sui diritti dei lavoratori e sulla quantità e qualità dei servizi offerti.

 

Le esternalizzazioni in Italia

In generale, per “esternalizzazione” si intende il processo per cui attività e servizi precedentemente prodotti e distribuiti all’interno del perimetro di competenza delle Amministrazioni Pubbliche – sia centrali che locali, come scuole, università, Asl, enti locali –- vengono trasferiti “all’esterno”, ovvero ad imprese private. Seguendo la traccia solcata da precursori come gli Stati uniti e il Regno Unito, anche in Italia questo processo ha assunto negli ultimi vent’anni un rilievo sempre maggiore. Secondo le stime del rapporto Isfol (2011), nel periodo 2004-2009 la pubblica amministrazione in Italia era il quarto settore per il ricorso agli strumenti dell’esternalizzazione, dopo quello dei trasporti, dei servizi finanziari e delle telecomunicazioni – contando per un 17% del valore totale dei contratti nel settore dei servizi esternalizzati.


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Elvio Fachinelli: Freud e i processi collettivi

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Freud e i processi collettivi

di Elvio Fachinelli

In due trascrizioni del 1989 di interventi televisivi per la sede Rai Bolzano, Fachinelli si confronta con il Freud che tratta dei processi collettivi tramite l’analisi della psicologia delle masse e il concetto di totem. Nel primo caso, si mette in evidenza il problema del rito, nel secondo si mostra l’inevitabilità della dissidenza verso la figura paterna 

giochi di
bimbiIndividuo, società, religione

Quello dei rapporti tra individuo e società è certamente un problema molto complesso, che ha travagliato generazioni di studiosi e di filosofi e che ha trovato anche Freud in una situazione di interrogazione aperta. Proprio perché così complesso, infatti, non si può pensare che in Freud vi sia una soluzione univoca, valida una volta per tutte. Direi che, da questo punto di vista, si può parlare di una doppia versione freudiana dei rapporti individuo-società. La prima – la più diretta e immediata – vede in pratica nella società l’estensione e l’amplificazione di una serie di problematiche che hanno radice all’interno dell’individuo. In altri termini, nella società ci troveremmo di fronte a una serie di problemi che grosso modo ricalcano le vicende individuali del soggetto, soprattutto quelle infantili.

C’è poi una seconda versione, che in fondo risulta abbastanza isolata all’interno dell’opera freudiana, ma che, a mio parere e a parere anche di altri, è il punto forse più interessante della elaborazione di Freud. Si tratta di una tesi contenuta in Psicologia delle masse e analisi dell’Io, un testo del 1921 in cui appare fondamentale la presenza dell’altro – l’altro inteso appunto come gli altri individui – all’interno del soggetto stesso, e ciò attraverso dei legami d’identificazione. Freud muove da un esame comparato del comportamento delle folle – delle masse potremmo dire oggi – e dei fenomeni dell’innamoramento e dell’ipnosi, trovando in atto, in tutti e tre i casi, un processo di sottomissione al volere dell’altro: il problema della società si configura così non come una semplice amplificazione dei problemi del soggetto individuale, ma in un certo senso come una situazione di mescolanza, se non di capovolgimento, in cui il soggetto individuale è già intrinsecamente, all’origine, connesso al suo gruppo sociale, alle sue appartenenze esterne.


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Guido Ortona: Manovra: e se il deficit fosse più basso?

economiaepolitica

Manovra: e se il deficit fosse più basso?

di Guido Ortona

Con l’assetto istituzionale attuale dell’eurozona e i suoi vincoli è impossibile ridurre davvero il rapporto debito pubblico – Pil, a meno di continuare a far pagare il conto a salariati, pensionati e a tutte le fasce deboli del Paese

La discussione sulle scelte di politica economica del nostro paese è caratterizzata da una curiosa asimmetria: tutti i giorni sui grandi giornali compaiono approfonditi articoli su cosa ci aspetta se violiamo le direttive delle autorità europee; ma non leggiamo mai di cosa ci capiterà se invece non le violiamo. Eppure le conseguenze di questa non violazione sono facilmente prevedibili, basta fare un po’ di conti. E sono tragiche.

Ecco i conti. Oggi il PIL italiano è di circa 1780 miliardi, il debito di circa 2330 (il 130.9% del PIL), e gli interessi che paghiamo su di essi di circa 65 (dico “circa” perché sono dati che si modificano continuamente, ma i calcoli che seguono restano validi per piccole variazioni). Assumo quanto segue, accettando i dati e le previsioni dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio: che il PIL cresca dell’1% all’anno; che il tasso di interesse medio sul debito rimanga costante (2.8%); e che l’inflazione sia dell’1.5% all’anno. Assumo anche che il deficit sia pari all’1.6% del PIL l’anno prossimo, all’1% quello dopo a allo 0.8% l’anno ancora dopo (quindi meno di quanto deciso dal governo, ma in linea con quanto avrebbe concesso l’Europa, anche se mugugnando).


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Stefano G. Azzarà: L'idiozia politica della tesi dell'"imperialismo europeo" e dell'UE come "nemico principale"

mateblog

L'idiozia politica della tesi dell'"imperialismo europeo" e dell'UE come "nemico principale"

di Stefano G. Azzarà

Quanto tempo passserà prima che gli Stati Uniti portino di nuovo la guerra nel mondo?

A prescindere dalle posizioni che ciascuno può avere sulla questione dell'esercito europeo, abbiamo qui una limpida fotografia dei rapporti di forza internazionali tra aree capitalistiche e della feroce lotta di classe tra esse ma abbiamo soprattutto una dimostrazione lampante di quanto sia idiota la tesi dell'"imperialismo europeo", o addirittura dell'UE come "nemico principale", che oggi prevale largamente a sinistra.

Le potenze imperialistiche pretendevano di stabilire quale entità nazionale andasse considerata come uno Stato sovrano e quale no, al punto che nei confronti dei barbari delle colonie non dichiaravano nemmeno la guerra, considerando i loro interventi come delle "operazioni di polizia" (un termine tornato in auge dopo la fine della Guerra Fredda).

Esattamente alla stessa maniera Gli Stati Uniti con Trump si arrogano il prerequisito fondamentale di quella sovranità della quale i finti "sovranisti" di casa nostra - in realtà fiancheggiatori dell'imperialismo americano - si riempiono la bocca senza avere idea di cosa sia: il monopolio globale della forza.


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Franco Berardi Bifo: Aspettando il G20 di fine novembre

effimera

Aspettando il G20 di fine novembre

di Franco Berardi Bifo

Caldo estivo, ormai, nelle strade del quartiere Palermo. Prendo un po’ di respiro nel viale alberato poi raggiungo El Banco Nacional per cambiare un po’ di soldi. Una folla affannata nell’enorme salone interno della banca. Spingo il pulsante per avere il numerino che mi permetta di andare allo sportello.

Ho il numero 187, guardo lo schermo e vedo che siamo al numero 41. Quante ore debbo restare in mezzo a questa bolgia? Aspetto che scatti il numero successivo, poi calcolo moltiplicando sette minuti per centoquarantasei. Debbo passare quattro ore qua dentro? No, rinuncio a cambiare, vado al bancomat, digito il mio pin, chiedo 2000 pesos (50 euro), e lo schermo mi annuncia che per questa transazione mi trattengono il dodici per cento.

Fantastico.

Non sono un economista, quindi non posso interpretare i segni numerici degli indici di borsa, i saliscendi delle quotazioni, il valore dei titoli di stato e i buoni del tesoro, però sono uno psicomante, uno che annusa l’aria, guarda le facce tirate della gente e cerca di immaginare come va a finire. Guardate, non so se sia scientifico però generalmente funziona molto di più che la previsione economica, che come è risaputo non prevede mai niente.


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Diego Fusaro: La crisi economica, un metodo per governarci e farci sentire in pericolo

fattoquotidiano

La crisi economica, un metodo per governarci e farci sentire in pericolo

di Diego Fusaro

La crisi oggi è il metodo di governo che l’élite dominante impiega per amministrare il mondo all’insegna del neoliberismo. È la tesi portante dell’ottimo testo di Dario Gentili, Crisi come arte di governo (Quodlibet, Macerata 2018). Secondo quanto ricordato da Foucault, la formula “vivere pericolosamente” (vivre dangereusement) può essere elevata a massima del liberismo o, con le parole stesse del pensatore francese, a “marchio esistenziale interiorizzato dalla soggettività costruita dalla governamentalità liberale”.

Nel quadro del regime neoliberale, “gli individui sono messi continuamente in stato di pericolo, o meglio sono posti nella condizione di esperire la loro situazione, la loro vita, il loro presente, il loro avvenire, ecc., come fattori di pericolo” . Il rischio d’impresa si socializza alla società tutta: dà luogo a una sorta di economia del rischio che non conosce nulla di esterno a sé. Tutto diventa a tempo determinato, a rischio, in una condizione di perenne pericolo. La crisi economicida, in questo senso, non è che la “pericolosità” politica e sociale analizzata dal punto di vista sistemico della produzione e del mondo della vita. Il pericolo al quale rimanda il sintagma vivre dangereusement coincide non tanto con quello esterno, quanto piuttosto con quello interno del rovescio economico e dello sconvolgimento della vita quotidiana.


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tonino

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Nov 20, 2018, 7:28:30 AM11/20/18
to sante gorini

Alessandro Visalli: Fabrizio Marchi, “Contromano”

tempofertile

Fabrizio Marchi, “Contromano”

di Alessandro Visalli

s l640L’interferenza” è una coraggiosa rivista on line di cui è direttore responsabile Fabrizio Marchi e che fa parte di una crescente e vivacissima area critica con lo stato delle cose presenti, in particolare con l’indirizzo del progetto europeo in quanto parte promotrice della destrutturazione che ci circonda.

In questo libro sono raccolti numerosi articoli usciti sulla rivista che si sviluppano intorno ad alcuni centri tematici ed una tesi-chiave che provo a rendere in questo modo: le varie versioni del ‘politicamente corretto’ sono l’ideologia funzionale allo stato della tecnica e di un modo di produzione che da lungo tempo ha dismesso i ferri vecchi della triade Dio-Stato-Famiglia.

Il punto di partenza dell’argomentazione del testo è che man mano che la società si è fatta “liquida”[1], almeno nel nostro occidente ‘sviluppato’, la centralità della “forma merce”[2] è diventata universale. Ciò che dunque serve all’autoriproduzione di questa società, ed in particolare del suo motore, la valorizzazione del capitale[3], è un umano ‘non sociale’[4], che viene in qualche modo messo a disposizione dalla ideologia del ‘politicamente corretto’[5] che in questo senso è ‘falsa coscienza’[6].

All’autoritarismo delle forme tradizionali si sovrappone e sostituisce, certo gradualmente, una forma sottile, ma più ferrea, di autoritarismo del mercato. In altre parole, la questione non è tanto del “plusvalore non pagato” o di appropriarsi del potere giuridico di disporre della proprietà privata, ma di ridefinire la “forma sociale del valore stesso”, ed il suo feticismo che mette in concorrenza tra di loro tutte le classi e gli individui entro esse, siano essi maschi o femmine.


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Simone Gasperin: Autostrade ai privati. Come invertire la marcia

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Autostrade ai privati. Come invertire la marcia

di Simone Gasperin

La storia delle principali infrastrutture stradali italiane è l'emblema dell'interesse pubblico che cede il passo alla rendita. Ma esistono alternative alla speculazione dei privati

181109 autostrade jacobin 990x361Al minuto 25:55 di un compiaciuto documentario sulle autostrade italiane si intravede il ponte Morandi con un “buco” a metà. Ma il fotogramma appare in uno sgranato bianco e nero. Si tratta di un filmato degli anni Sessanta, quando il viadotto Polcevera doveva ancora essere ultimato. Queste le parole trionfanti del narratore: “La Società Autostrade ha completato il raddoppio e l’ammodernamento della Genova-Serravalle, che allacciandosi alla Serravalle-Milano, ha sbloccato le correnti di traffico provenienti dal nord e ha ormai portato a termine anche l’autostrada che arriva a Savona”. Una rasserenante musichetta stile-jazz in sottofondo sembra persino banalizzare un elemento di eccezionale significato per l’economia italiana.

La rete autostradale in Italia evoca una storia di orgogliosa ricostruzione e di progresso materiale, successivamente mutata nello sconforto tipico delle fasi di decadenza e recentemente culminata con il tragico crollo del ponte genovese. Per questi motivi, la vicenda delle autostrade italiane non può essere esclusivamente ricondotta a specialistiche questioni di natura ingegneristica. Essa intreccia innanzitutto il susseguirsi delle strategie di sviluppo economico, o presunte tali, adottate delle autorità pubbliche nel corso degli ultimi decenni.

Fino agli anni Settanta, parlare di autostrade in Europa era semplicemente sinonimo di Italia. Come aveva potuto questo paese ancora semi-arretrato costruire una moderna rete di autostrade su un complesso territorio nazionale, collegando il nord al sud, il Piemonte al Friuli, il litorale adriatico a quello tirrenico? Questo si chiedevano gli osservatori ed esperti di tutto il continente. La risposta, tanto scontata quanto annacquata dalla distanza storica, conduce a individuare un attore protagonista: la Società Autostrade Concessioni e Costruzioni Spa.


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Remy Herrera: Samir Amin, un teorico militante

marx xxi

Samir Amin, un teorico militante

di Remy Herrera*

samir amin microfonoSamir Amin si è sempre definito marxista. Il suo lavoro è stato informato, non senza riflessione critica, dalle teorie dell'imperialismo (in particolare quelle proposte da Paul Baran, Paul Sweezy e Harry Magdoff) come opere pionieristiche sullo sviluppo (come quelle di Raúl Prebisch o, in una certa misura, di François Perroux). Ma si differenzia molto chiaramente dal corpus marxista "ortodosso". Come gli altri grandi teorici del sistema mondiale capitalista, tra cui Immanuel Wallerstein, Giovanni Arrighi e André Gunder Frank, Samir Amin ha prodotto una serie di analisi globali che articolano relazioni di dominio tra nazioni e relazioni di sfruttamento tra classi, e che prendono come oggetto e concetto il mondo moderno come un'entità storico-sociale concreta che forma un sistema, formando un assemblaggio - strutturato da complesse relazioni di interdipendenza - di diversi elementi di una realtà in un insieme coerente e autonomo, posizionandoli dando loro un senso.

Uno dei principali contributi scientifici di Samir Amin è che egli mostra che il capitalismo come sistema mondiale realmente esistente è molto diverso dal modo di produzione capitalista su scala globale. La questione centrale che guida il suo lavoro è capire perché la storia dell'espansione capitalistica si identifica con la storia della polarizzazione globale tra le formazioni sociali centrali e periferiche. La sua risposta mira a cogliere la realtà di questa polarizzazione nella sua interezza, a integrare lo studio delle sue leggi in termini di materialismo storico, cercando di combinare teoria e storia e di tenere insieme i campi economico, politico e ideologico. L'unità di analisi per comprendere i principali problemi delle società è quindi il sistema globale - possibile oggetto di una coerente indagine scientifica olistica a questo livello -, meglio delle formazioni sociali che lo compongono.


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Militant: La piazza e la Politica

militant

La piazza e la Politica

di Militant

La bella e partecipata manifestazione di sabato scorso a Roma ha dimostrato che esiste un’opposizione alle politiche populiste del governo Lega-Cinquestelle. Eppure non sarà la sinistra a capitalizzare le spinte sociali che pure resistono all’imbarbarimento dei rapporti politici. Il modo e il tono con cui è stata trattata la manifestazione dal partito di Repubblica dovrebbe, in tal senso, chiarire la tendenza in atto. Sabato pomeriggio, sul sito del quotidiano, campeggiava in primo piano la diretta della manifestazione romana. Subito dopo, in posizione dominante, la manifestazione “Si Tav” di Torino. Le due manifestazioni, diverse sotto molti punti di vista (ma non tutti i punti di vista: un legame ideologico poteva essere rintracciato, ad esempio, in un certo antirazzismo umanitario), venivano assimilate da Repubblica come “mobilitazioni anti-populiste” (e menomale che è fallito il referendum sulla privatizzazione dell’Atac, altrimenti avremmo avuto la tripletta impazzita condensata nel trionfalismo giornalistico del partito di Scalfari a Calabresi). Al di là delle differenze, appartenevano ad un campo, quello democratico-liberale, oggi opposto a quello “populista-sovranista”. E’ sotto gli occhi di tutti (gli addetti ai lavori) che i due popoli che hanno riempito le due piazze sono diversi, a volte addirittura opposti, carichi di ansie e prospettive differenti.


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Fulvio Scaglione: Esercito europeo, Merkel e Macron sfidano Trump

linkiesta

Esercito europeo, Merkel e Macron sfidano Trump

(e l'Italia sovranista se la fa sotto)

di Fulvio Scaglione

Merkel e Macron vogliono un esercito europeo. Per ora “complementare alla Nato”, ma è chiaro che l’intento è quello di dare uno schiaffo a The Donald. Un’Europa più forte serve. Ma i sovranisti di casa nostra (vedi Governo gialloverde) non la vogliono

Non è che ci voglia poi molto a far arrabbiare Donald Trump. Per capirlo, se avessimo dimenticato i tweet feroci e le scenate alla Casa Bianca e in giro per il mondo, basterebbe rivedere l’esilarante video del re del Marocco abbioccato a Parigi durante il discorso di Emmannuel Macron e lo sguardo con cui Trump lo incenerisce. Questa volta, però, The Donald ha ottime ragioni per sbroccare, e qui provo a spiegare perché. Succede infatti che due leader europei che hanno spesso mostrato d’intendersela, ovvero Macron e Angela Merkel, a distanza di pochi giorni affrontino lo stesso, per gli americani spinosissimo, argomento: la costituzione di un vero esercito europeo.

Macron, per parlarne, aspetta di avere a Parigi una sequela infinita di leader di tutto il mondo. La Merkel, invece, lo fa intervenendo a una plenaria del Parlamento europeo. Voi avete così tanta fede nelle stelle da pensare che sia tutto un caso? Che quei due volponi tirino fuori l’argomento praticamente insieme e nelle due occasioni che potevano dare al tema il massimo risalto? Io no.


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Marco Cedolin: Tecnologia 5G: pronti a fare da cavie?

ilcorrosivo

Tecnologia 5G: pronti a fare da cavie?

di Marco Cedolin

L’equilibrio fra innovazione tecnologica e tutela della salute è sempre stato storicamente un qualcosa di molto precario, lo dimostra il fatto che tutta una lunghissima serie di patologie fra le quali i tumori, molte malattie neurologiche e degenerative, tantissime forme di allergia, l’infertilità ed un gran numero di patologie rare rientrino nel novero di quelle che comunemente vengono definite “malattie del progresso”, poiché nel corso dei decenni l’incremento della loro incidenza è proceduto di pari passo con quello dell’evoluzione tecnologica.

I telefoni cellulari, oggi diventati smartphone, ci accompagnano ormai da una trentina di anni ed hanno senza dubbio rivoluzionato in maniera radicale la nostra vita ed il nostro comportamento molto più di quanto noi stessi non si sia disposti ad ammettere....

Nel corso dei decenni il “cellulare” si è progressivamente trasformato da un mero strumento di comunicazione vocale ad un vero e proprio computer attraverso il quale è possibile restare connessi con la rete durante tutto il corso della giornata ad un costo tutto sommato accessibile per tutti, navigare sul web, interagire nei social network, chattare con gli amici, ricevere o inviare email, guardare film o partite in streaming e molto altro ancora. Facendo si che per la maggior parte delle persone (non solamente dei giovani) la connessione internet 24 ore su 24 sia ormai diventata parte integrante della realtà quotidiana.


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Salvatore Bravo: Immaginazione produttiva e mito di Theuth

sinistra

Immaginazione produttiva e mito di Theuth

di Salvatore Bravo

La resistenza ha una pluralità di possibilità ed espressione, rileggere i classici greci significa riannodare le fila di un dialogo interiore e collettivo sempre più spesso minacciato dalle turbolenze del capitalismo assoluto. Fichte pone al centro del suo sistema l’immaginazione produttiva: il soggetto pone il mondo, il non io, per poi riconquistarlo concettualmente, dopo il travaglio del negativo, come ebbe in seguito a definire Hegel il processo di concettualizzazione. Ripensare l’immaginazione produttiva, è ricollocare il presente su un piano di pensiero che permette di toccare il soggetto umano nella sua natura intramontabile: l’essere umano è ontologicamente fondato, teleologicamente disposto alla creazione dei concetti, a ripensare il mondo già dato per riappropriarsi del proprio destino. L’immaginazione produttiva che Fichte distingue dall’immaginazione riproduttiva, crea la forma e la materia in un circolo virtuoso che magnifica il soggetto creatore, ogni atto-dialogo è il mondo che ritorna al soggetto con la mediazione del pensiero. Il mondo è nuovo, si rigenera ogniqualvolta il soggetto crea il mondo dei significati per ripensarli nella relazione con se stesso e con la comunità: la libertà è un processo che necessita la tensione eraclitea tra soggetto e comunità, se il soggetto si estranea da se stesso e dalla comunità cade nei significati anonimi, essi diventavo la trappola della sua esistenza. Il non io lo agguanta, rendendolo parte di una storia scritta da altri, fatalmente i processi di adattamento inconsapevole pongono le condizioni per l’alienazione individuale e collettiva.


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Tommaso Nencioni: La crisi del ciclo progressista

senso
comune

La crisi del ciclo progressista

Panorama sull’America Latina nell’epoca di Trump

di Tommaso Nencioni

america latina 850x638Alla fine del primo decennio del XXI secolo governi progressisti erano insediati nella pratica totalità degli Stati latinoamericani. Dall’Argentina kirchnerista al Brasile di Lula, dall’Ecuador di Rafael Correa alla Bolivia di Evo Morales, dall’Uruguay del Frente Amplio al Nicaragua neosandinista, dal Paraguay dell’ex Vescovo Fernando Lugo al Salvador guidato dal FMLN, la Patria Grande era unificata sotto le bandiere delle sinistre. La leadership riconosciuta dell’intero processo spettava al presidente venezuelano Hugo Chavez. La rivoluzione bolivariana assumeva caratteri via via più radicali, quella cubana godeva di rinnovate credibilità e legittimità internazionali. Venivano ripresi e implementati processi di integrazione regionale come il MERCOSUR e la CELAC, ed erano le forze popolari alla guida di questi processi, mentre le destre per lo più vi si opponevano. Altri ne nascevano su basi totalmente inedite, come l’ALBA. Perfino all’interno dell’OSA – l’organizzazione panamericana estesa ai Paesi al nord del Rio Grande – la posizione degli Stati Uniti rimaneva spesso isolata. Un progetto di zona di libero scambio estesa a tutto il continente su basi neo-liberiste e promossa da Washington – l’ALCA – era stato sdegnosamente respinto dai presidenti di Argentina, Brasile, Uruguay e Venezuela a Mar del Plata nel 2004. Governi che si erano insediati con programmi timidamente liberali – è il caso di quello hondureño di Manuel Zelaya – finivano per entrare nell’orbita di influenza progressista.

Negli ultimi anni stiamo però assistendo ad un netto rovesciamento dei rapporti di forza nel Subcontinente. Il peronismo argentino ha ceduto il potere ad una coalizione di destra guidata da Mauricio Macri. Di destra anche il governo peruviano. I governi di Paraguay, Honduras e soprattutto Brasile sono stati rovesciati da manovre parlamentari al limite della costituzionalità – si parla apertamente di Golpe.


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Gian Mario Bravo: Marx, Engels, l’utopia

intrasformazione

Marx, Engels, l’utopia

di Gian Mario Bravo

antica illustrazione per lutopia di tommaso moro1.

Inizio con il titolo dell’opuscolo celebre di Friedrich Engels (condiviso anche da Marx), L’evoluzione del socialismo dall’utopia alla scienza (1882), diventato uno dei documenti più noti e diffusi del nascente e affermantesi “marxismo” (il marxismo di Marx, dall’inizio del Novecento si parlerà però di marxismi). Il testo era stato redatto qualche anno avanti e pubblicato in un’impegnativa e complessa opera polemica, l’Antidühring, poi estratto da essa con titolo Socialismo utopistico e socialismo scientifico, infine aveva ottenuto la denominazione citata. Tenendo conto solo di quest’opera, potrei - paradossalmente - interrompere il saggio e, con evidente presunzione, affermare che secondo Marx ed Engels, essendosi il socialismo «evoluto» da una visione precedente, utopistica, ed essendo diventato una «scienza», vale a dire il «socialismo scientifico», conseguentemente, si dovrebbe, parlare del rifiuto e anche del superamento di ogni forma di utopia da parte dei due pensatori.

Il ragionamento, pur logico e lineare, condurrebbe a una visione rigida del tema oggetto di discussione e contrasterebbe in gran parte con le convinzioni che Marx ed Engels manifestarono nel corso della loro pluridecennale riflessione sul tema, ben più autonoma e ampia. Sicuramente, una percezione ideologizzata e positivista del marxismo (continuo a parlare del solo marxismo di Marx) fu quasi sempre dominante nel dibattito della sinistra, in Occidente come in Oriente. Così accadde nella discussione della socialdemocrazia tedesca e del socialismo italiano prima della Grande guerra, nel marxismo sovietico durante l’intera sua esistenza, e non solo nell’età di quella che può essere definita la degenerazione staliniana, e così via.


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Franco Romanò: Marx e la politica

a.verare

Marx e la politica

di Franco Romanò

Marxismo e Politica a Dualidade de Poderes e Outros
            Ensaios Carlos Nelson Coutinho 118854Il recente film Il giovane Marx ha posto l’attenzione, fra l’altro, su un periodo cruciale della storia europea, che gli storici e anche i programmi scolastici definiscono come Restaurazione. Secondo Mario De Micheli, invece, i trent’anni successivi al Congresso di Vienna1 vanno visti come il tempo in cui si diffondono in tutta Europa gli ideali rivoluzionari che prepareranno il ’48, sia da un punto di vista politico, sia artistico e culturale. Dentro questa temperie, si colloca anche il lavoro del giovane Marx e quello di Engels sulla classe operaia inglese. Il culmine di questo periodo, durante il quale nasce anche la loro profonda amicizia, sarà, nel ’47, la stesura del Manifesto del partito comunista, che sarà pubblicato nel 1848 qualche mese prima dello scoppio dei movimenti rivoluzionari in tutta Europa; un evento che Marx ed Engels avevano previsto. Qual è e come cambia nel tempo il loro rapporto con la politica, tema di questo scritto?

Occorre prima di tutto considerare un problema preliminare e cioè che noi vediamo il rapporto con la politica da post bolscevichi e post socialisti. Uso l’espressione in senso ampio e non la riferisco solo a chi è stato comunista o socialista o che lo è ancora, perché i partiti socialisti e poi Lenin e i bolscevichi non hanno creato solo i loro organismi politici, ma hanno inventato il partito politico moderno novecentesco, un modello che è stato seguito più o meno da tutti, con qualche distinguo per quelli inglesi e una più ampia differenziazione per quelli statunitensi. Può sembrare a prima vista sorprendente tale affermazione, ma se storicizziamo alcuni passaggi, il quadro che ne esce apparirà forse meno sorprendente. Risaliamo allora al periodo successivo alla Comune di Parigi e poi, specialmente, al 1902, quando Lenin scrive Che fare.


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Pasquale Voza: Dal popolo-nazione al populismo: Gramsci e Laclau

intern.gramscisociety

Dal popolo-nazione al populismo: Gramsci e Laclau

di Pasquale Voza

Gramsci
MajoranaVorrei partire da un passo del Quaderno 11, in cui Gramsci mostrava come la costruzione dell’«intellettuale nuovo» avesse bisogno di liberarsi da quello che andava considerato «l’errore dell’intellettuale»:

L’errore dell’intellettuale consiste nel credere che si possa sapere senza comprendere e specialmente senza sentire ed essere appassionato (non solo del sapere in sé, ma per l’oggetto del sapere) cioè che l’intellettuale possa essere tale (e non un puro pedante) se distinto e staccato dal popolo-nazione, […] non si fa politica-storia senza questa passione, cioè senza questa connessione sentimentale tra intellettuali e popolo-nazione (Q 11, 68, 1505)1.

Rispetto al corrispettivo testo A, in cui parlava di popolo, qui Gramsci adopera la nozione di popolo-nazione, che chiamava in causa la peculiarità, la determinazione storica dell’intreccio e della interazione Stato-società civile e alludeva alla costruzione di un nuovo «blocco storico» e perciò di una egemonia alternativa. È interessante rilevare come tale nozione diventi nei Quaderni un ricorrente, se pur spesso implicito, criterio interpretativo delle «forme» e dei «limiti» (com’egli diceva) del Risorgimento italiano e della costruzione dello Stato unitario. La specificità della rivoluzione passiva del Risorgimento italiano risiedeva nella angustia-insufficienza delle «forze progressive», che rendeva possibile la circostanza per cui «il gruppo portatore delle nuove idee non è il gruppo economico, ma il ceto degli intellettuali» e per cui, ad opera di tale ceto, si forma una astratta e separata concezione dello Stato, «come una cosa a sé, come un assoluto razionale» (Q 10, 61, 1360-1, corsivo mio, p.v.): una concezione, in quanto tale, del tutto distaccata dal popolo- nazione.


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Lars T. Lih: ‘Tutto il potere ai Soviet!’. Parte quarta

trad.marxiste

‘Tutto il potere ai Soviet!’. Parte quarta

Tredici a due: i bolscevichi di Pietrogrado discutono le Tesi di aprile

di Lars T. Lih

Si veda anche, in calce a questo stesso post, l’appendice ‘Le Tesi di aprile: i bolscevichi mettono le cose in chiaro’

image 49885604 soviet propaganda wallpaperOvunque e in ogni momento, quotidianamente, dobbiamo mostrare alle masse che sin quando il vlast non sarà trasferito nelle mani del Soviet dei deputati degli operai e dei soldati, non vi sarà speranza di una conclusione a breve della guerra, né possibilità alcuna per la realizzazione del loro programma.

Sergei Bagdatev così spiegava le sue apprensioni circa le Tesi di aprile di Lenin nel corso della Conferenza di aprile del partito bolscevico.

In quasi tutti i resoconti delle attività del partito bolscevico, nella primavera del 1917, si troverà una frase che afferma quanto segue: le Tesi di aprile di Lenin risultarono a tal punto scioccanti per i membri del partito che, nel corso di una riunione del Comitato di Pietrogrado tenutasi l’8 aprile, vennero respinte con un voto di tredici a due (e un astenuto). Un episodio al quale viene dedicata niente più che una singola frase, ma una frase che, anche solo presa di per sé, costituisce certamente un pugno nello stomaco. Tredici a due! – I bolscevichi dovevano essere rimasti davvero scandalizzati dal nuovo e radicale approccio di Lenin.

Il potere di una buona storia non dovrebbe essere sottovalutato. L’aneddoto sul voto di tredici a due, dopo il rientro di Lenin, si può collocare a giusto titolo accanto a quello sulla presunta “censura” delle sue Lettere da lontano prima del suo ritorno in Russia. Lo statuto di questi due aneddoti quali fatti indiscussi, probabilmente, conferisce alla consueta narrazione del riarmo più sostegno di qualsiasi seria argomentazione. Precedentemente, in questa serie di testi, prendendo in esame l’episodio delle Lettere di Lenin, ho dimostrato come si tratti di un “documento volubile”, che cambia dunque aspetto laddove messo in questione.


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Angelo d’Orsi: A volte ritornano. I cosiddetti 40 mila del Sì-Tav

micromega

A volte ritornano. I cosiddetti 40 mila del Sì-Tav

di Angelo d’Orsi

Ritornano i 40 mila? Ma quali 40 mila? Non erano in quarantamila il 14 ottobre 1980, non erano in quarantamila il 10 novembre 2018. Al di là delle cifre, su cui come sempre si assiste a una un po’ risibile battaglia, il fatto più grave della recente esibizione del “popolo Sì-Tav”, è stato precisamente l’avere evocato quel precedente (che tale non era), che segnò la fine dell’ondata progressiva della società italiana, e l’inizio dell’arretramento del movimento operaio e studentesco.

La marcia dei capi e capetti Fiat che chiedevano di “poter lavorare” contro la “scioperomania”, fu un duro colpo al sindacato di classe, e in generale alla classe operaia, e, per conseguenza, ad ogni idea di cambiamento sociale, nell’interesse dei ceti subalterni, deprivilegiati.

Ora, dopo il successo (innegabile, sia pur con numeri decisamente inferiori: un calcolo attendibile non supera le 10.000 presenze) della chiamata alle armi fatta da un gruppetto di signore bene di una Torino inguaribilmente provinciale, richiamare quel lontano episodio di lotta di classe dall’alto appare un atto di totale irresponsabilità politica. Che lo faccia una destra becera che, fiutato il vento, è pronta ad azioni di revanscismo, lo si può capire; ma che il Pd, per bocca di leader locali e nazionali, abbocchi, è sconcertante: o meglio, è una ennesima riprova che quel partito non solo è in stato comatoso, ma che al suo interno si annida uno straordinario “cupio dissolvi”: il desiderio, quasi la bramosia di scomparire, inghiottito, per quel pochissimo che ne rimane, nelle spalancate fauci della destra.


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Militant: Privatizzare? Attaccateve a ‘sto quorum!

militant

Privatizzare? Attaccateve a ‘sto quorum!

di Militant

E questo nonostante il fatto che fin dalla raccolta delle firme i promotori abbiamo surrettiziamente provato a far passare il referendum sulla privatizzazione come una sorta di giudizio sulla qualità del servizio fornito dall’Atac. Ancora questa mattina nelle cronache locali il messaggio che si tenta di far passare è che alla fine ad esprimersi siano stati quasi esclusivamente quelli che i mezzi pubblici li prendono ogni giorno, proponendo spericolate equiparazioni tra il numero dei voti per il SI e quello degli abbonati (sic), e che dunque quei voti debbano comunque pesare sul futuro dell’azienda. Questa sarebbe dunque la “democrazia recensiva”, per il PD e i Radicali, ai tempi di Tripadvisor.

La mappa del voto, però, ci dice esattamente il contrario. L’affluenza è stata più alta nei quartieri del centro e in quelli governati dal PD (I municipio 20,8%; II municipio 25,4%; VIII municipio 19,3%) e non c’è nemmeno bisogno di scomodare qualche sociologo per capire che non si tratta certo di quartieri abitati da pendolari, ma anzi di zone dove il servizio funziona “meno peggio” che altrove. Tutto bene dunque? Non proprio, e sarebbe sbagliato provare a leggere in maniera troppo ottimistica questo risultato che è figlio più della passivizzazione che non della mobilitazione popolare. Si conferma ancora una volta la frattura fra la città della Ztl e quella delle periferie, ma nessuno dalle nostre parti sembra in grado di adoperare questo spazio politico e sociale che invece è stato occupato prima dai Cinque Stelle e che adesso sembra terra di conquista per la Lega.


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Alberto Negri: Chi è Haftar?

lantidiplomatico

Chi è Haftar?

di Alberto Negri* - Tiscali

Il ritratto di Alberto Negri sul generalissimo “americano” traditore di Gheddafi che piace anche ai russi

Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente? Con questo dilemma alla Nanni Moretti, con cui ha tenuto in sospeso tutti fino all’ultimo il generale Haftar si è guadagnato in questi giorni più titoli di giornali e tv di Trump e Putin. Gli americani il loro uomo in Libia in fondo ce l’hanno già da tempo, anche se è alleato della Russia, dei francesi e dell’Egitto del generale Al Sisi. Khalifa Haftar è la vera star del vertice sulla Libia. Ma Haftar è cittadino americano da 20 anni e ha vissuto anche a Langley, in Virginia, sede della Cia. In poche parole l’uomo forte della Cirenaica è “l’amico americano”, anche se lui in tutti i modi cerca di attenuare questi legami.

Ma il passato parla chiaro. Gli Stati Uniti sono in contatto da decenni con il generale e con lui avevano pianificato già negli anni Ottanta il rovesciamento di Gheddafi che il presidente Ronald Reagan aveva bombardato nel 1986 senza riuscire a farlo fuori. I contatti con i russi derivano invece dagli studi di tattica militare in Unione Sovietica: quando tornò da Mosca fu tra i primi giovani ufficiali a schierarsi con Muammar Gheddafi nel golpe che lo portò al potere nel 1969 rovesciando re Idris.


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Giuseppe Ciarallo: VAE VICTIS. Il primo numero di Zona Letteraria

carmilla

VAE VICTIS. Il primo numero di Zona Letteraria

di Giuseppe Ciarallo

[E’ in uscita Zona Letteraria, una rivista che si muove nel solco dei criteri dettati, a suo tempo, dal purtroppo scomparso Stefano Tassinari. Riportiamo l’editoriale, intitolato Vae victis, del suo direttore, lo scrittore Giuseppe Ciarallo.]

Zona Letteraria è il frutto di una delle più classiche congiunzioni astrali, non intesa come allineamento di corpi celesti ma come una serie di coincidenze favorevoli e nient’affatto prevedibili. Per un caso del tutto fortuito, infatti, sono entrati in contatto alcuni membri del collettivo redazionale di una rivista letteraria, da poco rimasto orfano di casa editrice a seguito della chiusura del “semestrale di letteratura sociale” al quale avevano lavorato negli ultimi nove anni, e un editore intenzionato ad annoverare tra le proprie proposte editoriali… una rivista letteraria con quelle caratteristiche. Mai incontro fu più utile ad entrambe le parti in causa.

Ma cos’è e cosa vuol essere Zona Letteraria?

Nel 2008, nel varare il suo progetto di rivista (Letteraria, avventura alla quale fin dal primo numero presero parte molti dei redattori di ZL) Stefano Tassinari, scrittore, poeta, intellettuale, agitatore culturale scomparso nel 2012, fissò delle linee guida che si possono riassumere nella seguente dichiarazione di intenti: ricreare una dimensione collettiva intorno alla quale far nascere uno strumento capace di essere punto di riferimento – nell’ambito di una sinistra sfilacciata – riguardo ai grandi temi sociali, culturali e politici, partendo dallo specifico letterario.


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tonino

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Nov 22, 2018, 1:33:57 PM11/22/18
to sante gorini

Ivan Cavicchi: Vaccini: la scienza, la morale, la legge

sollevazione2

Vaccini: la scienza, la morale, la legge

di Ivan Cavicchi

Appena uscito il libro degli amici Il Pedante e Pier Paolo Dal MonteIMMUNITÀ DI LEGGE. I vaccini obbligatori tra scienza al governo e governo della scienza — ha ricevuto tanto successo quanto suscitato polemiche.

Walter Ricciardi — uno dei grandi sacerdoti della "scienza che non è democratica", nonché paladino dell'obbligo vaccinale, nonché sodale di Roberto Burioni, nonché Presidente dell'Istituto Superiore di Sanità —, ha chiesto una punizione pubblica esemplare per Giancarlo Pizza, presidente dell'Ordine dei medici di Bologna, colpevole di aver scritto la prefazione al libro IMMUNITÀ DI LEGGE.

E la caccia all'untore si è scatenata....

untorePochi giorni fa il professor Ricciardi, presidente dell’istituto superiore di sanità (Iss) ha inviato una lettera al direttore di questo giornale (Qs 10 ottobre 2018), a mio parere, tanto assurda quanto inquietante, ma nello stesso tempo agli occhi dell’ermeneuta un “iper testo” di grande interesse fenomenologico

La lettera rivolge al dottor Giancarlo Pizza, presidente dell’ordine dei medici di Bologna, una accusa infamante per un medico ippocratico, da paragonare a quella che, a partire dall’ XI secolo per arrivare al XVI, sarebbe equivalsa ad una eresia, e ne chiede le dimissioni, cioè una punizione pubblica esemplare che, riferita allo stesso periodo storico, potrebbe essere l’equivalente del rogo, della decapitazione o dell’impalamento.

 

La lettera e l’accusa

La lettera del professor Ricciardi ritiene un grave reato che, un medico, presidente di ordine, scriva una prefazione ad un libro che critica le cattive politiche e le tendenze oscurantiste sui vaccini del precedente governo. Il titolo “immunità di legge” e il sottotitolo “tra scienza al governo e governo della scienza” chiarisce che non si tratta di un libro no vax.

L’accusa è interessante, soprattutto da un punto di vista logico, infatti essa non è, null’altro, che un sillogismo fondato su una arbitraria quanto intransigente regola transitiva, quella meccanica tipica che è, nello stesso tempo, alla base del pregiudizio e di certi processi sommari:

- siccome…il dottor Pizza ha firmato una prefazione ad un libro critico non nei confronti dell’obbligo vaccinale, attenzione, ma nei confronti delle convinzioni personali per quanto scientifiche del professor Ricciardi che considera l’obbligo vaccinale una strategia profilattica fondamentale…,


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Salvatore Cingari: Gramsci e il populismo

intern.gramscisociety

Gramsci e il populismo*

di Salvatore Cingari

06073
300x3001. Introduzione

Il tema del populismo è ovviamente di grande attualità1. Indagare quale fosse l’effettivo utilizzo del termine da parte di Antonio Gramsci è utile al dibattito teorico-politico contemporaneo, se pensiamo alla riattivazione di questo lemma nel campo del radicalismo di sinistra ad opera di Ernst Laclau. È significativo osservare che l’attenzione di Laclau per Gramsci trae origine dal motivo opposto a quello che ha dettato, più di cinquant’anni fa, il rifiuto del giovane Asor Rosa in Scrittori e popolo. In questo libro veniva denunciata la visione non rigidamente economicistica del concetto di “classe”, che in Gramsci portava alla sua de-sostanzializzazione e dunque a una valorizzazione dell’idea di “popolo” (ma anch’esso non entificato), non strettamente legata alla sua connotazione operaia.

L’egemonia come trascendimento della dimensione corporativa, al di fuori di una prospettiva essenzialistico-classistica, è invece proprio ciò che a Laclau interessa. Non è qui il luogo per discutere dell’utilizzo delle categorie gramsciane da parte del filosofo argentino2. Quel che qui ci limitiamo a mettere in luce è che mentre per il Laclau3 di La ragione populista il termine “populismo” si sovrappone all’idea stessa del “politico”, a sua volta inteso come luogo in cui si costruisce un “popolo” contro un nemico “interno”, attivando un conflitto che si sottrae alle forme differenzianti della gestione istituzionale del potere, in Gramsci, invece, “populismo” significa tutt’altro. La parola ha, cioè, una connotazione, come vedremo, interna a quella di stampo marxista- leninista (che poi sarebbe stata assorbita, nel secondo dopoguerra, anche dal lessico liberal- democratico): una ideologia politica che esalta le doti del “popolo”, senza però fornire a esso strumenti per una sua reale emancipazione. L’esempio storico da cui trae origine la parola sono i populisti russi. Quel che è però interessante, come vedremo, è che il Gramsci dei Quaderni utilizza il termine anche in un’accezione più affine all’utilizzo contemporaneo: e cioè per riferirsi a emergenze di stampo borghese e persino conservatore rivolte al “popolo”.


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Andrea Fumagalli e Lelio Demichelis: Del comune, dell’alienazione e di altre cose del capitalismo

alfabeta

Del comune, dell’alienazione e di altre cose del capitalismo

di Andrea Fumagalli e Lelio Demichelis

picasso26Due libri apparentemente diversi già nel titolo, due libri invece concretamente molto vicini. Il primo è La grande alienazione, di Lelio Demichelis, da poco uscito per Jaca Book; il secondo, di Andrea Fumagalli, è L’economia politica del comune, pubblicato da DeriveApprodi. Il primo ha per sottotitolo: Narciso, Pigmalione, Prometeo e il tecno-capitalismo; il secondo: Sfruttamento e sussunzione nel capitalismo biocognitivo. Entrambi gli autori hanno una lunga storia intellettuale di analisi del capitalismo e della tecnica, il primo è sociologo, il secondo economista. Invece di una classica recensione dei due libri, Alfabeta ha chiesto ai due autori di dialogare tra loro e di aiutare i lettori a capire com’è cambiato e ancora sta cambiando il capitalismo e perché l’alienazione non è scomparsa come sembra, ma è ancora ben presente in tutti i processi tecnici e capitalistici in cui stiamo vivendo.

* * * *

Andrea Fumagalli. Il tema da cui partire è l’individuazione dei sentieri di valorizzazione del capitalismo contemporaneo. A mio avviso, tali sentieri sono costituiti dalle produzioni immateriali che vanno a costituire la nuova frontiera tecnologica (bio-tecnologie, bio-genetica, intelligenza artificiale, big data, eccetera) e dal ruolo della finanza come “carburante” dell’accumulazione (finanziamento, distribuzione del reddito: finanziarizzazione del welfare e moltiplicatore finanziario). È un’interpretazione condivisibile?

Lelio Demichelis. Assolutamente sì. Il capitalismo neoliberale e tecnico – quello che definisco come tecno-capitalismo – è storicamente nato con la fase della produzione (tutti dovevano diventare produttori e proletari), passando poi alla fase del consum(ism)o (tutti dovevano imparare a consumare). Oggi siamo nella terza fase (più che nella quarta rivoluzione industriale) dell’innovazione irrefrenabile e del micro-capitalismo diffuso, in cui tutti devono innovare, farsi imprenditori di se stessi a prescindere dalla utilità sociale dell’innovazione. Chi pensava che con la rete si creasse il general intellect marxiano non vedeva l’essenza di un tecno-capitalismo – di una tecnica, soprattutto – che si faceva grande narrazione globale nel tempo della fine delle grandi narrazioni novecentesche. Io scrivo di tecno-capitalismo. Tu parli di capitalismo bio-cognitivo…


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Carlo Formenti: Un frontismo che puzza di suicidio

rinascita

Un frontismo che puzza di suicidio

di Carlo Formenti

A mano a mano che ci avviciniamo alle elezioni europee, si fa sempre più forte la pressione di media e partiti neoliberali sulle sinistre perché aderiscano a un ampio fronte antifascista e antinazionalista per salvare la democrazia e la pace.

Respingere il canto di queste sirene è questione di sopravvivenza: cedere alla seduzione significa perdere del tutto il ruolo – già gravemente compromesso – di forza anticapitalista, e ridursi a mosche cocchiere delle élite europee.

Per fortuna in Europa ci sono forze consapevoli di questo pericolo mortale. In merito invito tutti a leggersi la bozza programmatica per le elezioni europee su cui stanno discutendo gli amici di France Insoumise  nella quale si afferma chiaramente che Macron e Marine Le Pen sono due facce della stessa medaglia (escludendo quindi di qualsiasi accordo con il primo).

Ho inoltre potuto leggere un bell’articolo di Illueca, Monereo e Anguita contro ogni ipotesi di partecipazione a un fronte antifascista europeo.

Dal momento che non tutti i compagni leggono lo spagnolo ne pubblico qui di seguito alcuni estratti da me tradotti.


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Felice Mometti: Una metropoli urbana e sociale

conness
precarie

Una metropoli urbana e sociale

di Felice Mometti

Il testo fa parte dell’ebook Per una critica della città globalizzata, curato dalla redazione di Infoaut, che raccoglie i materiali preparatori e gli atti del convegno tenutosi al Laboratorio Crash di Bologna lo scorso 30 e 31 maggio

Come tutte le metropoli era costituita da irregolarità, avvicendamenti, precipitazioni, intermittenze, collisioni di cose e di eventi, e, frammezzo, punti di silenzio abissali; da rotaie e da terre vergini, da un gran battito ritmico e dall’eterno disaccordo e sconvolgimento di tutti i ritmi (Robert Musil, L’uomo senza qualità)

Si potrebbe dire che ci sono più affinità tra New York e Lagos che tra Bologna e Reggio Emilia. L’area metropolitana americana e quella nigeriana sono entrambe luoghi di destinazione di grandi movimenti migratori, concentrando ciascuna una ventina di milioni di abitanti. Tutte due proiettano forme e modalità di produzione dello spazio urbano molto oltre i loro confini politici e amministrativi. Bologna e Reggio Emilia sono più simili per livelli di reddito, stili di vita e forma urbana, ma divergono su un aspetto decisivo: sono collocate in punti distanti nella gerarchia territoriale dell’area metropolitana emiliana. La produzione dello spazio urbano a Bologna, mediante la trasformazione e la rigenerazione di luoghi e flussi, ha effetti che investono anche Reggio Emilia, ma non si dà il contrario.


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S.C.: “L’Italia sta finendo”? Previsioni su un terremoto politico

contropiano2

“L’Italia sta finendo”? Previsioni su un terremoto politico

di S.C.

“L’Italia è finita”? La domanda non è affatto paradossale, almeno non lo è per Pino Aprile saggista e meridionalista, giù autore di diversi libri tra cui il libro “Terroni” nel 2010.  Il nuovo libro ha un titolo che contiene appunto una domanda pesante, se cioè l’Italia come l’abbiamo conosciuta stia ormai “finendo”, cambiando fisiologia, struttura istituzionale e geografia sociale ed economica.

Come i lettori di Contropiano sanno, o dovrebbero sapere perché abbiamo suonato l’allarme ripetutamente, in questi giorni il governo sta decidendo, sul “regionalismo differenziato”, un processo di disgregazione e secessione reale che può distruggere lo Stato fino a ieri chiamato Italia.

Si è ormai consolidato un “blocco del nord” che non vede coinvolta solo la Lega, ma vede d’accordo tutti i partiti al Nord. I governi regionali a trazione leghista ma anche i gruppi consiliari Pd di Lombardia, Veneto, Emilia Romagna hanno appoggiato le richieste leghiste di autonomia regionale delle tre regioni dove si concentrano l’80% dell’export e del valore aggiunto prodotto nel paese.

L’autore de “L’Italia è finita”, ha coniato la categoria di  “Piddini per Salvini”. Ma sottolinea come anche al Sud, ci sia un succube silenzio. Anche il M5S sottovaluta il pericolo, e viene sempre l’angoscia per capire se lo fa per disattenzione o incapacità o peggio ancora per complicità.


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comidad: Due destre e nessuna sinistra

comidad

Due destre e nessuna sinistra

di comidad

Nei suoi interventi contro il Decreto “Sicurezza” voluto dal ministro Salvini, Emma Bonino ha affermato che costringere i migranti nel ghetto nella clandestinità otterrà l’effetto di aumentare l’insicurezza e l’illegalità. In realtà c’è anche di peggio, in quanto tenere i migranti in condizione di clandestinità li rende più ricattabili, mettendoli perciò in condizione di dover accettare salari ancora più bassi; quindi si intensifica quell’effetto di deflazione salariale che costituisce uno dei motivi per i quali viene incentivata l’immigrazione, che serve anche a far concorrenza al ribasso ai lavoratori residenti.

Non c’è da sorprendersi che la Bonino abbia omesso questo dettaglio realistico, poiché sarebbe risultato stonato nel gioco delle parti tra i “cattivisti” che gridano all’invasione e i “buonisti” che predicano l’accoglienza. Magari si rischiava anche di notare il business dei “migration loans” e delle rimesse dei migranti (qualcosa come cinquecento miliardi all’anno), tutti business organizzati e incentivati dalla Banca Mondiale.

La cosiddetta “sinistra” si è appiattita sotto le posizioni della Bonino, quindi del suo ideologo/mandante George Soros. In tal modo la “sinistra” ha aderito alla impostazione secondo cui il Decreto era dettato solo da “insipienza” e “cattivismo elettorale”, non cogliendo la sfida ideologica nazionalistica al modello mondialistico alla Soros che Salvini voleva muovere.


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Alessandro Somma: Fare politica con Marx

il
rasoio di occam

Fare politica con Marx

di Alessandro Somma

In Marx eretico (il Mulino, 2018), Carlo Galli, pur restituendo il pensatore del Capitale al contesto storico-intellettuale in cui ha maturato le sue posizioni, ne indaga le ultime potenzialità politiche, legate alla critica dell'individualismo neoliberale

marx
karl LevineStoricizzare Marx

Nell’anno in cui si celebra il bicentenario della sua nascita, Karl Marx è tornato a ispirare una produzione letteraria di tutto rispetto, almeno se confrontata con quella che ha caratterizzato i decenni del riflusso. I contributi sono evidentemente eterogenei per qualità e soprattutto per approccio: si va dalla prosa con andatura osannante alla critica feroce, passando per una vasta gamma di tentativi più o meno espliciti di fondare sul pensiero del filosofo di Treviri progetti di riscatto della sinistra.

In questo panorama spicca l’ultima fatica di Carlo Galli[1], il cui filo conduttore sembra essere proprio la messa in guardia dagli usi e abusi di Marx, innanzi tutto perché incompatibili con il profilo intellettuale del filosofo di Treviri: filosofo “eretico”, la cui opera è “incompiuta” e dunque “aperta” e non solo perché in gran parte abbozzata. Occorre insomma una notevole dose di cautela nell’utilizzare un pensiero ferocemente in “lotta contro l’auctoritas”, contro “gli equilibri, le forme e i limiti di una dominante architettura di pensiero e di potere” (14). Un pensiero, oltretutto, che “sposta la Verità nella dimensione pratica, affidandola allo svolgersi della storia reale e delle lotte concrete, dei conflitti” (18): che oltre a essere costitutivamente antidogmatico, è anche inutilizzabile per qualsiasi forma di attualismo, ovvero di utilizzazione di un pensiero del passato senza considerazione per i mutamenti di contesto: come se il trascorrere del tempo non ci ponesse per ciò solo di fronte a oggetti diversi.

Il modo migliore per prevenire il dogmatismo e la forzata attualizzazione è dedicarsi al riconoscimento e alla sottolineatura delle coordinate spazio-temporali entro cui maturano i pensieri.


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Wikileaks: Libertà di stampa e libertà di parola

mondocane

Libertà di stampa e libertà di parola

Su Wikileaks

Assange with cat 1 400x264“Tre cose non possono essere nascoste a
lungo: la Luna, il Sole e la Verità”. (Wikileaks)

Fulvio e Julian: si parva licet componere magnis

Il personale è politico, si diceva qualche lustro fa e tanto lo hanno preso sul serio quelli contro cui il concetto era diretto da aver ridotto il nostro personale, ora detto privacy, a setaccio per il quale precipita nel raccoglitore CIA, NSA, piattaforme digitali e nostri servizi, ogni bruscolino della nostra vita. Parto comunque da quel meme per compiere il passaggio da una mia esperienza privata a quella di portata generale, internazionale, planetaria ed epocale di Julian Assange, il detenuto da sei anni in quell’isola di Montecristo che è l’ambasciata dell’Ecuador a Londra.

Loro erano stati i segretari dell’Usigrai, sindacato di sinistra dei giornalisti RAI e poi sono stati e sono segretari della Federazione Nazionale della Stampa, il nostro sindacato. Loro sono Roberto Natale e Beppe Giulietti. Loro raccontavano di essersi dati molto da fare per farmi assumere al TG. Io credo che a favorire il mio passaggio da occasionale interprete simultaneo in Rai, nei tempi del mio ostracismo professionale dovuto alla direzione di Lotta Continua (senza pentimenti alla Sofri), a giornalista dell’azienda, sia stato Piero Badaloni, conduttore di Italiasera e poi di Uno Mattina, ottimo alla macchina, meno in video, che aveva apprezzato i miei trascorsi professionali e ignorato quelli politici.

Comunque, ai tempi in cui ricorsi al sindacato per ottenerne protezione dei miei diritti conculcati da Fausto Bertinotti mediante cacciata su due piedi da “Liberazione”, c’era Roberto Natale, poi opportunamente transitato a portavoce di Laura Boldrini presidente della Camera.


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Sandro Moiso: Venaus, 17 e 18 novembre: da Flint a Flint passando per la Valsusa e il Salento

carmilla

Venaus, 17 e 18 novembre: da Flint a Flint passando per la Valsusa e il Salento

di Sandro Moiso

flint 1Non ho mai apprezzato particolarmente l’opera cinematografica di Michael Moore, ma mi pare che in occasione dell’incontro tra i movimenti che si terrà a Venaus in Valsusa il 17 e il 18 novembre, due dei suoi film, il primo e l’ultimo, possano costituire un ottimo punto di partenza e di arrivo per le riflessioni inerenti alle battaglie che attendono tutti coloro che, sempre più spesso, si contrappongono spontaneamente al modo di produzione corrente e alle sue malfamate “grandi opere”, in nome della difesa dell’ambiente, dei territori e dalla specie umana nel suo complesso.

Nel primo, Roger and Me (1989), sono ricostruite le vicende legate al licenziamento di 30.000 lavoratori dagli stabilimenti della General Motors della città di Flint, situata nel Michigan a poco più di cento chilometri da Detroit, le cui conseguenze hanno portato quella località ad essere, da insediamento industriale legato al ciclo dell’auto qual era, una delle città meno vivibili degli Stati Uniti, con conseguente crescita della criminalità e diminuzione del numero degli abitanti.

Nell’ultimo, Fahrenheit 11/9 (2018), all’interno della descrizione del processo di nazificazione della società americana dell’era Trump, Flint torna in scena sia per il dramma scatenatosi, ufficialmente a partire dal 2014, con l’inquinamento da piombo delle acque distribuite dall’acquedotto locale, sia per l’utilizzo del suo territorio (fabbriche dismesse e quartieri abbandonati tutt’altro che distanti da quelli ancora abitati) come luogo di esercitazione anti-guerriglia da parte dell’esercito americano, con l’utilizzo di armi, esplosivi ed autentiche tempeste di fuoco e di piombo scatenate dagli elicotteri d’assalto.


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Adriano Voltolin: Il feticismo e la sua attualità

a.verare

Il feticismo e la sua attualità

di Adriano Voltolin

sfortunianoIl paragrafo della prima sezione del Capitale che ha per titolo Il carattere di feticcio della merce e il suo arcano1, è stato, non casualmente, uno degli scritti che hanno rivestito una notevole importanza nel grande movimento che era iniziato in Europa alla metà degli anni sessanta del novecento. La sottolineatura implicita nello scritto dell’importanza degli aspetti teologici e di quelli ideologici che si sviluppano come sapere all’interno della società e che appaiono essere non semplicemente una sovrastruttura, ma una parte essenziale di quella cosa imbrogliatissima, piena di sottigliezza metafisica che è la merce, poneva su un piano diverso la lotta culturale ed ideale nella società rispetto al suo confinamento ad un piano di minore importanza rispetto a quella contro la struttura economica del capitale. Come era stato, nell’Europa tra la prima e la seconda guerra mondiale, con quello che venne chiamato il marxismo occidentale e che aveva trovato, oltre che in Lukàcs2, un esponente importante in Karl Korsch3, così nel 1963 il lavoro di Karel Kosik del 1963 sulla Dialettica del concreto4 riannodava le fila di un marxismo critico5 che ha rappresentato per circa ottanta anni l’interesse della cultura e della filosofia marxiana per gli aspetti ideologici della società6.

Marx in questo scritto rileva in primo luogo che quello dominato dalla merce è un mondo nel quale realtà e ideologia si sostituiscono l’una all’altra cosicché i prodotti del lavoro socialmente determinati scompaiono come tali per riapparire come rapporto sociale tra oggetti esistenti al di fuori di essi produttori7. Questo capovolgimento fa inoltre sì che per essere capito appieno è necessario addentrarsi nella regione nebulosa del mondo religioso Qui, continua Marx, i prodotti del cervello umano paiono figure indipendenti dotate di vita propria.


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coniarerivolta: Se sei giorni vi sembran pochi

coniarerivolta

Se sei giorni vi sembran pochi

di coniarerivolta

Negli ultimi mesi si è discusso vivacemente, sebbene a singhiozzo, della proposta del Governo di limitare più o meno drasticamente la possibilità di apertura degli esercizi commerciali nei giorni festivi, incluse le domeniche. L’argomento è stato ripreso di recente per l’approssimarsi della possibile approvazione del progetto di legge. Ne è nato un interessante dibattito dominato da reazioni scomposte da parte degli alfieri del neoliberismo a oltranza, ultime delle quali la sparata a sfondo razzista dell’ineffabile sindaco piddino Sala e la netta presa di posizione del Presidente della Regione Liguria Toti.

Vediamo quali sono i termini di fondo della questione.

La liberalizzazione dei mercati, dall’ultimo decennio del secolo scorso, è divenuta un mantra ripetuto ossessivamente da economisti e politici di turno come la panacea di ogni male, la liberazione da quelle rigidità e compressioni della libertà imprenditoriale che, secondo il dogma neoliberale, avrebbero funestato i sistemi a economia mista nel trentennio post-bellico. La limitazione della libera concorrenza, in un contesto dirigista di stretta regolamentazione dei mercati era, assieme alla forte presenza dello Stato imprenditore, un pilastro essenziale del funzionamento delle politiche industriali fino ai tempi della controrivoluzione liberista.


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Enrico Grazzini: Disoccupazione e austerità portano al nazismo. Oggi come ieri

fattoquotidiano

Disoccupazione e austerità portano al nazismo. Oggi come ieri

di Enrico Grazzini

Negli anni Trenta del secolo scorso la dura austerità imposta in Germania dal cancelliere Heinrich Bruning ha fatto vincere il nazismo. Nei tempi attuali la politica di austerità imposta dall’Eurozona alimenta il populismo di destra in tutta Europa. Se la politica economica restrittiva dell’Euro non cambierà radicalmente, l’Europa a guida tedesca è destinata a favorire nuovamente la nascita di ideologie ultranazionaliste, anti-parlamentaristiche, presidenzialistiche, xenofobe e autoritarie. In Europa da troppi anni la democrazia è minacciata da politiche deflazionistiche analoghe a quelle imposte da Bruning in Germania circa 80 anni fa. Di fronte alla crisi economica, molti chiedono di nuovo un “uomo forte” che risolva i problemi dell’insicurezza, dell’occupazione e del lavoro.

Ripercorriamo la storia approfittando di un recente programma trasmesso da Rai Storia. Nella trasmissione Passato e Presente dedicata alla Repubblica di Weimar e realizzata con la collaborazione del professor Giovanni Sabbatucci, Paolo Mieli, nella sua veste di conduttore del programma, ha commesso un grave errore: si è chiesto perché dalla Repubblica di Weimar è nato il nazismo, ma ha dato una risposta sbagliata: la causa del nazismo sarebbe la… debolezza della democrazia!


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Andrea Zhok: Sorvegliare e punire

appelloalpopolo2

Sorvegliare e punire

di Andrea Zhok

La strumentalizzazione concettuale avvenuta da parte della sinistra liberale (PD in primis) della nozione di ‘sovranismo’ è un monumento indisponente alla più totale malafede. Ed è deprimente vedere come quella malafede continui serenamente a mietere vittime.

Le parole naturalmente si possono adoperare in vari modi, ma è interessante osservare come il termine ‘sovranismo’ sia emerso inizialmente nel tentativo di trovare un modo di riferirsi alla comunità nazionale e ai suoi interessi che non fosse in qualche modo compromessa con accezioni di destra.

Le nozioni di Patria/Patriottismo e Nazione/Nazionalismo erano state nel tempo delegate ad un orizzonte di destra, e il termine ‘sovranismo’, con una tradizione francese e inglese che spaziava dalla destra alla sinistra, poteva giocare il ruolo di rendere di nuovo legittimo parlare di interesse pubblico e nazionale, di attivismo dello Stato nella cosa pubblica, senza evocare orbaci e camicie brune.

Niente da fare. Anche questo per la sinistra liberale era intollerabile. Nella lotta per il dominio sulle forme verbali legittime la sinistra liberale è sempre estremamente vigilante, e accettare che vi sia un qualche modo di parlare degli Stati che non sia assimilandoli a imprese economiche (come la “Azienda Italia”) era inaccettabile.


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Paolo Bartolini: La volontà non basta: oltre Scilla e Cariddi

sinistra

La volontà non basta: oltre Scilla e Cariddi

di Paolo Bartolini

In un bel libro appena pubblicato per Rosenberg & Sellier (Per un nuovo materialismo Presupposti antropologici ed etico-politici ), il filosofo Roberto Finelli dedica un capitolo a Spinoza che, a un certo punto, recita: «Ed è appunto la critica presente nell’Etica a ogni etica che pretenda di istituirsi su presunte e inconcepibili autonomie dell’intelletto e della volontà, la critica radicale di ogni intellettualismo e volontarismo etico, a far dire a Spinoza che le passioni e gli affetti non possono essere vinte e domate da nessun atto conoscitivo, da nessun appello ad astratti ragionamenti e a forzature volontaristiche, ma solo dalla forza maggiore di altre passioni e di altri affetti» (p. 97).

Parole illuminanti che sembrano descrivere in maniera fedele il vicolo cieco in cui rischiano di finire molti di quelli che vorrebbero porre un freno alla deriva razzista e parafascista nel nostro Paese. Basterà, dunque, fare appello ai diritti umani, alla tolleranza universale di matrice laica e illuminista, al bisogno di cultura in un paese che precipita a picco nel baratro della giustizia “fai da te”? Inutile pretesa di una volontà disincarnata. Game over.

Qualcosa di simile lo suggerisce Rocco Ronchi in un articolo uscito alcuni giorni fa su DoppioZero.


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tonino

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Nov 26, 2018, 10:01:28 AM11/26/18
to sante gorini

Enrico Grazzini: Come far crescere l'economia senza scontrarsi con Ue e mercati

micromega

Come far crescere l'economia senza scontrarsi con Ue e mercati

Appello al governo Conte

di Enrico Grazzini

conte tria europa deficit manovraIl governo Conte potrebbe - e dovrebbe - cessare lo scontro frontale con la Unione Europea e con gli operatori del mercato finanziario. Senza rinunciare a espandere l'economia, il governo potrebbe – e dovrebbe - ridurre il deficit pubblico nella misura dello 0,8% come vogliono la Commissione UE, l'Eurogruppo, la Banca Centrale Europea e i mercati. Il governo Conte ha il diritto e il dovere di fare crescere l'economia nazionale e di abbandonare la politica di assurda austerità imposta dalla Commissione UE e dall'Eurozona che produce solo disoccupazione e povertà. Ma la dura lotta che si è scatenata sul deficit pubblico italiano tra il governo da una parte, e dall'altra la UE, la BCE, la diarchia franco-tedesca e i mercati finanziari, è assolutamente impari: è meglio evitarla. Difficilmente lo stato italiano può vincere questa battaglia in campo aperto, e comunque questo scontro frontale con la grande finanza e le istituzioni europee è troppo costoso. Per fortuna esiste un'alternativa meno rischiosa e più efficace per imprimere una decisa svolta all'economia e fare ripartire lo sviluppo nel rispetto delle (pur assurde) norme stabilite dai Trattati europei e dall'eurozona.

La soluzione esiste: proponiamo una manovra espansiva molto innovativa ma concretamente praticabile ed efficace, che non potrebbe essere giuridicamente contestabile da parte della UE e che sarebbe con ogni probabilità promossa dalla BCE e dai mercati.

Per finanziare il suo programma economico, e più in generale per rivitalizzare l'economia, il governo italiano potrebbe emettere titoli utilizzabili per avere sostanziosi sconti fiscali (non subito, ma al quarto anno dall'emissione). Il governo dovrebbe assegnare questi Titoli di Sconto Fiscale a imprese, famiglie e enti pubblici.


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Punto Critico: Fondi pensione e welfare contrattuale: affare o trappola?

puntocritico

Fondi pensione e welfare contrattuale: affare o trappola?

di Punto Critico

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            WebLo chiamano ‘welfare contrattuale’ e sta diventando la strategia prediletta dalle aziende per pagare i dipendenti, in particolare alcune voci presenti in busta paga come gli aumenti contrattuali e i premi di produttività, riducendo il costo del lavoro. In che modo? Invece di versarle direttamente ai propri dipendenti quelle somme vengono erogate a fondi che forniscono previdenza, sanità e altri servizi integrativi rispetto al welfare pubblico oppure vengono ‘pagati’ ai lavoratori offrendo loro pacchetti di servizi che vanno dall’asilo dei bambini alla palestra fino addirittura ai ticket per la benzina. Le aziende ci guadagnano perché su quelle somme non pagano le tasse. Ma i lavoratori?

PuntoCritico ha raccolto dati e testimonianze per provare a capire questo nuovo scenario e le conseguenze di questa trasformazione.

A giudicare dai dati sull’adesione ‘volontaria’ (si tenga presente questo termine) al welfare contrattuale i lavoratori non ne sembrano entusiasti. Tanto che le organizzazioni di categoria degli imprenditori e il sindacato stanno utilizzando il grimaldello della contrattazione nazionale per finanziare fondi pensione e mutue integrative prelevando i soldi alla fonte, cioè direttamente dalle buste paga. Ma non è solo una questione economica. Per il sindacato fondi pensione, mutue integrative ed enti bilaterali stanno diventando, insieme a CAF e patronati, il volano di un nuovo modello organizzativo e un’alternativa alla crisi che lo sta investendo. Un sindacato che si sposta dalla rappresentanza e dalla contrattazione verso la gestione di pezzi di sanità, di previdenza, di ammortizzatori sociali, ma non solo.


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Roberto Finelli: L’ingombrante economia del capitale che svuota la realtà

manifesto

L’ingombrante economia del capitale che svuota la realtà

di Roberto Finelli

«Resistenze dialettiche. Saggi di teoria della critica e della cultura, di Marco Gatto» per manifestolibri

L’ultimo libro di Marco Gatto, Resistenze dialettiche. Saggi di teoria della critica e della cultura (manifestolibri, pp. 352, euro 24), approfondisce e conferma la maturità e la risolutezza teorica di un giovane autore, che si muove a mezzo tra critica letteraria, estetica, sociologia del moderno e antropologia politica, e che già ha scritto, in tale ambito, opere significative come Frederic Jameson. Neomarxismo, dialettica e politica della letteratura (2008), Glenn Gould. Politica della musica (2014), Nonostante Gramsci. Marxismo e critica letteraria nell’Italia del Novecento (2016).

LA TESI DI FONDO che anima la ricerca di Gatto, confermata in questo nuovo libro, è che il congedo dalla soggettività che ha caratterizzato le presunte filosofie dell’emancipazione degli ultimi decenni, come in primo luogo quella dell’anarchismo rizomatico di Gilles Deleuze e di quelle iscrivibili nell’orizzonte di una valorizzazione postmodernista della soggettività liquida e relazionale, anziché essere prospettive di critica e di superamento del capitalismo, ne siano state, al contrario, «fattori di legittimazione sul piano del senso comune e della coscienza intellettuale più diffusa».


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Augusto Illuminati: Rousseau, l’origine o l’inizio secondo Althusser

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Rousseau, l’origine o l’inizio secondo Althusser

di Augusto Illuminati

Da poco pubblicati per la collana “Althusseriana” dell’editore Mimesis gli scritti di Louis Althusser sul materialismo di Rousseau aprono il concetto di “causalità strutturale” verso il mondo della contingenza e degli accidenti che costituiranno il cuore della stagione del materialismo aleatorio

Nella benemerita collana Althusseriana di Mimesis, diretta da Maria Turchetto e Vittorio Morfino, sono stati tradotti, prima dell’estate e poche settimane fa, due nuovi inediti di Louis Althusser, Le vacche nere. Intervista immaginaria (il disagio del XXII congresso), curato da G.M. Goshgarian, e La contingenza dell’inizio. Scritti sul materialismo di Rousseau, a cura di Stefano Pippa. Mentre il primo ha un notevole valore storico e biografico, concernente il sofferto rapporto del filosofo con il Pcf e la sua severa valutazione dei documenti congressuali del 1976, il secondo è di ben maggiore rilievo teorico, raccogliendo i principali studi sul pensiero del Ginevrino e gettando luce sulla formazione dei cruciali concetti di “congiuntura” e “incontro”.

La contingenza dell’inizio comprende Lo statuto della storia in Rousseau, ricavato da un corso più generale sui problemi di filosofia della storia del 1955-56, integrato con appunti degli uditori; due estratti (sul II Discorso e sul Contratto sociale) dal corso del 1965-66 su Rousseau e i suoi predecessori; il corso in tre lezioni su Rousseau del 1972.


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Riccardo Realfonzo: Crisi dell’eurozona, competitività e manovra 2019

economiaepolitica

Crisi dell’eurozona, competitività e manovra 2019

di Riccardo Realfonzo

Manovra 2019 | Legge di stabilità | Presentiamo di seguito, con alcune note esplicative, le slides della conferenza tenuta da Riccardo Realfonzo al convegno dell’associazione Asimmetrie “Euro, mercati, democrazia 2018”, svoltosi a Montesilvano l’11 novembre 2018

manovra
20191. La crisi dell’eurozona

L’Unione monetaria europea si presenta oggi come una unione incompleta. Abbiamo una moneta unica ma non una banca centrale che funzioni da prestatore di ultima istanza (garantendo sempre l’acquisto di titoli del debito pubblico e quindi assicurando l’impossibilità del default degli Stati dell’Unione). Inoltre, non abbiamo un bilancio significativo dell’Unione né una politica fiscale unitaria e dotata di strumenti di debito dell’Unione (es.: eurobond) e di meccanismi redistributivi che riparino i Paesi aderenti dagli shock che li colpiscono in modo asimmetrico. Si tratta di scelte politiche che hanno avuto come conseguenza la forte dinamica degli spread tra i rendimenti dei titoli del debito pubblico e che hanno accentuato i processi spontanei di divergenza che portano lo sviluppo a concentrarsi in alcune aree di Europa.

Unione incompleta: La speculazione, La crisi dell’eurozona (SLIDE 1)


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Iside Gjergji: Razzismo di Stato e Capitalismo

lavocedellelotte

Razzismo di Stato e Capitalismo

Django Renato intervista Iside Gjergji

L’attuale fase politica segnata dal governo Lega-5Stelle, un governo che ha il suo marchio di fabbrica nella manipolazione di temi reazionari e in primis del razzismo per coprire la sua sostanziale subalternità al grande capitale e all’UE capitalista, impone un approfondimento teorico e politico, necessario anche nella misura in cui l’opposizione legata all’associazionismo o alla “sinistra” tradizionale spesso non riesce ad andare oltre un astratto anti-razzismo (se non cede, addirittura, alla retorica del “controllo dell’immigrazione”). In questo solco, abbiamo intervistato Iside Gjergij, sociologa (attualmente tiene un corso alla Stanford University), ma soprattutto compagna, impegnata da tempo nello studio dei legami tra migrazioni, razzismo, politiche di Stato e capitalismo (qui sono disponibili alcuni suoi lavori). Giovedì la seconda parte dell’intervista

g0000009LVDL: Nel senso comune il razzismo è concepito come l’ “idea della superiorità biologica di una razza su un’altra”, come un fenomeno strettamente culturale, magari risultato del difficile incontro tra popoli, dell’ignoranza etc., dal quale possono al limite derivare determinate politiche statali. Sul piano storico invece il rapporto sembra ribaltato: il razzismo viene teorizzato per la prima volta quando gli europei entrano in contatto con i popoli indo-americani, la cui inferiorità è giustificata in quanto essi non basavano la propria convivenza sulle istituzioni che all’epoca si affermavano nel vecchio continente (agli albori dello sviluppo capitalistico): la proprietà privata e lo Stato territoriale. Anche oggi il rapporto Stato-Razzismo è più stretto di quanto appare; infatti autori come te non parlano mai di Razzismo in astratto, ma di Razzismo di Stato: potresti approfondire questo concetto?

ISIDE: C’è una frase, attribuita al poeta basco Miguel de Unamuno, che si ripete e diventa virale sui social ogniqualvolta vi è la necessità di comprendere e opporsi a un episodio razzista: «Il fascismo si cura leggendo e il razzismo si cura viaggiando». Al di là delle intenzioni del poeta, la frase è storicamente falsa, oltre che fuorviante. Falsa perché il razzismo contemporaneo non ha a che fare, in primo luogo, con le credenze, l’ignoranza e l’alterità, e fuorviante perché, nascondendo le radici storico-materiali del razzismo contemporaneo ci indica, come piano di opposizione a esso, soltanto quello culturale. Il danno che ne deriva, da un punto di vista politico, è enorme.


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Mimmo Porcaro: Il Partito, finalmente!

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comune

Il Partito, finalmente!

di Mimmo Porcaro

Per anni ci siamo rimbambiti a forza di movimentismo, orizzontalismo, apologia della rete. Ma nonostante le pretese emancipative degli uni e degli altri, le diseguaglianze di classe non hanno fatto un passo indietro, né sono mutati i rapporti tra dirigenti e diretti nelle nuove o vecchie organizzazioni politiche. Vecchie burocrazie, nuovi capetti, pletore di referendum online non solo non hanno fatto fare passi avanti alla democrazia interna (anzi), ma soprattutto non sono stati in grado di produrre uno straccio di pensiero politico adeguato alle esigenze di questa difficilissima fase storica.

Per fortuna qualcuno (mi riferisco a Paolo Gerbaudo e ad Aristoteles) ha ricominciato a parlare di partito. Finalmente! Piuttosto del superamento immaginario del verticismo e piuttosto delle ubriacature di democrazia diretta, che nascondono sempre gerarchie occulte e producono paralisi decisionali o colpi di mano decisionisti, meglio riprendere in considerazione la vecchia forma partito, darne per scontati i limiti (se ne dovrà discutere a lungo, ma dopo…), attrezzarsi a contrastarli , ma intanto ragionare sulle performance politiche che tale forma ha consentito, e che potrebbe riprodurre.


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Frateblu: Il successo politico dei sovranisti: una conseguenza delle disuguaglianze?

eticaeconomia

Il successo politico dei sovranisti: una conseguenza delle disuguaglianze?

di Frateblu

Una recente pubblicazione di Counterpoint e Open Society European Policy Institute raccoglie vari contributi che si chiedono se la recente ascesa politica nel Vecchio Continente delle forze politiche autodefinitesi sovraniste sia stata determinata da vecchie e nuove disuguaglianze economiche e da differenze culturali. La risposta, implicita o esplicita, tratteggiata dai vari autori, è affermativa. E, nella loro presentazione, i due curatori– Fieschi e Grabbe – chiariscono che il filo conduttore della pubblicazione consiste nel tentativo di identificare le condizioni economico-sociali e le disuguaglianze che hanno permesso la crescita delle forze populiste nell’urna e accresciuto la loro capacità di condizionare l’opinione pubblica. L’etichetta populista, molto friabile, come già documentato sul Menabò da Antonello Ciervo e Debora Di Gioacchino, negli intenti dei curatori comprende gruppi autodefinitisi sovranisti come AfD, Lega, FN nonché la politica di Trump negli USA.

Questi soggetti politici, e i loro slogan, derivano la propria forza dalla capacità di indirizzare i risentimenti e le ansie contro le élites a scapito delle minoranze e dei segmenti sociali più deboli. Il tema delle migrazioni si presta perfettamente allo scopo poiché veicola diversi tipi di risentimento: insicurezza economica, differenze culturali e timori identitari. Più specificamente vengono individuati quattro temi ricorrenti nelle campagne elettorali di queste forze politiche:


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Giuseppe Masala: Europa. Il gioco del cerino dei poteri in crisi

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Europa. Il gioco del cerino dei poteri in crisi

di Giuseppe Masala

Il contesto dell'impuntatura europea sui 5 miliardi di scostamento italiani, mentre corrono crisi nordeuropee da migliaia di miliardi di euro

Diciamoci le cose come stanno: rompere le scatole all'Italia per uno sforamento (sulle previsioni econometriche) dello 0,5% del rapporto deficit/pil dell'anno fiscale 2019 può essere letto in due modi diversi: il primo è che a Bruxelles siano completamente matti oppure significa che è partito il gioco del cerino per fare in modo che il più fesso si bruci le dita.

In altri termini, non si può creare ad arte una crisi per pochi miliardi di euro per un'impuntatura su quale sia il modello econometrico più corretto. Viene da pensare che ci sia qualcosa sotto, e seguendo l'insegnamento di Leonardo Sciascia che diceva di guardare il contesto forse possiamo anche arrivare a capire.

La Germania è sotto schiaffo da parte degli USA per la guerra commerciale, le sue banche più importanti Deutsche Bank e Commerzbank sono dei veri e propri crateri senza fondo, la Francia è in piena rivolta contro il suo presidente, i paesi del Nord Europa hanno il sistema bancario investito da un enorme scandalo di riciclaggio di danaro sporco (Danske Bank), le aziende dell'automotive tedesca sono sotto tiro per lo scandalo Diesel Gate, la Renault sta rischiando l'arresto in Giappone del suo presidente e questo potrebbe rompere il matrimonio Nissan-Renault, la Bayer verrà travolta dalle richieste di risarcimento danni per un pesticida cancerogeno utilizzato in USA dalla controllata Monsanto.


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Mauro Armanino: Giorni di sabbia. Ostaggi e scomparsi nel Sahel

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Giorni di sabbia. Ostaggi e scomparsi nel Sahel

di Mauro Armanino

 

Niamey, novembre 2018. Gli antichi avevano capito tutto. I giorni si misurano con la sabbia. Non c’è nulla di più naturale e consono che contare il tempo con la sabbia che scorre, come in una clessidra, dall’alto al basso. Col tempo si imparò ad usare l’acqua che, in modo più preciso, marcava le ore del giorno e della notte. La sabbia e l’acqua si assomigliano. In entrambi gli elementi la vita si nasconde e per momenti scompare alla vista dei più. Alcuni per qualche mese, altri per sempre. La sabbia del Sahel è fatta di giorni che scorrono dei quali si perde la memoria e nessun calendario ha saputo, finora, contarli.

Fanno 500, i giorni di sabbia per 39 persone, ragazze per la più parte, rapite nella regione di Diffa, nel sud-est del Niger, pure lui fatto di sabbia. Quasi tutte avevano meno di vent’anni dal giorno della sparizione, il 2 luglio del 2017. Oltre un anno senza notizie apprezzabili e con la consueta fedeltà è solo la sabbia che continua a scorrere e contare le ore e i mesi di assenza dal villaggio di Ngalewa. Per l’amico missionario Pierluigi Maccalli sono giusto due i mesi che la sabbia ha messo da parte per abitudine. Anche in questo caso non c’è che lei, la sabbia, a rimanere come testimone del tempo.

Nel Sahel abbiamo tutti la stessa sabbia che seppellisce sommersi e salvati. Non ci fa mai mancare la sua sottile e pervasiva presenza.


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tonino

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Nov 28, 2018, 10:26:30 AM11/28/18
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Roberto Lampa:Argentina: torna il liberismo. Se ne era mai andato?

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Argentina: torna il liberismo. Se ne era mai andato?

di Roberto Lampa

Per capire il ritorno prepotente della crisi economica in Argentina vanno analizzate le scelte scellerate del governo di centro-destra di Macri ma anche i limiti del cosiddetto ciclo progressista (o populista) dei governi Kirchner

pesos 2
990x554“Argentina di nuovo a rischio: possibile default in stile 2002” (Il Sole 24 Ore, 4 settembre)

“L’Argentina sprofonda nella crisi” (Financial Times, 26 settembre)

“Gli investitori farebbero bene a stare alla larga dall’Argentina” (Wall Street Journal, 4 ottobre)

Tra titoloni apocalittici e resoconti di stampa sempre di più simili a necrologi, l’Argentina è tornata prepotentemente a far parlare di sé. Nell’ultimo anno il valore del peso argentino è precipitato più di ogni altra valuta al mondo (il tasso di cambio con il dollaro è aumentato del 122%), la produzione industriale è in caduta libera (-5,6% in agosto), la disoccupazione è ormai prossima al 10% (nonostante le controverse statistiche argentine considerino occupati anche i titolari di partite Iva e coloro i quali percepiscono un sussidio di lavoro), e ben il 30% della popolazione è tornata a vivere sotto la soglia della povertà.  Se da un lato ciò non può certo sorprendere i lettori più attenti delle tormentate vicende latino americane (negli ultimi 200 anni, ben sette sono stati i default argentini), dall’altro rimane molto difficile spiegare come sia stato possibile che un paese con un debito estero prossimo allo zero passasse a mendicare un accordo di oltre 50mila milioni di dollari – per di più firmato in condizioni emergenziali e a dir poco sfavorevoli – con il Fondo Monetario Internazionale, in meno di tre anni.

Tra le conseguenze del default del 2001, il più grande della storia del capitalismo (causato dall’impossibilità del paese di far fronte ad un’enorme mole di debito emesso in dollari statunitensi e che aveva ridotto oltre il 50% dei suoi abitanti a vivere sotto la soglia di povertà),  ve ne era stata infatti almeno una (parzialmente) positiva: il sostanziale divieto per l’Argentina di emettere bond nei mercati finanziari internazionali fino a che non fosse stato raggiunto un accordo con tutti i creditori vittime dei c.d. tango bond.


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Michele Castaldo: Francia, novembre 2018: altro che ‘900

lacausadellecose

Francia, novembre 2018: altro che ‘900

di Michele Castaldo

5bf0c50da6f388263f8b460a“Così dunque il tempo modifica la natura del mondo, […]Impotente a produrre ciò che prima poteva, ma capacedi creare quel che prima non poteva”
Tito Lucrezio Caro

Che succede in Francia? Una protesta spontanea di comuni cittadini che indossano gilet gialli come segno di identificazione e scendono in piazza bloccando strade, autostrade, centri urbani e addirittura depositi di carburante e raffinerie. Il motivo è fornito dall’aumento del prezzo dei carburanti, ma poi strada facendo diventa un movimento di opposizione contro le élite e contro la riduzione del potere d’acquisto, contro le tasse e le imposte, i salari troppo bassi e i servizi pubblici non abbastanza efficienti. Altrimenti detto: è lo scoppio improvviso di un malessere che covava sotto la cenere.

Sgomento e frustrazione fra i commentatori dei notiziari, la stampa è allarmata, cominciano le solite girandole delle tavole rotonde e dei talk show e l’attenzione si focalizza immediatamente su due questioni: a) un movimento improvviso; b) un movimento senza leader. E si cerca immediatamente un paragone con il movimento che per oltre un secolo ha caratterizzato la lotta degli oppressi e sfruttati in Occidente, quel movimento che fu catalogato come novecentista, ovvero quello che partì come Quarto stato nella Francia repubblicana, in Inghilterra, poi successivamente negli Usa e così via, fino all’esaurirsi con la fine degli anni ’80, sancito dalla caduta del muro di Berlino e dalla dissoluzione dell’Urss.

A mio parere fanno bene a preoccuparsi i pensatori e intellettuali filo-sistema, perché siamo ad una straordinaria svolta storica, si avete capito bene, una straordinaria svolta storica, lontana anni luce dal ‘900 e dalle sue mobilitazioni affluenti nei confronti di un sistema – un modo di produzione – che cresceva, e una parte di esso, il proletariato, chiedeva quota parte per il suo contributo allo sviluppo.


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Il cuneo rosso: La falsa sfida di Lega&Cinquestelle all'Unione europea

cuneorosso

La falsa sfida di Lega&Cinquestelle all'Unione europea

E la vera sfida da lanciare al governo, all'Ue e ai "mercati"

di Il cuneo rosso

shutterstock 102405310 custom 0Ci siamo: la Commissione europea boccia la finanziaria del governo Salvini/Di Maio e i due demagoghi a pettinfuori (o quasi) giurano: non retrocediamo di un millimetro. Su tutto possiamo transigere, sulla difesa dei poveri e dei pensionandi no. Prima i proletari! Salvini-Di Maio/Lega-Cinquestelle in armi contro la perfida UE, dunque. Avanti fino in fondo, sia quel che sia. E boia chi molla.

 

Che c'è di vero in questa sceneggiata meneghino/napoletana?

Per l'essenziale, nulla.

Perché:

1) il Fiscal Compact, il patto strangolatorio inserito in Costituzione che impone il pareggio di bilancio e il dimezzamento del debito di stato, non viene in alcun modo messo in discussione. Anzi non viene neppure nominato;

2) perché il Def (Documento di economia e finanza) del governo in carica garantisce per i prossimi anni l'avanzo primario; garantisce cioè, al pari dei precedenti governi, che lo stato spenderà meno di quanto incasserà. E lo farà per tutelare al meglio i suoi grandi creditori-piranha (quest'anno incassano 62 miliardi di interessi), cioè proprio i famigerati mercati e/o investitori, quelli di cui i "nemici" Juncker e Moscovici sono portaborse e portavoce;


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Stefano Fassina: Investimenti pubblici e lavoro di cittadinanza per ridurre spread e rispondere a Bruxelles

patriaecostituz

Investimenti pubblici e lavoro di cittadinanza per ridurre spread e rispondere a Bruxelles

di Stefano Fassina

“La stragrande maggioranza dei Comuni italiani ha progetti canteriabili. Gli investimenti pubblici, nonostante le litanie degli editorialisti liberisti impermeabili alla realtà, sono la componente più efficace per dare ossigeno all’economia reale. Allora, metà della dotazione prevista per il cosiddetto “Reddito di Cittadinanza” andrebbe allocata su un “Piano per il lavoro”, concentrato nel Mezzogiorno, finalizzato alla messa in sicurezza del territorio, delle scuole e degli ospedali; alla rigenerazione delle periferie; a un programma per l’edilizia residenziale pubblica; al finanziamento di una strategia industriale per la riconversione ecologica dell’economia.”

Che cos’è il “Lavoro di Cittadinanza“?

“Certo, un’integrazione al reddito familiare per arrivare a 780 euro mensili è estremamente rilevante per chi è in condizioni di povertà. Rispetto a tagli di trasferimenti e investimenti pubblici degli ultimi due decenni, è un salto di qualità politico e economico. Ma possiamo rassegnarci all’assistenza per milioni di persone, in specie giovani qualificati, potenzialmente in grado di contribuire attivamente alla propria comunità drammaticamente sofferente per tanti bisogni insoddisfatti?”

* * * *

L’apertura da parte della Commissione europea della procedura per violazione della regola del debito pubblico era inevitabile, dato lo scostamento dagli obiettivi del Fiscal Compact.


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Andrea Zhok: Gli eco-colpevoli

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Gli eco-colpevoli

di Andrea Zhok

In Francia da giorni va in scena una delle sempre più frequenti incarnazioni dello spirito dei tempi (abituatevi, è appena cominciata).

Il governo e il presidente francese Emmanuel Macron hanno deciso di andarci giù duri contro la “racaille”, come la definiva il suo predecessore Sarkozy, la plebaglia che si oppone alla “tassa ecologica”. E vivaddio, quanto bruto e analfabeta funzionale devi essere per opporti ad una cosa proverbialmente buona come una “tassa ecologica”?

Ciò che sfugge a Macron, proprio come accade similmente a tutte le sedicenti ‘elite’ in giro per l’Europa, è la propria distanza, oramai direi ontologica, dai popoli che governano.

E’ ovvio che una tassa che colpisce il carburante per la macchina non tocca minimamente proprio i ceti che una tassa del genere neanche la noterebbero: il ceto professionale e l’alta borghesia che abita nei centri storici delle grandi città e che può permettersi di andare a lavorare a piedi o in bici (esibendo la propria ‘ecofriendliness’).

Si tratta invece di una tassa che colpisce la massa di coloro che vivono in aree poco o nulla servite, quelli che vivono nei sobborghi delle grandi città, dove gli immobili hanno prezzi tollerabili, e che hanno come unica connessione al posto di lavoro e al resto del mondo l’automobile (magari un’automobile vecchia, puzzolente, manifestamente ‘eco-colpevole’).


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Angelo Foscari: Dopo il consenso. L'Europa terreno di scontro fra paradigmi

palermograd

Dopo il consenso. L'Europa terreno di scontro fra paradigmi

di Angelo Foscari

[Non una Recensione, ma una Presentazione dal (mio) punto di vista ‘politico’ del libro di Saraceno, per mettere a fuoco il dibattito in occasione della sua presentazione al circolo ARCI Porco Rosso. Qui le informazioni sulla presentazione. AF]

“Solo la fede nell’esistenza di un equilibrio ottimale e universale propria della teoria neoclassica porta a eliminare l’aggettivo da ‘scienza sociale’; solo che così facendo si svilisce lo studio dell’economia, la si trasforma in scienza inutile”.

È soltanto alla penultima pagina del suo nuovo libro (La scienza inutile, pubblicato dalla LUISS University Press) che Francesco Saraceno – vicedirettore dell’OFCE (Observatoire Français des Conjonctures Économiques) di Parigi, dove insegna macroeconomia internazionale ed europea – rende esplicito il senso del titolo; ma tutte e 171 le pagine in cui si sviluppa il suo discorso – rigoroso e insieme perfettamente accessibile al lettore non specialista – sono animate da una polemica contro il ‘Nuovo Consenso’ che tra gli anni Ottanta e Novanta ha prevalso nella comunità degli economisti. In base a tale Consenso – detto in estrema sintesi – il compito della politica economica fondamentalmente consisterebbe nell’eliminare, attraverso “riforme strutturali”, tutte quelle “rigidità” di prezzi e di salari riconducibili agli agenti economici che “non allocano in modo ottimale il proprio consumo su diversi periodi della loro vita”, determinando imperfezioni del mercato che mettono capo ad assetti socio-economici caratterizzati da una persistente disoccupazione involontaria.


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Jacques Sapir: I “giubbotti gialli” e la rabbia delle masse popolari

vocidallestero

I “giubbotti gialli” e la rabbia delle masse popolari

di Jacques Sapir

Jacques Sapir commenta la rivolta dei giubbotti gialli in Francia, le sue cause profonde, le sue caratteristiche e i possibili sviluppi. Non si tratta di una semplice protesta fiscale: dietro c’è una prolungata esasperazione e un forte sentimento di ingiustizia che, al di là di organizzazioni partitiche o sindacali, individua nell’altezzoso presidente, nel suo establishment e nella sua corte dei francesi “bobo”  il suo antagonista naturale. Qualsiasi sarà l’evoluzione del movimento, a breve o a medio termine per il governo francese è l’inizio della fine

Il 17 novembre, il giorno dei “giubbotti gialli”, è stato un enorme successo, con oltre 2.000 posti di blocco contro i 1.500 che erano stati annunciati. I dati sulla partecipazione diramati dal ministero degli Interni sembrano ampiamente sottovalutati. Purtroppo questo successo è stato oscurato dalla morte di una manifestante e dai molti feriti, nella maggior parte dei casi dovuti ai tentativi di forzare il blocco con le auto. Questo successo sfida i movimenti politici e i sindacati. Se la maggioranza (LaREM, sigla de La République en marche) con i suoi giornalisti su commissione lo presentano come un fenomeno odioso ed esecrabile, sarebbe invece necessario farsi qualche domanda sul significato di questo movimento e le sue possibili conseguenze.


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Gruppo Exit!: Una critica del capitalismo per il XXI secolo

blackblog

Una critica del capitalismo per il XXI secolo

Con Marx, oltre Marx: il progetto teorico del gruppo «Exit!»

di Gruppo Exit!

detour4A partire dalla fine degli anni '80, si assiste, su scala mondiale, all'agonia del marxismo, del socialismo, del movimento operaio e dei movimenti di liberazione nazionale. Per quel che riguarda il classico Stato sociale borghese, ormai è andato in rovina, e lo ha fatto nello stesso momento in cui il paradigma keynesiano è diventato solo una nostalgia insieme ai regimi dello «sviluppo» del Terzo Mondo , che crollano in quelle che sono le loro varianti filo-occidentali. Il vecchio antagonismo: riforma o rivoluzione, che è stato dominante in seno alla sinistra, non ha più senso, dal momento che lo sviluppo ed i movimenti sociali non condividono più alcun orizzonte comune. Dappertutto, i resti delle istituzioni rimaste a seguito delle vecchie lotte sociali rivendicative issano la bandiera bianca della capitolazione. Il concetto di «riforma sociale» si è trasformato nel suo contrario, ed è stato semanticamente investito dalla controriforma neoliberista che, poco a poco, liquida quelle che sono state le acquisizioni sociali, il sistema previdenziale ed i servizi pubblici. Il paradigma neoliberista non è più un punto di vista particolare, bensì costituisce un consenso che va al di là dei partiti e che penetra in gran misura la sinistra. E la resistenza diventa sempre più debole. Anche i grandi scioperi e i pochi movimenti sociali che esplodono qua e là si concludono regolarmente con la sconfitta e la rassegnazione. Sembra che il capitalismo abbia vinto su tutta la linea. E non solo in quanto potere repressivo esterno, ma anche all'interno dei soggetti stessi. La pretesa «legge naturale» del mercato, e l'universalità negativa della concorrenza, nonostante le loro devastanti conseguenze, umilianti ed insopportabili, vengono viste come se fossero delle condizioni insuperabili dell'esistenza umana. Più appare chiaro che quest'ordine sociale planetario equivale all'autodistruzione sociale ed ecologica, più gli individui si aggrappano con tutte le loro forze alle categorie ed ai criteri di questa forma negativa di socializzazione, che ormai hanno interiorizzato.


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Anna Angelucci: Scuola e lavoro: l’uomo filosofo e il gorilla ammaestrato

roars

Scuola e lavoro: l’uomo filosofo e il gorilla ammaestrato

di Anna Angelucci

Gorilla ammaestratoMi convince molto l’affermazione con cui Roberto Ciccarelli, autore di Capitale Disumano. La vita in alternanza scuola lavoro, apre le sue riflessioni: “Siamo tutti in alternanza scuola lavoro. Non solo il milio­ne e mezzo di studenti delle scuole superiori obbligati a partecipare a un nuovo esperimento sociale, il più grande nella storia della scuo­la italiana”[1].

Siamo tutti in alternanza scuola lavoro: perché è altissima la percentuale di giovani e meno giovani, in Italia – diplomati, laureati, specializzati – che vivono in una condizione di precarietà professionale, che svolgono attività sottodimensionate rispetto alle proprie qualifiche e titoli di studio; lavori spesso occasionali o su richiesta, quasi sempre sottopagati e non di rado non remunerati, soprattutto quando si tratta di lavoro intellettuale, con rapporti a brevissimo termine (3 mesi la media), privi di tutele contrattuali nel presente e di prospettive di prosieguo nel futuro. E che nell’alternanza tra un lavoretto e un altro (un Mc Job e un Bullish Job, come efficacemente vengono definiti oggi lavori dequalificati o del tutto inconsistenti) continuano a collezionare esperienze formative potenzialmente spendibili nel mercato del lavoro: nella neolingua contemporanea si chiama ‘lifelong learning’, società dell’apprendimento costante, ma è una specie di giostra impazzita dell’accreditamento costante da cui non si può mai scendere.

Un milione e mezzo di studenti coinvolti in un massiccio esperimento sociale, davvero il più grande nella scuola italiana, di cui si possono mettere a fuoco i contorni e le implicazioni – in termini di cause e effetti – soltanto ampliando il contesto storico, economico, antropologico in cui si colloca questa gigantesca operazione biopolitica (per dirla con Foucault) o psicopolitica (per usare le parole del filosofo coreano Byung-Chul Han) di formazione dell’homo oeconomicus fin dai banchi di scuola, del soggetto auto-imprenditore, del battitore senza reti di protezione in competizione anche con se stesso, dell’essere umano come unità produttiva, dell’individuo, bambino e adolescente, configurato, psichicamente prima che professionalmente, come un’autopoietica start up.


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Salvatore Bravo: Dissoluzione del linguaggio e della comunità

sinistra

Dissoluzione del linguaggio e della comunità

L'ateismo del capitalismo assoluto in Preve

di Salvatore Bravo

gesu scaccia i mercanti dal tempio 21La violenza della globalizzazione passa per il linguaggio, nel linguaggio è sedimentato il potenziale antiumanistico del capitalismo assoluto. La comunità è il luogo dei linguaggi, delle prospettive culturali ed interpretative che si codificano in linguaggi comunicanti. Al contrario la comunità dissolta del capitalismo assoluto è oggetto di processi di dissoluzione ed alienazione per sottrazione. Le parole devono essere sottratte dalla circolazione ed al loro posto si struttura la società dei bisogni in cui circola e si espande la merce, le mercificazioni con i soli linguaggi specialistici organici alla tecnocrazia. Le parole residue (si consideri il linguaggio contratto delle nuove generazioni curvato sulla lingua inglese da televendita), sono spesso ulteriormente depauperate del loro significato attraverso operazioni accademiche e mediatiche. Il mantra delle accademie struttura il nichilismo relativistico dello scambio spesso con una confusione lessicale scientemente organizzata e nel contempo diffusa dalla rete mediatica. I poteri “dell’incultura capitale” si sovrappongono, si sostengono, si configurano per sostenere i processi nichilistici della globalizzazione. Il relativismo nichilistico attuale non è da comparare con il relativismo nichilistico delle grandi scuole di pensiero, ma semplicemente si diffonde in quanto nega ogni argomentazione e logos per catalizzarsi intorno alle sole logiche della valorizzazione alienata. Protagora il padre del relativismo, secondo la manualistica corrente, in realtà era ben consapevole degli effetti del relativismo nella comunità, pertanto alla verità universale sostituì l’utile da intendersi quale sintesi dei bisogni di tutti i membri della comunità per imedire l’atomizzazione della polis.Il nichilismo attuale argomenta con i numeri, aliena con la chiacchiera, ed è volutamente incapace di porsi in modo consapevole e critico dinanzi agli effetti esiziali del suo agire. Prevale l’azione macchinale e meccanica, il sistema si autoriproduce meccanicamente specie nelle sue stratificazioni più basse.


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redazione di Milano: Milano-Cortina 2026, un’”opportunità imperdibile”

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Milano-Cortina 2026, un’”opportunità imperdibile”

Le Olimpiadi come ipoteca

di redazione di Milano

Lunedì mattina il consiglio comunale di Calgary si è espresso unanimemente per formalizzare il ritiro della candidatura della città canadese ad ospitare le Olimpiadi invernali del 2026. La decisione è maturata in seguito ad un referendum non vincolante che lo scorso 13 novembre ha visto oltre 300 mila cittadini recarsi alle urne per esprimersi sulla questione. Il 56% dei votanti ha bocciato la proposta, e il sindaco stesso della città, convinto promotore del sì, si è trovato costretto ad ammettere come di fronte a un’affluenza tanto alta e ad un voto tanto chiaro non avesse più senso proseguire il discorso olimpico né per il 2026 né per l’edizione ventura del 2030.

Il comitato per il no ha costruito una campagna estremamente semplice, ma efficace, evidenziando quanto dal punto di vista mediatico e politico le Olimpiadi avrebbero distratto la municipalità dall’affrontare i veri problemi dei cittadini, in particolare modo aggravando la questione ambientale e quella abitativa, e divergendo risorse necessarie al sistema sanitario e alla lotta alla povertà crescente.

Nelle previsioni del comune inoltre l’impresa olimpica sarebbe stata in buona parte finanziata da un rialzo di 25 dollari annui delle imposte a carico di ogni famiglia per i seguenti 25 anni.


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Christian Marazzi: $1.43bn

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$1.43bn

di Christian Marazzi

A volte una sola cifra è in grado di riassumere in sé un insieme complesso di questioni economiche, politiche e sociali. È il caso del servizio sul debito americano, gli interessi che il governo statunitense paga ai detentori dei Buoni del Tesoro: $1.43 miliardi al giorno (sì, al giorno). Si noti che il servizio sul debito americano è 10 volte superiore a quello di ogni paese membro del G7 (con l’Italia lontana seconda). Alla fine del 2018, il totale dei pagamenti di interessi netti sul debito statunitense dovrebbe aggirarsi attorno ai $318 miliardi. Si tratta di una somma enorme ma che per il momento, a detta degli analisti, sembra gestibile. Il problema è che, se gli Stati Uniti continuano lungo questa traiettoria, entro il 2028 il costo del debito triplicherà.

È a partire dal 2008 che il debito americano sta crescendo ad una velocità decisamente superiore alla crescita del Pil, ma non c’è dubbio che gli sgravi fiscali di Donald Trump abbiano dato una bella accelerazione a questa tendenza all’aumento. Ai mercati finanziari non è dispiaciuto affatto il riequilibrio, benché parziale, dei rapporti di forza tra Repubblicani e Democratici.


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Piemme: E questo sarebbe sovranismo? 

sollevazione2

E questo sarebbe sovranismo? 

La trappola delle "autonomie differenziate"

di Piemme

Francesco Verderami, per nome e per conto dell'élite neoliberista, ci ricorda sul Corrierone di oggi che la vera sfida su cui il governo giallo-verde si gioca tutto è quella dello scontro con l'Unione europea. La pensiamo, com'è noto, alla stessa maniera. Entrambi le parti invocano il dialogo ma nessuna sembra disposta a fare sostanziali concessioni. Il rischio è che per la prima volta un paese della Ue, per di più fondatore, venga sanzionato (procedura d'infrazione per eccesso di debito). In altri termini una pistola puntata alla tempia, non più solo del governo ma del Parlamento, ergo della Repubblica e del popolo italiano.

In questo quadro risultano non solo bizzarre ma inquietanti le baruffe quotidiane tra Salvini e Di Maio. A Salvini non è bastato fare della "sicurezza" motivo di decretazione d'urgenza, né lo sgambetto in Campania ai danni dei Cinque Stelle sugli inceneritori. Ieri ha acceso una nuova miccia, quella per cui il Parlamento dovrebbe approvare già in autunno la "riforma delle autonomia regionali".

Sul tema questo blog era già intervenuto l'8 novembre lanciando l'allarme: DISFARE L'ITALIA? I DUE VOLTI DELLA LEGA.


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Pasqualina Curcio: La “mano visibile del mercato”

lantidiplomatico

La “mano visibile del mercato”

L'economista più vicina a Maduro spiega l'inflazione in Venezuela

Geraldina Colotti intervista Pasqualina Curcio

"Si tratta di una guerra economica più che di una crisi, e questo senza negare l'esistenza dei problemi. Pensiamo si tratti di una manifestazione della lotta di classe tra capitale e lavoro."

Sono ben pochi i libri di economia che, in Europa, possono vantare la presenza di oltre 200 persone durante una presentazione: tanto più se trattano un tema specialistico, considerato materia per addetti ai lavori. Solo che, nel Venezuela bolivariano, le discipline sono uscite dalle accademie per costruire il futuro, come avviene in ogni periodo rivoluzionario. Per questo, i libri dell'economista Pasqualina Curcio riscuotono un interesse inedito per i temi che trattano. Lo si è visto durante la FILVEN 2018 dove è stato presentato il suo ultimo lavoro: “Hiperinflación”, edito da Nosostros Mismos con una prefazione di Judith Valencia.

La Fiera Internazionale del libro, che si è svolta quest'anno nel centro storico di Caracas, ha esibito il più alto numero di ingressi mai registrato – quasi 650.000 in dieci giorni – riempiendo sempre le sale a ogni dibattito, e con un pubblico in maggioranza giovane. E così, nel Teatro Bolivar, dopo l'emozionante spettacolo recitato dal gruppo teatrale infantile e giovanile e ispirato a Cesar Rengifo, le parole pronunciate dal ministro della Cultura Ernesto Villegas sono apparse quantomai opportune: “I nostri lingotti – ha detto Villegas indicando i giovanissimi attori – si trovano qui, e non nella Banca Centrale”. 


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tonino

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Nov 30, 2018, 10:26:07 AM11/30/18
to sante gorini

Antonio Lettieri: L’Italia nella crisi dell’eurozona

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L’Italia nella crisi dell’eurozona

di Antonio Lettieri

Molte cose potranno accadere dopo l’accelerazione della crisi che ha seguito la svolta politica nel nostro paese. Non è facile prevederne gli esiti. Ma qualcosa è già successo. Una lunga e sfortunata fase politica dell’eurozona è al tramonto. E sarà difficile rimpiangerne la fine, dopo un decennio perduto

c613a2a49f294ed19440a87756bdf4eaApparentemente, l’attacco della Commissione europea contro il governo italiano non ha senso. L'argomento riguarda il livello del deficit di bilancio per il prossimo anno. Nel corso del confronto col governo italiano sembrava che la Commissione potesse accettare un deficit dell'1,9% del PIL. Non è andata così. Com’è noto, il progetto di bilancio definitivo presentato dal governo italiano prevede un deficit di bilancio per il 2019 del 2,4 per cento.

 

Il deficit in questione

C'è una spiegazione? Circa un terzo del deficit è finalizzato a scongiurare l'aumento dell’IVA , un vecchio vincolo assunto dai governi passati per non incorrere nelle sanzioni della Commissione europea. Circa un altro terzo del deficit è stato stanziato per finanziare il reddito di cittadinanza a beneficio dei cittadini che vivono in condizioni di estrema povertà - a condizione che accettino una delle tre offerte di lavoro provenienti dai centri per l’impiego adeguatamente rafforzati.

Un’altra parte importante del deficit è destinata alla spesa pensionistica, con l’obiettivo di consentire alle persone di almeno 62 anni e con 38 anni di contributi di poter accedere alla pensione - una disposizione mirante nelle intenzioni anche a creare mezzo milione di posti di lavoro a favore di giovani disoccupati. Una quota minore del disavanzo è destinata a incrementare il capitolo di spesa precedentemente destinato a investimenti pubblici per circa 15 miliardi rimasti inattivati.

Perché, per la prima volta nella storia dell'UE, la Commissione europea ha respinto un progetto di bilancio, minacciando di aprire una procedura di infrazione contro l’Italia?


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Emiliana Armano e Raffaele Sciortino: I lunghi Sessanta, non ancora finiti?

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I lunghi anni Sessanta, non ancora finiti?

di Emiliana Armano e Raffaele Sciortino

Introduzione a Revolution in our Lifetime, conversazione con Loren Goldner sul lungo Sessantotto, a cura di Emiliana Armano e Raffaele Sciortino, ed. Colibrì, 2018

goldneranni60           Non voglio parlare di me, ma seguire il secolo, il rumore e l’evolvere del tempo

Osip Mandel'štam

Molto è già stato scritto sul Sessantotto, di memorialistica come di analisi storico-politica, eppure a distanza di anni quel processo-evento continua a sollecitare domande e a dividere i fronti tra chi l’ha vissuto ma anche tra chi si occupa o è attivo nei movimenti sociali. Evidentemente ha lasciato qualcosa d’irrisolto, e di rilevante a tutt’oggi, se non altro perché è stato l’ultimo movimento di ribellione radicale a scala globale1.

Che cosa ha spinto i giovani degli anni Sessanta, nei più differenti contesti, alla militanza politica attiva? Quali strade, quali punti di svolta e convinzioni maturarono a supporto delle loro scelte? E che cosa ha permesso ad alcuni, pochi, di loro di diventare poi marxisti e comunisti eretici? Quali le conseguenze per i loro percorsi nei decenni successivi? E soprattutto, a distanza di oramai cinquant’anni, che cosa ci dice tutto ciò oggi per interpretare e intervenire nel presente?

Attraverso alcune conversazioni con il marxista statunitense Loren Goldner, questo libro ricostruisce il processo di politicizzazione di un giovane militante della Nuova Sinistra statunitense degli anni Sessanta, che nel 1968 partecipò all’occupazione del campus di Berkeley (è l’episodio evocato nell’immagine di copertina). Da questo racconto la conversazione si estende poi a temi che continuano ad essere meritevoli di approfondimento teorico e politico. In che maniera il movimento del Sessantotto è maturato come fenomeno globale? Quali i problemi che dovette affrontare e come cercò di risolverli? Che cosa ci dicono oggi i legami che all’epoca si strinsero, o non si strinsero, tra le lotte studentesche e quelle delle altre molteplici componenti sociali che costituivano il movimento? Ma, soprattutto, quali le rotture e quali le continuità con i cicli di lotta precedenti e successivi? Sono alcune delle questioni di fondo che vengono sollevate o per lo meno evocate.


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Jean-Claude Michéa: Lettera ai Gilets Jaunes

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Lettera ai Gilets Jaunes

di Jean-Claude Michéa

Il filosofo francese Jean Claude Michéa scrive una lettera aperta sul movimento dei gilet gialli, da lui apprezzato e sostenuto come un autentico movimento popolare che spontaneamente parte dal basso contro le politiche liberiste degli ultimi quarant’anni. Nonostante l’ottusa ostilità degli intellettuali di sinistra ecologisti e libertari e dei cani da guarda mediatici, e nonostante la cinica determinazione del governo, questo movimento, avverte Michéa, non è che l’inizio

Cari amici,

Solo poche parole molto concise e lapidarie – perché qui siamo presi dai preparativi per l’inverno (tagliare la legna, piante e alberi da pacciamare ecc). Io sono ovviamente d’accordo con tutti i vostri commenti, come con la maggior parte delle tesi espresse su Luoghi comuni (solo l’ultima affermazione mi sembra un po’ debole a causa del suo “occidentalismo”: una vera cultura di emancipazione popolare esiste anche, naturalmente, in Asia, Africa o America Latina!).

Il movimento dei “gilet gialli” (un buon esempio, a proposito, di quella creatività popolare di cui parlavo nei Misteri della sinistra) è, in un certo senso, l’esatto opposto di “Nuit Debout“. Questo movimento, semplificando, è stato infatti il primo tentativo – incoraggiato da gran parte della stampa borghese e dal “10%” (vale a dire, quelli che sono deputati ad essere, o si preparano a diventare, la leadership tecnica, politica e “culturale” del capitalismo moderno) – di disinnescare la critica radicale al sistema, concentrando tutta l’attenzione politica su quell’unico potere (seppur decisivo) rappresentato da Wall Street e dal famoso “1%”.


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Átopos Blaidd: Il proletariato del Brasile è stato sconfitto dalla democrazia, non dalla dittatura

tlaxcala

Il proletariato del Brasile è stato sconfitto dalla democrazia, non dalla dittatura

di Átopos Blaidd

Un testo da Santiago del Cile

L'estrema destra non ha mai acquisito il potere politico per sconfiggere la classe operaia e impedirle di fare la rivoluzione. Ogni volta che l'estrema destra è salita al potere, è perché la classe operaia era già stata sconfitta. Da chi? Dalla democrazia. Dal progressismo. Dalla sinistra.

Se Bolsonaro ha vinto le elezioni, è perché prima del suo arrivo tre governi successivi del Partito dei Lavoratori si erano incaricati di schiacciare ogni traccia della forza e combattività che poteva rimanere alla classe operaia del Brasile. Come nel 1970 Allende iniziò il suo mandato garantendo alla borghesia cilena che i suoi interessi non sarebbero stati minacciati, così Lula da Silva iniziò a governare nel 2003 promettendo ai grandi imprenditori e banchieri internazionali che nessuno dei loro interessi in Brasile sarebbe stato a rischio.

In effetti, Lula ha governato per garantire il pagamento del debito pubblico, assicurando al capitale un minimo di stabilità fiscale che gli consentisse di investire in sicurezza. Nessuno dei governi del PT ha modificato in alcun modo le condizioni di sfruttamento sociale e di accumulazione capitalistica in Brasile. Al contrario, tali governi sono stati sostenuti da un "ampio negoziato nazionale" volto a garantire che lo sfruttamento capitalistico potesse continuare senza intoppi.


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Andre Vltchek: Il Terremoto o la Miseria?

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Il Terremoto o la Miseria?

Cosa ha ucciso migliaia di indonesiani

di Andre Vltchek

Mentre stavo leggendo, a bordo di un volo dell’Air Canada da Città del Messico a Vancouver, il The Globe and Mail sugli orrori avvenuti per diversi giorni sull’isola di Sulawesi, ho sentito due emozioni forti e contrastanti: avrei voluto essere lì, immediatamente, “sul posto”, nella città di Palu, filmando, parlando con la gente, facendo tutto il possibile per aiutare… e allo stesso tempo, sentivo che “ero già stato lì”, così tante altre volte, tutte quelle in cui l’incubo, come quello a Sulawesi, aveva luogo in qualche parte dell’arcipelago indonesiano.

Avevo scritto di loro, l’avevo documentato, avevo inviato avvertimenti, ma non è stato fatto nulla. Il governo (o lo chiamerei piuttosto il “regime indonesiano”), è esperto nel non sentire nulla e fare nulla, ignorando tutte le critiche frontali. Lo stesso vale per le élite indonesiane. Sono ciechi e sordi, per loro l’importante è arraffare, rubare e poi non fare assolutamente nulla per il benessere del popolo indonesiano.

Nel 2004, ero lì, subito dopo lo tsunami che aveva colpito Aceh. Mi ci sono voluti solo pochi giorni per arrivare. Più di 200.000 persone erano morte! Stessa dinamica: un potente terremoto, poi lo tsunami. Beh, nessuno sa davvero quanti sono spariti, ma 240.000 sono il minimo assoluto! Un quarto di milione! Questa cifra è 100 volte maggiore di coloro che sono morti durante l’11 Settembre a New York.


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Alessandro Bartoloni: Liberalizzazione delle ferrovie: alla faccia del cambiamento!

la citta
futura

Liberalizzazione delle ferrovie: alla faccia del cambiamento!

di Alessandro Bartoloni

La separazione tra la gestione della rete e la gestione del servizio apre il mercato ferroviario alle imprese private ed estere

Si leggono sempre più spesso cronache riguardanti le frizioni tra i due contrattisti di governo, Lega e M5S. Sui temi strutturali, tuttavia, l’esecutivo è unito, confermandoci che anche l’ala “sinistra” dei grillini è totalmente allineata alle vulgate economiche dominanti e supina ai diktat UE. In attesa di un riscontro per quanto riguarda la presunta nazionalizzazione delle autostrade, la conferma ci arriva dal Ministro delle infrastrutture e trasporti, tale Danilo Toninelli, che nel consiglio dei ministri tenutosi il 20 novembre ha fatto licenziare un decreto legislativo riguardante la liberalizzazione del trasporto ferroviario. Alla faccia del cambiamento!

Ricordiamo che un decreto legislativo è un atto avente forza di legge che il governo è autorizzato ad emanare sulla base di una legge delega votata dal Parlamento. Nella precedente legislatura ne sono stati approvati ben 260. Spesso si tratta di leggi che autorizzano il governo a recepire le direttive UE, come è anche in questo caso. Nello specifico, si tratta della direttiva UE 2016/2370 del 14 dicembre 2016 il cui recepimento è stato fatto rientrare all’interno del disegno di legge (ddl) di delegazione europea presentato il 19 maggio 2017 al Senato dal precedente governo e finalizzato, appunto, a farsi delegare dal parlamento il potere di recepire vari regolamenti e direttive europee in scadenza.


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Vincenzo Morvillo: “L’ho sempre saputo”

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“L’ho sempre saputo”

Un viaggio ai confini del tempo e della storia

di Vincenzo Morvillo

BalzeraniÈ in uso, tra i grandi giornalisti bellamente accomodati alla mensa del potere, recensire, con lodi sperticate, mediocri libercoli scritti da potenti politici, ricchi signori del mondo o importanti “intellettuali” di regime, dai quali ottenere, in comodato d’uso, il diritto di parola, subordinato alla vendita della propria coscienza, della propria dignità, della propria libertà.

Noi ci pregiamo, invece, di recensire, da queste pagine, L’ho sempre saputo – ultima fatica letteraria di Barbara Balzerani, edita da DeriveApprodi – e di accomodarci accanto a questa donna che, insieme ai suoi compagni delle Brigate Rosse, quei potenti, quei signori e quegli intellettuali – tutti pateticamente rinserrati nella celebrazione narcisistica del proprio Ego smisurato – ha fatto tremare, per oltre un decennio, mettendone a ferro e fuoco le ragioni e, con esse, il sistema di rapporti di produzione e conoscenza, su cui si fondava – e ahimè, purtroppo, continua a fondarsi – il loro arrogante privilegio di comando.

Una donna forte, caparbia, finanche dura, ma non certo priva di quella tenerezza di sguardo e predisposizione alla fratellanza – sociale, mai clericale – con i reietti ammassati nelle periferie delle megalopoli, con i deportati delle banlieue, con i plebei delle baraccopoli di tutti i Sud del pianeta, che ne hanno fatto, ieri, una guerrigliera comunista; oggi, una scrittrice dalla sensibilità lacerante e crudele, dal tratto realistico e magico, dallo stile scarno e spigoloso, seppur ricercato nell’uso di una parola dai profondi echi simbolici e di costrutti densi di coltissime risonanze; e dall’impronta inequivocabilmente marxista.

Fratellanza e tenerezza, dunque, si diceva, alimentate nel silenzio sofferto delle ingiustizie del mondo. Un mondo oppresso dal furore distruttivo del capitale e del profitto, e di cui a pagare dazio sono, da sempre, proprio i dannati della terra.


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Bruno Astarian: Alcune precisazioni sull'anti-lavoro

illatocattivo

Alcune precisazioni sull'anti-lavoro

di Bruno Astarian

[hicsalta-communisation.com, dicembre 20161 ]

latocattIntroduzione

Sul concetto di anti-lavoro regna una certa confusione. Nemmeno il mio opuscolo Aux origines de l’anti-travail (Échanges et Mouvement, Parigi 2005) vi sfugge. La confusione consiste nel non specificare in maniera sufficiente questo concetto. Essa porta, da un lato, a collocare nella categoria dell'anti-lavoro alcuni comportamenti, come l'indolenza del lavoratore salariato che cerca generalmente di fare il meno possibile, oppure il fatto di preferire al lavoro la disoccupazione (indennizzata) o la vita ai margini. Queste pratiche di rifiuto del lavoro, di resistenza, sono vecchie come il proletariato, e non definiscono l'anti-lavoro moderno. Dall'altro, la confusione consiste nel ricondurre alla categoria dell'anti-lavoro delle pratiche di resistenza allo sfruttamento che in realtà sono pro-lavoro, come ad esempio il luddismo. Ora, io ritengo sia meglio riservare il termine «anti-lavoro» alle lotte della nostra epoca (a partire dagli anni intorno al '68), le quali indicano che il proletariato non è più la classe che si affermerà nella rivoluzione come la classe del lavoro egemonico, come la classe che renderà il lavoro obbligatorio per tutti e sostituirà la borghesia alla direzione dell'economia.

Per meglio comprendere la specificità che bisogna accordare al termine «anti-lavoro», è necessario rimettere la questione in una prospettiva storica. Precisiamo che in questa sede ci interesseremo alle lotte che si svolgono in fabbrica, contro le modalità abituali del rapporto fra i lavoratori ed i loro mezzi di produzione (assenteismo, sabotaggio, indisciplina in generale).

 

1. Il luddismo

Il luddismo viene spesso identificato con una reazione spontanea e rabbiosa degli operai inglesi dell'inizio del XIX secolo, contro l'introduzione di nuovi macchinari. Il fatto che abbiano distrutto delle macchine fa pensare a certe forme moderne di sabotaggio, in particolar modo nell'ambito del lavoro alla catena di montaggio. Questa valutazione, tutt'altro che esatta, spiega il fatto che il luddismo venga talvolta assimilato all'anti-lavoro.


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Massimiliano Romanello: Erosione grillina

cominfo

Erosione grillina

di Massimiliano Romanello* 

Più passano i mesi e più si fa insistente la domanda: quando finirà questo governo? Non si tratta di un interrogativo azzardato. Ci sono molti segnali di uno scontro quotidiano sempre più cruento tra le parti che compongono l’esecutivo, nonostante esso goda di circa il 60% del favore popolare e nonostante l’imbarazzante assenza di un’opposizione che riesca a proporre delle alternative politiche a breve o a medio termine.

Molte cose sono cambiate dal voto del 4 Marzo. Subito dopo le elezioni Di Maio si presentava come un leader legittimato dal 32% dei voti e parlava apertamente di politica dei “due forni”, un accenno alla possibilità di servirsi dei voti del centrosinistra o del centrodestra in base chi gli era più congeniale per portare avanti il proprio programma. Ad oggi invece la situazione è mutata: abbiamo assistito al poderoso balzo in avanti della Lega, passata secondo i sondaggi dal 17% al 32% e che ha staccato il Movimento 5 Stelle (dato al 26%), ex primo partito d’Italia, di ben 6 punti percentuali.[1]

Non si tratta di un caso, anzi è il frutto di una accorta politica portata avanti da Matteo Salvini. Per spiegare tale successo tattico, occorre analizzare le radici di due forze politiche che, aldilà di alcune forzate semplificazioni tanto di moda sui giornali, sono in realtà profondamente diverse.


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Roberto Finelli: Le due possibili teorie della soggettività in Marx

alfabeta

Le due possibili teorie della soggettività in Marx

di Roberto Finelli

Questo testo è un estratto della relazione che verrà presentata martedì 27 novembre 2018 al Goethe-Institut di Roma nell’ambito del convegno Marx e la critica del presente

Questo nostro convegno cade ultimo o tra gli ultimi alla fine delle celebrazioni di quest’anno, bicentenario della nascita di Karl Marx nel 1818. E questo duplice atto conclusivo ci consente, proprio perché scadenza finale, di accedere a una salutare cerimonia degli addii. Una cerimonia, cioè, che consenta di affrancare il nostro vivere e pensare da quei luoghi più estenuati ed esauriti, quanto a portata di senso, dell’opera di Marx, riproposti acriticamente nel corso di un secolo da molti marxismi, che continuano a costituire, particolarmente ora, gli impedimenti maggiori a un’etica e a una politica della trasformazione del nostro presente.

Una cerimonia degli addii va celebrata innanzitutto per la dipartita, cui non si può ormai non essere obbligati, dalla sesta tesi di Marx su Feuerbach, la quale com’è ben noto celebra: l’essenza dell’essere umano consiste nell’insieme dei rapporti sociali.


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Stefano Poggi: Se populismo fa rima con socialismo

senso
comune

Se populismo fa rima con socialismo

di Stefano Poggi

Mentre al di qua delle Alpi la sinistra italiana si perde nel nuovo entusiasmante dibattito su sovranismo vs anti-sovranismo, nel resto del continente soffia un nuovo vento: quello del socialismo. Sull’onda dei primi successi dei socialisti statunitensi e dall’esempio di Jeremy Corbyn in Inghilterra, il socialismo sta riprendendo centralità nell’orizzonte politico delle sinistre europee.

La storia non si è d’altro canto fermata con il crollo del comunismo sovietico. La crisi economica ha dimostrato come il capitalismo rimanga un sistema alla radice malato e inefficiente. Il cambiamento climatico invita a pensare a una riconversione ecologica che solo un controllo democratico sull’economia potrà garantire. L’automatizzazione della produzione e la conseguente concentrazione di ricchezze e potere nelle mani di pochi multimiliardari rimette al centro il tema della gestione collettiva e democratica della produzione. Sullo sfondo, infine, si staglia la proiezione globale di una super-potenza quantomeno nominalmente socialista come la Cina. Insomma, tanto per motivi contingenti quanto per ragioni strutturali, il socialismo sta timidamente rimettendo piede nel discorso pubblico occidentale.


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Eros Barone: Cavalieri, demagoghi e Popolo

sinistra

Cavalieri, demagoghi e Popolo

La satira di Aristofane parla all’Italia di oggi

di Eros Barone

CORO

O popolo, tu hai davvero un bel potere dal momento che tutti gli uomini ti temono come un tiranno! Ma sei mutevole e se qualcuno ti adula e ti inganna, tu ci trovi gusto e te ne stai sempre a bocca aperta davanti a chi parla; ma il senno che hai svanisce.

Aristofane, I cavalieri.

Nel prologo dei Cavalieri due servi di Popolo (rappresentanti della classe dei cavalieri e controfigure di Nicia e Demostene, generali che si erano distinti nel corso della guerra) si lagnano dei raggiri di Paflagone (eteronimo attribuito da Aristofane a Cleone, capo del partito democratico) e dei suoi soprusi contro i compagni. Ma vi è un oracolo che preannuncia che Paflagone, questo servo divenuto tiranno grazie al suo carattere arrogante, alla sua linguaccia e alla protervia con cui gestisce il potere,sarà rovesciato da un salsicciaio (per cogliere l’ironia di questa attribuzione onomastica si consideri che il nome di Paflagone si connette in greco al verbo ‘ribollire, gorgogliare’, laddove è evidente l’allusione all’eloquenza demagogica di Cleone). In quel mentre sopraggiunge il Salsicciaio, recando le interiora che vende in giro per la città, cosicché i due servi gli rivelano la profezia che lo riguarda.


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tonino

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Dec 2, 2018, 3:30:04 PM12/2/18
to sante gorini

Francesco Coniglione: Non è l’ignoranza a generare diffidenza per la scienza, ma il burionismo

roars

Non è l’ignoranza a generare diffidenza per la scienza, ma il burionismo

di Francesco Coniglione

sordi marchese 272787 2Nelle polemiche sulla scienza in Italia si sono contrapposte come figure paradigmatiche da una parte Barbara Lezzi, dall’altra Roberto Burioni; la prima come la rappresentante politica adeguata dell’ignoranza che alberga negli italiani in merito alle questioni scientifiche, il secondo come la sana e autorevole voce della scienza, che dovrebbe risvegliare dal sonno dogmatico gli italiani e distoglierli da insane idee antiscientifiche. Il presupposto di questa rappresentazione è che la scienza fa fatica a farsi strada a causa della indigenza culturale degli italiani che, educati a base di retorica e materie letterario-umanistiche, non riescono proprio a capire nulla di scienza; come si suol dire, proprio “non ce la fanno”, nonostante gli eroici sforzi di divulgazione degli Angela. E la terapia è semplice: massicce dosi di tecnologia, scienza, matematica, da somministrare nelle scuole e in ogni occasione.

Purtroppo questa rappresentazione è falsa, non tanto perché Burioni sia un cattivo scienziato o un ciarlatano (anzi non mettiamo in discussione la sua competenza e caratura scientifica), ma perché a monte di tale quadro v’è una carenza di riflessione sulle origini della diffidenza verso la scienza e sul modo in cui questa dovrebbe essere comunicata. E inoltre, non è affatto vero che sia una peculiarità italiana l’ignoranza scientifica e l’atteggiamento di rifiuto verso la scienza, essendo questo un problema che esiste da decenni e del quale si sono occupati i governi nazionali e gli organismi internazionali, sin dal momento in cui è stata impostata la Strategia di Lisbona (2000). Già in questa occasione era emersa la consapevolezza della necessità di riannodare i nessi che legano democrazia, pubblico e scienza, in quanto «l’immagine che gli europei hanno della scienza si è deteriorata rispetto al passato.


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Thomasmuntzerblog: L’Europa difende i risparmi delle famiglie (e allora lo spread?)

thomasmuntzer

L’Europa difende i risparmi delle famiglie (e allora lo spread?)

di Thomasmuntzerblog

4720N8D 593x443Corriere Web SezioniIn questi giorni, in Francia, alcune decine di migliaia di persone hanno protestato in maniera auto-organizzata in seguito all’aumento dei prezzi del carburante. La protesta coinvolge in larga misura persone che abitano in zone periferiche delle grandi città e non possono fare a meno di spostarsi in macchina per andare a lavorare. Ciò che trovo più ipocrita della misura del governo francese è la giustificazione secondo cui bisogna disincentivare le persone dal prendere o comprare la macchina perché inquina. Credere alla giustificazione verde del provvedimento denota infatti una certa superficialità, per il semplice fatto che chi è obbligato a utilizzare la macchina, continuerà a prenderla se non viene potenziato il trasporto pubblico prima di tassare macchine e/o carburanti. L’unico effetto quindi sarà quello di impoverire queste persone senza alcun beneficio per l’ambiente. Sarà un effetto collaterale o è il vero fine del provvedimento? Per capirlo bisognerebbe tornare ai fondamentali…

Invece di occuparci delle vicissitudini d’oltralpe vorremmo però affrontare tre storielle bizzarre che trovano molto spazio nei media nostrani e che meritano un po’ di attenzione:

1) l’innalzamento dello spread è dovuto alla perdita di fiducia dei mercati;

2) l’Europa garantisce i risparmi delle famiglie italiane;

3) un deficit eccessivo mette a rischio la stabilità dell’intera Eurozona.

Stando a queste storielle, il governo dovrebbe retrocedere sulle cifre della manovra e obbedire a Moscovici. Dovrebbe farlo

1) per riguadagnare la fiducia dei mercati e finanziare la sua spesa;

2) salvaguardare i risparmi;

3) non mettere in pericolo l’Eurozona,


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Fabio Ciabatti: URSS, una storia che non possiamo rimuovere

carmilla

URSS, una storia che non possiamo rimuovere

di Fabio Ciabatti

Sviluppo e declino dell’economia sovietica, a cura della redazione di Countdown. Studi sulla crisi, Asterios 2018, pp. 365, € 29,75

urssDi fronte alla rapida dissoluzione dell’URSS, con il classico senno di poi, il senso comune liberale ha decretato che la crisi era inevitabile e iscritta sin dall’inizio nelle fondamenta di un sistema sostanzialmente contronatura. Questione chiusa. E con ciò si è preteso di chiudere anche ogni prospettiva di modifica radicale degli assetti politico-economici dominanti. Che ci piaccia o no il crollo dell’Unione Sovietica ha dato un contributo essenziale a consolidare la convinzione che “non c’è alternativa” al sistema capitalistico. Non è un caso che di fronte alla crisi iniziata nel 2008, la più grave dopo quella del ‘29, siano state proposte solo pallide repliche di un riformismo keynesiano. Per tornare a parlare in modo credibile di una ipotesi di trasformazione reale sarebbe stata necessaria un’elaborazione collettiva della vicenda storica dell’Unione Sovietica. La questione, invece, è stata sostanzialmente rimossa. Ci sono però delle lodevoli eccezioni tra cui la redazione di Countdown che ha curato la raccolta di saggi dal titolo Sviluppo e declino dell’economia sovietica.

I curatori del volume hanno un consolidato gusto per la provocazione nei confronti delle più radicate convinzioni della sinistra. Cosa che traspare dal giudizio che viene dato dei soviet nell’articolo di Paolo Giussani: “Strumenti di lotta e sistemi di riferimento per la massa dei lavoratori, erano del tutto estranei al funzionamento dell’economia” e dunque non potevano essere altro che organismi adatti a un “rivoluzionamento politico”.1 La presa del potere da parte di un governo rivoluzionario è però soltanto la premessa per la gestione associata dei produttori dell’apparato produttivo e distributivo. Per raggiungere questo scopo occorrono forme politiche adeguate che dovrebbero essere elaborate, almeno in parte, nel corso della presa del potere politico.


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Giuseppe Masala: Il crollo senza fine della 'sinistra' italiana

lantidiplomatico

Il crollo senza fine della 'sinistra' italiana

Landini: "Io sono per l'ordine europeo"

di Giuseppe Masala

Davvero, molto interessante l'intervista del sindacalista Landini. Chiarisce meglio di tutti come si possa essere fascista (aggettivo volutamente provocatorio) senza rendersene conto ed essendo convinto di essere addirittura un combattente per la libertà, l'eguaglianza e la democrazia. Tutto questo capita quando si è dei faciloni, delle persone che parlano per luoghi comuni e se preferite quando non si ha la minima profondità di pensiero.

Mi riferisco alla sua frase: "Io sono per l'ordine europeo. Gli stati nazionali non possono fare quello che vogliono". Tutto bello, tutto superficialmente di sinistra: "siamo internazionalisti, siamo tutti fratelli, siamo per la pace" e via enumerando con la giaculatoria.

Peccato che bisognerebbe interrogarsi su cosa sia questo Ordine Europeo che il buon Landini dice di sostenere.

Al momento è il governo della moneta e una intricatissima serie di lacci sul governo della finanza che impedisce gli investimenti pubblici anche per la lotta alla povertà (cosa che dovrebbe stare a cuore ai combattenti per la libertà e la giustizia come Landini).

In futuro a detta dei leaders europei (a partire dalla Merkel e da Macron) dovrebbe aggiungersi il governo delle frontiere, l'esercito europeo e la politica estera comune.


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Paolo Godani: Filosofia italiana, differenza della ripetizione

alfabeta

Filosofia italiana, differenza della ripetizione

di Paolo Godani

A scorrere la lista dei libri di ambito filosofico pubblicati nel corso dell’ultimo anno e mezzo si può trovare conferma di alcune direzioni generali che da tempo sembrano caratterizzare in Italia la fragile editoria del settore.

La filosofia in Italia conferma, innanzitutto, la tendenza storica a presentarsi, per lo più, come un’indagine dell’attualità, in presa diretta sugli elementi sociali e politici del mondo contemporaneo, come si vede considerando alcuni dei testi più significativi usciti in questi ultimi mesi: Forza lavoro di Roberto Ciccarelli (DeriveApprodi), Politica e negazione di Roberto Esposito (Einaudi), Stranieri residenti di Donatella Di Cesare (Bollati Boringhieri), Crisi come arte di governo di Dario Gentili (Quodlibet), Lo sciopero umano e l’arte di creare la libertà di Claire Fontaine (DeriveApprodi), per nominarne solo alcuni, sono tutti testi che cercano di produrre categorie filosofiche a partire dalle contingenze dell’epoca.

Un secondo dato significativo, benché dalla portata ben più limitata, riguarda il fiorire degli studi che si collocano tra psicoanalisi (in particolare lacaniana) e filosofia, ovvero che sconfinano dall’una verso l’altra. Mi limito qui a segnalare due libri estremamente diversi tra loro, che pure pongono in maniera esplicita l’esigenza del dialogo tra le due discipline.


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Giovanni Principe: Come si compongono le schegge di sinistra

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Come si compongono le schegge di sinistra

di Giovanni Principe

Sciolto Liberi e uguali, Mdp spera in una vittoria di Nicola Zingaretti che aprirebbe la strada a una lista con il Pd per le europee. In un’altra formazione confluiscono Il movimento di Luigi De Magistris, Sinistra italiana e Rifondazione, che si è separata da Potere al popolo. Probabili due partiti transnazionali, uno dei Verdi a cui si assocerebbe anche Emma Bonino, e uno fondato da Varoufakis

Il prossimo 1 dicembre due avvenimenti in contemporanea dovrebbero aiutare a chiarire la configurazione dell’area a sinistra del PD alle prossime elezioni europee.

In un teatro romano si realizzerà la convergenza di alcune delle formazioni di sinistra attorno a Luigi De Magistris in risposta all’appello che ha lanciato con il suo movimento (DemA), mentre a Chianciano il congresso dei Verdi ci dirà se passerà l’ipotesi di aderire al partito transnazionale dei Verdi Europei.

A De Magistris andrà l’appoggio di Sinistra Italiana, che ha dato per concluso l’esperimento elettorale di Liberi e Uguali, e di Rifondazione Comunista, che ha ritirato il sostegno a Potere al Popolo. Se si aggiungerà anche L’Altra Europa per Tsipras, che al di là della consistenza numerica è depositaria del nome e del simbolo della lista che ha eletto tre deputati nelle scorse elezioni, si daranno le condizioni perché una lista in comune, sotto l’egida di De Magistris, possa presentarsi con quel simbolo nel contrassegno unitario così da essere esentata dal raccogliere le firme.


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Renato Caputo:Il lato oscuro dell’occidente

la citta
futura

Il lato oscuro dell’occidente

di Renato Caputo

Gli inconfessabili legami fra la “civiltà occidentale” e il fondamentalismo islamico

Secondo una delle narrazioni più diffuse dall’ideologia dominante vi sarebbe una guerra infinita, uno scontro di civiltà fra le liberal-democrazie occidentali – paladine in tutto il mondo dei diritti umani, della tolleranza religiosa, della lotta al terrorismo – e il fondamentalismo islamico.

Al momento, però, tale guerra è in atto quasi esclusivamente in Afghanistan, dove lo scontro non ha affatto i caratteri della guerra di civiltà, ma piuttosto quelli di un movimento di liberazione nazionale, egemonizzato da fondamentalisti islamici, che si batte contro una quasi ventennale occupazione del suo territorio da parte delle principali potenze imperialiste internazionali. Tanto che negli ultimi tempi si sviluppano sempre più tentativi di dialoghi e trattative fra gli Usa, in rappresentanza dell’imperialismo occidentale, e i Talebani in rappresentanza del movimento di liberazione nazionale, in funzione di un accordo che consenta un progressivo ritiro delle truppe di occupazione senza perdere completamente la faccia a livello internazionale. I talebani, al momento, non hanno nessun interesse a esportare il conflitto con il mondo occidentale a livello globale, né nel trasformarlo nella guerra infinita di uno scontro di civiltà, ma si battono quasi esclusivamente contro la prolungata occupazione del loro paese.


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Salvatore Bravo: Il bisogno di Filosofia

sinistra

Il bisogno di Filosofia

di Salvatore Bravo

Il bisogno di Filosofia è un bisogno autentico, in quanto filosofare è proprio dell’essere umano, fin quando l’essere umano esisterà in natura nella forma da noi conosciuta e vissuta, la Filosofia sarà parte del suo paesaggio esistenziale bisogno ineludibile come l’arte e la religione. Non è un caso che la Filosofia dello Spirito Assoluto di Hegel si costituisce in tre momenti: l’arte, la religione, la Filosofia. Hegel attraverso tale manifestazione della verità/totalità su livelli di consapevolezza e chiarezza concettuale crescenti, fino al concetto coincidente con la Filosofia, palesa tre aspetti eterni della natura umana che si concretizzano nella Storia: l’arte, la religione, la Filosofia. Esse apportano umanità alla condizione umana, poiché sono espressione di pulsioni spirituali, interiori che necessitano di risposte che si fenomenizzano per essere trascese in quanto pensate. La consapevolezza, la matariflessione dell’umanità sulle sue eterne manifestazioni consente non tanto il progresso nel senso positivistico, in quanto concretizzazione di strumenti d’uso e tecnici con cui operare nella contingenza, ma la consapevolezza etica del telos (dal termine greco τέλος, che significa "fine"), senza il quale l’umanità si ritrova determinata dalle contingenze tecnocratiche che fatalmente e passivamente la guidano nell’applicazione, senza che essa possa discernere e discriminare le modalità d’uso.


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Andrea Fumagalli e Roberto Romano: Cose che si devono sapere sulla bocciatura europea della manovra italiana

effimera

Cose che si devono sapere sulla bocciatura europea della manovra italiana

di Andrea Fumagalli e Roberto Romano

Transizione energetcaMercoledì 21 novembre 2018 la Commissione Europea ha bocciato la manovra economica italiana per il 2019. È la prima volta che succede da quando, nel 1999, si è costituita l’Unione Monetaria Europea. L’accusa è di violare le norme relative al controllo del bilancio pubblico. Non si fa riferimento al rapporto deficit/Pil (il cui livello viene fissato al 2,4% negli obiettivi del Def italiano, quindi al di sotto del livello massimo consentito dal Patto di Stabilità – 3%) ma al mancato rispetto del rapporto debito/Pil (il cui limite massimo del 60% è più che doppio nel caso italiano), con l’argomentazione che proprio per l’elevato debito pubblico, l’Italia deve intraprendere politiche di forte riduzione anche del rapporto deficit/Pil. Se, quando l’euro è nato, 20 anni fa circa, il 30% dei paesi non rispettava quest’ultimo parametro (Italia, Grecia, Belgio…), oggi il loro numero è più che raddoppiato (alla lista si sono aggiunti Spagna, Portogallo, Francia…). Eppure, è l’Italia il primo paese a rischiare la procedura di infrazione. In questo articolo si analizzano le ragioni del pregiudizio europeo sull’Italia – che non debbono fare dimenticare le ombre sulla manovra italiana stessa.

* * * *

In un recente articolo pubblicato su Effimera relativo al “Grande business sul debito italiano” e in un contributo di Giovanni Giovannelli, si era posta la necessità di indagare non solo le cause dell’incremento dello stesso debito e le pretese delle autorità europee di “governare” il debito italiano, ma anche affrontare il secondo punto dello scontro in atto tra governo gialloverde e Commissione europea. Ovvero non solo il target del 2,4% del rapporto deficit/Pil ma le stime della crescita economica italiana del 2019, che tale target dovrebbero garantire.

Lo facciamo ora, limitandoci solo alle previsioni di crescita per il 2019.

Secondo il Def governativo, l’economia italiana dovrebbe crescere nel 2019 all’1,5%. Tale crescita dovrebbe rendere realistico un rapporto deficit/Pil in crescita ma non superiore al 2,4%.


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Fulvio Grimaldi: Armi di distrazione di massa

mondocane

Armi di distrazione di massa

Ipocrisie, decerebramenti, spopolamenti

di Fulvio Grimaldi

fgri11“La storia della nostra razza e ogni esperienza individuale sono cucite dalla prova che non è difficile uccidere una verità e che una bugia detta bene è immortale”. (Mark Twain)

https://vimeo.com/300013842 (link a una miaa intervista sulla Grecia realizzata da Patrick Mattarelli. Per aprire il link la password è Ful18vio)

 

Femminicidi. Non solo.

Metto le mani avanti, ricordando che ho dedicato gran parete di un mio documentario, visto da migliaia di persone, al femminicidio, massima espressione della violenza sulle donne. Se ora dico che al momento parrebbe che, schiacciati a terra e ridotti a pezzetti dall’uragano politico-mediatico sulla violenza sulle donne, noi uomini dobbiamo convincerci che, come tali, uccidiamo a gogò, ma non ci ammazza mai nessuno e che, in nessun caso, potremmo avanzare l’inaudita pretesa di essere, a volte, anche noi vittime. Non delle donne, di qualche donna. Sfido la crocefissione morale se dico che questa, come molte altre ondate di unanimismo di classe femminista, fin dagli anni della Grande Contestazione, potrebbe nutrire il sospetto di trattarsi, nell’intenzione dei noti amici del giaguaro, di grande operazione di distrazione di massa? Ho detto sospetto, non certezza. Vediamone gli spunti.

Fatta salva la sacrosanta protesta contro gli ottusi reazionari e facilitatori delle mammane che puntano a rimettere in discussione la 194 e mettere le zampe sull’autodeterminazione delle donne, abbiamo assistito a un tripudio di ipocrisia. Proprio come quella, del tutto analoga e inserita dalle note manone nella stessa strategia, che vede perorare l’accoglienza universale dei migranti e vituperare chi vi avanza qualche riserva. Come quella che nota lo svuotamento di un’Africa e di un Medioriente infestati da guerre innescate ad arte, o assegnati a multinazionali predatrici, e i relativi traffici di gente da spostare da più o meno nobili trafficanti. Svuotare l’Africa, far tracimare l’Europa mediterranea.


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Lorenzo Procopio: La questione della transizione nell’era del capitale globale

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La questione della transizione nell’era del capitale globale

di Lorenzo Procopio

Riflettere oggi sulla questione della transizione dal capitalismo al comunismo per ripartire da Marx e ribadire l’unicità del processo di trasformazione rivoluzionario. Ripensare la transizione anche per criticare, dal punto di visto del marxismo rivoluzionario, quelle tesi del neo-operaismo che ipotizzano di superare il capitalismo attraverso lo sviluppo della moneta del comune

81AFQ8q omLTrattare oggi il problema della transizione potrebbe apparire un’inutile disquisizione accademica senza alcun legame con la realtà che ci troviamo quotidianamente a vivere sotto il tallone di ferro imposto dalla borghesia e del suo omologante “pensiero unico”. Il problema della fase di transizione dal capitalismo al comunismo, che in passato è stato oggetto di frammentarie quanto appassionate discussioni tra i massimi teorici del movimento comunista, oggi è quasi del tutto ignorato anche da chi si richiama al marxismo rivoluzionario. Lo sforzo teorico che stiamo compiendo in questi ultimi anni e l’attenzione su alcuni punti qualificanti e nodali della questione transizione hanno la funzione di rompere l’assordante silenzio e rappresenta, a nostro avviso, un fattore importante che potrebbe permettere la ripresa della discussione sull’argomento e contribuire in tal modo a rilanciare il progetto dell’alternativa comunista. Riprendere il filo del discorso sulla transizione appare altrettanto importante per contrastare alcune tesi, attualmente in voga nelle file del variegato mondo neo-riformista e neo-operaista, che ipotizzano addirittura la possibilità di costruire un circuito monetario alternativo a quello capitalista, finalizzato a sostenere lo sviluppo del “comune-ismo”. Ci riferiamo nello specifico al filone neo-operaista che, tra le altre cose, arriva a sostenere la tesi che nel capitalismo bio-cognitivo, in cui il comune, ossia

il rapporto dialettico, tra parola e lingua, ovvero tra lavoro vivo e lavoro morto incorporato nello stesso corpo/essere umano, esito della pratica del linguaggio e della relazione soggettiva e umana, la combinazione tra animale che sa parlare e animale politico che definisce la natura umana1”,

subisce una sussunzione vitale al capitale, si aprono potenzialmente degli spazi per la creazione di circuiti monetari (vedi le cripto monete) alternativi a quelli del capitale, che, se adeguatamente sostenuti e sviluppati, potrebbero creare i presupposti per un superamento dello stesso modo di produzione capitalistico.


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Carlo Formenti: Utili idioti

rinascita

Utili idioti

di Carlo Formenti

In un lungo articolo (The Left Case against Open Borders) apparso sulla rivista American Affairs, Angela Nagle (giornalista, saggista e collaboratrice di Jacobin) riflette sull’amnesia che ha colpito le sinistre radicali angloamericane (ma il discorso vale anche per le nostre) in merito alle posizioni storiche del movimento operaio sul fenomeno delle migrazioni. Qui di seguito ne traduco liberamente alcuni stralci, aggiungendo alcune considerazioni finali.

A proposito del Muro di Berlino Ronald Reagan affermava che qualsiasi ostacolo alla mobilità delle persone è una minaccia per l’intera umanità. Da allora le barriere alla circolazione dei capitali e della forza lavoro sono crollate in tutto il mondo, si è annunciata la fine della storia, e decenni di globalizzazione egemonizzata dagli Stati Uniti si sono susseguiti.

Reagan e i suoi eredi di destra e sinistra hanno usato la stessa retorica trionfalista per scavare la fossa ai sindacati, deregolamentare la finanza, promuovere l’outsourcing e affrancare i mercati dal peso degli interessi nazionali.

Da sinistra hanno lottato contro questa visione movimenti come i No global e Occupy Wall Street ma, non disponendo di potere contrattuale, non hanno ottenuto alcunché. Oggi i movimenti più visibili contro la globalizzazione sono quelli che assumono la retorica anti migranti, come Trump e altri populismi. La sinistra, dal canto suo, non sa fare altro che reagire a tutto ciò che Trump dice e fa.


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coniarerivolta: Boeri smentito da Boeri: la Riforma Fornero crea disoccupazione

coniarerivolta

Boeri smentito da Boeri: la Riforma Fornero crea disoccupazione

di coniarerivolta

In un celebre passaggio del ‘Faust’, Johann Wolfgang von Goethe ci descrive il terribile tormento cui è sottoposto il personaggio della sua opera:

A me nel petto, ah! vivono due anime, e l’una vuol dividersi all’altra. In una crassa bramosia d’amore una si aggrappa al mondo con organi tenaci, e l’altra si solleva con forza dalla polvere, verso i campi di nobili antenati

Deve essere una situazione con cui è estremamente complicato convivere e, sinceramente, non la augureremmo a nessuno. Neanche ad un personaggio che ha fatto spesso capolino in queste pagine, e mai per prendersi complimenti.

Possiamo, infatti, solo immaginare quanto il petto di Tito Boeri possa essere dilaniato. Da un lato, l’opinione pubblica, specialmente nell’ultimo anno, lo ha imparato a conoscere come fidato cane da guardia dell’austerità pensionistica più severa. Sono state sufficienti timidissime proposte – allo stato attuale non attuate e lungi dall’essere attuate – da parte del governo gialloverde, di provare ad intaccare in misura minima ed insufficiente gli effetti più deteriori della Riforma Fornero, perché il Tito nazionale, eroe della pseudo-opposizione all’attuale maggioranza, prospettasse scenari apocalittici.


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Luigi Luccarini: Procedura d'infrazione: di chi è la responsabilità lo dice la stessa UE

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Procedura d'infrazione: di chi è la responsabilità lo dice la stessa UE

di Luigi Luccarini

Ci sono così tante inesattezze nella divulgazione giornalistica di quanto sta accadendo in sede UE in questi giorni, che neppure vale la pena perdere tempo ad ascoltarne i commenti in TV.

Meno che mai con gli editoriali della stampa nazionale.

Se proprio vi interessa la questione, un lucida sinossi della situazione (passata ed attuale) la trovate qui.

In ogni caso NON CREDETE neppure per un istante a chi vi dice che la responsabilità per l’avvio della “procedura di infrazione” ricade sul nuovo Governo.

Così sarebbe stato se la contestazione fosse per “deficit eccessivo”, ma in realtà sappiamo che è stata formulata ai sensi dell’art.126, comma 2, lett. b) del Trattato di Lisbona, per il caso in cui “il rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo superi un valore di riferimento, a meno che detto rapporto non si stia riducendo in misura sufficiente e non si avvicini al valore di riferimento con ritmo adeguato”.

Situazione che ovviamente NON PUO’ dipendere da chi ha solo annunciato scelte di politica economica non ancora adottate.

Ma la Commissione dice anche altro. Precisamente a pagina 13 del Rapporto.


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Matthew Lynn: L’Italia non si inchina alla UE

vocidallestero

L’Italia non si inchina alla UE

di Matthew Lynn

La prestigiosa rivista anglosassone MoneyWeek rende conto dell’attuale conflitto tra governo italiano e UE sul deficit di bilancio. Le richieste italiane sembrano assolutamente ragionevoli data la congiuntura economica e la situazione del paese, ma l’UE non vuole transigere dalla sua consueta richiesta di austerità. Le autorità europee contano solitamente sul fatto che “i mercati” costringano i paesi ribelli a piegarsi ai voleri di Bruxelles, ma stavolta le condizioni sono diverse, e le sanzioni UE non possono spaventare nessuno

L’Italia sta sfidando la UE sulla spesa pubblica. Ma, questa volta, i mercati non vengono in aiuto di Bruxelles. E questo sarà un bel problema per l’UE.

Gli interessi sul debito pubblico esploderebbero. Le banche sarebbero in pericolo. Le aziende rimarrebbero senza liquidità e i capitali abbandonerebbero il Paese. In breve tempo, si instaurerebbe una spirale negativa. Mentre il sistema finanziario si avvierebbe verso il collasso, il governo “populista” italiano sarebbe costretto ad abbandonare le sue stravaganti promesse elettorali, abbassare i toni, e obbedire agli ordini della UE.

O quantomeno, questo era il copione scritto da Bruxelles quando la Lega e il Movimento Cinque Stelle hanno preso il potere nella prima metà dell’anno. Ciò nonostante, l’Italia ha deciso di aumentare la spesa, sfidando le regole che la tengono soggiogata nell’euro.


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Matteo Pascoletti: Il problema di Gramellini non è il caffè, ma la digestione delle critiche

valigiablu

Il problema di Gramellini non è il caffè, ma la digestione delle critiche

di Matteo Pascoletti

Ieri Massimo Gramellini si è trovato al centro di critiche e indignazione. Sotto i riflettori il suo quotidiano Caffè, per l'occasione dedicato a Silvia Romano, la volontaria rapita in Kenya.

Ora, non è tanto interessante l'analisi dell'impianto retorico dell'articolo, ben simboleggiato dal titolo, Cappuccetto rosso, che evoca un mondo in cui, se nonostante i moniti di mamma (il buon senso italico incarnato da persone come Gramellini stesso) vai nel bosco (Kenya) per dare da mangiare alla nonna (aiutare il prossimo), poi ovvio che becchi il lupo (rapitori negri) e poi il cacciatore (intelligence) deve pure fare gli straordinari (riscatto da pagare). Non è tanto interessante il paternalismo gratuito di chi, rispetto a una cittadina adulta che ha fatto una scelta, quella della cooperazione internazionale, inserita in un contesto più ampio delle semplici "smanie di altruismo", parla di una "ingenua" cui fare, una volta salvata, una doverosa "ramanzina" - neanche fosse una bambina che per mangiare la marmellata fa cadere il barattolo sul tappeto buono. Non è nemmeno interessante che Gramellini, per ammantare di bonaria approvazione (so' ragazzi, via) la scelta di Silvia Romano, parli di "aiutare a casa loro", riprendendo come fosse una massima di senso comune quello che, a tutti gli effetti, è uno slogan di propaganda dell'estrema destra.


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tonino

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Dec 4, 2018, 3:57:29 PM12/4/18
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Felice Roberto Pizzuti: Manovra 2019: problema di spread o di qualità?

economiaepolitica

Manovra 2019: problema di spread o di qualità?

La tesi dell’espansione restrittiva di Blanchard e Zettelmeyer e tutti i suoi limiti

di Felice Roberto Pizzuti

Manovra 2019. Spread e reazione dei mercati possono compromettere l’efficacia della manovra economica italiana? Felice Roberto Pizzuti contesta questa nuova tesi di Blanchard e Zettelmeyer e spiega che quello che conta non è lo spread ma la qualità delle misure previste

manovra 2019 italia spread oggi 640x4261. Nel dibattito sulla Nota aggiuntiva al documento di economia e finanza (Nadef) 2018 si evidenziano contributi anche autorevoli che, tuttavia, rischiano di aumentare gli elementi di confusione che lo caratterizzano. La manovra, anche per come viene presentata dal Governo nelle trattative con l’Unione europea (UE), presenta delle criticità che ne pregiudicano l’efficacia e, nel suo insieme, mostra di non avere la visione di lungo respiro necessaria ad affrontare i problemi organici della nostra economia, approccio che sarebbe particolarmente congruo all’inizio di una legislatura “di cambiamento”. Tuttavia, le critiche che la manovra merita non dovrebbero distogliere l’attenzione dalla maggiore pericolosità insita in altri ingiustificati rilievi che le sono rivolti con i quali si cerca di riproporre la stessa concezione economica della “austerità espansiva” già rivelatasi molto dannosa non solo per il nostro paese, ma per la stessa costruzione europea la quale, peraltro, è resa sempre più necessaria dall’evoluzione degli equilibri economici e politici globali.

 

2. In un articolo tradotto sulla Voce.Info del 27 ottobre[1], O. Blanchard (tra l’altro, ex capo economista del FMI) e J. Zettelmeyer (tra l’altro, ex direttore generale per le politiche economiche del Ministero tedesco degli Affari economici e l’energia), attualmente entrambi membri del Peterson Institute for International Economics, sostengono che l’obiettivo della crescita del Pil perseguito dal governo italiano con l’aumento del deficit di bilancio al 2,4% non sarà raggiunto poiché l’intento espansivo sarà più che compensato dall’effetto contrario derivante dall’aumento dei tassi d’interesse provocato dalla stessa manovra.

I due autori (B&Z) concordano che “Nonostante ”strette fiscali espansive” e “espansioni fiscali restrittive” siano teoricamente possibili, una politica fiscale espansiva generalmente aumenta la produzione e una restrittiva la rallenta – anche in paesi con un alto debito pubblico”.


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Hans Werner Sinn: La tragedia italiana

vocidallagermania

La tragedia italiana

di Hans Werner Sinn

Hans Werner Sinn, anche se ormai da qualche anno in pensione, non si fa sfuggire l'occasione per commentare sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung la situazione italiana. Per il brillante economista tedesco gli italiani con i loro ricatti cercheranno di spillare quanti piu' soldi possibili ai "partner europei", ma l'ultimo atto di questa tragedia sarà l'uscita dalla moneta unica. Dalla Frankfurter Allgemeine Zeitung

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kolosseum in romSi può discutere dell'attuale disputa fra UE e Italia in chiave moraleggiante e condannare i presunti eccessi italiani. Questo conflitto tuttavia può anche essere interpretato come il risultato di azioni sconsiderate di messa in comune che hanno causato dei gravi danni all'integrazione europea.

Il debito pubblico italiano è da sempre elevato e nelle banche italiane sonnecchiano da tempo delle enormi riserve di crediti deteriorati. La Commissione europea già da molti anni avrebbe dovuto regolare le banche in maniera più' severa e limitare i titoli del debito pubblico, ma non lo ha fatto. Che ora improvvisamente si agiti per un rapporto deficit/pil del 2,4 % è dovuto piu' che altro al fatto che i nuovi partiti euro-scettici in Italia si sono profilati come i concorrenti del vecchio establishment politico. E ora si vuole fare del paese un esempio per educare tutti gli altri. Dopo il rifiuto da parte del governo italiano di ridurre il deficit di bilancio, la Commissione europea potrebbe imporre delle multe pesanti. L'Italia tuttavia non sembra avere alcuna intenzione di pagare per queste sanzioni e cerca invece lo scontro aperto. Non viene piu' nemmeno invocata una soluzione amichevole. Il governo italiano è stato eletto per adottare misure radicali. E dalla popolazione italiana sarà valutato in base alla capacità di essere all'altezza di queste aspettative.

La storia dell'Italia nell'euro è una storia di crediti e garanzie pubbliche, di garanzie messe in comune e di sovvenzioni attraverso le quali il paese è stato tenuto a galla. Tutti questi aiuti hanno agito come farmaci che calmavano i mercati finanziari e la popolazione. Ma non hanno contribuito a risolvere i problemi strutturali del paese. Hanno invece distrutto la competitività dell'Italia e aumentato la dipendenza del paese dal debito.


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Angelo Romano: Cambiamento climatico: siamo l’ultima generazione che potrà combattere l’imminente crisi globale

valigiablu

Cambiamento climatico: siamo l’ultima generazione che potrà combattere l’imminente crisi globale

di Angelo Romano

maxresdefault 990x510"Il cambiamento climatico è la sfida chiave del nostro tempo. La nostra generazione è la prima a sperimentare il rapido aumento delle temperature in tutto il mondo e probabilmente l'ultima che effettivamente possa combattere l'imminente crisi climatica globale". Inizia con queste parole la dichiarazione congiunta di 16 capi di Stato e di governi europei (firmata per l’Italia dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella) per chiedere che durante la conferenza dell’ONU sul cambiamento climatico (COP 24), in programma dal 3 al 14 dicembre a Katowice, in Polonia, siano adottate “norme operative dettagliate e linee guida che rendano operativo l’accordo raggiunto a Parigi tre anni fa".

Il nostro pianeta, prosegue la lettera, è vicino a un punto di non ritorno, come testimoniato dalle sempre più intense e frequenti “ondate di calore, inondazioni, siccità e frane, lo scioglimento dei ghiacciai e l'innalzamento del livello dei mari”. Le carenze delle risorse idriche e la crisi dei raccolti sono solo alcuni dei risultati immediati di questa situazione, che “ha un impatto devastante sugli esseri umani riducendoli alla fame o obbligandoli a migrare”.

Per questo motivo, sottolineano i capi di Stato, “bisogna fare di più e l'azione deve essere rapida, decisiva e congiunta. Stiamo già osservando le ricadute negative dei cambiamenti climatici” e le misure adottate dalla comunità internazionale non sono sufficienti per raggiungere gli obiettivi a lungo stabiliti dall’accordo di Parigi. Oltre a definire le azioni delle singole nazioni per il 2025 e il 2030, a Katowice dovranno essere enunciati gli obiettivi a lungo termine per ridurre le emissioni di carbonio e passare da fonti energetiche fossili a energie rinnovabili e raggiungere entro il 2050 l’equilibrio tra emissioni e assorbimento del carbonio. “Abbiamo l'obbligo collettivo nei confronti delle generazioni future di fare tutto ciò che è umanamente possibile per fermare i cambiamenti climatici e per rispondere ai loro perniciosi effetti”.


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J.Anguita, M.Monereo e H.Illueca: Un fronte antifascista europeo?

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Un fronte antifascista europeo?

di J.Anguita, M.Monereo e H.Illueca

Era prevedibile, anche se forse non così presto. Lo slogan che si sta diffondendo è quello di costruire un fronte politico europeo antifascista. Lo stiamo vedendo in questi giorni. Con espressione cupa e volto serio, alcuni intellettuali proclamano il nuovo credo: "Di fronte alla minaccia del fascismo, l'unità dei democratici!" La questione ha una certa logica: se quello che sta emergendo nell'Unione europea (UE) è qualcosa di più quel populismo di destra, cioè il fascismo puro e duro, richiede una grande alleanza politica che faccia da freno, da diga, contro qualcosa che si presume sia un male assoluto che deve essere sconfitto, a tutti i costi. Al centro della proposta, la difesa delle istituzioni che devono essere stabilizzate e consolidate. Ci riferiamo, ovviamente, all'UE e alla democrazia liberale.

Un fronte europeo antifascista? Viviamo la cultura del momento e la memoria scompare dal nostro orizzonte, che è il luogo ove si gioca davvero la partita ruolo. Grecia e Tsipras sono scomparsi dal dibattito pubblico e non dovrebbe essere così. Il paese ellenico è stata una lezione, un esperimento e, per molti versi, una punizione. La presenza del governatore greco lo scorso settembre al Parlamento europeo non ha meritato la dovuta attenzione. Tsipras è apparso con l'orgoglio del proprio dovere compiuto e di un lavoro ben fatto nella rappresentazione di un paese trasformato.


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Matteo Bortolon: Marx a Bruxelles. Domenico Moro sulla crisi europea

senso
comune

Marx a Bruxelles. Domenico Moro sulla crisi europea

di Matteo Bortolon

L’ultima fatica del noto economista marxista Domenico Moro, La gabbia dell’euro. Perché uscirne è internazionalista e di sinistra (Imprimatur 2018) è un testo che contiene molti pregi. Il primo è la comprensibilità: si tratta di un libro che riesce ad usare un linguaggio semplice, senza quel gergo quasi esoterico che a volte si vede trattando di argomenti come euro ed Europa. Il secondo è la brevità: si tratta di un centinaio scarso di pagine che non obbliga a ricorrere a periodi di ferie o malattia per conoscere il pensiero dell’autore. Il terzo è che il contenuto è abbastanza sorprendente rispetto al titolo.

L’autore è un economista di fama orientato al marxismo. Nelle sue pubblicazioni troviamo un Compendio del Capitale (di Marx); ma anche testi che affrontano temi differenti come Il gruppo Bilderberg (Aliberti 2014), il famoso gruppo di pressione di politici e capitani di industria che dá luogo a tanti scritti complottisti; La terza guerra mondiale e il fondamentalismo islamico (Imprimatur 2016), riguardante temi di attualità internazionalistica; e Globalizzazione e decadenza industriale (Imprimatur 2015), che ci approssima all’argomento del più recente contributo sull’euro. A tal proposito va notato che Moro è ricercatore all’Istat su temi di impresa. E lo si vede dal modo con cui affronta i temi inerenti a tale mondo, con grande attenzione ai dati e con una concretezza rara in marxisti tendenti ad analisi troppo astrattamente dirette a vedervi fonte di sfruttamento e accumulazione senza considerarne le specificitá.


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Leonardo Mazzei: A la guerre comme a la guerre

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À la guerre comme à la guerre

di Leonardo Mazzei

Che succede se la minaccia dell'oligarchia eurista di provocare, nei primi mesi del 2019, una crisi di liquidità sul debito italiano, diventa realtà? Se il disegno di lorsignori è chiaro (leggi qui), quali sono le contromisure possibili che il governo può adottare?

Ecco una domanda alla quale non si può sfuggire. Proviamo allora a sintetizzare la risposta in tre punti.

 

1. La partita politica e l'entità finanziaria del problema

Ormai tutti avranno capito quel che andiamo dicendo da tempo. L'attacco di Bruxelles alla Legge di Bilancio non dipende dai numeri della manovra, ma dalla volontà di stroncare sul nascere l'esperimento populista del governo M5S-Lega. L'aumento dello spread è in buona parte il frutto di questo consapevole attacco all'Italia.

Ma qual è l'entità finanziaria del problema? Secondo lo scadenzario del Tesoro, nel 2019 - esclusi quelli a breve, cioè i Bot, che vengono emessi e rinnovati di continuo - l'insieme dei titoli in scadenza (Btp, Cct, Ctz ed altri meno rilevanti) sarà pari a 201 miliardi (md) di euro. Tanti, ma assai meno di quel che scrive terroristicamente la stampa.


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Manlio Dinucci: Le bugie nucleari del segretario della Nato Jens Stoltenberg

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Le bugie nucleari del segretario della Nato Jens Stoltenberg

di Manlio Dinucci

«Un pericolo i missili russi»: lancia l’allarme il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg in una intervista al Corriere della Sera, a cura di Maurizio Caprara, tre giorni prima dell’«incidente» del Mar d’Azov che getta benzina sulla già incandescente tensione con la Russia. «Non ci sono nuovi missili in Europa. Però missili russi sì», premette Stoltenberg, tacendo due fatti.

Primo: a partire dal marzo 2020 gli Stati uniti cominceranno a schierare in Italia, Germania, Belgio, Olanda (dove già sono schierate le bombe nucleari B-61), e probabilmente in altri paesi europei, la prima bomba nucleare a guida di precisione del loro arsenale, la B61-12, in funzione principalmente anti-Russia. La nuova bomba è dotata di capacità penetrante per esplodere sottoterra, così da distruggere i bunker dei centri di comando in un first strike. Come reagirebbero gli Stati uniti se la Russia schierasse bombe nucleari in Messico, a ridosso del loro territorio? Poiché l’Italia e gli altri paesi, violando il Trattato di non-proliferazione, mettono a disposizione degli Usa sia basi sia piloti e aerei per lo schieramento di armi nucleari, l’Europa sarà esposta a maggiore rischio quale prima linea del crescente confronto con la Russia.


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rasoio di occam

Darwin, Marx e il mondo globalizzato

di Matteo Mameli e Lorenzo Del Savio

È stato recentemente pubblicato “Darwin, Marx e il mondo globalizzato” di Matteo Mameli e Lorenzo Del Savio (Meltemi, 2018). Il saggio elabora idee marxiane e darwiniane per parlare del passato e del futuro della globalizzazione e dello sviluppo umano. I temi che emergono sono tanti: disuguaglianze e tecnologie, populismo e mercati, cambiamenti climatici e biodiversità, migrazioni e reddito di base, guerra e carità, femminismo e mascolinità tossica, amore e sesso, transumanesimo ed eugenetica. La chiave di lettura è però una sola: gli autori mettono al centro della loro riflessione filosofica la “produzione sociale” e il suo potere di trasformare tutto, anche la natura umana. Per gentile concessione dell’editore, pubblichiamo un estratto dall’introduzione e da uno dei capitoli conclusivi del libro

La globalizzazione è fondamentalmente un processo di cambiamento della forma delle interazioni umane. Queste, o perlomeno una parte importante di esse, stanno diventando sempre più complesse e giungono ad avvolgere l’intero globo terrestre. Molte di queste interazioni sono produttive e cooperative. Lo sono nel senso che mettono insieme le abilità e gli sforzi di più individui, generando beni e valori che non sarebbe possibile produrre individualmente e separatamente, perlomeno non con la stessa efficacia. Interazioni di questo tipo sono cioè interazioni di produzione sociale, o produzione cooperativa.


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Alessandro Visalli: Jean-Claude Michéa, “L’impero del male minore”

tempofertile

Jean-Claude Michéa, “L’impero del male minore”

di Alessandro Visalli

surrealismo
2Questo importante, ed estremamente denso, libro di Jean-Claude Michéa parte da una conferenza del 2007 e viene portato a compimento nello stesso anno. Si tratta di un insieme di saggi brevi sulla “civiltà liberale” che compiono un esercizio di storia ricostruttiva delle idee strettamente ed indissolubilmente intrecciata ad un giudizio sulla contemporaneità. Come più volte Michéa ricorda, nessun autore del XVII secolo, o del XIX, sarebbe d’accordo con questa analisi, la vedrebbe in effetti come una perversione di una teoria che voleva ottenere altro. Ma è proprio questo il punto del nostro: la perversione, ovvero gli effetti radicalmente de-socializzanti della forma sociale liberale, è nella matrice originaria per come si è dispiegata nel suo sviluppo storico.

Michéa definisce il suo lavoro sulla base di una scelta che potrebbe essere intesa come idealista[1], o come anti-materialista: per lui è il progetto filosofico liberale, scaturito da uno specifico ambiente storico, ad aver portato alla sua ‘realizzazione logica’, ovvero alla verità secondo il suo concetto, nella società moderna. E quindi è questo ad essere l’agente decisivo del movimento storico che ha trasformato, e continua a trasformare le società, conducendole alla modernità.

L’economia è invece letta da Michéa, secondo la lezione di Polanyi[2], non come fondamento e sfera separata della società, tanto meno dipendente dallo sviluppo della tecnologia o delle ‘forze produttive’[3], ma incorporata nelle condizioni ideologiche, negli ideali sociali.

Naturalmente la filosofia liberale, nella forma storica che gli è stata attribuita originariamente da Adam Smith, Ferguson, Bastiat, Locke, etc., non aveva come intenzione di produrre la società moderna realmente esistente, con tutti i suoi effetti dissolventi il legame sociale e la sua contraddizione interna, ma ne è stato l’effetto secondo la logica del suo principio[4].


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Agitations: Classi medie e proletari nel "movimento dei gilet gialli"

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Classi medie e proletari nel "movimento dei gilet gialli"

di Agitations

La mobilitazione proletaria e interclassista dei "gilet gialli" suggerisce che esista una rabbia che si cristallizza sotto forme e discorsi differenti a seconda dei blocchi e degli spazi, creando una sorta di atonia critica, se non degli appelli romantici ad essere popolo. Di fronte a questo movimento, non rimane altro da fare che un lavoro noioso: quello di interessarsi ad una settimana di mobilitazioni attraverso quelle che sono le strutture spaziali e demografiche che lo attraversano e che ci danno informazioni a proposito della sua composizione sociale

gilet24Sotto i gilet gialli, delle magliette gialle

Pur non essendo di massa, la partecipazione alla mobilitazione di sabato 17 novembre è stata importante (sebbene più debole di quella di sabato 24 novembre). Le modalità originali di partecipazione erano minime: indossare un gilet giallo oppure metterlo sotto il parabrezza. Nel corso di questa mobilitazione, dei proletari, vestiti da "popolo", manifestavano insieme a dei piccoli padroni e a dei piccoli sfruttatori, al punto che, a prima vista, rimane difficile capire su quali basi profonde affondasse le sue radici l'appello al blocco. Dal momento che qui non si tratta né di un semplice essere stufi delle tasse, né di una jacquerie (e questo, detto al di là dell'anacronismo di tale analogia). Fondamentalmente, questo movimento contesta la diseguale distribuzione dell'imposizione fiscale sui dipendenti salariati e sui commercianti, e ne contesta soprattutto la sua forma indiretta (IVA, aumento globale delle tasse...), ritenuto come «il più ingiusto». Tale movimento avviene in un contesto di stagnazione dei salari, delle pensioni e dei sussidi che si trovano al di sotto del livello dell'inflazione, e in un contesto di diminuzione degli aiuti (APL [sussidio abitativo], Assurance chômage [Cassa di Disoccupazione], CSG [Contribuzione Sociale Generalizzata]), allo stesso tempo in cui «il costo della vita» (alloggi, trasporti, generi alimentari) aumenta. I primi ad essere colpiti da queste inuguaglianze sono gli operai e i dipendenti delle aree suburbane e delle zone rurali, ma possiamo domandarci legittimamente se questi ultimi possono mobilitarsi rispetto a dei luoghi da bloccare che talvolta sono lontani, e mentre il costo per arrivarci potrebbe dissuadere alcuni entusiasti.


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Michel Husson: Crisi economica e disordini mondiali

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Crisi economica e disordini mondiali

di Michel Husson

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            mnwormi329txjiesu18ub44gm1o34bi1emtgcwi18wDieci anni dopo il crollo della Lehmann Brothers, si moltiplicano i contributi, attorno a due questioni: come è successo? Può succedere di nuovo? Ma quasi tutti sono centrati sulle derive della finanza, passate o future. Il punto di vista adottato qui è leggermente diverso, poiché cerca di identificare le radici economiche dei disordini mondiali. Il suo principio guida è il seguente: l’esaurimento del dinamismo del capitalismo e la crisi aperta dieci anni fa conducono a una globalizzazione sempre più caotica, portatrice di nuove crisi, economiche e sociali*.

 

1. Il capitalismo senza fiato

Il dinamismo del capitalismo poggia in definitiva sulla sua capacità di ottenere incrementi di produttività, in altre parole di far crescere il volume di beni prodotti per ora lavorata. A partire dalle recessioni generalizzate del 1974-75 e del 1980-82, gli incrementi di produttività si sono tendenzialmente rallentati. Siamo passati da ciò che alcuni hanno chiamato «Età dell’oro» (per sottolineare la natura eccezionale del periodo) al capitalismo liberista, oggi minacciato da una «stagnazione secolare». Durante quel periodo, il capitalismo ha ottenuto il risultato spettacolare di ripristinare la redditività, nonostante il rallentamento degli incrementi di produttività illustrato nel grafico 1 [1].


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Carlo Formenti: Le iene e il cane pastore

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Le iene e il cane pastore

di Carlo Formenti

Quando mio padre, accusato di propaganda sovversiva, si trovò davanti al giudice fascista, si attenne alla consegna ricevuta dal partito, negò cioè tutto, anche l’evidenza. Ebbe però la sorpresa di veder comparire sul banco dei testimoni un “compagno”, il quale gli disse in dialetto milanese (traduco in italiano): <<lascia perdere Attilio, è inutile negare, tanto sanno tutto>>. Mio padre sostenne di non averlo mai visto e, tutto sommato, se la cavò discretamente: lo mandarono al confino invece di rispedirlo a San Vittore, dove aveva trascorso un anno in attesa di processo.

Ho citato questo episodio perché è significativo della psicologia degli infami: chi tradisce ha bisogno di mitigare la vergogna e il senso di colpa trascinando nel fango le vittime del proprio tradimento; chi cede lo rassicura, consentendogli di pensare che la sua colpa non è poi tanto grave (“la carne è debole”), chi resiste è un rompiscatole che gli ributta in faccia la sua infamia.

Ecco perché l’infame Tsipras, l’uomo che ha tradito il popolo greco (e al quale, malgrado ciò, le sinistre “radicali” nostrane hanno intitolato una lista elettorale), si rivolge così agli italiani: <<È meglio che facciate oggi quel che comunque vi faranno fare domani>>, per poi aggiungere: <<Se invece avete un’altra idea – alludendo ironicamente all’opzione di uscita dall’euro che lui rifiutò – bè, allora good luck”>>.


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Luca Lenzini: Consiglio di lettura ai naviganti: Kraus 1914

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Consiglio di lettura ai naviganti: Kraus 1914

di Luca Lenzini

Karl Kraus, In questa grande epoca, a cura di I. Fantappiè, Venezia, Marsilio, 2018

Altro che tragedia che si muta in farsa. Gli eventi sono sempre e per natura diversi ma gli schemi con cui sono interpretati, quelli sì che ritornano e ogni volta producono quel tanto di accecamento che basta a produrre lesioni sempre più profonde nella coscienza, a calcificare e infine occludere i canali in cui scorrono le linfe vitali del pensiero e della cultura. Succede quasi sempre quando una generazione e in essa un intero ceto intellettuale non ha più gli strumenti per affrontare lo stress che i mutamenti impongono a ritmo incalzante e su più fronti, da quello politico e sociale fin giù a quello psicologico ed esistenziale. Anzi, non di rado proprio quest’ultimo, nel barcollante incedere e recedere della Storia, è lo scenario intimo e predestinato di conversioni spericolate e sfacciatissime mistificazioni: mascherate da brillante avanguardismo o da intrepida coerenza, le banalità più triviali e le più sorprendenti mascalzonate nutrono allora il cinismo collettivo e concimano l’indifferenza indispensabile per decretare, ancora e sempre, il “così va il mondo”.

Gli esempi abbondano in ogni dove e il nostro paese è noto per essere in pole position, per queste faccende di massa e di demagogia, sin dal primo Novecento.


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Miguel Martinez: Pensieri sovversivi

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Pensieri sovversivi

di Miguel Martinez

Ieri, giornata internazionale contro la violenza sulle donne, a Roma.

Leggo i titoli sul Fatto Quotidiano:

“Numerose le iniziative per celebrare la giornata mondiale del 25 novembre. Dalla campagna promossa dalla vicepresidente della Camera “Non è normale che sia normale” a circa 600 eventi voluti dall’Anci. Impegnata anche la Conferenza episcopale italiana: “Massacrare una donna è una specie di sacrilegio”. Il sottosegretario pentastellato Spadafora: “Fondi ad hoc”.

E’ un tema importante per me, perché ho avuto una cara amica ammazzata in modo terribile dal proprio compagno (lui poi si è suicidato davanti ai poliziotti).

E ho sentito da vicino di tanti casi di donne perseguitate, quasi sempre da compagni ossessivi da cui sono separate, storie che non arrivano alle cronache finché non succede qualcosa.

Ma qui voglio parlare delle risposte istituzionali, dove per “istituzioni” intendo anche chi magari si sente all’opposizione, ma chiede pur sempre qualcosa alle istituzioni.

Le frasi citate nel titolo del Fatto Quotidiano colpiscono: cosa vuol dire normale nella frase “non è normale che sia normale”? Cos’è un “sacrilegio” (e quindi cosa è “sacro“)? E a cosa dovrebbero servire i “fondi ad hoc“?


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Mauro Armanino: Delitto e castigo nel Sahel

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Delitto e castigo nel Sahel

di Mauro Armanino

Niamey, novembre 2018. Non da oggi è stato decretato come tale. Un delitto in piena regola, quasi perfetto non fosse per i sopravvissuti che scavano sentieri nel deserto. L’utopica idea di fare delle frontiere dei luoghi di transito per l’umana mobilità è ormai un atto tra i più sovversivi. Dichiarare che il mondo, così com’è pensato, non è che una serie di muri e fili spinati organizzati è inconcepibile. Muoversi, portandosi dietro radici nomadi, suona come un’eresia contemporanea. Il diritto di inventare la coniugazione del verbo viaggiare è insostenibile, se non si danno prima garanzie di lealtà al sistema. L’unico modello accettabile è quello del turista, che si sposta senza punto cambiare. Dal Messico all’Angola, dal Sahel al Mediterraneo, il delitto di volere un futuro differente è giudicato e poi condannato come sovversivo. Migrare è un crimine passibile delle pene previste e impreviste dalla legge.

I campi di detenzione amministrativa in Europa, poi tradotti in campi di tortura in Libia sono altrove adattati in case di transito e riparazione nel Niger. Il principio non cambia. Il delitto di mobilità va punito, in modo esemplare, simbolico e reale. L’impero al crepuscolo non sopporta l’arrivo dei ‘barbari’ che ne assediano i confini. La contaminazione sarebbe fatale perchè arriva da fuori del corpo sociale e senza nessun cordone sanitario.


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Gabriel Brondino e Davide Villani: La controversia sul capitale

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La controversia sul capitale

di Gabriel Brondino e Davide Villani

La precarietà del lavoro, la rimozione dei diritti non sono scelte inevitabili dettate delle “leggi dell’economia”. Si tratta di un attacco ai lavoratori, un tentativo di riappropriazione capitalistica

economia jacobin 990x361Riflettere di teoria economica viene bollato nel migliore dei casi come un “ragionare dei massimi sistemi”, inutile. Niente di più falso perché è proprio dalle teorie e dalla visione di mondo che esse incorporano, l’ideologia, che derivano le scelte politiche siano esse in ambito economico, istituzionale e politico.

L’incapacità di analizzare le ricadute politiche di certe teorie rende difficile squarciarne il velo più profondo. Negli ultimi decenni, si è affermata egemonicamente una ben precisa teoria, quella neoclassica o marginalista, adottata come unica teoria, naturale e quindi incontestabile. Eppure non è affatto così: questa è solo una delle teorie economiche ed è anche fallace sia dal punto di vista teorico sia da quello empirico, cioè della capacità di realizzarsi ed essere verificata nei fatti.

Esempio più lampante è la riforma delle riforme: quella del mercato del lavoro, il lungo processo di flessibilizzazione e liberalizzazione avvenuto in Europa negli ultimi due decenni, in Italia a partire dal Pacchetto Treu del 1997 che introdusse il lavoro interinale. Queste riforme sono state giustificate dai governi che si sono succeduti negli ultimi vent’anni con l’idea che alla base dell’elevata disoccupazione italiana ci fosse un’eccessiva rigidità del lavoro, in ossequio ai dettami dell’Ocse. In questo contesto le tutele sindacali, così come qualsiasi norma a difesa dei lavoratori, impedirebbero il “corretto” funzionamento del mercato del lavoro. L’idea per cui la rigidità del mercato del lavoro costituirebbe un problema ha progressivamente monopolizzato il dibattito pubblico e l’agenda politica della maggioranza dei partiti dell’arco parlamentare, almeno in Italia.

Tutte queste misure si ispirano, più o meno esplicitamente, alla teoria economica dominante (neoclassica o marginalista) per cui la rimozione delle “frizioni” e delle “rigidità” del mercato del lavoro favorirebbe il raggiungimento della piena occupazione. Reso libero il mercato, la disoccupazione sarebbe soltanto una scelta volontaria.


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tonino

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Dec 6, 2018, 3:32:21 PM12/6/18
to sante gorini

Giovanni Di Benedetto: Ancora su David Harvey, Marx e la follia del Capitale

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Ancora su David Harvey, Marx e la follia del Capitale

di Giovanni Di Benedetto

446817962 780x439 1“Date la triste condizione e la traiettoria confusa del capitalismo globale dal crollo del 2007-2008, e date le loro conseguenze disastrose per la vita quotidiana di milioni di persone, sembra sia un buon momento per rivedere ciò che Marx era riuscito a capire. Forse qui c’è qualche idea utile per chiarire la natura dei problemi che abbiamo di fronte oggi”

​(David Harvey, Marx e la follia del capitale).

In un precedente scritto dedicato al libro di David Harvey Marx e la follia del Capitale (Feltrinelli 2018) si è provato a fornire, in un compendio generale e provvisorio a un tempo, un resoconto del taglio complessivo utilizzato dall’autore per illustrare, marxianamente, il modo in cui le leggi del moto del capitale influenzano la vita quotidiana delle persone. Il libro, tuttavia, è ricco di spunti e di riferimenti problematici. Vale forse la pena individuarne almeno alcuni, che hanno destato l’attenzione di chi scrive, per svolgerli più distesamente.

Harvey si concentra innanzitutto nell’analizzare il ruolo svolto nella contemporaneità dal capitale produttivo di interesse, diventato uno dei fattori dell’accumulazione più decisivi e potenti. Anche se ne è risultato un incremento della funzionalità della circolazione, infatti, il risultato non sembra essere dei più felici: speculazione, crescita del debito, impazzimento del sistema bancario e via discorrendo mettono in discussione l’idea che possa esservi una qualche relazione, seppur contraddittoria, tra il denaro e il rapporto di valore sottostante. Peraltro, tale forma contraddittoria si amplifica ancora di più con l’accrescimento della complessità della divisione sociale del lavoro e dei rapporti di scambio.


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Raffaele Cimmino: La sinistra dopo la sinistra

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comune

La sinistra dopo la sinistra

di Raffaele Cimmino

populismo sinistraScrive Alex Honneth: “E’ dalla fine della seconda guerra mondiale che non si registrava un’indignazione popolare di tale entità, alimentata dalle dinamiche sociali e politiche innestate dalla globalizzazione dell’economia … stante il disagio crescente è come se venisse a mancare la capacità di pensare a qualcosa in grado di spingersi oltre l’esistente, di immaginare una realtà sociale oltre il capitalismo. La divaricazione tra sdegno esperito e una qualsivoglia aspettativa futura e lo svincolamento della protesta da ogni visione di un possibile miglioramento è un fenomeno effettivamente nuovo nella storia delle società moderne a iniziare dalla Rivoluzione francese”(1).

La presa d’atto di questo stato di cose è il livello minimo dal quale fare ripartire ogni riflessione e ogni possibile rifondazione, se si passa il termine, della sinistra nello spazio nazionale e in quello europeo. Ma non si avanza di un passo né sulla questione della crisi della sinistra né nel contrasto alla destra se non si affronta la questione cruciale che affonda tutta ancora nei ruggenti anni ’90 – e in verità anche prima. Per dirne una, la globalizzazione, che per i suoi cantori di sinistra sembrava un processo progressivo e inarrestabile. Aver assunto questo polo discorsivo ha lasciato del tutto sguarniti davanti alla de-globalizzazione, o globalizzazione nazionalista, che ha la sua espressione più visibile nella presidenza Trump e nella guerra dei dazi in corso.

Finita la fase ascendente della liberalizzazione globale, che doveva portare ovunque la democrazia e decretarla “fine della storia”, si assiste al ritorno alla luce del sole di conflitti per il controllo del mercati e dei flussi di merci, mentre la rivoluzione digitale apre la prospettiva della cancellazione di milioni di posti di lavoro, non sostituibili se non cambia il modello di sviluppo. Tutto dice che siamo non più soltanto ai prodromi di una transizione egemonica da Occidente e Oriente: le rumorose farneticazioni di Trump e il silenzioso lavorìo della leadership cinese sono manifestazioni eloquenti(2).


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il rasoio di occam

Contro l’universalismo (debole) dei diritti umani

Appunti per una nuova “politica di classe” in Italia

di Lorenzo Cini e Niccolò Bertuzzi*

È utile mettere al centro del discorso politico l'individuo? E qual è il rapporto fra individuo e soggetti collettivi? Che ruolo svolgono le identità religiose e culturali nel processo di emancipazione? A partire dal saggio di Cinzia Sciuto, "Non c’è fede che tenga", gli autori propongono una disamina critica della teoria dei diritti umani, considerata un universalismo "falso e, soprattutto, dannoso", al quale contrappongono la necessità di una nuova politica di classe

DIRITTI
UMANI 499Disclaimer. Questo è un articolo polemico. La polemica è rivolta a chi ancora oggi spaccia vecchie idee come nuove ricette nel dibattito politico sul come rilanciare la sinistra in Italia. Punto di partenza e spunto per la nostra riflessione è la ricezione complessivamente positiva che in questo dibattito sta avendo il libro di Cinzia Sciuto, Non c’è fede che tenga. Manifesto laico contro il multiculturalismo (Feltrinelli 2018), una disamina critica ben fondata e, per molti aspetti, condivisibile sull’adozione di approcci multiculturalisti in società multietniche (come potrebbe ben presto diventare la società italiana).

Tuttavia, il libro spesso acquisisce una vita propria e, con essa, anche il contenuto originario si rende indipendente, giungendo così a significare qualcosa di completamente diverso. Questo ci sembra precisamente il caso del volume sopracitato, la cui divulgazione in Italia ha suscitato un rilevante dibattito pubblico, sulla necessità di rimettere al centro del vocabolario progressista la politica dei diritti individuali. Nucleo centrale di questa tesi è la seguente proposizione: per portare avanti un nuovo e coraggioso progetto riformatore occorre rilanciare con forza la politica dei diritti umani. In particolare, diritti umani da contrapporre ad ogni forma di autorità e identità religiosa e culturale. Lo diciamo subito: a noi questo approccio non convince. Non ci sembra coraggioso e onestamente nemmeno efficace. Ma soprattutto non aggiunge nulla di innovativo nell’odierno scenario politico, incancrenitosi nella contrapposizione apparentemente alternativa tra “sovranisti” e “globalisti”. A nostro modo di vedere, la politica dei diritti individuali non solo non offre un’alternativa credibile, ma di fatto propone un punto di vista che può potenzialmente piacere, su vari aspetti, ad entrambe le fazioni. Più radicalmente, la retorica liberale dei diritti umani contribuisce a rafforzare la dicotomia conservatrice tra “nuovi” nazionalisti e “nuovi” liberali.


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Antonio Martone: Aprire la storia

linterferenza

Aprire la storia

di Antonio Martone

Recensione a: Fabrizio Marchi, Contromano. Critica del politicamente corretto, Zambon 2018

maxresdefault097587In un tempo in cui vengono stampati testi, nel migliore dei casi, di mera erudizione o atteggiati in maniera filosoficamente storiografica, il libro di Fabrizio Marchi segna uno scarto patente quanto potente.

Fin dalla modalità espressiva, per nulla accademica ma anzi costruita sulla base di scandagli di pensiero puntuali e concretissimi, si comprende assai chiaramente che il volume intende porsi come un documento di rottura. Insomma, abbiamo a che fare con un libro che non nasconde di voler essere interferente e contromano – appunto – rispetto al mainstream del pensiero e della prassi politica contemporanea.

In quale maniera, pertanto, Marchi intende manifestare il proprio essere eretico? Quali sono gli argomenti sulla base dei quali l’A. si spinge a sostenere la sua eterodossia rispetto all’ortodossia del nostro tempo, smascherandone così la falsa coscienza e mettendo a nudo le sue contraddizioni? E, preliminare a tutto ciò, che cosa afferma oggi il pensiero e la prassi politica dominante?

L’intero scenario politico contemporaneo, per Marchi, dal sovranismo di destra, al liberal-capitalismo interclassista e multinazionale di sinistra, appare all’A. diviso soltanto su fatti marginali e contingenti, poiché in realtà esso condivide fortemente i valori e gli obiettivi fondamentali, ossia l’appartenenza indiscutibile e a-problematica all’orizzonte del mercato capitalistico e all’attuale strutturazione delle classi.

Mentre in altre fasi storiche del capitalismo occidentale la triade Dio, Stato e famiglia costituiva un punto di riferimento fortissimo e, di fatto, con quella triade ideologica, il potere aveva assolto assai bene la sua funzione di “verità/sapere, oggi quella triade non appare più consona alla mutata condizione storica. Il capitalismo – è noto a tutti – costituisce una struttura mobile che deve la sua forza fondamentale alla capacità spregiudicatamente metamorfica. La triade di un tempo, così, si è mutata in altre parole d’ordine, finalmente adatte al contemporaneo.


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Gabriel Brondino e Davide Villani: La controversia sul capitale

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La controversia sul capitale

di Gabriel Brondino e Davide Villani

La precarietà del lavoro, la rimozione dei diritti non sono scelte inevitabili dettate delle “leggi dell’economia”. Si tratta di un attacco ai lavoratori, un tentativo di riappropriazione capitalistica

economia jacobin 990x361Riflettere di teoria economica viene bollato nel migliore dei casi come un “ragionare dei massimi sistemi”, inutile. Niente di più falso perché è proprio dalle teorie e dalla visione di mondo che esse incorporano, l’ideologia, che derivano le scelte politiche siano esse in ambito economico, istituzionale e politico.

L’incapacità di analizzare le ricadute politiche di certe teorie rende difficile squarciarne il velo più profondo. Negli ultimi decenni, si è affermata egemonicamente una ben precisa teoria, quella neoclassica o marginalista, adottata come unica teoria, naturale e quindi incontestabile. Eppure non è affatto così: questa è solo una delle teorie economiche ed è anche fallace sia dal punto di vista teorico sia da quello empirico, cioè della capacità di realizzarsi ed essere verificata nei fatti.

Esempio più lampante è la riforma delle riforme: quella del mercato del lavoro, il lungo processo di flessibilizzazione e liberalizzazione avvenuto in Europa negli ultimi due decenni, in Italia a partire dal Pacchetto Treu del 1997 che introdusse il lavoro interinale. Queste riforme sono state giustificate dai governi che si sono succeduti negli ultimi vent’anni con l’idea che alla base dell’elevata disoccupazione italiana ci fosse un’eccessiva rigidità del lavoro, in ossequio ai dettami dell’Ocse. In questo contesto le tutele sindacali, così come qualsiasi norma a difesa dei lavoratori, impedirebbero il “corretto” funzionamento del mercato del lavoro. L’idea per cui la rigidità del mercato del lavoro costituirebbe un problema ha progressivamente monopolizzato il dibattito pubblico e l’agenda politica della maggioranza dei partiti dell’arco parlamentare, almeno in Italia.

Tutte queste misure si ispirano, più o meno esplicitamente, alla teoria economica dominante (neoclassica o marginalista) per cui la rimozione delle “frizioni” e delle “rigidità” del mercato del lavoro favorirebbe il raggiungimento della piena occupazione. Reso libero il mercato, la disoccupazione sarebbe soltanto una scelta volontaria.


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Antonio Lettieri: L’Italia nella crisi dell’eurozona

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L’Italia nella crisi dell’eurozona

di Antonio Lettieri

Molte cose potranno accadere dopo l’accelerazione della crisi che ha seguito la svolta politica nel nostro paese. Non è facile prevederne gli esiti. Ma qualcosa è già successo. Una lunga e sfortunata fase politica dell’eurozona è al tramonto. E sarà difficile rimpiangerne la fine, dopo un decennio perduto

c613a2a49f294ed19440a87756bdf4eaApparentemente, l’attacco della Commissione europea contro il governo italiano non ha senso. L'argomento riguarda il livello del deficit di bilancio per il prossimo anno. Nel corso del confronto col governo italiano sembrava che la Commissione potesse accettare un deficit dell'1,9% del PIL. Non è andata così. Com’è noto, il progetto di bilancio definitivo presentato dal governo italiano prevede un deficit di bilancio per il 2019 del 2,4 per cento.

 

Il deficit in questione

C'è una spiegazione? Circa un terzo del deficit è finalizzato a scongiurare l'aumento dell’IVA , un vecchio vincolo assunto dai governi passati per non incorrere nelle sanzioni della Commissione europea. Circa un altro terzo del deficit è stato stanziato per finanziare il reddito di cittadinanza a beneficio dei cittadini che vivono in condizioni di estrema povertà - a condizione che accettino una delle tre offerte di lavoro provenienti dai centri per l’impiego adeguatamente rafforzati.

Un’altra parte importante del deficit è destinata alla spesa pensionistica, con l’obiettivo di consentire alle persone di almeno 62 anni e con 38 anni di contributi di poter accedere alla pensione - una disposizione mirante nelle intenzioni anche a creare mezzo milione di posti di lavoro a favore di giovani disoccupati. Una quota minore del disavanzo è destinata a incrementare il capitolo di spesa precedentemente destinato a investimenti pubblici per circa 15 miliardi rimasti inattivati.

Perché, per la prima volta nella storia dell'UE, la Commissione europea ha respinto un progetto di bilancio, minacciando di aprire una procedura di infrazione contro l’Italia?


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Emiliana Armano e Raffaele Sciortino: I lunghi Sessanta, non ancora finiti?

sinistra

I lunghi anni Sessanta, non ancora finiti?

di Emiliana Armano e Raffaele Sciortino

Introduzione a Revolution in our Lifetime, conversazione con Loren Goldner sul lungo Sessantotto, a cura di Emiliana Armano e Raffaele Sciortino, ed. Colibrì, 2018

goldneranni60           Non voglio parlare di me, ma seguire il secolo, il rumore e l’evolvere del tempo

Osip Mandel'štam

Molto è già stato scritto sul Sessantotto, di memorialistica come di analisi storico-politica, eppure a distanza di anni quel processo-evento continua a sollecitare domande e a dividere i fronti tra chi l’ha vissuto ma anche tra chi si occupa o è attivo nei movimenti sociali. Evidentemente ha lasciato qualcosa d’irrisolto, e di rilevante a tutt’oggi, se non altro perché è stato l’ultimo movimento di ribellione radicale a scala globale1.

Che cosa ha spinto i giovani degli anni Sessanta, nei più differenti contesti, alla militanza politica attiva? Quali strade, quali punti di svolta e convinzioni maturarono a supporto delle loro scelte? E che cosa ha permesso ad alcuni, pochi, di loro di diventare poi marxisti e comunisti eretici? Quali le conseguenze per i loro percorsi nei decenni successivi? E soprattutto, a distanza di oramai cinquant’anni, che cosa ci dice tutto ciò oggi per interpretare e intervenire nel presente?

Attraverso alcune conversazioni con il marxista statunitense Loren Goldner, questo libro ricostruisce il processo di politicizzazione di un giovane militante della Nuova Sinistra statunitense degli anni Sessanta, che nel 1968 partecipò all’occupazione del campus di Berkeley (è l’episodio evocato nell’immagine di copertina). Da questo racconto la conversazione si estende poi a temi che continuano ad essere meritevoli di approfondimento teorico e politico. In che maniera il movimento del Sessantotto è maturato come fenomeno globale? Quali i problemi che dovette affrontare e come cercò di risolverli? Che cosa ci dicono oggi i legami che all’epoca si strinsero, o non si strinsero, tra le lotte studentesche e quelle delle altre molteplici componenti sociali che costituivano il movimento? Ma, soprattutto, quali le rotture e quali le continuità con i cicli di lotta precedenti e successivi? Sono alcune delle questioni di fondo che vengono sollevate o per lo meno evocate.


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Vincenzo Morvillo: “L’ho sempre saputo”

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“L’ho sempre saputo”

Un viaggio ai confini del tempo e della storia

di Vincenzo Morvillo

BalzeraniÈ in uso, tra i grandi giornalisti bellamente accomodati alla mensa del potere, recensire, con lodi sperticate, mediocri libercoli scritti da potenti politici, ricchi signori del mondo o importanti “intellettuali” di regime, dai quali ottenere, in comodato d’uso, il diritto di parola, subordinato alla vendita della propria coscienza, della propria dignità, della propria libertà.

Noi ci pregiamo, invece, di recensire, da queste pagine, L’ho sempre saputo – ultima fatica letteraria di Barbara Balzerani, edita da DeriveApprodi – e di accomodarci accanto a questa donna che, insieme ai suoi compagni delle Brigate Rosse, quei potenti, quei signori e quegli intellettuali – tutti pateticamente rinserrati nella celebrazione narcisistica del proprio Ego smisurato – ha fatto tremare, per oltre un decennio, mettendone a ferro e fuoco le ragioni e, con esse, il sistema di rapporti di produzione e conoscenza, su cui si fondava – e ahimè, purtroppo, continua a fondarsi – il loro arrogante privilegio di comando.

Una donna forte, caparbia, finanche dura, ma non certo priva di quella tenerezza di sguardo e predisposizione alla fratellanza – sociale, mai clericale – con i reietti ammassati nelle periferie delle megalopoli, con i deportati delle banlieue, con i plebei delle baraccopoli di tutti i Sud del pianeta, che ne hanno fatto, ieri, una guerrigliera comunista; oggi, una scrittrice dalla sensibilità lacerante e crudele, dal tratto realistico e magico, dallo stile scarno e spigoloso, seppur ricercato nell’uso di una parola dai profondi echi simbolici e di costrutti densi di coltissime risonanze; e dall’impronta inequivocabilmente marxista.

Fratellanza e tenerezza, dunque, si diceva, alimentate nel silenzio sofferto delle ingiustizie del mondo. Un mondo oppresso dal furore distruttivo del capitale e del profitto, e di cui a pagare dazio sono, da sempre, proprio i dannati della terra.


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Bruno Astarian: Alcune precisazioni sull'anti-lavoro

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Alcune precisazioni sull'anti-lavoro

di Bruno Astarian

[hicsalta-communisation.com, dicembre 20161 ]

latocattIntroduzione

Sul concetto di anti-lavoro regna una certa confusione. Nemmeno il mio opuscolo Aux origines de l’anti-travail (Échanges et Mouvement, Parigi 2005) vi sfugge. La confusione consiste nel non specificare in maniera sufficiente questo concetto. Essa porta, da un lato, a collocare nella categoria dell'anti-lavoro alcuni comportamenti, come l'indolenza del lavoratore salariato che cerca generalmente di fare il meno possibile, oppure il fatto di preferire al lavoro la disoccupazione (indennizzata) o la vita ai margini. Queste pratiche di rifiuto del lavoro, di resistenza, sono vecchie come il proletariato, e non definiscono l'anti-lavoro moderno. Dall'altro, la confusione consiste nel ricondurre alla categoria dell'anti-lavoro delle pratiche di resistenza allo sfruttamento che in realtà sono pro-lavoro, come ad esempio il luddismo. Ora, io ritengo sia meglio riservare il termine «anti-lavoro» alle lotte della nostra epoca (a partire dagli anni intorno al '68), le quali indicano che il proletariato non è più la classe che si affermerà nella rivoluzione come la classe del lavoro egemonico, come la classe che renderà il lavoro obbligatorio per tutti e sostituirà la borghesia alla direzione dell'economia.

Per meglio comprendere la specificità che bisogna accordare al termine «anti-lavoro», è necessario rimettere la questione in una prospettiva storica. Precisiamo che in questa sede ci interesseremo alle lotte che si svolgono in fabbrica, contro le modalità abituali del rapporto fra i lavoratori ed i loro mezzi di produzione (assenteismo, sabotaggio, indisciplina in generale).

 

1. Il luddismo

Il luddismo viene spesso identificato con una reazione spontanea e rabbiosa degli operai inglesi dell'inizio del XIX secolo, contro l'introduzione di nuovi macchinari. Il fatto che abbiano distrutto delle macchine fa pensare a certe forme moderne di sabotaggio, in particolar modo nell'ambito del lavoro alla catena di montaggio. Questa valutazione, tutt'altro che esatta, spiega il fatto che il luddismo venga talvolta assimilato all'anti-lavoro.


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