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Feb 12, 2015, 5:30:04 PM2/12/15
to sante gorini

Christian Marazzi: La guerra diffusa della crisi

quaderni s precario

La guerra diffusa della crisi

Gigi Roggero intervista Christian Marazzi

ak47-660x330Già nella scorsa intervista avevamo parlato del prepotente ritorno della guerra come possibile strumento di risoluzione capitalistica della crisi. Nel seminario a Milano su crisi e composizione di classe hai ipotizzato l’intensificarsi di uno scenario di guerra diffusa, legato innanzitutto all’esplosione della bolla del petrolio e al crollo del suo prezzo, dovuti a una rivolta dell’Opec contro i nuovi produttori. Hai anche messo in discussione l’ipotesi di un’alleanza tra Arabia Saudita e Stati Uniti in chiave anti-russa. Boaventura de Sousa Santos parla invece di una “nuova guerra fredda”, tra capitalismo neoliberale e capitalismo socialdemocratico, incarnato nei Brics. L’azione contro Charlie Hebdo delle scorse settimane, pur con le sue forti specificità, può essere inserita in questo quadro. Come si configura quindi lo scacchiere di una geopolitica imperiale su cui spirano forti i venti di guerra?

Al seminario di Milano ho cercato di ragionare attorno a questo scenario di guerra diffusa, prendendo lo spunto dal dimezzamento del prezzo del petrolio, che è la conseguenza di una scelta ben precisa da parte dell’Arabia Saudita in particolare. La scelta consiste nel forzare il prezzo del petrolio non diminuendo la produzione, mettendo in difficoltà paesi come Iran, Nigeria e Venezuela che hanno bisogno per funzionare economicamente di un prezzo del petrolio superiore ai 100-120 dollari al barile (per quanto un’economia fondata sul petrolio e sulla monocultura sia tutta da criticare). Leggi tutto


Lorenzo Filipaz: #Foibe o #Esodo?

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#Foibe o #Esodo?

«Frequently Asked Questions» per il #GiornodelRicordo

di Lorenzo Filipaz

foibedelirio[Oggi pubblichiamo un importante testo di Lorenzo Filipaz. Lorenzo è triestino e figlio di un esule istriano. Dal ramo materno è di ascendenza slovena. Fa parte del gruppo di inchiesta su Wikipedia «Nicoletta Bourbaki». Appassionato delle storie della sua terra di confine, da anni ha intrapreso un percorso di ricerca e autoanalisi sul cosiddetto «Esodo giuliano-dalmata». L’intento è quello di capire cosa sia andato storto, per quali ragioni l’esodo da Istria e Dalmazia sia diventato una narrazione così platealmente assurda e antistorica, e come mai i figli di una terra meticcia siano diventati i pasdaran del nazionalismo.

L’approccio è quello di una seduta psicoanalitica, una sorta di terapia post-traumatica. Terapia in ritardo di sessant’anni, ma più che mai utile agli odierni discendenti di esuli, per disinnescare certi meccanismi difensivi che favoriscono reticenze e strumentalizzazioni.

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Alain Badiou: Il Rosso e il Tricolore

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Il Rosso e il Tricolore

Alain Badiou

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                      841059fSfondo: la situazione mondiale

Oggigiorno, il mondo è totalmente investito dal capitalismo globale, sottomesso ai dettami dell’oligarchia internazionale e asservito all’astrazione monetaria come unica figura riconosciuta dell’universalità. Viviamo in un periodo di transizione molto difficile, che separa la fine della seconda tappa storica dell’Idea comunista (la costruzione indifendibile, terrorista, di un “comunismo di Stato”) dalla terza tappa (il comunismo come realizzazione politica, adatta al reale, dell’“emancipazione dell’umanità intera”). In questo contesto, si è insediato un mediocre conformismo intellettuale; una sorta di rassegnazione al contempo lamentevole e soddisfatta, che accompagna l’assenza di ogni futuro altro, ovvero la ripetizione dispiegata di ciò che già c’è.

Vediamo allora apparire – come controcanto al tempo stesso logico e orribile, disperata e fatale miscela di capitalismo corrotto e di gangsterismo assassino – un ripiegamento maniaco, soggettivamente manovrato dalla pulsione di morte, contro le identità più variegate. Questo ripiegamento suscita a sua volta delle contro-identità sclerotizzate e arroganti. Leggi tutto


Stefano Santachiara: Sinistra al bivio: modello Keynes o infinita terza via?

stefano santach

Sinistra al bivio: modello Keynes o infinita terza via?

Stefano Santachiara

4.10Per l’Europa si aggira lo spettro della presa di coscienza collettiva dopo la rivoluzione democratica di Syriza, la cui affermazione elettorale restituisce dignità e speranza ad un popolo devastato che ha avuto la forza di non piegarsi ai ricatti del potere finanziario internazionale e delle tecnocrazie Ue. Mentre si resta in attesa di comprendere le prime mosse del governo di coalizione di Alexis Tsipras, anzichè entrare nell’indeterminato e spesso superfluo dibattito italiano sulle alleanze possibili, sovraccarico di calcoli personali e polemiche strumentali, intendo approfondire alcuni effetti dell’azione di governo negli Stati Uniti. Il grafico che troverete al link sottostante concerne l’andamento dei deficit e surplus nei settori economici (pubblico, privato, estero), è stato pubblicato dalla professoressa Stephanie Kelton, presidente del Dipartimento di Economia dell’università di Kansas City, cuore della Modern Money Theory. Kelton a fine anno è stata nominata chief economist della Commissione Finanze del Senato dal democratico Bernie Sanders, più volte accusato di ispirarsi a idee “socialiste”

Una strada innovativa per la rinascita di una nuova Sinistra, una volta elaborate specifiche analisi, sarebbe quella di sperimentare policy di matrice keynesiana come in parte ha già saputo dispiegare il presidente Obama. Lasciando da parte la peculiare condizione americana di negatività costante nella bilancia dei pagamenti, un elemento compatibile con il ruolo del dollaro di moneta mondiale di riferimento, si registra un surplus per imprese e cittadini dovuto ad una combinazione di fattori e passato attraverso fasi alterne: dal 2010 il deficit pubblico utilizzato per rilanciare l’economia dopo la crisi finanziaria è tornato a scendere sino all’odierno 2,8% del Pil, ma in precedenza aveva superato anche la vetta del 10%, dunque oltre il triplo di quanto oggi è consentito ai Paesi dell’Eurozona. Leggi tutto


Valerio Evangelisti: Voltandosi verso il "sole dell'avvenire"

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Voltandosi verso il "sole dell'avvenire"

Un'intervista a Valerio Evangelisti

2015 02 03 evangelistPubblichiamo una chiacchierata che abbiamo avuto con lo scrittore Valerio Evangelisti. Valerio nelle sue opere ha spaziato tra diversi generi, dal fantasy alla fantascienza, al romanzo storico.

I suoi ultimi due libri, “Il sole dell'avvenire. Vivere lavorando o morire combattendo” e “Il sole dell'avvenire. Chi ha del ferro ha del pane”, ci raccontano, partendo da vissuti individuali, dello sfruttamento e delle lotte proletarie che hanno attraversato l'Emilia-Romagna dal periodo post-risorgimentale agli anni '20 del secolo scorso. Già il semplice racconto di quei periodi ci permette di riappropriaci di un patrimonio utilissimo, e per questo non possiamo non consigliarvi di leggere i suoi libri, ma Valerio oltre a essere uno scrittore affermato, è un prezioso compagno e abbiamo provato con lui a tracciare differenze e similitudini col periodo storico che stiamo vivendo.
Buona lettura! Leggi tutto


Alexik: Prosperare sul disastro

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Prosperare sul disastro

Cronache dall’emergenza sociale permanente

di Alexik

kuczynski-pawelL’ultimo mese dell’anno ci ha riservato, all’ora del TG, un lungo telepanettone noir pieno di personaggi coloriti: er Cecato, er Ciccione, lo Spezzapollici ….

Un gradevole entertainment, che come ogni fiction che si rispetti ci propone un finale e una lettura degli eventi in definitiva rassicurante: il disastro della capitale, il collasso delle sue funzioni vitali sono frutto dell’attività criminale di un gruppo – sia pur nutrito – di biechi delinquenti, corrotti e corruttori ormai resi innocui dalla giustizia trionfante.

Disastro e collasso non derivano dunque da quelle scelte politiche che per decenni hanno nutrito deliberatamente la speculazione privata  con tonnellate di denaro pubblico, a prescindere dall’esistenza o meno di mazzette e dal ricorso del potere economico a pratiche formalmente illegali.

La retorica della legalità è la narrazione necessaria affinché, una volta eliminate le “mele marce”, tutto ritorni come prima, o meglio, perché la speculazione si dia forme più moderne, più efficaci, meno grossolane. È una retorica che non entra nel merito del fatto che la devastazione sociale e quella dei territori possano avvenire anche a norma di legge.

Tutta questa enfasi sulle tangenti è riduttiva e fuorviante, perché c’è qualcosa di ancora più grave dell’aspetto corruttivo: un prezzo molto più alto da pagare ai detentori del potere economico. Lo pagano i territori in termini ambientali, lo paga il lavoro in termini di diritti, lo pagano le fasce più deboli di questo paese in termini di emarginazione sociale. Leggi tutto


Adam Arvidsson: No Naomi

doppiozero

No Naomi

Adam Arvidsson

Poiché partecipo spesso a incontri dedicati alla crisi economica, in cui di solito dipingo uno scenario assai cupo, capita che alla fine dello speech, qualcuno si avvicini e mi dica: «senta, ma io comunque spero ancora». È molto diffuso il desiderio di sperare, anche se non si sa esattamente in che cosa. Oggi i lavoratori del sapere, oltre a pensare che le attività che svolgono abbiano un senso, vogliono cambiare il mondo, e che riescano, nel loro piccolo, a migliorare il mondo: ecco, mi sento di dire che l’ultimo libro di Naomi Klein fa per loro.

Il titolo italiano, diverso da quello originale – This Changes Everything. Capitalism vs The Climate – comunica chiaramente il vero messaggio di questo libro: anche se va tutto malissimo, noi possiamo, anzi dobbiamo continuare a sperare; saremo noi a salvarci, se solo ci crediamo appassionatamente. Seguendo uno schema retorico classico, Naomi Klein inizia illustrando i tratti di un mondo destinato all’apocalisse. Nella prima parte ci spiega, essenzialmente, come la possibilità di ridurre l’impatto di una crisi climatica ancora in corso e di preservare la sopravvivenza della civiltà, così come noi la conosciamo, sia profondamente incompatibile con il “capitalismo deregolamentato”, ossia il governo più o meno diretto da parte delle grandi corporation sulla società. Il punto è che le soluzioni tecnologiche e sociali ci sono, ma gli interessi consolidati dell’attuale neofeudalesimo neoliberal impediscono che esse vengano adottate: Leggi tutto


Sebastiano Isaia: La "rivoluzione" di Naomi Klein non ci salverà neanche un po'

sebastianoisaia

La "rivoluzione" di Naomi Klein non ci salverà neanche un po'

Sebastiano Isaia

«Quando Al Gore divenne la voce dell’ambientalismo, disse esattamente questo: “Ecco quello che tu, consumatore, puoi fare. Vai in bici. Sostituisci le vecchie lampadine”. Gore aveva reso l’ambientalismo una moda: ma le mode passano. E quel modello, che continuava a considerarci come consumatori, non come membri di comunità, ha fallito. Per quanto importanti, i cambiamenti individuali da soli non bastano: sono le comunità che possono fare pressioni e ottenere risultati. Abbiamo perso. Ma i movimenti non sono lineari, e non sono morti: si reincarnano, e imparano dai loro errori. Il primo è stato quello di fidarsi di figure messianiche, affidare a loro il cambiamento e tornarsene a casa. È successo con Obama, ad esempio. […] Il nostro sistema economico e il nostro sistema planetario sono oggi in conflitto. O, per esser più precisi, la nostra economia è in conflitto con molte forme di vita sulla terra, compresa la stessa vita umana. Una rivoluzione ci salverà. Perché il capitalismo non è sostenibile». Così parlò Naomi Klein.

Prima di correre ad accendere un cero a San Carlo Marx, per il supposto miracolo, il marxista ortodosso – che ha snobbato Il fondamentalismo del mercato secondo Naomi Klein postato da chi scrive lo scorso settembre – deve sapere che per l’eroina No-Global il nemico del pianeta e dell’umanità non è il capitalismo tout court, il capitalismo “nudo e crudo”, in sé e per sé, ma il «capitalismo deregolamentato», cioè a dire il capitalismo ultraliberista venuto fuori dalla “controrivoluzione” degli anni Ottanta. E deve altresì sapere, il marxista duro e puro di cui sopra, che quando straparla di «rivoluzione» la militante di successo allude a movimenti politici sinistrorsi del calibro di Syriza e di Podemos, in effetti quanto di più “radicale” possa presentarsi agli occhi dei cosiddetti “radical chic”, soprattutto se di successo. Leggi tutto


Militant: Dopo Syriza, Podemos: qualcosa si muove nell’Europa inferiore

militant

Dopo Syriza, Podemos: qualcosa si muove nell’Europa inferiore

di Militant

La marcia dei 200.000 di Madrid organizzata da Podemos può essere letta in vari modi. Un modo è quello di interpretarla guardando esclusivamente al programma elettorale di Podemos. Un programma nato come effettivamente socialista, a sinistra potremmo dire di quello di Syriza, ma che col tempo e con l’accresciuta notorietà mediatica si è andato moderando nel tentativo probabilmente di non spaventare troppo. Un altro modo è quello di leggere questa nuova linfa di un certo tipo di (neo)sinistra dal punto di vista delle classi subalterne, stanche di vedersi ridurre quotidianamente stipendi e diritti, e che concedono nuovamente credito a una sinistra che sembra aver individuato il nodo da sciogliere: contrattare condizioni economiche migliori con l’Unione Europea per riconquistare margini di autonomia politica, minacciando l’uscita dal consesso liberista in caso di non ascolto. Una popolazione convinta non tanto dai programmi o dai leader, ma dall’insofferenza dell’assenza di alternativa, dalla possibile soluzione di una crisi economica infinita.

Uno dei dati acquisiti di questi anni è la sostanziale contiguità politica tra centrodestra e centrosinistra, tra liberali e riformisti. Se fino a poco tempo fa tale lettura era appannaggio dei militanti più scafati o meno illusi dal sistema consensuale mediatico, oggi è patrimonio comune di una parte di popolazione importante, probabilmente maggioritaria. Che riversa le sue speranze verso soggetti che appaiono, almeno in potenza, capaci di cambiare non diciamo lo stato di cose presenti, ma quantomeno la rotta. Progressisti, populisti o reazionari che siano. Leggi tutto


E.Brancaccio e G.Zezza: La Grecia può uscire dall'euro?

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La Grecia può uscire dall'euro?

di Emiliano Brancaccio e Gennaro Zezza*

Non si può dire che tra il 2010 e il 2014 la Grecia non abbia “fatto i compiti” assegnati dalla Troika. La pressione fiscale è cresciuta di cinque punti percentuali rispetto al Pil, la spesa pubblica è diminuita di un quarto e i salari monetari sono caduti di venti punti percentuali. La Commissione europea ha sempre sostenuto che queste politiche non avrebbero depresso l’economia e avrebbero rilanciato la competitività. Ma le sue previsioni sull’andamento del Pil greco sono state ripetutamente smentite: in Grecia il crollo della produzione ha fatto registrare un divario rispetto alle stime di Bruxelles che talvolta ha oltrepassato l’imbarazzante cifra di sette punti di Pil.

Anche sul versante della competitività, nonostante l’abbattimento dei salari e dei costi, i risultati sono stati diversi dalle attese: il saldo verso l’estero è migliorato, ma molto più per il tonfo del reddito e delle importazioni che per una ripresa dell’export. Né si può dire che le politiche indicate dalla Troika abbiano stabilizzato i bilanci: il deficit pubblico è stato faticosamente ridotto ma la caduta della produzione ha implicato un’esplosione del rapporto tra debito pubblico e Pil di trenta punti percentuali. Il caso greco, si badi bene, è estremo ma non costituisce affatto un’eccezione. Esso rappresenta la più chiara conferma della previsione del monito degli economisti pubblicato nel settembre 2013 sul Financial Times: anziché stabilizzare l’eurozona, le attuali politiche europee alimentano una deflazione da debiti, accentuano i divari tra paesi del Nord e del Sud Europa e in prospettiva affossano le probabilità di sopravvivenza dell’Unione monetaria. Leggi tutto


Girolamo De Michele: Sandro Mezzadra: Nei cantieri marxiani

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Sandro Mezzadra: Nei cantieri marxiani

di Girolamo De Michele

Sandro Mezzadra, Nei cantieri marxiani. Il soggetto e la sua produzione, Manifestolibri, 2014, pp. 158

IMG 3900 Karl Marx Kerzen2 1024pxIn questo testo, definito dall’Autore un “piccolo libro”, viene proposta un’interpretazione del pensiero di Marx che prende congedo dal “sistema-Marx”, e più in generale da ogni tentativo di sistematizzare e “accademicizzare” il filosofo di Treviri, seguendo un consiglio di lettura di Michel Foucault, che nelle letture orientate a “far funzionare Marx come un autore” vedeva un misconoscimento della “rottura che ha prodotto” (p.7). Il taglio interpretativo di Mezzadra mette al centro la questione della “produzione di soggettività“, espressione che ha sempre un duplice significato, poiché rimanda sia ai processi di assoggettamento che a quelli di soggettivazione. Il libro, scaturito da un corso universitario, ha una densità teorica inversamente paragonabile alla sua mole: se da un lato taglia il campo delle interpretazioni, finendo per mostrare una sorta di biblioteca personale dell’autore; dall’altro, nel far proprio un metodo che deriva dal post-strutturalismo francese e dalle letture italiane dei Grundrisse, si confronta non solo con i temi foucaultiani, ma anche, in filigrana ma in aperta contrapposizione, con il pensiero di Heidegger. Nondimeno, l’origine discorsiva del testo gli conferisce una certa scorrevolezza di lettura, a dispetto della gravità dei temi: che, è bene dirlo subito, sono affrontati avendo sottocchio quello “stato di cose presente” la cui critica – e il cui rovesciamento – era per Marx il fine della filosofia.

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Thomas Fazi: Il QE di Draghi: tanto rumore per nulla?

sbilanciamoci

Il QE di Draghi: tanto rumore per nulla?

di Thomas Fazi

Su un punto esperti e commentatori si sono trovati d'accordo. La questione non è tanto se fare o no il Quantitative Easing o meno ma come lo si fa. Tutti i dettagli del programma

schieleInfuria il dibattitto sul programma di quantitative easing (esteso ai titoli di stato) annunciato da Draghi il 22 gennaio. Su un punto esperti e commentatori si sono trovati pressoché tutti d’accordo: la questione non è tanto se fare il QE o meno – meglio farlo che non farlo –, ma come lo si fa. E infatti il dibattito riguarda più i dettagli del programma che l’acquisto di titoli di stato di sé. Vediamo allora quali sono gli aspetti salienti – e più discussi – del piano Draghi:

 

La durata:

Draghi ha dichiarato che il piano di acquisto titoli partirà a marzo e proseguirà fino a settembre 2016 e comunque fino a quando l’inflazione non tornerà a livelli ritenuti coerenti con gli obiettivi della Bce. Il fatto che il presidente della Bce abbia esplicitamente legato il piano all’obiettivo inflazionistico della banca centrale è stato accolto positivamente da quasi tutti i commentatori, in quanto questo offre a Draghi un ampio margine di manovra per portare avanti il programma per tutta la durata che ritiene necessario. Allo stesso tempo, , è importare notare che Draghi è stato attento a non fissare l’obiettivo in termini di tasso inflazionistico ma di “andamento dell’inflazione”, il che vuol dire che il numero uno della Bce potrebbe porre fine al programma anche se l’obbiettivo inflazionistico della Bce di “poco meno del 2%” non risultasse raggiunto a settembre 2016.

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