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Nov 13, 2024, 3:49:13 AM11/13/24
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Maurizio Lazzarato: Le condizioni politiche di un nuovo ordine mondiale

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Le condizioni politiche di un nuovo ordine mondiale

di Maurizio Lazzarato

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72ad867967474a86a65a1dbed961f53fmv2Con gli articoli di Maurizio Lazzarato «Perché la guerra?» e di Andrea Pannone «La Borsa, il "comitato d'affari della borghesia" e la guerra» Machina ha impostato un dibattito volto a riflettere su guerra e crisi, oggi.

La nostra attuale impotenza politica è la conseguenza diretta dell’esclusione delle guerre e delle guerre civili dalla teoria critica, essa stessa risultato di un’altra esclusione: quella delle lotte di classe, cioè della questione della rivoluzione. Porre il problema della guerra significa, oggi, porre il problema del mercato mondiale.

Quando la guerra, la guerra civile, il genocidio e il fascismo ritornano clamorosamente nelle nostre cronache (e con essi, paradossalmente, la «possibilità impossibile» della rivoluzione) ci scopriamo impotenti perché, se è vero che questi processi sono l'evidente risultato della produzione capitalistica, è inspiegabile spiegarli con le sole categorie della critica dell’economia politica. Che rapporto hanno le guerre con il capitalismo e la sua produzione? Costituiscono incidenti del suo sviluppo o elementi strutturali? E ancora: che rapporto esiste tra lo Stato – che ha il potere di dichiarare e gestire la guerra – e il Capitale? É ancora valido un concetto di produzione che marginalizza lo Stato e la sua sovranità? Si può continuare a considerare lo Stato come elemento puramente funzionale e subordinato alle esigenze dell’accumulazione di capitale?


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Guglielmo Chiodi: Tra Wicksell e Sraffa: l’affascinante ed inusuale eterodossia di Augusto Graziani

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Tra Wicksell e Sraffa: l’affascinante ed inusuale eterodossia di Augusto Graziani

di Guglielmo Chiodi*

In questa nota vengono delineati alcuni tratti della eterodossia di Augusto Graziani, attraverso i percorsi da Lui seguiti nello studio di due economisti, Wicksell e Sraffa, considerati agli antipodi quanto alle loro rispettive visioni in economia. L’intento della nota è di fare emergere il fascino e la particolare eterodossia di Augusto Graziani, altamente istruttiva oggi, soprattutto per i giovani studiosi

moleculaMonetaria 1.jpgPreambolo

Di Augusto Graziani conservo immutato e immutabile il ricordo di una persona dotata di grande umanità, generosità, e di vasta e raffinata cultura – caratteristiche che ritengo essere state fonte di ispirazione, di coinvolgimento e di forte passione per gli studi di economia di molte generazioni.

La breve narrazione contenuta in questo preambolo è soltanto preliminare e strettamente funzionale alle considerazioni che farò in seguito sulla eterodossia di Augusto Graziani.

Ancora studente di Economia alla Sapienza, mentre cercavo un libro in biblioteca, ho per caso intravisto un libro di testo che mi ha subito incuriosito, il cui titolo era Teoria economica, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1967, autore Augusto Graziani.

Ad una prima sbirciata, fui subito colpito dalla diversa struttura che aveva, confrontata con analoghi libri di testo allora in uso nei primi anni del corso di Economia. Leggiucchiandolo qua e là, infatti, fui subito attratto dalla chiarezza di esposizione di alcuni argomenti, ritenuti da noi studenti di allora alquanto ostici, e dalla ricchezza delle teorie prese in considerazione. Lo adottai immediatamente come libro di testo ‘ombra’, a fianco di quello ‘ufficiale’, al tempo consigliato.

Tale adozione ‘parallela’ da parte mia, non sortì solo l’effetto di integrazione e di supporto alle conoscenze di base dell’Economia Politica, ma ebbe anche l’effetto, ben più importante, di suscitare in me ulteriori curiosità e maggiore interesse nello studio della teoria economica, nelle diverse declinazioni analitiche, e, soprattutto, nel prestare grande attenzione agli innumerevoli mutamenti che i vari modelli inevitabilmente subiscono col passare del tempo.1


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Alba Vastano: Ndo sta Roma? I guai di Roma Capitale, più dramma che farsa

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Ndo sta Roma? I guai di Roma Capitale, più dramma che farsa

di Alba Vastano

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27.pngScrivere di Roma e di come vive la città chi vi risiede è come fare un viaggio in escalation nel degrado totale. Un viaggio attraversando al contrario i tre canti della commedia dantesca, senza la guida di Virgilio. Da Roma aurea con Petroselli e Nicolini a Roma stracciona con Gualtieri.

Roma, caput mundi, ‘la Grande Bellezza’ con i suoi palazzi monumentali, le piazze storiche, le fontane artistiche. Un tripudio di storia e arte. Una città unica che al turista fa vivere un sogno, un tuffo incantevole nel passato. E poi c’è un’altra Roma, quella reale, quella di chi la vive ogni giorno. E qui cala il sipario sulla grande bellezza e si apre un altro scenario. Quello che ruota intorno al degrado che si tocca con mano ogni giorno, non appena si varca l’uscio di casa e si affronta la città, come fosse un nemico che ostacola i nostri tempi di vita quotidiana, intralciandoli in ogni azione legata ai tempi di lavoro, ad esempio. Ecco Roma è diventata la città del tempo avverso, il tempo che rema sempre contro ogni azione quotidiana dei residenti.

Chi ci vive deve farci i conti ogni giorno e ad ogni spostamento da un luogo all’altro della città. A Roma il tempo quotidiano non è programmabile, anzi non esiste. E’ una chimera. Si esce, ma non si sa l’orario in cui si arriva destinazione. E non è possibile programmare un orario decente di ritorno a casa. Roma è totalmente ricoperta di vetture in continuo transito. Vetture che non trovano mai sosta, ovunque sia il luogo di arrivo previsto. Vetture che circolano e brancolano come povere anime erranti e, soprattutto, inquinanti. Altro stressante martirio avviene sui bus, laddove si sale senza tempo, si viene pressati come sardine e si esce stravolti. Il turista è, fortunatamente, esente da questo inferno su ruote. Lui, solitamente, va a piedi per il centro e cammina, cammina incessantemente con il naso all’insù a sconvolgersi davanti all’Altare della Patria e a percorrere i Fori Imperiali.

Intanto il romano de Roma sta tardando alla grande per raggiungere il lavoro o qualsiasi altra destinazione che si trovi nel perimetro della città comprensivo del raccordo anulare (ndr, che se lo imbocchi in fasce orarie di punta salta totalmente il concetto di tempo). Il romano de Roma smoccola de brutto, a volte bestemmia anche.


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Norberto Fragiacomo: Il suicidio assistito dell’Ucraina

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Il suicidio assistito dell’Ucraina

di Norberto Fragiacomo

Ho terminato quest’oggi la lettura de “La sconfitta dell’Occidente” del francese Emmanuel Todd, un libro che – per la ricchezza dei contenuti e lo sconcerto provocato dalle conclusioni cui perviene, ben argomentando, l’autore – sarebbe un caso editoriale in qualsiasi democrazia degna di questo nome, e nell’Italia odierna viene invece presentato al pubblico quasi alla chetichella.

Il perché di questa reticenza mediatica è d’altronde comprensibilissimo: il saggio contraddice, dati alla mano, la narrazione mainstream che descrive l’Ucraina alla stregua di un’innocente vittima democratica dell’imperialismo russo e il supporto offerto dall’Occidente al regime di Zelensky come un’altruistica difesa dei diritti umani e del principio di autodeterminazione dei popoli. Peggio ancora: Todd ci presenta un impero americano in piena necrosi, nichilista, sopraffattore e irrazionalmente violento, mentre la Russia appare come un Paese “stabile” e guidato da uno statista responsabile, cinico al punto giusto e capace di elaborare una strategia a medio-lungo termine. Quella attualmente in corso sarebbe una lotta fra una “democrazia autoritaria” d’impronta conservatrice e una “oligarchia liberale”: la definizione dell’Occidente è perfetta, e quindi indigeribile per i suoi volonterosi sostenitori, che vanno dalla Meloni a Ferrando e da Bocchino a Erri De Luca (tanto per rammentarci che la contesa tra destra e “sinistra” è ormai un reality…).


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Gianmarco Pisa: La Bibbia e la ruggine. Quali ragioni nella vittoria di Donald Trump?

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La Bibbia e la ruggine. Quali ragioni nella vittoria di Donald Trump?

di Gianmarco Pisa

g.pisa trump.jpgSpunti di analisi e di riflessione sui principali contenuti, sociali e politici, della rielezione di Donald Trump.

Molte le ragioni e le “connotazioni sociali” della vittoria presidenziale di Donald Trump negli Stati Uniti: ragioni che si possono (si devono) discutere e problematizzare; che non possono tradursi in giustificazioni e compiacimenti; che non modificano il profilo del presidente eletto, un profilo reazionario, con una proposta politica che prospetta soluzioni al disagio e alla sofferenza di ampia parte della popolazione statunitense ma concretizza provvedimenti a vantaggio dei ceti abbienti, di precisi segmenti dell’élite economica nordamericana; che si ammanta di una convincente retorica “antisistema”, pur essendo, come nella migliore tradizione populista, parte integrante di (una specifica componente) di quel medesimo “sistema”. Non è la logica “sistema-antisistema”, dunque, a spiegare il risultato elettorale e il successo politico di Trump; molto meglio possono farlo l’analisi delle contraddizioni e delle polarizzazioni sociali e delle condizioni e degli effetti delle profonde e pesanti diseguaglianze sociali che attraversano in maniera lacerante gli Stati Uniti.

Il successo politico, intanto, è incontrovertibile, al punto che Trump stesso, nel “discorso della vittoria”, ha annunciato l’intenzione di unire, superare le divisioni, esasperate dai toni e dai temi della campagna elettorale, proprio in virtù del “successo” conseguito. Un’affermazione forse sfuggita a diversi commentatori, ma non banale, nella logica che muove l’impianto politico del personaggio e del suo entourage (che non è quello, evidentemente, del tradizionale establishment repubblicano). Lo dicono i dati. Nel momento in cui scriviamo, a Trump sono attribuiti 295 grandi elettori (maggioranza: 270); netto il successo nel voto popolare, con 72.641.564 voti pari al 51%, contro Kamala Harris ferma a 67.957.895 voti pari al 47.5%, con un vantaggio di oltre quattro milioni di voti popolari; conquista la maggioranza al Senato (52 vs. 44) e presumibilmente anche alla Camera (206 vs. 191). In più del 50% delle oltre 3.000 contee degli Stati Uniti vi è stato un significativo spostamento verso Trump. Ribalta, in sostanza, l’esito, in termini di voto popolare, delle elezioni del 2016, quando la Clinton ottenne quasi tre milioni di voti in più; adesso sono oltre quattro milioni in più per Trump.


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Emilio Quadrelli: György Lukács, un’eresia ortodossa / 1 — L’attualità dell’inattuale

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György Lukács, un’eresia ortodossa / 1 — L’attualità dell’inattuale

di Emilio Quadrelli

[Inizia oggi la pubblicazione di un lungo saggio di Emilio Quadrelli che il medesimo avrebbe volentieri visto pubblicato su Carmilla. Un modo per ricordare e valorizzare lo strenuo lavoro di rielaborazione teorica condotta da un militante instancabile, ricercatore appassionato e grande collaboratore e amico della nostra testata – Sandro Moiso]

lukacs 1.jpg“È più piacevole e più utile partecipare alle esperienze della rivoluzione che scrivere su di essa.” (V. I. Lenin, Stato e rivoluzione)

La decisione del Governo ungherese di chiudere l’Archivio Lukács è un indicatore dei tempi.

Un indicatore che rimanda a quell’ora più buia già tristemente conosciuta dall’Europa. Riproporre Lukács allora è anche un atto, per quanto limitato, di resistenza. Limitato ma non inutile. La resistenza non nasce dal nulla ma da idee–forza in grado di armarla. Lukács è un’arma utile e attuale. Si tratta di imparare a maneggiarla.

Nel febbraio del 1924, a poche settimane dalla morte di Lenin, György Lukács dà alle stampe il pamphlet Lenin. Teoria e prassi nella personalità di un rivoluzionario. Un centinaio di pagine scritte di getto che, come proveremo ad argomentare, si mostrano uno dei testi più ricchi e densi della teoria politica marxiana dell’intero novecento. La sua complessità e ricchezza è tale da rivestire ancora nel presente molto di più di una semplice curiosità e ancor meno l’ennesimo omaggio malinconico al mondo di ieri. Se c’è una cosa che nel testo di Lukács sorprende e assieme stupisce è la sua attualità. Comunque prima di immergerci nell’esposizione del saggio lukácsiano è necessario dire qualcosa sull’autore: György Lukács è tutto tranne che una figura semplice, la sua condizione di militante costretto alla autocritica in permanenza racconta già qualcosa di non proprio irrilevante. In continuazione, e a questo destino non sfugge neppure il Lenin, Lukács deve far ricorso, per poter essere letto e pubblicato, a una qualche forma di ammenda. Paradossalmente ogni ortodossia instauratasi nel santuario comunista si è sentita in dovere di criticare Lukács almeno un poco, lasciandogli però sempre aperto lo spiraglio dell’autocritica. Figura intellettuale di prim’ordine cresciuto in quella fucina culturale, forse irripetibile, che è stata la crisi intellettuale del primo novecento europeo, ha una formazione ben poco in linea con ciò che diventerà l’ortodossia comunista1.

Weber e Simmel possono, a ragione, essere annoverati tra i suoi padri intellettuali tanto che non saranno pochi gli echi di questi autori che rimarranno presenti nelle sue opere2.


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Emiliano Brancaccio: Trumpnomics 2.0, via anche gli ultimi lacci alla finanza

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Trumpnomics 2.0, via anche gli ultimi lacci alla finanza

di Emiliano Brancaccio*

Stando agli exit polls di Abc, oltre due terzi degli elettori americani si dichiarano insoddisfatti dalla situazione economica lasciata dall’amministrazione Biden. La working class, in particolare, lamenta una caduta del potere d’acquisto dei salari fino a tre punti percentuali all’anno per tre anni.

L’erosione retributiva, a quanto pare, ha avuto un impatto rilevante sulle elezioni. Molti lavoratori che in precedenza avevano votato per i democratici, stavolta hanno disertato le urne o hanno scelto Donald Trump.

La voltata di spalle di quel residuo di classe lavoratrice che ancora si iscrive alle liste elettorali è forse la prova più tangibile del fallimento dei democratici americani. Tuttavia, se la speranza è che il nuovo presidente sostenga le condizioni di vita dei lavoratori, possiamo già dire che sarà delusa. Dal fisco, alla spesa sociale, alla regolamentazione del lavoro, la “Trumpnomics 2.0” sarà quella di sempre: una politica economica al diligente servizio del capitale americano.

Trump ha insistito sul rafforzamento del suo “Tax Cuts and Jobs Act”. Nel 2017 aveva portato l’imposta massima sui profitti delle imprese dal 35 al 21 per cento e ora vuole ulteriormente ridurla al 15 per cento, nel tripudio dei grandi azionisti di Wall Street. Inoltre, il nuovo presidente ha annunciato tagli rilevanti al prelievo federale sugli straordinari e sulle pensioni più alte.


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Thomas Fazi: Come Trump potrebbe liberare l’Europa. Il suo isolazionismo è un’opportunità

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Come Trump potrebbe liberare l’Europa. Il suo isolazionismo è un’opportunità

di Thomas Fazi

Cosa dovrebbe temere più di ogni altra cosa l’establishment tecno-globalista dell’UE?

Nel lungo termine il rafforzamento del conservatorismo nazionale in Occidente potrebbe avere gravi implicazioni geopolitiche. Per cominciare, il rifiuto della Russia agli eccessi del liberalismo la rende una sorta di alleato “naturale” dei conservatori occidentali, in particolare in un mondo in cui le ideologie sono sempre più inquadrate come “patriottismo nazionale” contro “globalismo cosmopolita”. Inoltre, nella misura in cui i conservatori rifiutano l’universalismo progressista in patria, abbracciando la distinzione culturale nei propri paesi, dovrebbero anche opporsi alle stesse idee a livello internazionale. Sarebbe sicuramente saggio, quindi, sostenere i tentativi di Cina, Russia e altri Brics di fomentare il rispetto per la specificità della civiltà e i valori tradizionali di tutte le nazioni, abbandonando nel frattempo l’UE e le affermazioni liberal-universaliste che essa rappresenta. In questo senso, Trump potrebbe ancora rivelarsi un alleato cruciale, seppur inconsapevole, nel tentativo dei Brics di costruire un ordine mondiale più “conservatore”. Questo, in definitiva, è probabilmente ciò che l’establishment tecno-globalista dell’UE dovrebbe temere più di ogni altra cosa.

* * * *

Il peggior incubo dell’UE si è avverato: Donald Trump torna alla Casa Bianca. Non è difficile immaginare il panico che molti leader devono provare mentre si riuniscono questa mattina a Budapest per il vertice della Comunità politica europea.


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Francesco Cappello: Le condizioni economiche della guerra da Biden a Trump

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Le condizioni economiche della guerra da Biden a Trump

di Francesco Cappello

Il debito USA nei confronti del resto del mondo e il processo di dedollarizzazione in corso impongono agli Stati Uniti l’abbandono del suo ruolo egemonico unipolare e l’inaugurazione di una fase collaborativa multipolare col resto del mondo; l’alternativa essendo il vicolo cieco del confronto nucleare con Russia e Cina

photo 2024 11 07 14 51 44 1031x641.jpgLo stato delle cose. Il debito degli USA nei confronti del resto del mondo

La posizione finanziaria netta (la differenza fra attività e passività finanziarie) degli Usa, è negativa per oltre 21mila miliardi di dollari, una cifra spaventosa che continua a crescere. In pratica si tratta del debito estero degli USA nei confronti del resto del mondo.

Anche il debito pubblico statunitense ha raggiunto vette inedite. Ammonta a 36mila miliardi di dollari e quel che è peggio cresce ancor più velocemente da quando la FED, nel tentativo di convincere gli investitori stranieri a finanziarlo, si è vista costretta ad alzare i tassi di interesse per continuare a render loro, appetibili, i suoi titoli di stato USA sul mercato internazionale.

Entrambi questi debiti degli Stati Uniti nei confronti del resto del mondo saranno sostenibili solo se il dollaro continuerà ad essere la principale valuta utilizzata negli scambi internazionali e come valuta di riserva internazionale. In caso contrario, il dollaro, non essendo più domandato in misura sufficiente, quale valuta prevalente per gli scambi internazionali, andrebbe incontro a una rovinosa svalutazione anche perché l’economia statunitense, grazie al dollaro utilizzato quale valuta fiat internazionale dal 1971, si è, nel frattempo, in larga misura, finanziarizzata.

Sanzioni, dazi, e vendita dei titoli del tesoro USA da parte ad esempio della Cina che piuttosto che comprarne di nuovi ha deciso di investire diversamente il proprio enorme surplus finanziario(1) in costruzione di infrastrutture interne e globali – Nuova via della seta – e acquisto di oro, alimentano viceversa il processo di dedollarizzazione.


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Alessandro Scassellati: La sconfitta dell’Occidente oligarchico e nichilista. La profezia di Emmanuel Todd

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La sconfitta dell’Occidente oligarchico e nichilista. La profezia di Emmanuel Todd

di Alessandro Scassellati

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12.jpgLo storico, demografo, antropologo e sociologo neo-weberiano Emmanuel Todd, allievo dello storico inglese Peter Laslett a Cambridge e noto per aver predetto con diversi anni di anticipo il crollo dell’URSS1, ha scritto un libro importante e molto ambizioso, “La sconfitta dell’Occidente” (Fazi Editore, Roma 2024), pieno di spunti geniali, ipotesi ardite e brillanti e scomode provocazioni2. Insomma, un libro da leggere con gusto. È stato scritto tra il luglio e il settembre del 2023 (durante l’estate della fallita controffensiva ucraina pianificata dal Pentagono), ma è uscito in Italia in settembre con una prefazione scritta nel giugno 2024.

Il libro cerca di fare il punto sulla disastrosa condizione presente e la tesi centrale è che l’Occidente, più che essere sotto attacco da parte della Russia, “si sta distruggendo da sé”: la crisi endogena dell’Occidente è il motore del momento storico che stiamo vivendo. “A mettere a rischio l’equilibrio del pianeta è una crisi occidentale, e più precisamente una crisi terminale degli Stati Uniti, le cui onde più periferiche sono andate a schiantarsi contro la banchina della resistenza russa, contro un classico Stato-nazione conservatore” (pag. 38).

L’Occidente è diventato totalmente autoreferenziale, convinto che avrebbe potuto facilmente imporre il suo modello al resto del mondo. “Il sistema occidentale odierno ambisce a rappresentare la totalità del mondo e non ammette più l’esistenza dell’altro. Tuttavia, … se non riconosciamo più l’esistenza dell’altro, legittimamente tale, alla fine cessiamo di essere noi stessi” (pag. 51). Ogni civiltà è viva e capace di agire con coerenza, se ha una identità dialettica. Secondo Todd, l’America di Eisenhower negli anni ’50, grazie ai lavori di alcuni antropologi e scienziati politici (Margaret Mead, Ruth Benedict, Edward Banfield, etc.) era ancora capace di riconoscere “l’altro” (ossia la diversità socio-culturale del mondo), in particolare la specificità delle culture russa, giapponese o dell’Italia meridionale (pp. 72-73). Ora, prevale una concezione uniforme dei popoli.


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Gennaro Scala: La teoria del mondo multipolare e il pensiero marxista

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La teoria del mondo multipolare e il pensiero marxista

di Gennaro Scala

630e448923415 510 696x392.jpgRagionare di teoria politica in Italia incontra un primo grande scoglio: non siamo una nazione sovrana, per cui non esiste un reale dibattito politico su quelle che dovrebbero essere le scelte nazionali, poiché qualsiasi argomentazione razionale in merito viene annullata dalla dipendenza italiana dagli Usa, dall'Unione Europea, e dai «mercati». Ciò vale soprattutto per la politica estera, ma non siamo sovrani neanche in scelte che in teoria non dovrebbero con essa interferire, come le politiche sull'immigrazione, poiché l'oligarchia occidentale dominante ha deciso che dobbiamo importare massicciamente «risorse umane», per il calo della natalità, per avere manodopera più a buon mercato rispetto a quella autoctona «viziata», e magari un domani, per disporre di carne da cannone da impiegare nei numerosi teatri di guerra che si prevedono nel futuro prossimo. E non importa se, in una nazione come l'Italia, poco coesa ed economicamente in crisi, un'immigrazione massiccia, concentrata nel tempo, rischia di provocare il caos interno. Ragion per cui anche le forze politiche che hanno sollevato demagogicamente la questione finiscono per adottare le stesse scelte di quelle pro-immigrazione. A parte la demenzialità di essere pro o contro l'immigrazione a priori, per partito preso, bisognerebbe invece ragionare su immigrazione in che misura, per quali fini, in quali condizioni, con quali conseguenze, ma non voglio dilungarmi ciò che ci interessa è la mancanza di sovranità dell'Italia che rende la democrazia una farsa.

Attenersi a questo dato di fatto in modo strettamente conseguenziale porterebbe alla deprimente conclusione che sia inutile ragionare di politica, e dedicarsi a coltivare il proprio «particulare», come suggeriva Guicciardini secoli fa in un contesto di asservimento dell’Italia a cui stiamo tornando. Ma sarebbe un errore, e dirò tra poco come credo sia possibile superare mentalmente questo impasse, intanto voglio indicare quale mi pare la reazione più comune, premesso che il comportamento bovino di chi volta le spalle a quanto avviene nel mondo non lo prendiamo in considerazione.


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Enrico Grazzini: Meglio Trump che vuole la pace in Ucraina o Ursula von der Leyen che invece vuole la guerra fino alla vittoria?

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Meglio Trump che vuole la pace in Ucraina o Ursula von der Leyen che invece vuole la guerra fino alla vittoria?

di Enrico Grazzini

Non è detto che Ursula von der Leyen sia meglio del pregiudicato Donald Trump per quanto riguarda la difesa degli interessi dei paesi europei. Ursula rappresenta una Europa impotente sul piano militare ma paradossalmente guerrafondaia: insomma una Europa che abbaia ma non morde e si fa male da sola. Trump, che certamente è un autocrate e un tipo che non raccomanderei a mia figlia, sembra invece cercare i negoziati e la pace in Ucraina. La pace farà molto bene all’Europa; al contrario, se la guerra fosse durata “fino alla vittoria ucraina” (???) come proclamava assurdamente Ursula, l’Europa si sarebbe dissanguata per nulla: infatti è chiaro anche ai ciechi che l’Ucraina non potrà mai vincere questa guerra. Per colpa di Ursula l’Europa è entrata in una pericolosa escalation che potrebbe portarla anche alla guerra atomica. Addirittura Ursula e il parlamento europeo hanno votato per portare la guerra dentro il territorio russo: neppure gli americani e gli inglesi – che certamente non sono colombe e che le armi, a differenza della UE, ce le hanno davvero – hanno osato tanto.

Trump pare finalmente realistico: neppure l’America con tutte i suoi armamenti formidabili può rischiare delle guerre su tre fronti, quello europeo in Ucraina, quello in Medio Oriente sul fronte Israelo-palestinese-Iran, e quello in Asia per la questione di Taiwan. Ursula invece con la sua irresponsabile testardaggine ci avrebbe portato perfino a un rovinoso scontro con la Russia atomica. Un politico intelligente avrebbe invece dovuto prevenire la guerra.


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Collettivo Le Gauche: Utilizzare Marx per la critica dell’economia politica della tecnologia

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Utilizzare Marx per la critica dell’economia politica della tecnologia

di Collettivo Le Gauche

images 51Andrea Cengia nel libro Le macchine del capitale. Con Marx, per la critica dell’economia politica della tecnologia prova ad analizzare i nuovi strumenti tecnologici e le nuove tecnologie alla luce delle riflessioni marxiane. Lo scopo è raggiungere una teoria critica della tecnologia basata sul solco tracciato da Marx della critica dell’economia politica. Questa operazione consente di superare tutte le retoriche sulla rivoluzione digitale capitalistica del XXI secolo per riportare le analisi allo studio del modo di produzione capitalistico.

 

1. La tecnologia non è neutrale

Le riflessioni di Cengia partono dalla critica dei saperi che indagano gli effetti sociali delle trasformazioni tecnologiche poiché essi tendono a ritenere la cornice generale all’interno della quale sono determinate le relazioni sociali a base tecnologica come qualcosa di astorico e naturale. Tutti i punti di tensione, le contraddizioni, i potenziali conflitti generati dalle continue innovazioni tecnologiche vengono depotenziati da discorsi volti solo a enfatizzare le imminenti svolte epocali a cui l’umanità è destinata grazie alla rivoluzione tecnologica del momento. Queste svolte sembrano essere annunciate da fenomeni come l’approdo dell’umano al postumano, oppure la fine del lavoro. Dobbiamo invece rispondere a queste narrazioni spostando il nostro sguardo attraverso una prospettiva critica per individuare i nodi problematici che sembrano crescere di giorno in giorno. Per fare ciò è necessario riprendere in mano Marx e sottoporre la tecnologia a una lente interpretativa non tecnologica, ossia analizzarla tramite il punto di vista della critica dell’economia politica. Per Marx la tecnologia non è solo un processo unidirezionale e determinato di innovazione. Essa inevitabilmente richiama l’argomento dei processi produttivi e quindi, dal punto di vista marxiano, lo studio della loro trasformazione tramite la critica dell’economia politica.


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Roberto Iannuzzi: BRICS: la voce del mondo non occidentale si leva da Kazan

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BRICS: la voce del mondo non occidentale si leva da Kazan

di Roberto Iannuzzi

Nel pieno della crisi dell’attuale ordine internazionale, dal cuore eurasiatico della Russia emergono i possibili contorni di una visione alternativa del mondo

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2384x1450Mentre trent’anni di era unipolare americana stanno tumultuosamente sprofondando in un crescente numero di conflitti spesso alimentati dall’ex potenza egemone, il vertice dei BRICS della scorsa settimana ci ha offerto una finestra sul mondo che potrebbe emergere da questo pericoloso periodo di transizione.

Tenutosi a Kazan, capitale della Repubblica del Tatarstan, in Russia, è stato un vertice di consolidamento, il primo dopo l’espansione del gruppo a nove membri sancita dall’incontro di Johannesburg dello scorso anno.

Durante il primo giorno, i membri originari dei BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) hanno dato il benvenuto ufficiale ai nuovi arrivati (Egitto, Emirati Arabi Uniti, Etiopia, e Iran). Il gruppo allargato, solitamente denominato BRICS+, rappresenta più del 40% della popolazione mondiale.

Ospitando questo importante evento, il presidente russo Vladimir Putin ha dimostrato ancora una volta all’Occidente che Mosca non è affatto isolata a livello internazionale, sebbene il conflitto ucraino sia tuttora in corso. Al contrario, la Russia è uno dei principali motori di questo raggruppamento che sta attirando un crescente numero di paesi.

Almeno altre 40 nazioni hanno in varia misura espresso interesse ad aderire al gruppo.

Al vertice hanno preso parte più di 30 delegazioni, 22 capi di Stato e di governo, e i rappresentanti di diverse organizzazioni internazionali, incluso il segretario generale dell’ONU, Antonio Guterres.

Lo stesso che è stato recentemente dichiarato persona non grata da Israele, alleato chiave di Washington che, con il suo persistente disprezzo delle risoluzioni ONU e con i suoi ripetuti attacchi all’UNRWA in Palestina ed all’UNIFIL in Libano, continua a delegittimare l’ordine internazionale “basato su regole” a guida statunitense.


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Patrizia Cecconi: Da Sakineh Ashtiani a Ahoo Daryaei: quel sottile razzismo (occidentale) che chiude la mente

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Da Sakineh Ashtiani a Ahoo Daryaei: quel sottile razzismo (occidentale) che chiude la mente

di Patrizia Cecconi

Ricordate Sakineh Ashtiani? Il tribunale iraniano la condannò a morte per aver ammazzato il marito, folgorandolo nella vasca da bagno con due cavi elettrici.

Probabilmente il marito era cattivissimo e Sakineh non ne poteva più, così, aiutata dal suo nuovo compagno, decise di liberarsene.

Venne scoperta e condannata. Per sua fortuna si disse che il barbaro tribunale iraniano la condannava alla lapidazione e questo scosse le nostre coscienze e iniziò una campagna internazionale a suo favore accompagnata dall’immagine di un bellissimo volto giovane incorniciato da un chador nero. In seguito ai tanti appelli che tutti noi, contrari alla pena di morte firmammo, il tribunale iraniano affermò che non sarebbe stata lapidata ma “solo” impiccata. Per fortuna era solo il primo passo. La povera Sakineh aveva trovato il suo Gesù al pari della Maddalena – l’adultera condannata duemila anni fa alla lapidazione dai tribunali ebraici – nella grande forza dei media e di milioni di noi, sinceramente contrari a qualunque pena di morte, nonché di molti governi occidentali che si attivarono per salvarle la vita. Avvenne il miracolo: la famiglia dell’ucciso non chiese vendetta e questo, per la legge iranica, può cambiare la sentenza, così, anche se colpevole di uxoricidio, la sentenza di morte si trasformò in dieci anni di galera che poi si convertirono in otto quando l’allora presidente Rouhani le concesse la grazia per buona condotta.


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Carlo Formenti: I popoli africani contro l'imperialismo - 1. Said Bouamama

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I popoli africani contro l'imperialismo - 1. Said Bouamama

di Carlo Formenti

Con questo testo inauguro un percorso in tre tappe sulle lotte africane contro l’imperialismo e sul loro contributo allo sviluppo del marxismo. In questo primo articolo discuto due libri di Said Bouamama (intellettuale marxista di origine magrebina nato in Francia - a Roubaix - sessantasei anni fa): Pour un panafricanisme révolutionnaire (Syllepse, Parigi 2023) e Des classes dangereuses a l’ennemi intérieur (Syllepse, Parigi 2021). Nelle puntate successive mi occuperò, rispettivamente, di Red Africa dell’anglo-africano Kevin Ochieng Okoth (di imminente uscita presso l’editore Meltemi, con una mia Postfazione) e di un’antologia di testi del guineense Amilcar Cabral.

modalita di viaggio in africa 1820 da w hutton viaggi in africa 1821 da i clark dopo william hutton gli europei sono trasportati su lesulle
lettiere un uomo africa.jpgI. Sul panafricanismo rivoluzionario

a) Le falsificazioni ideologiche occidentali per legittimare il colonialismo

La più diffusa mistificazione cui gli imperialisti occidentali hanno fatto ricorso per giustificare le proprie guerre coloniali di conquista, scrive Bouamama, è stata l’affermazione secondo cui l’Africa sarebbe un continente “senza storia”, che solo grazie all’integrazione negli imperi dei Paesi europei ha potuto fare il proprio ingresso nella storia “universale” (cioè europea). Questa tesi si fonda su una narrazione che presenta il continente africano come un insieme di società “primitive”, politicamente non strutturate, “senza stato”, una moltitudine di gruppi umani senza scambi reciproci, perennemente in guerra fra loro e incapaci di esprimere forme sociali più complesse della tribù e del clan famigliare (per inciso, vale la pena di sottolineare come l’immagine delle “società senza stato” evocata nelle narrazioni di alcuni antropologi occidentali, sia stata utilizzata “da sinistra” per criticare i processi di costruzione nazionale post indipendenza ed esaltare certe forme sociali premoderne in contrapposizione ai processi di modernizzazione imposti dall’esterno).

La realtà è che, prima della colonizzazione, contrariamente alle affermazioni propagandistiche occidentali, sia nell’Africa Settentrionale che nell’Africa Subsahariana, esistevano non solo stati ma addirittura veri e propri imperi per cui la colonizzazione, scrive Bouamama, non ha voluto dire l’ingresso dell’Africa nella storia, bensì l’interruzione violenta della sua storia (esattamente come la cosiddetta “scoperta” dell’America ha voluto dire l’interruzione violenta della storia di quel continente).


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Alberto Bradanini: Realismo versus Idealismo

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Realismo versus Idealismo

di Alberto Bradanini

2012
12 realismo.jpg1. In un articolo pubblicato su Substack, Glenn Diesen, un pungente professore norvegese (dell’Università Sud-Orientale del suo paese) e acuto esponente della scuola realista delle Relazioni Internazionali – cui appartiene anche il più noto John Mearsheimer dell’Università di Chicago – sfida con argomentato coraggio la narrativa convenzionale occidentale, manifestamente costruita dai sistemi di comunicazione di massa – che l’operazione militare speciale decisa da Mosca il 24 febbraio 2024 sia stata una derivata non-provocata dell’intento russo di riproiettarsi sul quadrante esteuropeo un tempo occupato/presidiato dall’Unione Sovietica.

Le riflessioni del prof. Diesen costituiscono un prezioso arricchimento intellettuale e vaccinatorio contro la macchina della distorsione mediatica. Insieme alle sue riflessioni il lettore troverà a intermittenza alcuni commenti a margine da parte dello scrivente.

 

2. Confondendo i termini della questione, molti dipingono la scuola del realismo politico – rileva l’autore – come una teoria deficitaria sotto il profilo etico, non solo politico, contestandone la valenza teleologica, vale a dire la capacità di definire un convincente modello di gestione della competizione tra nazioni, che per i realisti è una derivata ineludibile della struttura anarchica del sistema internazionale. Tale indomabile competizione è causata dalla necessità degli stati di proteggere la loro sicurezza in assenza di un potere gerarchico che disponga del monopolio dell’uso della forza. Per gli idealisti (i seguaci della scuola di pensiero da cui prendono nome), la condotta degli stati deve invece ricondursi alla dimensione etica. Se i corrispondenti valori non sono rispettati – quelli generati dalla Grande Potenza di turno e coincidenti, non a caso, con i suoi interessi (oggi, gli Stati Uniti, portatori dell’ideologia democratica, liberale e mercantile) -, questa ha il dovere morale di imporli al resto del mondo. E qui, come si può immaginare, cominciano i guai.


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Davide Carrozza: Il caso del caso Moro Parte 5: Il superkiller

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Il caso del caso Moro Parte 5: Il superkiller

di Davide Carrozza

whatsapp image 2024 11 02 at 00.17.12.jpegNello splendido film noir del maestro Jean Pierre Melville del 1970 “I senza nome” (Le cercle rouge) gli indimenticabili Alain Delon e Gian Maria Volontè sono due criminali incalliti le cui strade si incrociano quasi per caso. Arrestato e fuggito alla sorveglianza lanciandosi da un treno in corsa, Genco (Volontè), per nascondersi si infila nel bagagliaio della macchina di Corey (Delon), quasi guidato da un sesto senso. Quest’ultimo, appena reduce da 5 anni di gattabuia ha ricevuto una soffiata da un secondino ed ha pronto un colpo sensazionale in una gioielleria, gli serve solo un partner spregiudicato come lui, con esperienza nel settore e senza nulla da perdere….quando si dice il destino. Troverà il compagno per il colpo del secolo proprio dentro al suo bagagliaio. Un episodio in particolare dimostrerà come Corey non potesse essere più fortunato perché l’uomo che il fato gli aveva messo nel baule si sarebbe rivelato qualcuno di cui fidarsi ciecamente. Quando due loschi figuri, probabilmente due federali, si infilano nella macchina di Corey per portarlo in aperta campagna e giustiziarlo, sono costretti a fare i conti con l’astuto Genco che fuoriuscito dal bagagliaio li tiene a tiro garantendo all’amico la sopravvivenza. Quando Genco spara a entrambi, all’uno con la pistola dell’altro, dimostra allo spettatore medio di essere un fine esperto. Chiaramente la cosa passerà per una faida interna ai servizi segreti e i due potranno pensare al loro sodalizio criminale ormai scontato. Rifugiatisi in un appartamento della periferia di Parigi i due cominciano a ragionare sul colpo alla gioielleria…hanno bisogno di un tiratore scelto e per qualche strano motivo Corey è convinto che Genco sia la persona adatta a ricoprire il ruolo. Il bandito con il volto di Volontè però riporta l’amico con i piedi per terra “Io? Ti sei sbagliato. Fra ammazzare due persone a due metri di distanza e fare colpo su un bersaglio a 30 metri c’è una bella differenza.” Per il colpo verrà precettato Jansen, ex tiratore scelto della polizia. Gli sceneggiatori del film quindi dimostrano di essere a conoscenza di una regola della balistica nonché della logica abbastanza elementare: per sparare e uccidere una persona da distanza molto ravvicinata non bisogna essere necessariamente dei tiratori scelti.


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Loretta Napoleoni: Come ha fatto Trump a vincere contro tutto e tutti

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Come ha fatto Trump a vincere contro tutto e tutti

di Loretta Napoleoni*

E’ stata una notte elettorale brevissima in California, poco prima delle 22 con i risultati parziali dei primi swing states, prima ancora che si avessero quelli degli stati centrali, tutti rossi, Trump aveva già vinto la corsa alla Casa Bianca. Lo diceva la matematica. È stata una notte breve e tranquilla, senza sorprese, priva di momenti di tensione o timide speranze, la vittoria del MAGA e’ stata schiacciante.

Non ci sono state neppure parate notturne, non ce n’è stato bisogno. Al contrario insieme alla tensione accumulata durante le ultime settimane elettorali è sceso il trionfalismo, e’ successo velocemente, come il mercurio del termometro quando finalmente il febbrone scompare. Persino la retorica di Donald Trump durante il discorso della vittoria è stata pacata rispetto ai toni della campagna. E’ finito il tempo degli scontri, degli insulti, delle minacce, l’età d’oro dell’America moderna auspicata da The Donald sarà l’era dell’unione, si ricucirà la frattura interna della nazione, il paese guarirà, tornerà a essere compatto. Un sogno? L’ennesima menzogna elettorale?

Certo la stampa internazionale, il fronte politico dell’establishment, il mondo “borghese” è convinto che sia cosi’. Trump incarna tutto ciò che il perbenismo occidentale detesta e quindi da buon “villano”, villan, mente spudoratamente. Per questo fronte nei prossimi quattro anni l’America diventerà ancora più’fratturata, polarizzata, ostile e persa, e alla fine del secondo mandato di Trump ci ritroveremo con una nazione svuotata di identità.


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Pierluigi Fagan:  Ipotesi sulla politica estera di Trump

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Ipotesi sulla politica estera di Trump

di Pierluigi Fagan

Parliamo di ipotesi perché il nuovo presidente USA non ha rilasciato la consueta intervista preelettorale in cui di solito i candidati accennano le linee della loro politica estera e perché il tipo è, notoriamente, poco prevedibile. Tuttavia, alcune cose si possono dire e altre ipotizzare.

1) Ucraina. Qui almeno si sa che molto probabilmente Trump chiuderà (ma forse solo in parte) rubinetti dei finanziamenti diretti e degli armamenti e più in generale dell’impegno logistico. Anche per lasciare la patata bollente nelle già tremanti mani europee, Europa sotto altre mire strategiche di cui parleremo dopo. Tenterà un accordo di pace come promesso, che ci riesca assai improbabile a meno non voglia davvero rimettersi a discutere con Putin i principi generali di sicurezza (dislocazione missili, ruolo paesi NATO di confine) dell’area. Cosa assai improbabile dal momento che la scorsa volta fu proprio Trump a stracciare il Trattato INF, architrave del sistema di sicurezza in Europa firmato a suo tempo da Gorbaciov e Reagan (alla faccia dell’”amico di Putin”!). Secondo Mearsheimer, Putin ormai non crede più all’Occidente sotto nessuna forma e veste, ritiene del tutto improbabile il russo venga incontro all’americano più di tanto, nel mio piccolo concordo. Le prime dichiarazioni russe all’elezione hanno tenuto a ribadire che la Russia perseguirà -tutti- i suoi obiettivi dell’operazione militare speciale.


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Davide Rossi: Chi sono e che cosa chiedono i 72 milioni di elettori di Donald Trump

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Chi sono e che cosa chiedono i 72 milioni di elettori di Donald Trump

di Davide Rossi

Dunque 72 milioni di donne e uomini, bianchi, neri, ispanici, giovani e anziani, hanno votato Donald Trump. Leggere i giornali oggi conferma quello che si legge da otto anni: in un rapporto simbiotico, Trump e i suoi elettori sarebbero uguali. Sprezzanti, fascisti, volgari, aggressivi, dittatoriali, xenofobi, truffatori, bugiardi, squilibrati, razzisti, golpisti e predatori sessuali, solo mettendo insieme le simpatiche definizioni espresse in quattro righe da un editorialista della Svizzera Italiana, uno dei tanti dell’universo liberal che piange e si dimena per la sconfitta della democratica e “progressista” (in che cosa progressista lo sanno solo loro) signora Harris, familiarizzata mediaticamente come l’amica Kamala, inchiodatasi, nonostante una campagna mediatica interna e internazionale senza precedenti, al consenso di 67 milioni di statunitensi. Certamente qualche burlone senza argomenti ci racconterà che son stati gli hacker russi.

Ora, dando anche per buono che un paio di milioni di elettori statunitensi rientrino nelle orrorifiche categorie dispiegate tutti i giorni dai liberal, rimarrebbe da analizzare chi siano gli altri 70 milioni di elettrici ed elettori, che tra l’altro son sempre più dei 67 milioni della signora Harris.

Sommariamente e sommessamente, in una prima e molto sbrigativa analisi, possiamo dire che non siamo di fronte all’America di Trump, ma siamo di fronte a donne e uomini statunitensi che hanno compiuto una scelta politica chiara e netta, chiedendo a Trump di renderla operativa.


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Gianandrea Gaiani: Il ritorno di Trump

analisidifesa

Il ritorno di Trump

di Gianandrea Gaiani

110624 President Donald Trump AP CMDonald Trump è il trionfatore nella corsa alla Casa Bianca sia per i voti incassati tra i “grandi elettori” e nel voto popolare sia per il successo del Partito Repubblicano nelle elezioni del Congresso. Prima ancora dell’Amministrazione Biden e di Kamala Harris, a uscire sconfitti dal voto americano è il circuito mediatico che ha dimostrato la sua totale inattendibilità e partigianeria.

Pronostici, valutazioni e sondaggi resi noti negli Stati Uniti ma anche in Europa e in Italia hanno dato fino all’ultimo i due rivali testa e testa con un leggero vantaggio per Kamala Harris. Previsioni rivelatesi talmente infondate da alimentare il sospetto che fossero indirizzate più a influenzare il voto degli americani che a fotografarne l’orientamento. Pura propaganda alimentata da media, mondo della cultura e dello spettacolo fin troppo chiaramente schierati con il Partito Democratico che però aveva sollevato ancora una volta un polverone per denunciare (complici anche diversi “zelanti” alleati europei) la “disinformazione russa” tesa a influenzare il voto a favore di Trump.

Difficile credere che coloro che davano Trump e Harris testa a testa nel voto americano si siano tutti sbagliati: appare quindi più probabile che la disinformazione (la nostra, non quella russa) abbia prevalso ancora una volta come è apparso chiaro seguendo alcune “maratone” televisive nostrane.

In queste come in altre elezioni il tema dell’inaffidabilità e dell’informazione (anzi, della disinformazione) attuata da gran parte del circo mediatico occidentale è emerso in modo talmente eclatante da rappresentare paradossalmente una minaccia per l’opinione pubblica e per la democrazia. Specie in un contesto in cui, dalle due sponde dell’Atlantico, si moltiplicano appelli e iniziative tese a limitare o sopprimere la libertà di espressione nel nome della “lotta alla disinformazione”.

In realtà, a determinare il successo del candidato repubblicano sembrano essere stati gli elementi emersi il 5 novembre in un sondaggio effettuato tra gli elettori dalla CNN che ha rivelato come solo il 5% ritenga che l’economia americana sia in uno stato di forma eccellente, mentre circa il 70% ritiene che non versi in buono stato.


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Alessandro Visalli: Poche tesi sulla rielezione di Trump

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Poche tesi sulla rielezione di Trump

di Alessandro Visalli

hfidbukdIn attesa di poter svolgere un’analisi più dettagliata del voto americano, quel che appare al momento è l’ampiezza inusuale della vittoria di Donald Trump e James Vance sul ticket democratico. Vittoria che si è estesa a Camera e Senato e ha spostato significativamente i rapporti di forza dall’ormai tradizione ‘quasi pareggio’ presidenziale.

Una vittoria che si presenta quindici anni dopo il termine del ciclo Bush junior, e otto dopo quello di Obama. Ovvero sedici anni (quindici e mezzo) dopo la crisi-spia della finanziarizzazione esemplificata dal crollo del 2008. Se pure questa data simbolo del 2008 si colloca in effetti al termine di un ciclo di bolle alimentate politicamente che risale almeno a un decennio prima, fu il segnale della necessità di tornare a qualcosa che potesse, almeno per il grande capitale finanziario, come una sorta di ‘big state’. Il segno dei tempi fu il pacchetto di stimoli bipartisan promosso dalla coppia Bush-Obama e la ricerca costante di un nuovo ‘motore’ economico, oltre alla crescente consapevolezza della crisi della “mondializzazione” anni Novanta (avviata dalle crisi multiple degli anni ’97 e ’98, le cosiddette “Crisi asiatiche”, che poi furono anche del Messico della Russia, etc.) e delle “Classi medie”. Tentativi di riprendere il “Doha Round” del 2001, con il TIPP e TPP, in chiave sempre più chiaramente anti-cinese, ma anche anti-europea[1] (tentativi che vedono, forse per la prima volta, manifestarsi contro l’amministrazione democratica una coalizione sociale interna contro l’ulteriore potenziale invasione di prodotti a basso costo, e quindi l’ulteriore deindustrializzazione). Quindi velleitarie politiche per un milione di posti di lavoro nell’industria[2], oppure di rivitalizzare la formazione tecnica, poco dopo i vaniloqui della Clinton sulla lotta alla “società freelance” o la “gig economy”[3]. Si può anche ricordare il Discorso sullo Stato dell’Unione del 2015 di Obama[4], a metà del secondo mandato, quando avviene una significativa svolta ambientalista e nelle politiche energetiche, mentre continuano assolute macchie come Guantanamo e si sviluppa la politica delle “primavere arabe”.


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Piccole Note: Vince Trump, la guerra mondiale è rimandata

piccolenote

Vince Trump, la guerra mondiale è rimandata

di Piccole Note

La vittoria netta del tycoon rilancia prospettive di pace. Difficile dire se riuscirà a mantenere le promesse ma, a differenza del 2016, non è più solo

La terza guerra mondiale può attendere, questo il verdetto uscito dalle urne degli Stati Uniti. Resta da vedere se sia rimandata a titolo provvisorio o meno, ma il mondo può tirare un pur breve sospiro di sollievo. Vince Trump nonostante gran parte delle querule élite europee e di parte importante di quelle, ben più aggressive, americane abbiano fatto di tutto per evitare tale esito, come dimostrano, ad esempio, i sondaggi pubblicati dai media mainstream, che davano un testa a testa e un leggero vantaggio della Harris che era solo nelle loro fantasie distaccate dalla realtà.

Il senso delle élite americane per Kamala è raffigurato in maniera plastica dai risultati del distretto della Columbia, cioè i voti di Washington, con la Harris che ha raccolto più del 90% dei consensi. Risultato che indica quanto il cammino di Trump sarà accidentato.

E perdono le élite della Gran Bretagna, appiattite su Kamala, come dimostra il titolo di un articolo del Times, il giornale di riferimento di tale ambito, che recitava: “Kamala Harris in vantaggio in un numero sufficiente di stati indecisi per vincere, secondo un sondaggio del Times”. Tanto appiattite che il partito di governo ha inviato emissari ad aiutare la campagna della Harris, che qualcosa hanno pure fatto se stiamo ai risultati, dove tante ex colonie inglesi hanno visto la vittoria dei democratici.


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tonino

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Nov 15, 2024, 12:49:23 PM11/15/24
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Leonardo Mazzei: Trump, la guerra e le illusioni

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Trump, la guerra e le illusioni

di Leonardo Mazzei

ordine imperiale.jpgUn voto figlio del caos

Dunque, Trump è stato rieletto. La portata dell’evento è chiara. Meno, molto meno, le sue effettive conseguenze. L’inevitabile profluvio di articoli e commenti che ne è seguito a caldo poco aiuta. Se banalità, recriminazioni, speranze e delusioni sono la norma in questi casi, più complesso stavolta trovare il bandolo della matassa sulla svolta che verrà impressa alla politica americana. La difficoltà non nasce solo dal personaggio Trump, ma dal vero caos che attraversando il mondo arriva al cuore di un impero americano che non ha più la certezza del suo dominio illimitato.

E’ questo caos che ha prodotto Trump, non il contrario, come invece vorrebbero le autistiche anime belle del progressismo europeista. L’ha prodotto per riportare l’ordine, ma come il suo predecessore ben difficilmente ci riuscirà.

Il caos è figlio di una crisi che non è solo economica. Più esattamente, esso è figlio dell’incapacità di dare risposta a quella crisi. Un’incapacità che unisce sia la cupola globalista (in genere intricata con le sinistre transgeniche), che il populismo liberista di destra. Quest’ultimo si presenta come “populista” quand’è all’opposizione, rivelando immancabilmente la sua natura ultra-liberista (dunque antipopolare e sistemica) quando arriva al governo. Meloni docet!

La crisi che attanaglia l’Occidente ha infatti un nome: neoliberismo. Quel sistema non è solo ingiusto, esso semplicemente non funziona. Ma, per una maledetta congiuntura storica, la sua crisi si è prodotta nel punto più basso della lotta per l’uguaglianza e la giustizia sociale. Da qui l’accanimento terapeutico nel riproporre, ogni volta a dosi maggiori, tutte le mostruosità sociali dell’ultimo quarantennio. Il neoliberismo ha fatto cilecca? Diamoci dentro con un neoliberismo rafforzato, concettualmente senza limiti (alla Milei, per intenderci), meglio se inserito in una cornice fortemente autoritaria. Questo riflesso tipico dei dominanti ben lo conosciamo dalle nostre parti. Un esempio: l’Unione Europea è un fallimento? Niente paura, quel che occorre è semplicemente “più Europa”. E via di seguito.


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Leonardo Sinigaglia: Il marxismo e l'era multipolare - Parte I

lantidiplomatico

Il marxismo e l'era multipolare - Parte I

di Leonardo Sinigaglia

Ogni Venerdì, per le prossime 8 settimane, vi proporremo un importante lavoro di analisi e approfondimento di Leonardo Sinigaglia dal titolo "Marxismo e Multipolarismo"

720x410c50.pngNegli ultimi decenni il “marxismo occidentale” ha mostrato un’arretratezza teorica tanto profonda da impedire qualsiasi presa di coscienza sulla reale portata e natura dei cambiamenti delle grandi trasformazioni in corso a livello internazionale, derubricate a “scontro tra opposti imperialismi” quando non direttamente viste attraverso gli occhi di Washington come “aggressione degli autoritarismi contro la democrazia". Per i marxisti del resto del mondo è in realtà chiaro come la nostra epoca segni una cesura profonda rispetto al passato, essendo caratterizzata da cambiamenti mai visti da almeno un secolo capaci di stravolgere profondamente l’architettura internazionale portando al superamento della fase imperialista del capitalismo attraverso la costruzione di un mondo multipolare e di una comunità umana dal futuro condiviso.

La comprensione di ciò non è solo necessaria per afferrare correttamente la situazione presente, ma anche per rispondere politicamente in maniera organizzata ponendo correttamente le contraddizioni in ordine gerarchico e identificando quello che è il campo di battaglia principale, ossia quello collegato alla lotta per l’indipendenza nazionale dell’Italia, senza la quale qualsiasi progetto di riforma sociale non è altro che un vaneggiamento a-storico e slegato dalla realtà.

Questa serie di articoli mira a discutere di alcuni dei principali nodi teorici per arrivare a una migliore comprensione della fase presente e della natura degli attori che la caratterizzano.

  

1- L’evoluzione storica del socialismo

 Il materialismo dialettico concepisce l’universo come  “un movimento della materia, retto da leggi”, che si riflette nella nostra conoscenza, “prodotto superiore della natura[1]. Il pensiero è riflesso di questa realtà, ed è perciò anch’esso in un processo di continuo movimento e trasformazione. Al modificarsi della realtà materiale non può che corrispondere una trasformazione del pensiero.


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intelligence for the people

Trump torna sul trono di un’America in crisi

di Roberto Iannuzzi

Come già durante il primo mandato ottenuto nel 2016, Trump rappresenta un sintomo – non la causa – della crisi degli Stati Uniti, e di certo non ha in mano la ricetta per arrestarne il declino

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2560x1707Non è stato un testa a testa, come annunciavano tutti i sondaggi. Donald Trump ha vinto con grande margine, aggiudicandosi almeno 295 collegi (270 sono necessari per ottenere la presidenza) e lasciando Kamala Harris a 226 (dati quasi definitivi).

Il magnate repubblicano ha prevalso nei principali swing states (Wisconsin, Pennsylvania, Michigan, Georgia). Cosa non scontata, si è aggiudicato anche il voto popolare, con oltre 73 milioni di preferenze (la Harris è rimasta a 69).

I repubblicani hanno ottenuto la maggioranza al Senato (almeno 53 seggi) e sembrano avviati a mantenerla anche alla Camera. Trump ha attirato il voto della classe lavoratrice, dei giovani, dei neri, degli ispanici. Una vittoria che appare schiacciante su tutti i fronti.

 

Le ragioni del tracollo democratico

Come hanno fatto i democratici a perdere di fronte a un avversario che essi vedevano come un ex presidente due volte posto sotto impeachment, un criminale, un fascista, un buffone continuamente dileggiato?

Ecco alcune risposte a questo interrogativo, che perfino il New York Times ha saputo chiaramente elencare a posteriori: la designazione della Harris, un candidato debole, durante un frettoloso e antidemocratico processo di successione al presidente uscente Joe Biden; la sua incapacità di differenziarsi da quest’ultimo; la sua sciocca insistenza nel definire Trump “un fascista”, la quale implicava che anche i suoi sostenitori lo fossero; la sua eccessiva dipendenza dalle celebrità affiancata a un’evidente inabilità a formulare una motivazione convincente per la sua candidatura.

Nemmeno la guerra di sterminio condotta da Israele a Gaza, con la piena complicità e collaborazione dell’amministrazione Biden, ha favorito i democratici.


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Fabrizio Marchi: Il suicidio, non assistito, dell’Europa

linterferenza

Il suicidio, non assistito, dell’Europa

di Fabrizio Marchi

Un nutrito gruppo di squadristi sionisti israeliani, ultras del Maccabi, sbarcati ad Amsterdam per assistere alla partita di calcio contro la locale squadra dell’Ajax, si è reso protagonista di oscene e violente provocazioni, scorrazzando impunemente per la città, strappando bandiere palestinesi dalle finestre, aggredendo un taxista di origini egiziane, lanciando slogan inneggianti al massacro dei bambini di Gaza e fischiando vergognosamente durante il minuto di silenzio per le vittime dell’alluvione a Valencia dal momento che gli spagnoli sono considerati troppo sensibili alla causa palestinese.

Questi gravissimi comportamenti hanno determinato la ovvia reazione di molte persone, non solo arabe o musulmane, che hanno ritenuto giusto e doveroso rispondere in modo concreto a tali violente provocazioni restituendo pan per focaccia agli squadristi del Maccabi, fra i quali – è ormai accertato – erano presenti anche agenti del Mossad, il famigerato servizio segreto israeliano. Non possiamo neanche escludere che la provocazione sia stata preventivamente orchestrata proprio dagli agenti del servizio segreto israeliano, infiltrati e camuffati da ultras, con lo scopo di suscitare l’inevitabile reazione di tutto il circo mediatico-politico che, come era prevedibile e senza nessuna esclusione, ha immediatamente derubricato quanto avvenuto a una sorta di “pogrom antiebraico, caccia all’ebreo, notte dei cristalli”.


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Fabrizio Casari: Ucraina, l’aquila che divenne anatra

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Ucraina, l’aquila che divenne anatra

di Fabrizio Casari

“La guerra in Ucraina? Potrei chiuderla in pochi giorni”. Così aveva assicurato in campagna elettorale, Donald Trump e non vi è dubbio che, per la concretezza fattuale dell’impegno, quello della guerra tra NATO (per tramite dell’Ucraina) e Russia è il primo banco di prova del neo ed ex presidente. Secondo il Wall Street Journal sono al lavoro i suoi consiglieri per consentirgli di mantenere la prima promessa elettorale entro l’insediamento alla Casa Bianca, il prossimo 25 gennaio. Come e se ci riuscirà, restano punti interrogativi, dal momento che per convincere Putin ci sarà bisogno di qualcos’altro che di vanterie.

Un possibile "piano", tratteggiato da Keith Kellogg e Fred Fleitz, collaboratori di Trump durante il primo mandato alla Casa Bianca, ipotizza la sospensione dell'invio di armi a Kiev finché Zelensky non avvierà un negoziato serio. Sulla stessa linea il filosofo e politologo Francis Fukuyama, autore del gigantesco abbaglio sulla fine della storia dopo il 1991 ma considerato tutt’ora voce autorevole dei conservatori: dalle colonne del Financial Times scrive che la guerra contro la Russia era già indebolita prima del voto e che Trump può obbligare Zelensky ad accettare le condizioni russe fermando la fornitura di armi come fecero i repubblicani al Congresso durante sette mesi nello scorso inverno".


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Renato Rapino: Achtung! Omofobi!

linterferenza

Achtung! Omofobi!

Le sturmtruppen della falsa inclusione

di Renato Rapino

Durante la proiezione del film “Il ragazzo dai pantaloni rosa”, in anteprima per le scuole romane (tra le quali quella in cui insegno) all’auditorium di Roma, dalle scolaresche si sono levati schiamazzi e insulti omofobi da parte di alcuni studenti. Evento particolarmente grave anche perché il film si rifaceva a una storia vera conclusasi con un suicidio altrettanto drammaticamente reale.

Del film posso dire poco. Non l’ho ancora visto, quindi non è mia intenzione fare un discorso di critica artistica. Posso dire che il titolo rimanda a “Il ragazzo dai capelli verdi”, film del 1948 di Joseph Losey. Anche trama e tematiche di fondo sono simili. Anche nel film di Losey si tratta di una storia di emarginazione attivata da un fatto accidentale banale. Cambia ovviamente il contesto: qui abbiamo un’America che voleva mettersi alle spalle la tragedia della guerra, rischiando però, in quest’opera di rimozione, di “dimenticarsi” orfani e reduci e le relative difficoltà di un loro reinserimento sociale.

Tornando ai “fattacci dell’auditorium”, le reazioni dei media e dell’Ufficio Scolastico Regionale sono state immediate, esagerate e scomposte. Si è gridato a un allarme omofobia, gli insegnanti presenti alla proiezione e tutti i presidi delle scuole coinvolte sono stati immediatamente convocati e opportunamente “strigliati” dal responsabile dell’Ufficio Scolastico Regionale del Lazio.


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Ronnie Kasrils: Oltre la logica della disumanizzazione: Coloro per cui ora piangiamo vinceranno la guerra

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Oltre la logica della disumanizzazione: Coloro per cui ora piangiamo vinceranno la guerra

di Ronnie Kasrils*

A Gaza, vengono uccisi sei bambini ogni ora.

Più di 17.000 bambini sono stati massacrati finora. Nessuno, nemmeno i poeti, riesce a trovare parole adeguate all’orrore rappresentato dalla fascista sete di sangue del regime israeliano e della società che lo sostiene.

Un anno dopo l’inizio dell’attacco a Gaza, oltre 42.000 persone sono state trucidate. Questo numero non comprende i dispersi. Si presume che più di 10.000 persone siano morte e i loro corpi siano sepolti sotto le macerie. Più di 100.000 persone sono ferite, molte in modo grave.

Uno studio pubblicato sulla stimata rivista medica The Lancet nel luglio di quest’anno ha stimato che il numero totale di morti, per cause dirette e indirette, potrebbe superare le 186.000 persone al 19 giugno 2024. Oltre il 70% dei morti sono donne e bambini. Oltre 1.000 bambini sono ora amputati, il numero più alto per un periodo storico comparabile.

Uno studio di Sophia Stamatopoulou-Robbins della Brown University, pubblicato il 7 ottobre di quest’anno, mostra che il 90% della popolazione di Gaza è sfollata, il 96% non ha cibo e acqua a sufficienza, non c’è elettricità e poco meno del 90% degli ospedali è stato distrutto, con più di 880 operatori sanitari uccisi.

Quattro bambini su cinque sono afflitti da depressione, dolore e paura. Le malattie infettive dilagano.


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Nico Maccentelli: Anticapitalismo e antifascismo. Parte I

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Anticapitalismo e antifascismo. Parte I

di Nico Maccentelli

nlsweukgfSecondo Luciano Canfora, tutte le tendenze di sinistra oggi, pur richiamandosi al’antifascismo, “sono scese a patti con il capitalismo” (1.), per esempio contrastandone lo strapotere attraverso l’organizzazione sindacale”. Questo lo vediamo per esempio in quei contesti in cui le socialdemocrazie hanno ancora una funzione contenitiva e antiliberista delle tendenze politiche dominanti del capitalismo.

Ma fondamentalmente sappiamo che questo ottimismo dell’eminente filosofo è sempre meno giustificabile di fronte alla sussunzione di tali politiche dentro la sinistra stessa. Per cui l’anticapitalismo non è più tale in gran parte delle sinistre soprattutto governanti nei paesi atlantisti, ossia del blocco geopolitico in capo agli USA. E l’antifascismo di conseguenza diviene paravento pseudo-ideologico d’innanzi a quelle forze trasversali la società, dominate per lo più da settori di borghesia “perdente” nella redistribuzione sociale della ricchezza e dei poteri, definite “sovraniste” per contendere elettoralmente il governo. Un antifascismo di facciata che si muove al tempo stesso dentro il solco della svolta autoritaria del capitale monopolistico e finanziario, delle multinazionali, che in Occidente sta permeando anche attraverso l’emergenza (di volta in volta sanitaria, bellica, ambientale…) le nazioni della catena imperialista a dominanza USA.

L’antifascismo su questo falso terreno, non certo anticapitalista, ma del tutto strumentale alle politiche dominanti, diviene anche un’arma di distrazione di massa poiché il ruolo che il fascismo italiano del ventennio, o di un Pinochet, o dei colonnelli greci hanno avuto, al netto di tutte le distinzioni degli uni con gli altri e riguardo un sistema dove sulla carta vige la democrazia parlamentare (giusto sulla carta…), ossia di adozione di un regime totalitario contro l’avanzata sociale e di classe e le sue istanze emancipatrici, era ben altra cosa rispetto i fascismi odierni, che hanno ancora questo richiamo ideologico (in Italia Casapound e Forza Nuova). Il ruolo è molto simile a quello attuale dei governi che agiscono per conto dell’atlantismo a dominanza USA.


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Il Pungolo Rosso: La sola cosa grande che può fare l’Amerika di Trump è seminare altro caos e guerra nel mondo intero

ilpungolorosso

La sola cosa grande che può fare l’Amerika di Trump è seminare altro caos e guerra nel mondo intero

di Il Pungolo Rosso

Trump Musk“I Trump, i Musk e simili grandi-uomini-spazzatura possono soltanto dare un epilogo tragico alla vecchia storia di sfruttamento e predazione di cui non se ne può più”.

Ci torneremo su, quando sarà di nuovo alla Casa Bianca. Ma qualcosa va detta subito. Ed è che la possibilità che la banda-Trump/Musk possa fare l’Amerika “great again” è esclusa. La nuova “età dell’oro” che questi truffatori spaziali promettono al proprio “popolo” non ci sarà. Non è possibile che ci sia, semplicemente perché l’età dell’oro dell’imperialismo statunitense, che c’è stata effettivamente, è stata fondata sull’enorme sviluppo della grande industria, della tecnologia di avanguardia e dell’industrializzazione capitalistica dell’agricoltura. Su queste basi, e su due guerre mondiali vinte grazie alla propria superiorità industriale e tecnologica e alla propria auto-sufficienza alimentare, si fondano le ultime due armi esiziali rimaste nelle mani dei Trump e dei Biden: il signoraggio mondiale del dollaro e la macchina bellica tuttora più potente del mondo. Che, di necessità, essendosi di molto ridotta la solida base su cui poggiavano, hanno preso a traballare.

L’Amerika di oggi, avendo perso una bella quota della propria grande industria di un tempo per la spasmodica ricerca dei sovraprofitti dei propri trust che hanno – a partire dagli anni ‘60 – delocalizzato una enorme quota di produzione, è in cronico deficit commerciale con l’UE e con la Cina (e non solo). Parliamo di centinaia di miliardi di dollari l’anno di importazioni di ogni tipo di merci, a iniziare dalle macchine per la produzione industriale. Anche l’agricoltura statunitense ha iniziato da tempo a declinare, e del suo storico, indiscusso primato mondiale non ci sono più tracce. Ormai l’Amerika primeggia solo nella produzione di petrolio e di gas (quindi come stato che si nutre di rendita fondiaria) e nelle industrie della rete e della guerra, ma lo fa a fronte di concorrenti e avversari sempre più agguerriti, e in molti casi relativamente, o ampiamente, indipendenti dal suo potere.


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Andrea Zhok: L'epoca dell'odio deideologizzato

lantidiplomatico

L'epoca dell'odio deideologizzato

di Andrea Zhok*

Nella degenerazione contemporanea dello scenario politico una delle cose che più colpisce è lo scatenarsi di atteggiamenti di ferocia, disprezzo, disumanizzazione, psichiatrizzazione, demonizzazione dell’avversario. Lo si vede in questi giorni dopo la vittoria di Trump, con un proliferare di crolli nervosi che emergono in rete e nella pubblicistica di fronte alla “vittoria del Male”, ma lo si vede continuamente in mille contesti. Lo abbiamo visto nei giorni del Covid, dove abbiamo cercato di giustificare esibizioni di malvagità, crudeltà, auspici di morte con la dinamica psicologica della paura. Lo vediamo nel modo in cui si sviluppano (o meglio NON si sviluppano) i discorsi sulle tematiche del “politicamente corretto”, dove ogni discussione aperta è impossibile e dove sensibilità isteriche pronte a scatenarsi sbranando “il Male” sono onnipresenti. Lo vediamo nella demonizzazione delle alterità politiche sul piano internazionale.

Ciò che colpisce è come questa tendenza allo scontro inconciliabile, alla repulsione senza sconti né mediazioni, avvenga proprio nell’epoca per eccellenza della “fine delle ideologie”, della “fine delle grandi narrazioni”, della “secolarizzazione”.

Per come ci sono state raccontate molte vicende storiche, siamo abituati ad associare lo scontro senza esclusione di colpi all’attrito tra identità forti, identità collettive irriducibili, visioni del mondo radicalmente alternative.


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Piccole Note: Trump, Netanyahu e il conflitto mediorientale

piccolenote

Trump, Netanyahu e il conflitto mediorientale

di Piccole Note

Al contrario di quanto si pensi, Trump e Netanyahu non sono legati a filo doppio, anzi

Se appare scontato che Trump cercherà di trovare una soluzione al conflitto ucraino, con esiti tutti da verificare, tanti ritengono che i suoi consolidati rapporti con Netanyahu daranno a quest’ultimo piena libertà di azione in Medio oriente. Al di là delle elusioni insite in quest’ultimo rilievo, dal momento che di tale libertà di azione ha goduto finora usando dell’assegno in bianco rilasciato dall’amministrazione Biden e dalla debolezza del vecchio presidente, riportiamo il contenuto di una nota dell’agenzia Newarab.

 

Le guerre mediorientali e il voto degli arabi americani per Trump

“I libanesi americani hanno votato Trump perché ha promesso di riportare la pace in Libano e perché Biden ‘è rimasto a guardare l’uccisione di bambini a Gaza e in Libano'”. Così Nabih Berri, leader di Amal, l’ala politica di Hezbollah e presidente del parlamento libanese, figura autorevole incaricata dal movimento sciita di mediare per suo conto.

Berri racconta anche che Trump, visitando un noto ristorante del Michigan, Stato dove la comunità araba è più forte e dove ha vinto, si è impegnato per scritto in tal senso su sollecitazione del proprietario del locale. Particolare folcloristico, certo, e forse limitato al momento elettorale, ma il fatto che Berri lo ricordi è degno di rilievo.


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Dante Barontini: L’era del declino, con qualche brivido

contropiano2

L’era del declino, con qualche brivido

di Dante Barontini

Il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca segna un punto di svolta nell’”occidente collettivo”. Chi ne esce sconfitto è senza dubbio quello che si usa chiamare “l’establishment”. Quel “complesso di istituzioni che, in un Paese, detengono il potere sia nella vita politica in generale sia in singoli settori di attività, e le persone e i gruppi che sono a capo di tali istituzioni”.

Di fatto, quel miscuglio inestricabile di interessi economici e politici, fisicamente rappresentato da una classe politica intercambiabile e da imprenditori-banchieri di alto livello, oltre ad animatori di think-tank, direzione dei media e via elencando, fino ai sondaggisti. Una oligarchia indiscutibile che amava presentarsi come “la vera democrazia”.

Gli Stati Uniti avevano fin qui plasticamente rappresentato questa menzogna istituzionalizzata, dove i repubblicani e i “democratici” si alternavano senza scossoni, tra gentleman agreement o frequentazioni amichevoli, in sintonia con quel nebbioso “deep state” – ciò che dura, al di là dei cambi di maggioranza politica – composto da servizi segreti, esercito, complesso militare-industriale.

Ma una situazione sostanzialmente simile vigeva – e vige sempre meno – anche in Europa.


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tonino

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Nov 19, 2024, 5:17:18 AM11/19/24
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Carlo Formenti: I popoli africani contro l'imperialismo - 2. Kevin Ochieng Okoth

perunsocialismodelXXI

I popoli africani contro l'imperialismo - 2. Kevin Ochieng Okoth

di Carlo Formenti

cabral 1170x658.jpgIl trittico africano, iniziato con le recensioni a due libri di Said Bouamama; prosegue con questo secondo post che anticipa la mia postfazione al libro Red Africa, di Kevin Ochieng Okoth che sarà in libreria per i tipi di Meltemi il prossimo 22 Ottobre. Ritroverete qui molti temi trattati nei lavori di Bouamama, come la critica dell’approccio “culturalista” (a partire dai miti della negritudine) al processo di emancipazione dei popoli post coloniali dal dominio imperiale dell’Occidente, e come il rifiuto del tentativo di liquidare il marxismo come “eurocentrico” e quindi inservibile per guidare le nazioni africane sulla via dello sviluppo autonomo. Rispetto a Bouamama, Okoth analizza più estesamente e a fondo il ruolo determinante che le lotte afroamericane hanno svolto nella formazione di uno spirito panafricanista rivoluzionario. Infine, come avrete modo di vedere, il punto di vista di Okoth appare più severo di quello di Bouamama nei confronti degli errori e delle scelte opportuniste delle élite che hanno guidato le lotte di liberazione nazionale (ma su questo tema tornerò in sede di conclusione dopo avere pubblicato la terza e ultima puntata di questo trittico, dedicata al pensiero di Cabral).

* * * *

Red Africa. Idee per riportare Marx in Africa

Mezzo secolo fa, una feroce controffensiva dell’imperialismo occidentale, guidata dagli Stati Uniti, stroncava la speranza dei Paesi non allineati, molti dei quali pervenuti da poco all’indipendenza, di imboccare la via dello sviluppo e della transizione al socialismo.


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Collettivo Le Gauche: Per un’introduzione al problema delle piattaforme nel capitalismo

collettivolegauche

Per un’introduzione al problema delle piattaforme nel capitalismo

di Collettivo Le Gauche

web tv social e16109959527801. Introduzione

Il libro di Nick Srnicek Capitalismo digitale. Google, Amazon e la nuova economia del web prova ad analizzare le imprese del settore tech in quanto attori economici organici al modo di produzione capitalistico. Un discorso simile deve fare piazza pulita della loro definizione come attori culturali definiti dall’ideologia californiana per mostrare a tutti come essi siano in realtà attori politici alla ricerca costante di potere e di utili per respingere la concorrenza. Inoltre, quando affrontiamo il tema dell’economia digitale dobbiamo ricordarci che l’argomento va oltre il solo settore tecnologico come definito dalle classificazioni standard. L’economia digitale coinvolge tutte le imprese che fanno affidamento sull’information technology, sui dati e su internet per portare avanti il proprio modello di business. Si tratta, quindi, di un’area trasversale rispetto ai settori tradizionali come l’industria manifatturiera, dei servizi, dei trasporti, delle telecomunicazioni e del settore minerario che sta finendo per diventare essenziale per gran parte della nostra economia. Quindi, la sua importanza va ben oltre la semplice analisi di settore. Inoltre è il settore economico più dinamico che finisce per trainare la crescita in una fase del capitalismo contraddistinta dalla stagnazione. L’economia digitale è l’infrastruttura, sempre più pervasiva, senza la quale l’economia contemporanea crollerebbe. Questo risultato è figlio di alcuni cambiamenti incorsi nel capitalismo che sta affrontando un lungo declino del settore manifatturiero. Ciò ha spinto alla ricerca dei dati come mezzo per mantenere la crescita economica e la vitalità di questo modo di produzione in presenza di un settore produttivo altrimenti pigro. Infatti, grazie alle tecnologie digitali e ai cambiamenti incorsi in esse, i dati hanno finito per assumere un ruolo sempre più rilevante per le aziende e per i loro rapporti con lavoratori, clienti e altre imprese. L’idea della piattaforma è finita per diventare un nuovo modello di business con la capacità di estrarre e controllare immense quantità di dati e di creare il contesto in cui sono emerse grandi imprese monopolistiche. Per comprendere come queste realtà siano nate occorre proporre un’analisi storica del capitalismo. 


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Aligi Taschera: La demenza senile dell’Europa e le compatibilità nel movimento del dissenso

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La demenza senile dell’Europa e le compatibilità nel movimento del dissenso

Approfondimento – di Aligi Taschera

demenzaDopo essersi dilaniata in lotte intestine e altre follie durante la prima metà del XX secolo, l’Europa, che pure, nella seconda metà dello stesso secolo, sembrava dare segni di ripresa e di risveglio, appare con tutta evidenza essere diventata completamente demente in questa prima metà del XXI secolo.

Dopo avere reintrodotto la guerra nel suo stesso territorio (già negli anni ’90 del XX secolo), e aver più o meno completamente, a seconda delle zone, smantellato i pilastri dello stato sociale che le avevano permesso di riprendersi dopo la seconda guerra mondiale, ha pensato bene di costringere, con un allarmismo parossistico, la sua popolazione a iniettarsi un farmaco sperimentale poco testato e dannoso.

Nel contempo ha pensato bene anche di trasferire ai produttori di tale farmaco un’ingente quota delle imposte pagate dagli europei, attraverso contratti semisegreti, esito di trattative private della presidente della commissione dell’Unione Europea condotte attraverso il suo telefonino privato, e delle quali ha fatto perdere le tracce. Non contenta, l’Europa (o per essere più precisi, la sua principale istituzione comune, l’Unione Europea) ha pensato bene di riconfermare questa truffatrice criminale alla guida dell’Unione Europea.

Nel frattempo, ha deciso anche di obbedire senza alcuna resistenza né critica agli Stati Uniti d’America, emettendo sanzioni contro la Russia, che danneggiano l’Europa molto più del grande paese eurasiatico, e di partecipare a una guerra contro la stessa Russia danneggiando la propria economia.

Sembra proprio uno di quei vecchi dementi che si affidano entusiasticamente ai loro truffatori. Ma la cosa non finisce qui. Quando una delle sue più importanti infrastrutture energetiche, il gasdotto North Stream, è stato distrutto, è stata così demente da far finta di credere (o, peggio, credere veramente) che il sabotaggio fosse stato compiuto dai russi, permettendo così, senza proferir parola, che la sua più importante economia (quella tedesca) entrasse in recessione. E nemmeno ora che le responsabilità ucraine (non scindibili da quelle dei loro sponsor americani) vengono a galla, l’Europa dà segno di volersi riprendere dalla sua demenza, chiedendo conto all’Ucraina e ai suoi sponsor americani del loro operato.


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Giuseppe Masala: Cosa si nasconde dietro il (finto) "piano di pace" di Trump?

lantidiplomatico

Cosa si nasconde dietro il (finto) "piano di pace" di Trump?

di Giuseppe Masala

Timeo Danaos et dona ferentes
("temo i Danai anche quando recano doni")
Eneide, Publio Virgilio Marone

Come era facilmente prevedibile nell'agenda degli affari internazionali, il nuovo presidente americano Donald Trump vede ai primissimi posti la crisi ucraina e la questione europea. Infatti immediatamente dopo la vittoria del Tycoon newyorkese il Washington Post ha fatto filtrare una bozza di piano di pace per l'Ucraina preparato dall'entourage di Trump.

A mio modesto avviso il piano pubblicato gode di forte credibilità perché corrisponde pienamente a quelli che sono gli interessi reali degli Stati Uniti; interessi - sia detto per inciso - che rimangono i medesimi indipendentemente da chi sia l'inquilino della Casa Bianca.

Nella partita ucraina, gli interessi di fondo americani, in questa fase, sono i seguenti: (a) evitare un impegno diretto nella guerra ucraina, (b) evitare che la Russia abbia una vittoria piena, (c) congelare la situazione per evitare il crollo dell'Ucraina e il suo rientro nella sfera di influenza di Mosca.

Infatti il piano lasciato filtrare prevederebbe, (1) il congelamento del conflitto con la concessione de facto (ma forse anche il riconoscimento formale) alla Russia dei territori conquistati, (2) la creazione di una buffer zone controllata da truppe europee ma non americane, (3) la ricostituzione dell'esercito ucraino sfibrato dalla guerra, (4) la promessa solenne della non entrata dell'Ucraina nella Nato per i prossimi venti anni.


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Fulvio Grimaldi: Colpi di coda, colpi d’azzardo, colpi a segno

mondocane

Colpi di coda, colpi d’azzardo, colpi a segno

Trump l'incalcolabile, Putin la certezza

di Fulvio Grimaldi

“Caleido, il mondo da angolazioni diverse”. Francesco Capo intervista Fulvio Grimaldi

https://www.youtube.com/watch?v=q8vD9QyZ1KA

https://youtu.be/q8vD9QyZ1KA

Fulvio Grimaldi inMondocane…punto”. Martedì e venerdì alle 20.00.

https://www.quiradiolondra.tv/live/

A parte la posizione sulla pandemia e relativi parafernalia, in cui Trump si ritrova su posizioni negativiste diffuse in gran parte del mondo scientifico e dell’opinione pensante, di buono c’è poco più che la vaga prospettiva della fine del ricatto bellico USA-NATO a Europa e Ucraina, con prospettiva seria di Terza Guerra mondiale, insieme alle lodevoli riserve sul disciplinamento sociale e politica tramite mega-raggiro climatico.

Il disastro vero è il personale di levatura melonian-salviniana di cui si va circondando nella formazione del suo circolo politico intimo, uniformandosi ai livelli etici (perfino estetici, poiché ognuno diventa quello che è) e ai Q.I. delle classi politiche che abbiamo sul gobbo da mezzo secolo, di qua e di là dall’oceano.

Sulla Palestina, che è il nervo scoperto del mondo, sta con quella sezione dei mille miliardari USA che dormono con la kippa in testa e impegnano i loro dollari per collocare la Menora sugli altari di banche e Fondi d’investimento, oltreché sugli altarini dei rispettivi chierichetti mediatici.


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Mario Lombardo: Israele, la strategia dello sterminio

altrenotizie

Israele, la strategia dello sterminio

di Mario Lombardo

Da settimane, la striscia di Gaza è sotto un intensificato assedio delle forze armate israeliane, che non si limita al controllo delle vie d’accesso e delle risorse, ma che continua a prendere di mira in maniera diretta e deliberata la popolazione civile. L'operazione, spacciata come una risposta alla minaccia di Hamas, rappresenta in realtà il pretesto di cui ha bisogno il governo israeliano, sostenuto dalla coalizione di estrema destra guidata da Benjamin Netanyahu, per portare avanti un piano di conquista che va ben oltre quello ufficiale, ovvero il “contenimento” della minaccia terroristica. A conferma di ciò, recenti rivelazioni della stampa israeliana hanno mostrato come alcuni ministri del governo di Tel Aviv puntino non solo alla sconfitta di Hamas, ma all’annientamento stesso della presenza palestinese nella striscia.

Secondo il quotidiano israeliano Yedioth Ahronoth, diversi ministri di destra hanno espresso l’auspicio che la questione dei prigionieri israeliani ancora in mano a Hamas trovi una “soluzione tragica e naturale”, ossia la morte di coloro che ancora sono in vita a Gaza. Una dichiarazione tanto scioccante quanto rivelatrice, anche se tutt’altro che sorprendente, che getta luce su un'agenda politica basata sull’idea che la sofferenza e il lutto generati da questo “sacrificio” possano essere strumentalizzati per giustificare una nuova occupazione permanente di Gaza. Lo schema è quello già ampiamente collaudato dai governi israeliani, dove la presunta minaccia alla sicurezza interna si traduce in una giustificazione per l’espansione degli insediamenti e l’imposizione di un controllo sempre più capillare e brutale.


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Thierry Meyssan: La rielezione di Trump ridistribuisce le carte

voltairenet

La rielezione di Trump ridistribuisce le carte

di Thierry Meyssan

Questo è uno dei rari momenti in cui le grandi potenze cambiano politica tutte nello stesso momento. Attenzione a non commettere errori: chi perde il treno dovrà aspettare il successivo

La rielezione di Trump, a disdoro della campagna di quasi tutti gli intellettuali occidentali contro di lui, ridistribuisce le carte.

Le relazioni internazionali stanno cambiando con estrema rapidità e su più fronti contemporaneamente.

Due settimane fa abbiamo mostrato che l’Iran ha abbandonato il proprio ideale rivoluzionario e si è allontanato dagli alleati sunniti di Hamas e della Jihad islamica, e persino dagli alleati sciiti dello Hezbollah libanese, dall’iracheno Hachk al-Chaabi e dallo yemenita Ansar Allah [1]. Lo confermano la riunione in cui Hassan Nasrallah è stato assassinato dalle FDI grazie a informazioni iraniane, indi le dichiarazioni confuse dell’ayatollah Ali Sistani in Iraq, infine le misure adottate per prevenire l’assassinio di Abdel Malek al-Houthi in Yemen [2].

Poi la scorsa settimana abbiamo riferito come, al vertice di Kazan, i BRICS abbiano ribadito di voler difendere il diritto internazionale contro «l’ordine basato su regole» degli anglosassoni [3].

Questa settimana la schiacciante vittoria elettorale di Donald Trump segna il trionfo dei jacksoniani sui Democratici, ma anche sui Repubblicani, nonostante Trump sia stato sostenuto dal loro partito. Dovrebbe conseguirne che gli Stati Uniti cesseranno le loro guerre in Ucraina e in Medio Oriente, a vantaggio di una guerra commerciale generalizzata.


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Alessandro Scassellati: I padroni del mondo: il capitalismo controllato dai grandi gestori patrimoniali

transform

I padroni del mondo: il capitalismo controllato dai grandi gestori patrimoniali

di Alessandro Scassellati

Come funziona oggi il capitalismo? Chi sono i suoi protagonisti? Con quali strumenti e logiche operano? Cerchiamo delle risposte con la lettura del libro di Alessandro Volpi, “I padroni del mondo. Come i fondi finanziari stanno distruggendo il mercato e la democrazia” (Laterza, Roma-Bari 2024). Sta emergendo una società capitalista finanziarizzata in cui pochi grandi gestori patrimoniali possiedono e controllano sempre di più i nostri sistemi e le nostre strutture fisiche più essenziali, fornendo i mezzi più basilari di funzionamento e riproduzione sociale.

turner naufragi 7.jpgQuesta è la storia di un uomo che cade da un palazzo di cinquanta piani. Mano a mano che cadendo passa da un piano all’altro, il tizio, per farsi coraggio, si ripete: «Fino a qui tutto bene. Fino a qui tutto bene. Fino a qui tutto bene». Il problema non è la caduta, ma l’atterraggio. Dal film L’Odio di Mathieu Kassovitz

Volendo ragionare sulla struttura e gli attori del capitalismo odierno, a cominciare da quello statunitense che è il centro egemonico di questa formazione sociale ormai globale, credo che si possano identificare due tipologie di soggetti strategici fondamentali. Da un lato, c’è un gruppo formato in modo maggioritario da esponenti di un capitalismo dinastico (dinastie con almeno due o tre generazioni di accumulazione del capitale alle spalle) che è stato via via rinforzato da nuovi arrivi – i Gates, i Bezos, i Musk, e gli Zuckerberg e altri esponenti del “capitalismo delle piattaforme” – nell’ultima generazione. Insieme questi due gruppi di grandi capitalisti costituiscono quell’0,1% o 1% della popolazione mondiale che esercita il controllo sulle global corporations industriali e finanziarie e che secondo il premio 2001 Nobel Joseph Stiglitz “controlla il 90% della ricchezza mondiale1. Dall’altro lato, ci sono delle strutture finanziarie “corporate” privatizzate di relativa recente formazione – i fondi finanziari -, solo in parte controllate dal primo gruppo, che sono state magistralmente descritte dall’economista e docente di storia contemporanea all’Università di Pisa Alessandro Volpi nel libro “I padroni del mondo. Come i fondi finanziari stanno distruggendo il mercato e la democrazia”, Laterza, Roma-Bari 2024.

Non mi dilungo troppo sulla prima tipologia di soggetti – i capitalisti dinastici e gli imprenditori di successo di prima generazione -, rimandando per l’analisi delle loro logiche di comportamento e forme di organizzazione economiche e politiche a una serie di articoli che ho scritto nel recente passato2.


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OttolinaTV: Trump ha dato il colpo di grazia a Scholz e alla Germania?

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Trump ha dato il colpo di grazia a Scholz e alla Germania?

di OttolinaTV

c7afb3fca22ab4a1c6a69a2816636f88.jpgFinita quella colossale arma di distrazione di massa che è il gigantesco e costosissimo teatrino delle elezioni statunitensi, possiamo finalmente tornare a occuparci della sostanza; in ossequio alle macchinazioni del grande manovratore, per qualche mese è stato messo un tappo alla pentola delle gigantesche contraddizioni scatenate dal declino dell’impero e dalla feroce guerra economica che, inevitabilmente, lo accompagna. Finita la tregua armata è tornato il tempo della resa dei conti, a partire dal fronte più caldo in assoluto: le conseguenze della guerra economica che gli USA hanno dichiarato a quella che abbiamo definito l’anomalia tedesca. Neanche il tempo di terminare lo spoglio ed ecco che in Germania, inevitabilmente, arrivava il terremoto; talmente prevedibile che prima che Scholz stesso annunciasse definitivamente l’uscita dalla coalizione semaforo del liberale ministro delle finanze Lindner, proprio qui su Ottolina avevamo previsto che una crisi del governo tedesco era questione di ore. Nel frattempo, a qualche migliaio di chilometri di distanza, Pechino annunciava un pacchetto da 1.400 miliardi di dollari per ristrutturare il debito delle amministrazioni locali e, nel cuore dell’impero, Jerome Powell, il presidente della FED che nel 2018 era stato nominato proprio da Trump, ma che già a pochi mesi dalla nomina era entrato in collisione col tycoon dal ciuffo arancione, ha preso decisioni e fatto dichiarazioni che, in modo del tutto irrituale, contrastano vistosamente con le principali linee di politica economica annunciate dal neoeletto presidente. Il trionfo di Trump (da parte mia del tutto inatteso, per lo meno nella sua entità), quindi, ha cambiato tutto? Per dirla con un francesismo manco col cazzo: tutti i nodi che, a poche ore dall’elezione di Trump, sono venuti al pettine sono il frutto di processi decisamente più lunghi e strutturali; di fronte alle contraddizioni – spesso irrisolvibili – che questi processi, inevitabilmente, hanno causato e stanno causando, la quota di potere che spetta all’amministrazione USA (che è solo una parte del potere nel suo complesso e, tutto sommato, manco la più rilevante) deve decidere la sua prossima mossa, che (inevitabilmente) causerà altre contraddizioni che obbligheranno l’amministrazione USA a decidere, nei limiti delle sue possibilità, la mossa successiva.


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Laura Ruggeri: La strategia del caos

lantidiplomatico

La strategia del caos

di Laura Ruggeri

Le risposte alla prima crisi dell’egemonia statunitense hanno scatenato forze che hanno finito per erodere il potere degli Stati Uniti

nbclou54so9Gene Sharp, considerato il padrino delle rivoluzioni colorate, pubblica il suo primo libro, The Politics of Nonviolent Action, nel 1973, in un momento in cui gli Stati Uniti attraversavano una serie di crisi — economiche, politiche, militari — che stavano erodendo la fiducia nel governo e costituivano un serio ostacolo alle ambizioni geopolitiche di Washington. Le risposte a queste crisi — espansione dell’egemonia attraverso guerre convenzionali e ibride spesso affidate ad attori non statali, la finanziarizzazione dell’economia e l’utilizzo del dollaro come arma — segneranno il corso dei decenni successivi. Ma a distanza di cinquant’anni è evidente che queste risposte, pur avendo sconvolto l’ordine globale del dopoguerra per aprire le porte al ‘momento unipolare’ degli Stati Uniti, non hanno fatto nulla per risolvere problemi di natura sistemica e strutturale. Semmai, queste “soluzioni” hanno creato ulteriori e più intrattabili problemi per l’egemone, culminati nella crisi di legittimità che gli Stati Uniti stanno attualmente affrontando.

The Politics of Nonviolent Action si basava su una ricerca, finanziata dal Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, che Sharp aveva condotto ad Harvard alla fine degli anni ’60, quando l’università era l’epicentro dell’establishment intellettuale della Guerra Fredda — vi insegnavano infatti Henry Kissinger, Samuel Huntington e Zbigniew Brzezenski. A prima vista potrebbe sembrare contraddittorio che il soggetto della ricerca di Gene Sharp attirasse l’interesse del Pentagono e della CIA. In realtà, non è affatto sorprendente: la sconfitta e le perdite subite in Vietnam avevano lasciato una profonda ferita nella psiche americana e a livello internazionale questa brutale aggressione imperialista aveva alimentato un forte sentimento antiamericano. Inoltre, mentre l’egemonia statunitense iniziava a perdere colpi, crescevano i timori per i costi economici della corsa agli armamenti con Mosca. La ricetta di Sharp prometteva di fornire la soluzione che Washington stava cercando per rafforzare il proprio potere minando quello dell’Unione Sovietica, suo principale rivale geopolitico, ideologico e militare.


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Enrico Tomaselli: Sul significato dell’era Trump

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Sul significato dell’era Trump

di Enrico Tomaselli

In questi giorni successivi al voto presidenziale negli Stati Uniti, ho ribadito più volte che i possibili aspetti positivi di un’amministrazione Trump venivano decisamente sopravvalutati, negli ambienti – diciamo così – del dissenso, o comunque favorevoli al multipolarismo. Ugualmente ho sottolineato come fosse opportuno attendere le prime nomine, perché dalla formazione della squadra si sarebbe potuto capire assai meglio quale sarebbe stato l’orientamento dei quattro anni a venire.

Ora si comincia ad avere effettivamente un quadro, anche se mancano ancora alcune caselle.

Quello che emerge appare sostanzialmente come una conferma di ciò che ci si poteva ragionevolmente attendere, con alcune osservazioni.

Innanzi tutto, anche se sono stati fatti fuori alcuni dei vecchi neocon che avevano accompagnato la prima presidenza (Pompeo, Bannon, la Haley…), alcune delle posizioni chiave appena definite fanno comunque riferimento all’area neoconservative dei repubblicani e, anche se concordano più o meno tutti sul disimpegno dal fronte ucraino, non per questo si possono definire dei moderati o dei pacifisti. Al contrario, emerge una squadra di ultrà abbastanza bellicista. Solo che il focus si sposta dall’Europa orientale verso il Medio Oriente e, soprattutto, la Cina.


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Fabrizio Poggi: Quali piani per l’Ucraina da Washington e da Bruxelles?

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Quali piani per l’Ucraina da Washington e da Bruxelles?

di Fabrizio Poggi

In un’Europa alle prese con le incognite economiche, politiche e militari che si preannunciano con la presidenza Trump, a partire dal pantano ucraino, sembra proprio che il tema “Kiev” sia stato al centro dell’incontro, lunedì scorso a Parigi, tra il presidente francese Emmanuel Macron e il premier britannico Keir Starmer.

Detto senza mezzi termini dalla direttrice del Royal United Institute for Defence Studies, Karin von Hippel, con l’elezione di Trump «Gli Stati Uniti non saranno più un partner affidabile per nessun Paese europeo, compreso il Regno Unito, quindi è importante costruire ponti e pianificare il più possibile gli scenari, anche decidendo dove fare pressione sugli americani in caso di disaccordo».

Mettendo in circolazione le più svariate versioni del “piano di pace” Trump-Vance (per dire: The Telegraph scrive che Trump prevederebbe di dislocare truppe britanniche nella prevista “zona smilitarizzata” di 1.200 km), diversi media occidentali – legati a questa o quella compagine politico-affaristica – cercano di alimentare una situazione per cui, osserva Stanislav Stremidlovskij su IARex.ru, verrà riservato all’Ucraina lo stesso trattamento toccato alla Germania guglielmina dopo l’armistizio di Compiègne del 1918 (l’incontro Starmer-Macron si è svolto proprio nell’anniversario del 11 novembre): ne faranno un mostro revanscista cui, però, a differenza della Germania, non concederanno venti anni di tempo prima che diventi nuovamente un veicolo di attacco da volgere a est.


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Domenico Moro: La piattaforma di intermediazione commerciale della Cina e la dedollarizzazione

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La piattaforma di intermediazione commerciale della Cina e la dedollarizzazione

di Domenico Moro

Sui mass media si è dato molto risalto alle dichiarazioni di Trump secondo le quali gli Usa avrebbero portato i dazi sull’import dalla Cina al 60%. Pochi, però, hanno ricordato che già Biden aveva alzato i dazi per tutta una serie di prodotti, quadruplicandoli per le auto elettriche (102,5%), e aumentandoli notevolmente per le batterie al litio (25%), e per chip e pannelli solari (50%). Di fatto, quindi, siamo in piena guerra commerciale tra Usa e Cina. Ma la guerra commerciale è solo un aspetto della guerra economica che coinvolge non solo Usa e Cina, ma anche altri paesi tra cui quelli che appartengono ai Brics+, a partire dalla Russia e dall’Iran, colpiti dalle sanzioni Usa. Un aspetto di questa guerra, persino più importante dei dazi, ruota attorno alla cosiddetta dedollarizzazione.

La dedollarizzazione è il processo attraverso il quale la valuta statunitense, il dollaro, viene scalzata dal suo ruolo di moneta di riserva e con la quale avvengono gli scambi di merci a livello internazionale. Infatti, fino ad oggi, ogni compratore che voglia acquistare sul mercato internazionale delle merci quotate in dollari deve aprire un conto presso una banca statunitense, la correspondent bank, per procurarsi dollari. Così facendo, però, il compratore in questione si sottomette alla legislazione statunitense e, quindi, al controllo del governo americano. Per questa ragione il dollaro è anche una importante arma di guerra da parte degli Usa che lo impiegano per sanzionare, bloccandone le transazioni commerciali, i paesi con cui hanno contenziosi politici aperti.


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Dante Barontini: “Ciao Europa, ti lasciamo l’Ucraina e ti mettiamo pure i dazi”

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“Ciao Europa, ti lasciamo l’Ucraina e ti mettiamo pure i dazi”

di Dante Barontini

A sentire Steve Bannon – ex stratega di Donald Trump nella vittoriosa campagna elettorale del 2016 e finito poi in prigione per aver rifiutato di testimoniare contro di lui nel processo per l’assalto al Congresso, intervistato oggi da Il Corriere della Sera – l’Ucraina sarà ben presto mollata al suo destino.

Agli europei la scelta se continuare a sostenerla oppure seguire gli Stati Uniti nel ritiro degli aiuti economici e soprattutto militari.

Bannon attualmente non ricopre incarichi istituzionali (è appena uscito dal carcere…) e probabilmente non ne avrà uno neanche dopo l’insediamento di Trump alla Casa Bianca. Però parla da coordinatore e “guru” del movimento Maga (make America great again), che è poi l’anima militante e militare del suo elettorato.

C’è quindi da tener presente una (piccola) differenza tra gli obiettivi dichiarati ancora adesso, oltre che durante la campagna elettorale, e quel che The Donald potrà concretamente fare una volta insediato.

Per quanto riguarda il rapporto con l’establishment tira davvero una pessima aria: «Non possiamo aspettare l’insediamento di Trump: la battaglia per il controllo del governo avviene in questo momento: alla Camera, al Senato, nello Stato amministrativo, alla Difesa, i giudici…». Peggio ancora, «Dicono che serve unità. Avremo l’unità dopo che abbiamo epurato i traditori».


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tonino

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Nov 19, 2024, 9:24:39 AM11/19/24
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Matteo Nucci: La notte della ragione

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La notte della ragione

di Matteo Nucci

dlkjbnjreujgbftViviamo tempi di una mestizia atroce. Ci siamo collettivamente consegnati a un’interpretazione della realtà così priva del minimo senso critico che davvero mancano le parole. Si tira avanti mettendo da parte l’orrore pur di evitare la rabbia che scava negli intestini. Forse sarebbe anche sano rinchiudersi nella propria fortezza, se non fosse così pericoloso. Se il futuro non si facesse sempre più fosco. Gli episodi di Amsterdam sono un caso di scuola. Torniamoci sopra.

Le vicende degli scontri seguiti alla nota partita di calcio fra Ajax e Maccabi Tel Aviv hanno invaso le prime pagine dei quotidiani europei evocando lo spettro dell’antisemitismo. Ammetto di essere rimasto prima sconcertato, poi turbato dalla rabbia, e infine impaurito. Si tratta di una deriva pericolosissima, un gorgo inerziale a cui temo che non sarà semplice sottrarsi. Un pantano in cui miopia e ignoranza unite a un basso calcolo politico e ideologico, rischiano di riportarci davvero di fronte all’orrore.

La storia di questi giorni, infatti, potrebbe essere lasciata correre come uno dei classici casi in cui la superficialità dei resoconti dominante in questi tempi ha spinto le cose un po’ troppo in là. Purtroppo però si inscrive in un contesto che la rende significativa, anzi appunto esemplare. Ma andiamo con ordine. E cominciamo da quel che è accaduto. Ossia una storia del tutto diversa dai resoconti della stampa dominante. Non sto facendo riferimento a fonti alternative di una presunta controinformazione. Parlo dei rapporti offerti dalle autorità e in particolare dalla polizia di Amsterdam. I fatti sono stati spiegati più volte.

I tifosi israeliani del Maccabi, già noti per le posizioni razziste estremiste, sono sbarcati ad Amsterdam gridando slogan di questo genere “A Gaza non ci sono più scuole perché non ci sono più bambini olé olé olé”, “Let the IDF fuck the Arabs”, “Morte agli Arabi” e via dicendo (circolano testimonianze video esaurienti). Poi, in una città in cui la sensibilità per il genocidio a Gaza è alta, divisi in gruppetti sparsi per le vie, hanno strappato bandiere palestinesi pacificamente appese alle finestre dei palazzi, per distruggerle o bruciarle (in questo caso, almeno due sono i video davvero imbarazzanti).


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Chris Hedges: Chris Hedges: Scheda di valutazione dei genocidi

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Chris Hedges: Scheda di valutazione dei genocidi

di Chris Hedges* - Scheerpost

ncajbyufklUn rapporto delle Nazioni Unite, pubblicato di recente, descrive con agghiaccianti dettagli i progressi compiuti da Israele a Gaza nel tentativo di sradicare “l'esistenza stessa del popolo palestinese in Palestina”. Questo progetto genocida, avverte minacciosamente il rapporto, “si sta ora diffondendo in Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est”. 

La Nakba o “catastrofe”, che nel 1948 vide le milizie sioniste cacciare 750.000 palestinesi dalle loro case, compiere più di 70 massacri e impadronirsi del 78% della Palestina storica, è tornata con gli stessi effetti. È il prossimo e, forse, ultimo capitolo di “un trasferimento e una sostituzione forzata a lungo termine, intenzionale, sistematica e organizzata dallo Stato, dei palestinesi”.

Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati dal 1967, che ha pubblicato il rapporto, intitolato “Genocidio come cancellazione coloniale”, lancia un appello urgente alla comunità internazionale affinché imponga un embargo totale sulle armi e sanzioni a Israele fino a quando il genocidio dei palestinesi non sarà fermato. Chiede a Israele di accettare un cessate il fuoco permanente. Chiede che Israele, come richiesto dal diritto internazionale e dalle risoluzioni delle Nazioni Unite, ritiri i suoi militari e coloni da Gaza e dalla Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est. 

Come minimo, Israele, non controllato, dovrebbe essere formalmente riconosciuto come uno Stato di apartheid e persistente violatore del diritto internazionale, afferma Albanese. Le Nazioni Unite dovrebbero riattivare il Comitato speciale contro l'apartheid per affrontare la situazione in Palestina e sospendere l'adesione di Israele alle Nazioni Unite. In mancanza di questi interventi, l'obiettivo di Israele, avverte Albanese, probabilmente si realizzerà.

Potete vedere la mia intervista con Albanese qui.

“Questo genocidio in corso è senza dubbio la conseguenza dello status eccezionale e della prolungata impunità che è stata concessa a Israele”, scrive l' esperta. “Israele ha sistematicamente e palesemente violato il diritto internazionale, comprese le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza e gli ordini della Corte penale internazionale.


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Salvatore Bravo: Filosofia della storia

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Filosofia della storia

di Salvatore Bravo

71nSDxgVYCL. AC UF10001000 QL80 .jpgSperanza e futuribile

Il nostro tempo storico segnato da tragedie e da conflitti ha smarrito con la speranza la dimensione del “futuribile”. Per cancellare dalla dimensione politica il futuro il capitalismo utilizza una miriade di mezzi e strumenti, uno di questi è la cancellazione della cultura classica. Il deserto avanza con la polverizzazione della tradizione filosofica rea di conservare e trasmettere l’eccellenza della natura umana: il bene da rendere universale mediante la cura e la pratica sociale. Il futuro è possibilità esclusivamente umana ed esso prende forma solo con la definizione della natura umana mediante la quale si sottopone a giudizio onto-assiologico il presente storico. Il tempo è la dimensione del “senso”. La definizione di natura umana si esplica nella storia, pertanto essa non può che configurarsi secondo tonalità politiche. Il tempo presente è informe, perché non conosce la dimensione del bene-verità verso la quale orientarsi. Ciò che è informe non conosce il senso del limite e pertanto predispone al crimine. La tecnica contemporanea con le sue capacità di sorvegliare, condizionare e annichilire i dissenzienti trasforma il crimine relazionale in tragedia collettiva e prassi genocidiaria. Nel clima di normalizzazione legalitaria della violenza rileggere i Greci ci consente di acquisire concetti e strutture con cui valutare il presente per riorientarci verso il futuro.

Il testo di Luca Grecchi La filosofia della storia nella Grecia classica può esserci d’ausilio per emanciparci dalla barbarie del tempo presente e per consolidare la consapevolezza che senza il passato non c’è futuro. Comprendere la Grecia classica nella sua complessità-profondità veritativa ci consente di ricostruire la “dimensione di senso”, di cui siamo stati saccheggiati: il futuro conforme alla natura umana solidale e relazionale. A tal fine è necessario oltrepassare letture sclerotizzate e stereotipate della cultura greca antica secondo la quale la filosofia greca non conobbe che il tempo naturale circolare. La lettura documentata di Luca Grecchi dimostra che tale ermeneutica del tempo non esaurisce la problematizzazione e la teorizzazione greca della storia. Pregiudizi e letture semplicistiche non hanno consentito di cogliere il futuribile nella cultura greca.


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comidad: Il vero compromesso storico non era con la DC, ma con la NATO

comidad

Il vero compromesso storico non era con la DC, ma con la NATO

di comidad

Al regista e all’interprete del film “Berlinguer, la grande ambizione”, Nanni Moretti ha rivolto la seguente battuta: “Secondo me se Andrea Segre ed Elio Germano avessero avuto vent’anni nel 1973, avrebbero odiato il compromesso storico”. Ma, prima di amare od odiare il compromesso storico, sarebbe stato utile capire di cosa si trattava, poiché a tutt’oggi non è affatto chiaro.

La linea del cosiddetto compromesso storico fu tracciata da Enrico Berlinguer nel 1973 in tre articoli consecutivi e complementari sulla rivista “Rinascita”; articoli che partivano da un’analisi della vicenda del golpe in Cile. Nel primo articolo Berlinguer affermava: “Anzitutto, gli eventi cileni estendono la consapevolezza, contro ogni illusione, che i caratteri dell’imperialismo, e di quello nord-americano in particolare, restano la sopraffazione e la jugulazione economica e politica, lo spirito di aggressione e di conquista, la tendenza a opprimere i popoli e a privarli della loro indipendenza, libertà e unità ogni qualvolta le circostanze concrete e i rapporti di forza lo consentano.” Dall’analisi di Berlinguer risulta quindi che l’ostacolo principale da superare per ogni politica socialista è la sopraffazione imperialista, in particolare quella statunitense, che si esercita sia con l’aggressione diretta, sia facendo da sponda all’eversione interna.


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Algamica: C'era una volta l'America

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C'era una volta l'America

di Algamica*

disfattausaLe elezioni americane erano molto attese quasi che esse avrebbero deciso le sorti del mondo su una serie di problemi in modo particolare in Occidente, ma – senza che ci nascondiamo la realtà­ ­– anche nel resto del mondo. Queste elezioni hanno eletto Trump. E ora?

Anticipiamo la nostra tesi: l’America non potrà più essere quella che finora è stata. Cerchiamo allora – brevemente – di chiarire ciò che è stata e perché non potrà più essere tale. Altrimenti parliamo del nulla.

 

Una prima considerazione

Le elezioni presidenziali degli Stati Uniti d’America appena consumatesi hanno rilevato un passaggio in avanti nella tendenza non lineare verso il crack degli Stati Uniti per come la storia moderna ha caratterizzato in maniera eccezionale l’America in relazione al resto del mondo contemporaneo che, recentemente, si affaccia sul comune mercato. Un passaggio, quello elettorale, che in Occidente dichiaravano essere storico e determinante per il futuro stesso delle democrazie occidentali.

Nell’aprile del 2023, in prefazione al libro di Michele Castaldo Modo di produzione e libero arbitrio, scrivevamo che negli ultimi 3 anni, «…nel cuore pulsante del capitalismo mondiale, gli Stati Uniti, abbiamo visto e sentito risuonare più volte l’infrangersi della cristalleria, mentre a Tel Aviv, in Israele, si assiste al persistere dei raduni di centinaia di migliaia di israeliani nelle proteste denominate “giornata della disgregazione”. Mentre scrivo questa prefazione, dalla California al cuore dell’Europa i capitali fuggono dalle banche, che inevitabilmente collassano e questa fuga non può più essere spiegata dallo schema delle bolle finanziarie che occasionalmente esplodono…».


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Vincenzo Comito: La dimensione economica e ambientale dell’AI

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La dimensione economica e ambientale dell’AI

di Vincenzo Comito

Esistono stime contraddittorie sul potenziale economico dell’Intelligenza Artificiale, che abbisogna di grandissimi investimenti. Secondo i Nobel Acemoglu e Johnson anche i riflessi sul Pil mondiale saranno scarsi. Con impatto devastante sull’ambiente

sakjbvbjPremessa

Le persone hanno certamente ragione nell’essere in generale colpite e interessate dai grandi progressi in atto nelle tecnologie digitali e dalle importanti promesse che comportano. Le nuove macchine e i nuovi programmi possono in prospettiva espandere in maniera massiccia le attività che possiamo fare e possono trasformare per il meglio le nostre vite, come ci ricordano due economisti statunitensi vincitori del premio Nobel per il 2024 nella loro categoria (Acemoglu, Johnson, 2023). 

Ma forse tali entusiasmi andrebbero un poco frenati, dovrebbero lasciare lo spazio a valutazioni più realistiche di quello che ci attende, certo con tutti i possibili importanti avanzamenti, ma anche con tutti i problemi che l’innovazione tecnologica comporterà. Ed è questo il secondo aspetto delle considerazioni generali fatte in proposito dai due economisti sopra citati. Il futuro della tecnologia appare ben vedere strettamente legato alle decisioni prese in merito dagli uomini e dalle loro istituzioni.

In tale quadro, le note che seguono tentano di dare una visione per quanto possibile realistica delle prospettive che si possono intravedere almeno per quanto riguarda la dimensione economico-finanziaria e ambientale di queste conquiste dell’ingegno umano.

 

I profitti del settore

I sistemi di IA hanno bisogno di grandi impegni finanziari perché comportano fortissimi investimenti in ricerca, impegnando stuoli di persone di profilo elevato, risorsa peraltro abbastanza scarsa; presuppongono grandi capacità di calcolo che solo le grandissime imprese si possono permettere, hanno bisogno di grandi quantità di energia e di acqua.


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Francesca Albanese: Perché quello israeliano è un genocidio

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Perché quello israeliano è un genocidio

Andrea Legni intervista Francesca Albanese

francesca albanese ansaNei giorni scorsi, la Relatrice Speciale dell’ONU per i Territori Occupati Palestinesi, Francesca Albanese, ha presentato il proprio rapporto ufficiale nel quale si dettaglia come quello israeliano a Gaza sia da considerare, alla luce del diritto internazionale, un genocidio. Lo stesso report, che si intitola senza giri di parole Il genocidio come cancellazione coloniale, accusa i governi occidentali di aver garantito a Israele un’impunità che gli ha permesso di «diventare un violatore seriale del diritto internazionale». La relatrice italiana, ma che da molti anni vive all’estero, è stata attaccata con inaudita violenza: l’ambasciatrice statunitense all’ONU l’ha accusata di antisemitismo, mentre la lobby filo-israeliana UN Watch ha lanciato una campagna per cacciarla dalle Nazioni Unite con l’accusa di diffondere «antisemitismo e propaganda di Hamas». Accuse surreali alle quali risponde anche in questa intervista rilasciata in esclusiva a L’Indipendente. Lo fa senza arretrare di un millimetro, anzi dettagliando perché quella che Israele sta scrivendo a Gaza sia da considerare una delle pagine «più nere e luride della storia contemporanea» e denunciando il clima di intimidazione che colpisce sistematicamente chi, all’interno delle istituzioni internazionali, cerca di agire concretamente per inchiodare il governo israeliano alle proprie azioni.

* * * *

Poche settimane fa è stato ucciso il capo di Hamas Yahya Sinwar. I governi e i media occidentali hanno celebrato l’evento, affermando che la sua eliminazione abbia reso il mondo più sicuro e avvicinato la pace in Medio Oriente. Cosa ne pensa?


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Ascanio Bernardeschi: Dio acceca chi vuol perdere

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Dio acceca chi vuol perdere

di Ascanio Bernardeschi

Dopo la batosta elettorale, i Dem italiani attribuiscono al popolo americano la confusione mentale che invece è in loro stessi, e pretendono di formulare una diagnosi psicologica. Basterebbe uscissero dalla Ztl per vedere che esiste anche un malessere economico frutto di decenni di liberismo. Altro che “piena soddisfazione dei bisogni materiali”!

Va bene che «HuffPost Italy» è fra i maggiori media sostenitori del disastrato mondo “dem”, va bene che la batosta subita richieda tempo per essere metabolizzata e ritrovare un briciolo di lucidità, ma l’articolo uscito oggi (10 novembre, Il capitalismo sta mangiando se stesso: l’indicibile origine della vittoria di Trump) a commento dell’esito delle elezioni statunitensi ha dell’incredibile.

Dopo aver sbuffato ed espresso “la sensazione” di una “diffusa inadeguatezza”, “mancanza di originalità”, traboccamento del “senno di poi” nei confronti dei tanti commenti e spiegazioni, prova a dare la sua spiegazione:

Vi sono due “enormità”:

1) “i democratici e Kamala Harris hanno osservato e applicato con buona solerzia tutte o quasi le pratiche, le tattiche e i trucchi da manuale su come si dovrebbe fare politica e vincere le elezioni. E Trump invece le ha infrante tutte”.

2) “il vero problema non sono i politici: sono gli elettori”.


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Domenico Moro: La piattaforma di intermediazione commerciale della Cina e la dedollarizzazione

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La piattaforma di intermediazione commerciale della Cina e la dedollarizzazione

di Domenico Moro

Sui mass media si è dato molto risalto alle dichiarazioni di Trump secondo le quali gli Usa avrebbero portato i dazi sull’import dalla Cina al 60%. Pochi, però, hanno ricordato che già Biden aveva alzato i dazi per tutta una serie di prodotti, quadruplicandoli per le auto elettriche (102,5%), e aumentandoli notevolmente per le batterie al litio (25%), e per chip e pannelli solari (50%). Di fatto, quindi, siamo in piena guerra commerciale tra Usa e Cina. Ma la guerra commerciale è solo un aspetto della guerra economica che coinvolge non solo Usa e Cina, ma anche altri paesi tra cui quelli che appartengono ai Brics+, a partire dalla Russia e dall’Iran, colpiti dalle sanzioni Usa. Un aspetto di questa guerra, persino più importante dei dazi, ruota attorno alla cosiddetta dedollarizzazione.

La dedollarizzazione è il processo attraverso il quale la valuta statunitense, il dollaro, viene scalzata dal suo ruolo di moneta di riserva e con la quale avvengono gli scambi di merci a livello internazionale. Infatti, fino ad oggi, ogni compratore che voglia acquistare sul mercato internazionale delle merci quotate in dollari deve aprire un conto presso una banca statunitense, la correspondent bank, per procurarsi dollari. Così facendo, però, il compratore in questione si sottomette alla legislazione statunitense e, quindi, al controllo del governo americano. Per questa ragione il dollaro è anche una importante arma di guerra da parte degli Usa che lo impiegano per sanzionare, bloccandone le transazioni commerciali, i paesi con cui hanno contenziosi politici aperti.


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Riccardo Paccosi: La sconfitta dell'Occidente di Emmanuel Todd

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tonino

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Nov 24, 2024, 9:11:05 AM11/24/24
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Fabrizio Marchi: Perchè proprio Sahra Wagenknecht?

linterferenza

Perchè proprio Sahra Wagenknecht?

di Fabrizio Marchi

Relazione introduttiva di Fabrizio Marchi alla presentazione del libro di Sahra Wagenknecht, “Contro la sinistra neoliberale”, avvenuta a Roma sabato 16 Novembre 2024

Sahra 1.jpgAbbiamo scelto di presentare il libro di Sahra Wagenknecht perché è sostanzialmente un manifesto politico, il manifesto politico di quello che poi è concretamente diventato un partito che ha ottenuto anche un notevole successo alle scorse elezioni amministrative in Germania e tutto fa pensare che possa bissare se non aumentare significativamente i propri consensi anche alle prossime scadenze elettorali.

Trovo che questo libro/manifesto e il soggetto politico che di fatto ne è scaturito sia la sola vera novità emersa nell’ambito di quella che chiamiamo Sinistra da almeno trentacinque anni a questa parte. Dico subito che sull’utilizzo di questo termine – Sinistra – sarà necessario aprire una discussione specifica e approfondita sia dal punto di vista dei contenuti che ovviamente sotto quello nominale e linguistico e anche storico e storico-politico perché questo termine, concetto o questa categoria, potremmo dire, da almeno quarant’anni ha subìto una mutazione radicale perché definirsi di sinistra ha ormai assunto un significato che non ha più nulla a che vedere con quello che aveva fino a cinquant’anni fa. Al punto che alcuni fra noi sostengono che in seguito a tale mutazione genetica ormai non abbia più senso definirsi di Sinistra o di “sinistra”, fra virgolette, come uso dire io, perché si verrebbe immediatamente identificati con le attuali “sinistre”, siano esse liberali, radicali o anche (pseudo) antagoniste. Del resto, nonostante le differenze, alla fin fine le “sinistre” radicali e anche quelle cosiddette “antagoniste” finiscono per portare acqua a quella liberale e maggioritaria (nell’ambito della sinistra); una sorta di gioco di matriosche, basti pensare, per portare degli esempi, al voto per la Salis candidata con AVS (cioè la costola ancor più rosa e di sinistra del PD) da parte di formazioni come PaP oppure all’eroina della Linke, Carola Rackete, che ha votato al Parlamento Europeo per l’utilizzo delle armi dell’UE sul suolo russo. Per non parlare naturalmente della sfera ideologica (con particolare riferimento alle questioni di genere, a quella lgbtq, alla maternità surrogata e in generale a tutti i temi che riguardano la cosiddetta sfera dei diritti civili) che vede tutte queste sinistre accomunate sotto la bandiera dell’ideologia politicamente corretta.


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Leonardo Sinigaglia: Il marxismo e l'era multipolare - Parte II

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Il marxismo e l'era multipolare - Parte II

di Leonardo Sinigaglia

lòbnlii.png2- La prassi come criterio della verità, il materialismo dialettico come metodo

 Attraverso l’evoluzione teorica descritta, il marxismo è passato dall’essere l’idea di pochi circoli d’avanguardia a essere la forza trainante di alcuni tra i più grandi partiti e Stati al mondo, una forza determinante nello scenario internazionale da almeno un secolo, e mai come oggi vitale e potente. Ciò è stato possibile non solo grazie agli sforzi di numerose generazioni di rivoluzionari, ma soprattutto per un metodo, quello dato dal materialismo dialettico, fondato su un costante confronto con la realtà materiale, applicato tanto all’analisi teorica quanto alla prassi politica. Questo metodo parte dalla realtà e alla realtà ritorna, mettendo al bando ogni soggettivismo e deformazione unilaterale. Il criterio prescritto dal materialismo dialettico per avvicinarsi sempre di più alla verità non è l’adesione a dogmi aprioristici, ipse dixit, identitarismi estetici o sofismi verbali, ma la prassi. Solo la prassi, solo i fatti reali permettono di risalire alla verità.

La questione se al pensiero umano spetti una verità oggettiva, non è questione teorica bensì una questione pratica. Nella prassi l’uomo deve provare la verità, cioè la realtà e il potere, il carattere immanente del suo pensiero[1]. L’esame della pratica è l'unico metro adeguato per valutare la verità di un pensiero. Non ne esistono altri, e il marxismo correttamente riconosce ciò. Il problema della definizione del criterio per stabilire la verità non casualmente è scomparso da decenni dallo scenario politico dell’Occidente, anche nella variopinta galassia della cosiddetta “estrema sinistra” locale.

Influenzati dall’ideologia neoliberale e dal pensiero postmoderno, i “marxisti” occidentali sostengono, apertamente o meno, che esistano le verità, con ogni singola persona portatrice di una, o più, visioni qualitativamente equivalenti e parimenti valide. La realtà oggettiva viene negata a favore di una molteplicità di verità relative fondate sul gusto personale, sull’opportunità, sulla volontà soggettiva, che riflettono nient’altro che pensieri e sensazioni dell’individuo, che sceglie di rappresentare se stesso e quello che fa in un dato modo, di “identificarsi” come qualcosa (o qualcuno).


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OttolinaTV: Musk, Trump e Buffet si stanno preparando per la più grande rapina del secolo?

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Musk, Trump e Buffet si stanno preparando per la più grande rapina del secolo?

di OttolinaTV

101240688 7e90d152 2040 4df0 892e
156059ff4edc.jpgImmaginati di investire 2.000 euro e, dopo 6 mesi, ritrovartene 500 mila: è esattamente quello che è successo a Elon Musk da quando ha fondato, nel maggio 2024, il comitato di azione politica a sostegno di Donald Trump America PAC; nei quattro giorni che hanno seguito l’oceanica vittoria di The Donald, solo le azioni Tesla sono passate da 231 a 331 dollari (+ 45%) ed è solo la punta dell’iceberg. Ieri, infatti, Trump ha annunciato la nascita di un nuovo ministero ad hoc: il Department of Government Efficiciency, il dipartimento per l’efficienza governativa (DOGE, per gli amici). Un nome, un programma: manco fossimo in un remake di Idiocracy, DOGE infatti è il nome della criptovaluta più amata da Elon Musk, l’unica che da 2 anni può essere utilizzata per fare acquisti sui negozi online di Tesla e che nell’arco di 48 ore è più che raddoppiata, raggiungendo una capitalizzazione di oltre 60 miliardi di dollari. A guidare il nuovo dipartimento, al fianco di Elon Musk ci sarà l’altro astro nascente delle oligarchie che si sono stufate di farsi rappresentare da politici – che, per quanto servili, risultano spesso troppo cauti e timidi – e hanno deciso di prendersi direttamente il governo del Paese; si chiama Vivek Ramaswamy e deve la sua popolarità, in particolare, a un best seller uscito nel 2021: Woke, Inc.: all’interno della truffa sulla giustizia sociale delle multinazionali americane. Come Musk (e come Trump), Ramaswamy ha capito una cosa fondamentale: nell’era del declino dell’egemonia neo-liberale e del politically correct, affermare in modo sguaiato che i froci, i negri e le zecche rosse hanno rotto i coglioni è un lasciapassare a prova di bomba per rapinare indisturbati i cittadini comuni, con il loro sostegno; mentre Ramaswamy, infatti, conduceva la sua popolare crociata contro la dittatura dell’ideologia woke, raddoppiava (nel giro di pochi anni) il suo patrimonio personale, fino a sfiorare quota 1 miliardo. Da un lato replicando in piccolo il modello BlackRock e Vanguard con il suo fondo di risparmio gestito Strive Asset Management (a sostenerlo, in particolare, Peter Thiel, co-fondatore e presidente di Palantir, che vede come primi azionisti, con oltre il 25% delle quote, proprio BlackRock e Vanguard); dall’altro, mentre insieme a Musk e Trump conduceva una crociata contro i vaccini Pfizer, con la sua Roivant Science con Pfizer firmava un corpulento accordo per la formazione di una nuova società focalizzata sulle malattie infiammatorie.


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Pino Arlacchi: Una imbarazzata, vile e indecente passività

fattoquotidiano

Una imbarazzata, vile e indecente passività

di Pino Arlacchi

Una imbarazzata, vile, indecente indifferenza di fronte a un genocidio che si svolge davanti i nostri occhi sembra paralizzare la comunità internazionale da un anno a questa parte.

Con il pretesto di vendicare una strage di innocenti a sua volta subita, uno stato assassino sta sterminando senza ritegno la popolazione inerme di un altro stato con lo scopo dichiarato di volerla annientare fisicamente e farla fuggire dalla propria terra.

Non è la prima volta che ciò accade, ma è la prima volta che lo spettacolo di morte può essere gustato gratuitamente, stando seduti sul divano di casa invece che sulle gradinate del Colosseo. I media dominanti alternano gli aggiornamenti sulle partite di calcio a quelli sugli eccidi di Gaza senza mostrare alcuna empatia per le vittime. I due genocidi più vicini nel tempo, quello del Ruanda del 1994 e quello della Bosnia del 1995, non hanno goduto del privilegio di una copertura mediatica quotidiana.

Ma è proprio questa insolente evidenza che mette in risalto l’insensibilità dei governi e delle istituzioni globali di fronte a una catastrofe che poteva essere evitata fin dal suo inizio se non ci fossero stati di mezzo Israele e gli Stati Uniti. Non ci sono al riguardo valide giustificazioni.


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Alessandro Visalli: Agire al tramonto. Apprendere il proprio tempo all’ombra della guerra. Sahra Wagenknecht

tempofertile

Agire al tramonto. Apprendere il proprio tempo all’ombra della guerra. Sahra Wagenknecht

di Alessandro Visalli

Quello che segue è il testo del mio intervento all'evento organizzato da "L'interferenza", il 16 novembre 2024, sull'agenda e il libro di Sahra Wagenknecht "Contro la sinistra neoliberale", Fazi Editore, 2022

Il meno che si può dire del nostro tempo, qui in Occidente, è che si muove nell’ombra di un incipiente tramonto. I segni sono molti: il degrado probabilmente terminale della democrazia, che da tempo è schiacciata dal suo eterno doppio, l’oligarchia. La completa metamorfosi dell’universalismo, vanto della nostra tribù Occidentale, al suo punto zero del suprematismo imperiale. L’ormai assoluta, e omicida, cecità verso l’Altro da sé. La mobilitazione totale di coscienze, oscurate dalla paura. La democrazia ha alla fine vissuto una brevissima stagione, qui in Europa, stretta tra le guerre e il crollo di una speranza; l’universalismo è sempre stato accompagnato come un’ombra dal suprematismo, e questo dall’imperialismo; l’Occidente ha sempre visto solo se stesso; siamo nel regno della paura.

Siamo quindi al tramonto, e siamo sotto l’aspra necessità della guerra. Indispensabile, fatta e minacciata, spesso con servizievoli procuratori, per continuare a estrarre valore dal mondo pieno e coltivare il vuoto nel quale siamo precipitati. Un vuoto da tempo creato da un ‘essere sociale’ che non sa liberarsi dalle conseguenze di una libertà pensata come licenza e arbitrio solitario.


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Paolo Cacciari: Saitō Kōhei, il comunismo della decrescita

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Saitō Kōhei, il comunismo della decrescita

di Paolo Cacciari

Ad aprire crepe nel dominio della tecnocrazia sostenuta da enormi risorse finanziarie negli ultimi anni c’è un pensiero radicale di ecologia politica, costruito intorno a un’idea di società dei produttori che operano in cooperazione tra loro e in unione con la natura. Le tante e diverse esperienze di condivisione dei commons, cioè dei beni che le persone decidono di gestire collettivamente, indicano una strada, come racconta anche l’ultimo testo – di grande interesse e successo – di Saitō Kōhei.

* * * *

Le relazioni tra “rossi” e “verdi” non sono mai state idilliche. Nonostante vari tentativi di giustapposizione delle istanze sociali ed ecologiche in chiave di alleanze contingenti o elettorali fino a ora è prevalsa l’opinione che vi sia una inconciliabilità persino ontologica tra due corpi teorici e due modalità operative pratiche che rimangono e insuperabili. È noto che le formazioni green preferiscono collocarsi oltre l’assiologia destra/sinistra, mentre per la cultura politica che trova le sue radici nei movimenti operai, socialisti e comunisti le discriminanti con i partiti conservatori fanno parte della propria identità.


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Carlo Rovelli: I buoni, i cattivi e la realtà

corriere 

 I buoni, i cattivi e la realtà

di Carlo Rovelli

È possibile che il risultato delle elezioni americane abbia allontanato lo spettro della guerra mondiale

I democratici dei Paesi occidentali si disperano per le elezioni Usa. Lo Spiegel titola «La fine dell’Occidente». Il motivo per tanta disperazione per questo capitolo dell’usuale alternanza in Usa, è l’idea di un conflitto fondamentale in corso nel mondo: un conflitto fra i buoni e i cattivi.

I buoni difendono i sacri valori democratici. Cattivo è chi mette in discussione i buoni: cittadini che non si sentono rappresentati; Paesi che votano per leader definiti illiberali o partiti che non sono alleati ai buoni; Paesi che a larga maggioranza preferiscono altre organizzazioni del vivere sociale, come la Cina. I buoni hanno un’idea alta della democrazia, che non si riduce alle elezioni. Il risultato delle elezioni è da condannare, quando non è loro favorevole. Se per esempio l’Algeria, l’Egitto, il Cile, o Gaza, votano per un partito che non piace ai buoni, allora i vincitori delle elezioni vanno fermati, anche con interventi militari, colpi di stato, appoggio a dittature. Se Paesi come Russia o Ungheria votano politiche che non piacciono ai buoni, allora non si tratta di «vera democrazia». In quei Paesi i media sono asserviti al potere. Lo sono anche nei Paesi veramente democratici, ma meno.


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Fulvio Bellini: Nichilismo fase suprema del servilismo

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Nichilismo fase suprema del servilismo

di Fulvio Bellini

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06.04.03 mount rushmore monument by sa.jpgPremessa: non esistono presidenti americani buoni

In questo articolo non faremo un’analisi delle elezioni americane vinte da Donald Trump simile a quelle che vengono pubblicate copiosamente in questi giorni, ne faremo una da un particolare punto di vista, quello di eminenti esponenti della sinistra neoliberale italiana. Nonostante pronostici e sondaggi, per chi ancora non ha compreso che sono solo strumenti di propaganda e che tutto fanno tranne rilevare le reali tendenze di voto, Trump ha letteralmente trionfato su Kamala Harris, che invece veniva data in leggero vantaggio fino alla vigilia delle elezioni. In questo articolo non si prenderanno le parti di Donald Trump il quale, semplificando eccessivamente perché il comportamento dei tre poli elitari americani, bostoniani, texani e californiani, non è tema di questo scritto, è un oligarca destrorso che rappresenta se stesso, la sua cerchia e altri oligarchi ancor più potenti di lui, e ogni riferimento a Elon Musk è puramente voluto. Tantomeno si piangerà la sonora e meritata sconfitta di Kamala Harris, un burattino di poca qualità politica che sarebbe stata nelle mani di altri oligarchi che abitano Wall Street, il New England e i prestigiosi quartieri ebraici di New York. Abusando delle categorie morali “buoni” e “cattivi” che tanto piacciono ai propagandisti occidentali, con le loro doppie misure, e con la larghezza colla quale affibbiano aggettivi di fascista e nazista oppure democratico e liberale a vanvera e in evidente contrasto colla realtà, dobbiamo solo ricordarci che dal 1789, nomina di George Washington, non sono mai stati eletti presidenti americani “buoni”. Utile alla nostra analisi possono essere alcune osservazioni sulla tornata presidenziale americana. Donald Trump ha il merito di aver semplificato e chiarito cosa siano gli Stati Uniti oggi: una palese plutocrazia, dove un gruppo di oligarchi ben più potenti e privi di scrupoli dei famigerati colleghi russi, pagano milioni di dollari per mettere un loro rappresentante alla Casa Bianca. A differenza dell’Europa, dove la condizione di province imperiali impedisce di avere alternative politiche a neoliberismo e atlantismo, da qui il fenomeno del Partito unico evidente in molti Paesi della Ue, nella metropoli imperiale vi sono reali strategie diverse e poderosi scontri d’interessi.


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Luca Busca: Trump, Ahou Daryaei, tifosi del Maccabi: tre casi di propaganda emozionale

lantidiplomatico

Trump, Ahou Daryaei, tifosi del Maccabi: tre casi di propaganda emozionale

di Luca Busca

ncòosigfhjfNegli ultimi anni la comunicazione mainstream si è fatta sempre più violenta e meno credibile. Il suo scopo sembra essere solo quello di dividere l’opinione pubblica in due fazioni, a loro volta frammentate in infinite frange, e di alimentare lo scontro in modo da rendere inconsistente il dissenso. Senza un’opposizione coesa e attiva, i crimini, come il genocidio palestinese, commessi quotidianamente contro l’umanità dai regimi propagandati da questo tipo di comunicazione diventano ammissibili, giustificabili.

Le occasioni per vedere all’opera questo sistema di comunicazione sono infinite. Per chi lavora nel settore riuscire a stare dietro a questa macchina propagandistica è un’impresa ciclopica, non si fa in tempo a disattivare una trappola che i media mainstream ne urlano un’altra all’unisono sulle loro prime pagine. Solo negli ultimi giorni è stato dato ampio rilievo a tre di questi inganni. Il primo, la netta vittoria di Trump alle elezioni presidenziali statunitensi, ha avuto grande risonanza in virtù della sua rilevanza internazionale. Gli altri due, la ragazza in biancheria intima che passeggia in un campus universitario in Iran e il pestaggio di tifosi del Maccabi in trasferta ad Amsterdam, pur incidendo molto meno sulla vita sociale occidentale, hanno avuto grande risalto nella propaganda di regime.

Nel primo caso la campagna elettorale della Harris è stata impostata, almeno in Italia dove comunque nessuno avrebbe potuto votarla, come l’ultima spiaggia per salvare la democrazia dal baratro trumpiano. Un po’ come nel Bel Paese i post-democratici del PD si presentano come baluardo contro il fascismo dilagante. Il risultato è stato identico in entrambi i paesi e ormai in buona parte del mondo Occidentale: i fascisti dipinti di rosso (chiamarli “sinistra” mi sembra una bestialità) vengono sistematicamente battuti dai fascisti di nero vestiti, nulla cambia e il Capitale trionfa sovrano.


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Alberto Toscano: Trump, o della bancarotta globale del progressismo neoliberale

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Trump, o della bancarotta globale del progressismo neoliberale

di Alberto Toscano

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9c007129c4fb4c9a92c0b1f61c2ccb87mv2La clamorosa disfatta dei Democratici e la reincorazione di Trump sanciscono l’impossibilità di archiviare l’ascesa planetaria della politica reazionaria come un fenomeno transitorio. Al contempo, sollecitano l’urgenza di un’analisi approfondita, che non si limiti all’invettiva ma permetta di comprendere il perché siamo arrivati a questo punto, e dunque come sia possibile invertire la rotta. Alberto Toscano – autore dell’illuminante Tardo fascismo, dal 29 novembre nelle librerie – individua le origini del trumpismo nel fallimento del «progressismo neoliberale», politica che va da Macron a Harris. Una politica antifascista, conclude l’autore, non può perciò limitarsi a declamare continuamente il fascismo dell’avversario, ma necessita la costruzione di una logica diversa da quella del solo calcolo elettorale [1].

* * * *

La clamorosa sconfitta di Kamala Harris, quella che Benjamin Netanyahu e Viktor Orbán hanno salutato come una storica rimonta politica[2], spegne ogni speranza sull’idea che l’ascesa planetaria della politica reazionaria sia un fenomeno passeggero. Una campagna elettorale che celebrava la sua continuità incondizionata con il Partito democratico dei Clinton, di Obama e di Biden si è sgretolata di fronte a un candidato che ha sguazzato nelle accuse di fascismo con un’allegria ancora maggiore rispetto alle sue precedenti campagne elettorali, invocando la fucilazione dei rivali, giocando con la dittatura e soprattutto annunciando deportazioni di massa degli immigrati come suo principale obiettivo politico. L’imminente falò dei diritti e dei benefici sociali delineato dal Project 2025 non ha scatenato nelle urne una resistenza sufficiente. E nemmeno la dichiarata simpatia di Trump per i generali di Hitler o il carnevale di volgarità razziste al Madison Square Garden.


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Andrea Zhok: La scommessa degli stati “trasimachei”

lantidiplomatico

La scommessa degli stati “trasimachei”

di Andrea Zhok*

Di fronte a un genocidio in diretta mondiale che va avanti da mesi non si capisce mai bene se sia più sensato parlarne costantemente, con il rischio di ottundere le coscienze che così si abituano all’orrore, o tacerne, con il rischio di far cadere il male nel dimenticatoio.

È uno di quei casi in cui è anche davvero difficile mantenere una disposizione costruttiva, atta a redigere un testo, senza sfociare nel semplice turpiloquio. Quale giudizio articolato, infatti, può dar conto in maniera ragionevole di: uno stato occupante, in violazione del mandato ONU che ne legittima l’esistenza, armato fino ai denti, che ogni singolo giorno che Dio manda in terra bombarda aree civili, cecchina giornalisti, rade al suolo moschee, demolisce interi quartieri, massacra uomini disarmati, vecchi, donne e bambini, che arresta indiscriminatamente gente che nominalmente sarebbero propri cittadini (ma dell’etnia sbagliata) detenendoli a tempo illimitato, torturandoli, spesso facendoli semplicemente sparire, che impedisce l’arrivo di aiuti internazionali e condanna a una morte per stenti e infezioni centinaia di migliaia di civili, che rapisce e uccide persone al di fuori dei propri confini e di ogni diritto internazionale, che fa terra bruciata di case e proprietà altrui e lo fa in almeno quattro paesi diversi?


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Paolo Bartolini: Cosa ci sarà scritto sui libri di storia

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Cosa ci sarà scritto sui libri di storia

di Paolo Bartolini

Dopo la caduta del Muro di Berlino e la dissoluzione dell'Unione Sovietica, il capitalismo neoliberista fu considerato l'orizzonte ultimo per l'umanità egemonizzata dagli Stati Uniti. In realtà già si preparava un nuovo tornante della storia. Il mondo unipolare seguente alla fine della Guerra Fredda non sarebbe durato a lungo. L'ascesa inarrestabile della Cina e la forza militare della Federazione Russa furono considerate pericoli intollerabili per il mantenimento dei privilegi angloamericani ed europei. Mediante un uso spregiudicato della NATO, alleanza difensiva che sarebbe dovuta scomparire ma rimase in vita grazie alla demonizzazione di nuovi Stati Canaglia e al fenomeno del terrorismo islamico, le forze occidentali in declino destabilizzarono i quadranti dell'est Europa e del Medioriente (e non solo). L'inarrestabile passaggio dalla modernità all'era complessa (segnata da fattori ecologici, demografici e geopolitici di enorme portata) produsse ovunque forme ibride di governo, di taglio oligarchico e più o meno autoritarie. Lobbies, centri finanziari, super-ricchi influenzarono le elezioni in Occidente, mentre altrove si affermarono regimi guidati da uomini forti. L'adesione quasi totale delle ex-sinistre al neoliberismo e l'assenza di politiche ridistributive adeguate, aumentò il divario tra ceti popolari, medi e classe lavoratrice da una parte, e borghesia predatrice dall'altra.


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tonino

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Nov 24, 2024, 9:31:25 AM11/24/24
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Giorgio Grimaldi: Ripensare il marxismo, progettare la società post-capitalista

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Ripensare il marxismo, progettare la società post-capitalista

di Giorgio Grimaldi

Introduzione a Domenico Losurdo, La questione comunista. Storia e futuro di un’idea, Carocci 2021

01625998.jpg§1. Perché La questione comunista?

Nella genesi di un’opera agiscono le questioni, le esigenze che all’autore si presentano come elementi che decidono del movimento del proprio tempo. Possono occupare una posizione più o meno centrale, o appariscente, nel dibattito riservato a determinati circoli culturali o anche agli occhi dell’opinione pubblica, e compito dell’autore è quello in primo luogo di individuarli, isolandoli dal materiale che, seguendo la logica delle mode, è avvertito come argomento “del momento”, e che “nel momento” si esaurisce. L’opera che la moda (oppure la mera contingenza) detta non presuppone un’analisi degli aspetti decisivi del proprio tempo, ma ne riflette, con maggiore o minore eleganza, le decisioni.

Per un filosofo come Domenico Losurdo, che non ha mai seguito o assecondato le mode ma ha sempre mantenuto libero e coerente lo sguardo su un obiettivo – «l’emancipazione politica e sociale dell’umanità nel suo complesso» (infra, p. 178) –, la prima domanda che occorre porsi di fronte a questo testo inedito (il primo lavoro monografico a essere pubblicato dopo la scomparsa, avvenuta il 28 giugno del 2018) è il perché abbia scelto di proseguire nel progetto di ripensamento del marxismo che ha animato l’ultima fase del suo pensiero. Non si tratta, come invece il titolo di lavoro del volume (La questione comunista a cent’anni dalla rivoluzione d’ottobre) potrebbe suggerire, di un testo che prende avvio da un’occasione, da una contingenza. Certo, si innesta nelle discussioni nate a partire dalla ricorrenza del centenario della rivoluzione del 1917, ma, fuori da ogni intento celebrativo e apologetico, La questione comunista intende articolare un bilancio storico dell’esperienza sovietica e del marxismo nel suo complesso. Non solo: Losurdo osserva il marxismo negli elementi che in esso confluiscono e in ciò che è capace, in un futuro prossimo o remoto, di produrre.


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Sergio Cesaratto: La nuova governance fiscale europea fra mezze verità e metafisica

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La nuova governance fiscale europea fra mezze verità e metafisica

di Sergio Cesaratto (Unisi-Deps)

Anche a scopo didattico, pubblico alcune note sul Piano strutturale di bilancio che il governo sta discutendo con la Commissione Europea. Una sintesi è apparsa su Il Fatto del 31 ottobre 2024

01625998.jpgCon il voto del Parlamento europeo e del Consiglio della UE, nell’aprile 2024 sono stati adottati i testi legislativi che delineano la nuova governance economica dell’Unione [1]

 

Obiettivi

L’obiettivo generale è portare il rapporto fra il debito e il PIL su una traiettoria plausibilmente discendente o mantenerlo su livelli prudenti, nonché per portare o mantenere il disavanzo al di sotto del 3 per cento del PIL nel medio termine.

Allo scopo ciascun paese deve presentare un Piano strutturale di bilancio (PSB ) che definisca il percorso di consolidamento necessario per realizzare gli obiettivi.

Al centro del nuovo assetto vi sono le analisi di sostenibilità del debito pubblico nel medio termine e il confronto tra ogni Stato membro e la Commissione per la definizione di una politica di bilancio appropriata, anche in relazione a piani di riforme e di investimenti. In tal modo si intende superare la logica delle regole valide per tutti (vedremo che non è poi così).

 

Obiettivi specifici

Il PSB deve assicurare che per gli Stati con un debito pubblico superiore al 60 per cento del PIL o con un disavanzo superiore al 3 per cento del PIL (come l’Italia) alla fine del periodo di consolidamento:

(i) il debito pubblico in rapporto al PIL si deve collocare su una dinamica plausibilmente decrescente nel medio termine o mantenersi su livelli prudenti al di sotto del 60 per cento;


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Eros Barone: Un’intervista impossibile, ma plausibile, con Alessandro Manzoni

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Un’intervista impossibile, ma plausibile, con Alessandro Manzoni

di Eros Barone

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image 52940 1.jpgL’immaginazione può superare, se opportunamente controllata dalla ragione storica e dalla critica letteraria, i confini spazio-temporali che ci separano dalla figura e dall’opera di Alessandro Manzoni. Con l’aiuto di questi strumenti – immaginazione, ragione e critica – abbiamo avvicinato, a poco più di centocinquant’anni dalla sua morte, l’autore dei Promessi sposi, spingendoci in quella regione dell’aldilà dove egli si trova e dove, con il superiore permesso dell’Onnipotente, ci ha concesso la seguente intervista. Va detto che la conoscenza delle discussioni e dei problemi, anche recenti, che hanno contrassegnato la cultura italiana, europea e mondiale – conoscenza che traspare dalle sue risposte alle domande - non deve meravigliare se si tiene conto che egli è stato costantemente informato intorno a essi dai vari e qualificati ‘addetti ai lavori’ che della sua opera si sono occupati e che lo hanno via via raggiunto là dove egli si trova. Fra questi desideriamo citare, per affinità di orientamento e di sensibilità con l’intervistatore, almeno questi: Alberto Moravia, Italo Calvino, Umberto Eco, Edoardo Sanguineti e Alberto Asor Rosa.

* * * *

- Signor conte…

- Ma che conte e conte. Coloro che mi chiamano conte mostrano di non aver letto le mie opere. Io non sono conte e nemmeno nobile. Sono Alessandro Manzoni e niente altro. 1 Chi è lei, che cosa vuole?

 

- Mi scusi se la disturbo, Maestro (mi permetta almeno di chiamarla così, per antica deferenza), ma, veda, io mi sono arrischiato fin qua per parlare un po’ con lei: avrei alcune domande da farle… e l’Altissimo mi ha autorizzato a conferire con lei. Sia compiacente anche in grazia del mio gravoso mestiere…


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Andrea Zhok: La realpolitik senza realtà

lantidiplomatico

La realpolitik senza realtà

di Andrea Zhok

A quanto pare negli USA, il presidente Biden, presidente uscente, sconfitto e rinnegato dal proprio stesso entourage come inadatto a proseguire nel ruolo di comando, ha dato il permesso all'Ucraina di utilizzare i propri missili a lungo raggio (300 km) ATACAMS per colpire obiettivi nel territorio russo.

A ruota la posizione americana è stata seguita dalla Francia, che consentirà l'utilizzo in profondità degli SCALP, e dal Regno Unito, che consentirà l'uso degli STORM SHADOW.

Dal primo giorno del conflitto russo-ucraino o "operazione speciale" che dir si voglia è stato chiaro a tutti coloro che non fossero in malafede che una sconfitta militare della Russia da parte dell'Ucraina + NATO non fosse concepibile se non in forma di Terza Guerra Mondiale. Nessuno poteva pensare neppure per un minuto che se la Russia si fosse trovata in grave difficoltà sul campo di battaglia in una guerra convenzionale avrebbe semplicemente accettato una sconfitta strategica sul proprio territorio. L'unica possibilità di una sconfitta della Russia che non passasse attraverso un olocausto nucleare era un collasso dell'economia a causa delle sanzioni, ma una volta che quella strada si è dimostrata impercorribile, la strada della sopraffazione militare era ovviamente preclusa. Un impero dell'estensione di quello russo non può mantenere un controllo centrale capillare su tutti i suoi territori.


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Il Pungolo Rosso: La politica economica di Trump: lacrime e sangue al cubo

ilpungolorosso

La politica economica di Trump: lacrime e sangue al cubo

di Il Pungolo Rosso

Sul Manifesto di domenica 10 novembre, l’economista Emiliano Brancaccio ha esposto in modo sintetico quella che sarà, con tutta probabilità, la politica economica del prossimo quadriennio trumpiano alla Casa Bianca: “dal fisco, alla spesa sociale, alla regolamentazione del lavoro, la “Trumpnomics 2.0” sarà quella di sempre: una politica economica al diligente servizio del capitale americano” (forse sarebbe stato meglio dire: all’ultra-aggressivo servizio del capitale americano).

Trump, infatti, ha promesso più volte che rafforzerà il suo “Tax Cuts and Jobs Act”. Nel 2017 aveva abbattuto l’imposta massima sui profitti delle imprese dal 35% al 23% (Brancaccio dice, però, al 21%) operando un taglio fiscale da 1.500 miliardi di dollari, che è andato a vantaggio delle 400 famiglie dinastiche più ricche sfondate d’Amerika – mentre l’aliquota fiscale media per il 50% delle famiglie statunitensi meno abbienti era, al 2018, del 24,2% – non era mai successo nella storia degli Stati Uniti che il lavoro salariato pagasse tasse con un’aliquota superiore a quella del capitale. Non contento di questo, Trump intende portare la tassazione del capitale al 15%, “nel tripudio dei grandi azionisti di Wall Street. Inoltre, il nuovo presidente ha annunciato tagli rilevanti al prelievo federale sugli straordinari e sulle pensioni più alte”.


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Giorgio Griziotti: Equalize the world

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Equalize the world

di Giorgio Griziotti

L’altro giorno, sceso all’aeroporto di Orly in provenienza dall’Italia, stavo avviandomi con gli altri passeggeri verso l’uscita quando a un certo punto si forma una coda davanti a un cunicolo luminoso con porte che lasciavano entrare una persona alla volta. Un ulteriore sistema di controllo e rilevamento automatico, come se durante il viaggio aereo il passeggero, già controllato all’imbarco, potesse procurarsi armi, droghe o altri prodotti illeciti. Questa ennesima novità ansiogena aeroportuale è una delle tante manifestazione dell’ossessione securitaria onnipresente nel reale come nel virtuale accompagnata da una retorica che alimenta la percezione di pericolo continuo come promozione di una cultura della paura.

In realtà il pericolo spesso esiste perché fautori della narrativa securitaria e agenti di cyberspionaggio si trovano nello stesso campo e si alimentano a vicenda.

Equalize, la società oggi indagata di analisi di rischi aziendali – leggi spionaggio industriale e non solo industriale visto che fra i clienti si annoverano il Mossad e il Vaticano – è esemplare in questo senso: il suo titolare, oltre a essere presidente della Fondazione Fiera Milano, nominato nel 2022 dal leghista Fontana, e consigliere dell’università Bocconi, intratteneva stretti legami con alti esponenti del governo fra cui nientemeno che il presidente del Senato e la molto investigata ministra del turismo.


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Giulia Abbate: "Quale mondo…”. Note a margine, dopo un corteo per la Palestina

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"Quale mondo…”. Note a margine, dopo un corteo per la Palestina

di Giulia Abbate

Questo scritto risale esattamente a un anno fa: è stato composto subito dopo la partecipazione a un corteo a Milano, corteo organizzato dalle organizzazioni palestinesi contro l’aggressione israeliana alla popolazione di Gaza, contro la collaborazione italiana alla strage, e per la pace.

In dodici mesi, l’aggressione si è trasformata in un genocidio di estensione e crudeltà mai viste prima, e si è estesa: alla Cisgiordania con un’invasione; al Libano con bombardamenti sulla popolazione di Beirut; all’Iran con atti intimidatori da parte di Israele. Tutto nella quasi totale inerzia della scena internazionale (con eccezioni, come Irlanda e Sudafrica) e sempre con il vile appoggio degli USA, dell’Italia e del cosiddetto occidente.

Già un anno fa, l’autrice era in dubbio se pubblicare un resoconto personale, perché ritenuto limitato e “piccolo” rispetto alla misura della catastrofe in corso. Abbiamo deciso di ospitare questo articolo perché crediamo che proprio nel piccolo, nel personale, nella limitatezza della propria interiorità è necessario nutrire riflessioni che diano “reincanto”: ovvero lo slancio necessario alla ricerca di una vita e di una società diversa.


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Mimmo Porcaro: Perché Amerika si scrive con il kappa. Due libri di Salvatore Minolfi

lafionda 

Perché Amerika si scrive con il kappa. Due libri di Salvatore Minolfi

di Mimmo Porcaro

Senza
titolo 71.pngChe la guerra russo-ucraina sia soprattutto l’effetto di un insieme di scelte occidentali, e che queste siano l’esito di tendenze profonde presenti da decenni nelle due sponde dell’Atlantico, è cosa di cui tutti, compresi coloro che devono per mestiere negare l’evidenza, sono consapevoli. Ma non tutti si chiedono da quanto tempo tali scelte maturino e quanto siano profonde e irreversibili le tendenze che esse esprimono: domande cruciali per chi voglia contrastare le une e le altre.

Nel suo recente, agile lavoro dedicato proprio al conflitto in corso, Salvatore Minolfi affronta di petto tali questioni e lo fa (anche sviluppando una sua precedente e più complessa ricostruzione del dibattito strategico statunitense post ’89) col metodo proprio dello storico: ossia attraverso l’attenta lettura dei documenti prodotti dall’amministrazione Usa e dall’affollato mondo di quegli “attori multiposizionati” (accademici, consulenti, think tank) che, variamente connessi sia alla politica che agli affari, codeterminano in maniera significativa le scelte dell’egemone mondiale[1]. E carta canta, verrebbe da dire: la chiarezza con cui in questi documenti vengono espresse le intenzioni delle élite Usa smentisce da sola qualunque teoria del complotto, mostrando come tutte le cose essenziali siano dette e fatte alla luce del sole.

Si vedano ad esempio, trai molti documenti citati dall’Autore, lo studio dell’influentissima Rand Corporation, significativamente intitolato Extending Russia, che riproponendo nel 2019 una versione aggiornata della strategia afghana anti-Urss, invita a costringere Mosca ad azioni militari talmente onerose da portare al collasso della Russia[2]; oppure il documento strategico 2021 della Casa Bianca dove si esplicita l’intenzione di dar vita a un nuovo ordine attraverso “distruzione e costruzione” anche riprendendo apertamente la strategia delle presidenze Bush: ossia la commistione tra merci, capitali e guerra[3].


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Antonio Cantaro: Narrare e insegnare l’Italia, le radici della questione identitaria

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Narrare e insegnare l’Italia, le radici della questione identitaria

di Antonio Cantaro

La relazione di Antonio Cantaro al Convegno di Proteo-Fare-Sapere e del Dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università Roma Tre (19 novembre 2024). Il tema dell’identità nazionale merita di essere preso sul serio. Problematizzato nella sua declinazione generale e criticato in quella di identità italiana proposta da Galli della Loggia e Loredana Perla

IMG 20241118 154929.jpgIdentità nazionale. Un significante vuoto?

L’espressione identità nazionale è una scatola vuota, un significante che può essere riempito di molteplici, opposti, significati. Tuttavia, come tante ‘formule magiche’ (populismo, resilienza, e così via), i significanti vuoti si prestano, proprio in virtù della loro indeterminatezza, a essere riempiti di significati pregnanti, ‘normativi’, lato sensu costituenti.

Quando? Quando, veicolano una domanda di senso alla quale viene attribuito, a torto o a ragione, un superiore significato.

La domanda alla quale ci riferiamo oggi quando parliamo di identità nazionale è una domanda di appartenenza a una comunità, la Nazione. Una comunità candidata a coprire le insicurezze e lo smarrimento degli uomini del mondo globalizzato, specie di quelli che si sentono esclusi dai suoi benefici. Gli orfani della belle époque della globalizzazione, da tempo esemplarmente incarnati da quegli americani che al grido di USA USA hanno nuovamente incoronato le scorse settimane Donald Trump capo della nazione americana.

È questo l’auspicio anche di coloro che oggi cantano le “magnifiche e progressive sorti” dell’identità italiana. Un tema, dunque, da prendere sul serio. Ma che per essere preso sul serio sino in fondo esigerebbe che i suoi provinciali ‘apostoli’ giocassero a carte scoperte, rivelando innanzitutto le fonti intellettuali e ideologiche del significante identità nazionale.

E invece no. I neo-apostoli dell’identità italiana si ‘astengono’ dall’indicare persino la fonte internazionale più autorevole, lo scrittore nippoamericano Francis Fukuyama, della riabilitazione del tema dell’identità nazionale. Preferiscono rifugiarsi in citazioni aneddotiche e fuori contesto sul nazional-popolare, tema che andrebbe rimeditato anche alla luce delle perspicue considerazioni di Massimo Baldacci sulla pedagogia gramsciana (https://www.ospiteingrato.unisi.it/wordpress/wp-content/uploads/2021/05/9.4.-BALDACCI-La-scuola-attraverso-Gramsci.pdf.).


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intelligence for the people

Viaggio alle origini della rivalità fra Israele e Iran

di Roberto Iannuzzi

Gli eventi che hanno portato alla fusione di due questioni relativamente distinte, seppur legate dalla comune lotta anticoloniale: il conflitto israelo-palestinese e la questione iraniana

838b75ee e7c2 4d37 bca0
38bd33a42602 2560x1766.jpgIl conflitto seguito all’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, all’inizio confinato principalmente a Gaza, si è progressivamente esteso al Libano, allo Yemen e al Mar Rosso, alla Siria e all’Iraq.

In questo contesto, la rivalità fra Israele e Iran, per anni manifestatasi come uno confronto indiretto e combattuto “per procura” su numerosi teatri mediorientali, sta sfociando in un pericoloso scontro diretto fra i due paesi, che potrebbe coinvolgere gli Stati Uniti e far deflagrare l’intera regione.

A prescindere dalla crescente espansione e intensificazione delle operazioni belliche nei teatri sopra citati, è stata la campagna israeliana di omicidi mirati a danno di esponenti di spicco del cosiddetto “asse della resistenza” filo-iraniano a provocare per la prima volta risposte dirette contro Israele da parte di Teheran.

Com’è noto, tale asse include Hamas e la Jihad Islamica in Palestina, Hezbollah in Libano, la Siria del presidente Bashar al-Assad, diverse milizie sciite in Iraq, il gruppo Ansar Allah (meglio noto come gli “Houthi”) nello Yemen, e naturalmente l’Iran.

Due episodi, in particolare, hanno rappresentato altrettanti punti di svolta in questa contrapposizione: il bombardamento israeliano del consolato iraniano a Damasco lo scorso 1° aprile, e quello violentissimo sulla Dahiya (il sobborgo meridionale) di Beirut del 27 settembre.

Nel primo sono rimasti uccisi tre generali della forza Quds della Guardia Rivoluzionaria iraniana (IRGC, secondo l’acronimo inglese). Il secondo ha eliminato fisicamente Hassan Nasrallah, segretario generale di Hezbollah, insieme ad alcuni dirigenti del gruppo e a un altro generale iraniano.

Entrambi questi attacchi hanno provocato una risposta missilistica iraniana diretta contro il territorio israeliano, evento mai verificatosi prima nella storia dei due paesi. La prima rappresaglia si è consumata nella notte fra il 13 e il 14 aprile, la seconda, militarmente più incisiva, in quella del 1° ottobre.


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Fabrizio Poggi: ATACMS e "Aegis Ashore”: la guerra tanto bramata dai vampiri di Bruxelles è servita

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ATACMS e "Aegis Ashore”: la guerra tanto bramata dai vampiri di Bruxelles è servita

di Fabrizio Poggi

A fronte della notizia del via libera concesso a Kiev tre giorni fa da Joe Biden a colpire la regione russa di Kursk con missili balistici tattici ATACMS americani, le “novità” provenienti dalla Polonia paiono passare in quart'ordine, sopravanzate anche da quelle secondo cui le stesse Francia e Gran Bretagna avrebbero autorizzato attacchi ucraini con missili tattici SCALP e Storm Shadow. Le informazioni da Varsavia, tra l'altro, non sono poi nemmeno freschissime e risalgono a quattro o cinque giorni fa, oltre a essere attese almeno dal 2018.

Ma, dati i tempi scanditi dalle decisioni UE-NATO di dirottare miliardi e miliardi dalle spese sociali a quelle di guerra e l'esagitazione bellica che infervora varie cancellerie europee, anche ciò che riguarda la Polonia merita di essere rimarcato, tanto più che rientra nel medesimo scenario da “voglia di guerra” euro-atlantica a tutti i costi.

Dunque, dopo una discreta serie di rinvii annuali, lo scorso 13 novembre, presenti il segretario NATO Mark Rutte e il presidente polacco Andrzej Duda, è stata solennemente inaugurata all'aeroporto militare polacco di Redzikowo la base che ospita il sistema (anti)missilistico americano Aegis Ashore”, che segue la base aperta in Romania nel 2016. Formalmente, la base è sotto controllo NATO; di fatto, gestione e manutenzione bellica sono affidate a personale militare yankee.


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Piccole Note: Scholz chiama Trump e Putin: la Germania si riposiziona

piccolenote

Scholz chiama Trump e Putin: la Germania si riposiziona

di Piccole Note

La telefonata di Scholz segna uno no della Germania alle guerre infinite. Il coro dei soliti guerrafondai contro l’iniziativa del cancelliere tedesco

Dopo aver sciolto il governo per avviare un processo che porterà a elezioni anticipate, il cancelliere tedesco Olaf Scholz sembra sollevato, un po’ com’è accaduto a Biden dopo la vittoria di Trump. Probabile che non aspettasse altro, dal momento che solo un cambio di passo in Ucraina, cioè la fine del drenaggio delle risorse tedesche verso il conflitto, può impedire alla Germania di scivolare ancora di più verso la de-industrializzazione, di cui è simbolo la chiusura di alcuni stabilimenti della Wolkswagen.

 

La chiamata di Scholz

Così, la nuova iniziativa dirompente: dopo aver chiamato Trump, in una conversazione nella quale si è fatto spiegare cosa intende fare in merito all’Ucraina, ha chiamato Putin, rompendo il muro di silenzio che finora ha impedito ai leader occidentali di interloquire con i russi.

Nel riferire la telefonata con Trump, Scholz ha detto che la posizione del nuovo presidente americano gli è apparsa “sfumata“, cioè meno assertiva delle sue dichiarazioni pubbliche, ma non poteva essere altrimenti, dal momento che il processo che porterà a chiudere il conflitto deve ancora aprirsi.


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Edoardo Todaro: Il tempo del genocidio

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Il tempo del genocidio

di Edoardo Todaro

Samah Jabr, Il tempo del genocidio, Ed. Sensibili alle foglie, 2024 pag 152 € 13

Dopo “DIETRO I FRONTI“ e “SUMUD”, le edizioni Sensibili alle foglie ci porta, attraverso Samah Jabr con “IL TEMPO DEL GENOCIDIO“, dentro ciò che l’entità sionista sta compiendo nei confronti del popolo palestinese. Dire che quanto avviene è un qualcosa di mai accaduto prima, che ci fa restare frustrati e inadeguati, che non possiamo accettare che ancora qualcuno possa dire: “non lo sapevo”; dire:“cos’altro deve accadere per scuotere la coscienza collettiva?”; voltarsi dall’altra parte, tutto questo è certamente giusto.

Allo stesso tempo leggere il contributo di Samah ci rende ancor di più consapevoli del fatto che la solidarietà internazionale verso i palestinesi è quanto mai necessaria e indispensabile; che la solidarietà verso il popolo palestinese è terapeutica per tutti noi, è un imperativo morale ed etico, che la loro resistenza è sostegno e aiuto anche per noi, e coniugare questi due aspetti può essere un percorso proficuo per mettere fine alla più lunga e sanguinosa occupazione attualmente in corso, la solidarietà rende i palestinesi consapevoli del non sentirsi soli.

La solidarietà ha un potere curativo reciproco. L’essere impegnata nel campo della psichiatria, Samah dirige l’unità di salute mentale del Ministero della Sanità palestinese, fa sì che quanto descritto sia inserito in un contesto storico di quanto avviene.


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Alastair Crooke: Non ci sono più "guerre facili" da combattere, ma non bisogna confondersi col desiderio di averne una

giubberosse

Non ci sono più "guerre facili" da combattere, ma non bisogna confondersi col desiderio di averne una

di Alastair Crooke - Strategic Culture Foundation

Trump potrebbe non rendersi conto di quanto Stati Uniti e Israele siano isolati tra i vicini arabi e sunniti di Israele

Gli israeliani, nel complesso, mostrano una rosea certezza di poter imbrigliare Trump, se non per la totale annessione dei Territori occupati (Trump nel suo primo mandato non ha sostenuto tale annessione), ma piuttosto per intrappolarlo in una guerra contro l’Iran. Molti (persino la maggior parte) degli israeliani non vedono l’ora di combattere l’Iran e di ampliare il proprio territorio (privo di arabi). Stanno credendo alle chiacchiere secondo cui l’Iran “giace nudo”, incredibilmente vulnerabile, prima di un attacco militare statunitense e israeliano.

Le nomine del team di Trump, finora, rivelano una squadra di politica estera di feroci sostenitori di Israele e di appassionata ostilità verso l’Iran. I media israeliani lo definiscono una “squadra da sogno” per Netanyahu. Sembrerebbe proprio così.

La lobby di Israele non avrebbe potuto chiedere di più. L’hanno ottenuta. E con il nuovo capo della CIA hanno ottenuto come bonus un noto ultra falco contro la Cina.

Ma nell’ambito nazionale il tono è esattamente l’opposto: la nomina chiave per la “pulizia delle stalle” è quella di Matt Gaetz come procuratore generale; si tratta di un vero e proprio “lanciatore di bombe”. E per la pulizia nell’intelligence, Tulsi Gabbard è stata nominata direttore dell’intelligence nazionale.


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tonino

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Nov 27, 2024, 7:25:46 AM11/27/24
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Luca Busca: È tutto loro quello che luccica!

lantidiplomatico

È tutto loro quello che luccica!

di Luca Busca

Netanyahu e Gallant in realtà più che subire “conseguenze di non poco conto” sono stati “graziati”, non più rei di genocidio ma solo di “banali” crimini di guerra, d’altra parte commessi anche dalla controparte palestinese

nvaoie5klE sì, non è un errore di stampa, “è tutto loro quello che luccica” è l’unica risposta sensata all’atavica domanda “è tutto oro quello che luccica?”. E il mandato di arresto di Benjamin Netanyahu e Yoav Gallant luccica parecchio. A prima vista sembra una piccola rivoluzione, il riconoscimento di una giustizia sana che tenta di fermare anche i potenti, gli intoccabili. Non solo ma come ha brillantemente scritto Jeffrey Sachs: “il mandato di arresto della CPI per Netanyahu è anche un’accusa alla complicità USA.

Una luce completamente nuova, soprattutto se messa a confronto con il precedente di inizio millennio, che vide i crimini di George W. Bush, come Abu Graib, Guantanamo e un milione di civili iracheni uccisi, completamente ignorati. Di contro Saddam Hussein, reo di mancato possesso di armi di distruzione di massa, venne condannato a morte da un tribunale fantoccio. “A Bagdad si è invece celebrata, per i fatti di Dujail, una farsa. I giudici sono stati nominati dall’esecutivo (il Consiglio di governo) e da esso sostituiti quando non si allineavano sulle posizioni ufficiali delle autorità o si dimostravano scarsamente efficaci. Il tribunale sin dall’inizio è stato finanziato dagli Usa, che hanno anche elaborato il suo Statuto, poi formalmente approvato dall’Assemblea nazionale irachena, nell’agosto 2005. (studiperlapace.it)

La notizia del mandato d’arresto per Netanyahu e Gallant ha suscitato immediate reazioni di entusiasmo e giubilo in tutte le tipologie di pacifisti che popolano l’articolato mondo del dissenso. Più pacate quelle dei governanti italiani con Crosetto ad affermare “la decisione della CPI, anche se sbagliata va applicata”. La Meloni con la sua consueta moderazione ha dichiarato: “Approfondirò in questi giorni le motivazioni che hanno portato alla sentenza della Corte Penale Internazionale. Motivazioni che dovrebbero essere sempre oggettive e non di natura politica”. Più determinato il “ministro degli Esteri Antonio Tajani cerca di trovare spiragli per non applicare la sentenza in Italia in caso di viaggio nel nostro Paese del primo ministro d’Israele accusato di crimini di guerra, mentre la Lega di Matteo Salvini definisce la sentenza della Corte internazionale addirittura «filo islamica».


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Guido Ortona: Perché la sinistra non è all’altezza dei problemi che deve affrontare?

sinistra 

Perché la sinistra non è all’altezza dei problemi che deve affrontare?

di Guido Ortona

schlein linkiesta.jpgOsservazioni preliminari. L’autore di questa nota ha militato a sinistra per circa 60 anni; ed è stato ricercatore e poi professore di Politica Economica per più di 50. Scrivo questo perché le cose che leggerete potranno apparire banali, spero anzi che sia così; ma può essere utile sapere che queste banalità sono il risultato di decenni di pratica e di studio. Per “sinistra” intendo l’area a sinistra del PD, e una parte minoritaria di esso, la cui estensione non sono in grado di valutare.

 

1. Occorre affrontare i grandi problemi. La situazione politica generale in Italia (ma le considerazioni che faremo valgono anche per altri paesi) è grave e pericolosa, ma ha almeno un vantaggio: dovrebbe obbligare la sinistra a mettere al centro della propria proposta politica le grandi scelte, che invece preferisce trascurare, per vari motivi. Discutere di questi motivi e della loro importanza è il tema di questo articolo.

Le grandi scelte che non possono più essere eluse sono l’alternativa fra accettare le politiche europee o no, e quella fra tassare i ricchi o no. Chiamo queste alternative “grandi scelte” per questo: non è possibile proporre serie politiche di sinistra se non vengono affrontati questi nodi. Il motivo di ciò è che se non interviene con serie politiche di rottura su quei punti, allora mancheranno necessariamente le risorse per qualsiasi politica di sinistra di ampio respiro; il che renderebbe, e rende, impraticabile qualsiasi proposta di politiche economiche di sinistra che aspiri a incidere in modo significativo sulla nostra società.

L'Italia dovrà pagare (almeno) 10 miliardi all'anno per ridurre il disavanzo pubblico onde rispettare i vincoli europei sul rientro dal debito. Ma non basta: questa somma si aggiunge al normale servizio del debito, per un totale, a quanto pare, compreso fra 80 e 100 miliardi all’anno. Una parte, circa un quarto, ritorna come interessi sulla quota di debito detenuta dalla Banca d’Italia; ma per quanto riguarda l’attivazione sull’economia del nostro paese il resto è sostanzialmente buttato via - si tratta di almeno il 3% del PIL.


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Carlo Di Mascio: Hegel con Pashukanis. Una lettura marxista-leninista

sinistra

Hegel con Pashukanis. Una lettura marxista-leninista*

di Carlo Di Mascio

HegelPasukanis000.jpgLa scelta di una filosofia dipende da quello che sei.

J. G. Fichte, Prima introduzione alla Dottrina della Scienza

1. La ricezione russo-sovietica di Hegel tra filosofia e politica

Nel 1931 Evgeni Pashukanis pubblica un saggio dal titolo ‘Hegel. Stato e diritto1, dedicato al centenario della morte di Hegel. L’occasione era stata fornita dalla possibilità di partecipare, con alcuni scritti di filosofi e giuristi sovietici, allo Hegel-Kongreß tenutosi a Berlino nello stesso anno, partecipazione poi - come ricorderà Pashukanis - «comicamente» negata dagli organizzatori che, nel rifiutare gli scritti di provenienza sovietica, si limitarono solo alla ricezione di semplici comunicazioni «sulla portata e l'organizzazione degli studi hegeliani nelle istituzioni scientifiche russe». A ciò fece seguito, come ancora polemicamente riportato dal giurista sovietico, il commento di Georg Lasson, tra i promotori del congresso berlinese, per il quale sarebbe stato «assurdo scoprire la dottrina hegeliana dello Spirito assoluto nel materialismo inanimato del marxismo»2. Ora, non serve qui soffermarsi sulle ragioni di una tale esclusione. Essa non poteva che dipendere dal ritenuto stato «avanzato» degli studi hegeliani nell’Occidente europeo, in un contesto culturale e storico-politico molto particolare, connotato dall’avvento del nazi-fascismo in Germania e in Italia3, dal «ritorno a Hegel» e ai motivi più reazionari del suo pensiero riassunti in quel «neohegelismo»4 da impiegare come baluardo politico-filosofico allo stato «avanzato» della crisi, sociale ed economica, in una Europa segnata dal timore di una rivoluzione interna sull’esempio di quella sovietica - ma anche da una sostanziale debolezza della tradizione filosofica russa, già vent’anni prima riconosciuta da Lenin, secondo cui «Nelle correnti d’avanguardia del pensiero russo non c’è una grande tradizione filosofica come quella che per i francesi è legata agli enciclopedisti del XVIII secolo, per i tedeschi all’epoca della filosofia classica da Kant a Hegel a Feuerbach.»5.


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Ascanio Bernardeschi: L’Unione europea a propulsione militare

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L’Unione europea a propulsione militare

di Ascanio Bernardeschi

Di fronte al possibile disimpegno di Trump in Europa, l’Unione europea storna verso le spese di guerra i fondi di coesione sociale. Si tratta anche di una risposta in termini di keynesismo di guerra alla grave crisi in atto.

Trump ha promesso di provocare una pace rapida in Ucraina ma non è detto che possa o intenda mantenere la promessa. L’intento di Trump sembra piuttosto quello di sganciarsi e lasciare il cerino della guerra in mano ai Paesi europei. E l’Unione europea, da buon vassallo, si appronta a prenderne atto.

Per la verità, già prima delle presidenziali Usa era già sul tavolo la discussione sulle spese militari. Già Draghi, nel suo noto rapporto presentato qualche settimana fa a Bruxelles, aveva caldeggiato, col pretesto dell’innovazione tecnologica e della competitività, investimenti dell’ordine di 800 miliardi per sostenere le industrie tecnologiche, militari e dual use, avendo chiaro in anticipo che l’Europa avrebbe dovuto da sola pensare alla propria “difesa”, come se i Russi fossero prossimi a guadare il Danubio.

L’11 novembre, sul «Financial Times» è uscito l’articolo di Paola Tamma, Bruxelles libererà miliardi di euro per la difesa e la sicurezza dal bilancio dell’Ue. Nell’articolo si afferma l’intenzione di Bruxelles di “reindirizzare potenzialmente decine di miliardi di euro verso la difesa e la sicurezza”. Secondo il «Financial», si tratterebbe di stornare verso la difesa circa un terzo dei fondi di coesione dell’Unione europea, corrispondente a 392 miliardi, nel periodo 2021-27. Una buona parte di questi fondi, cioè soldi che miravano a ridurre la disuguaglianza economica tra i Paesi dell’Ue cambierebbe destinazione.


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Salvatore Bravo: Pensare il presente e immaginare il futuro

sinistra

Pensare il presente e immaginare il futuro

di Salvatore Bravo

La società non esiste, esistono solo gli individui” e ancora "L'economia è il mezzo, l'obiettivo è quello di cambiare il cuore e l'anima".

Sono le parole di Margareth Thatcher, sono parole profetiche, poiché nel nostro tempo senza opposizione, in modo trasversale destra e sinistra sono in sintonia nel rendere reali una trasformazione antropologica assoluta di cui la Thatcher era la punto di diamante.

Ogni comunità deve morire, perché sorga l’uomo nuovo. L’uomo che sta prendendo forma nel nostro tempo storico è affetto da solipsismo crematistico e competitivo. Nessun legame e nessuna etica, l’uomo nuovo idolatra l’economia e pensa secondo calcoli orientati al solo valore di scambio. Un essere anempatico e orientato a perseguire i soli desideri personali è tra di noi. La furia omicida che riempie le cronache è la tempesta sollevata dagli stregoni della crematistica a cui rispondono con provvedimenti autoritari e sollecitando individualità sempre più libere da ogni limite e dalla realtà. Il ciclo produttivo delle violenze è così innescato. Per realizzare l’uomo nuovo il sistema si muove in modo coordinato. Stato e istituzioni svuotati da ogni senso comunitario ed etico sono erosi del loro “contenuto sociale”. Lo Stato è stato abbattuto dalla privatizzazione del suo apparato produttivo; è il gendarme e il garante delle oligarchie. I diritti sociali sono l’obolo che le classi al potere elargiscono ai dominati al fine di consentire la sopravvivenza dei subalterni.


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Federico Giusti: Contributo alla discussione su guerra e imperialismo

sinistra

Contributo alla discussione su guerra e imperialismo

di Federico Giusti

La prima domanda alla quale rispondere ogni qual volta si parla di guerra e di imperialismo dovrebbe essere di natura pratica ossia la valutazione delle iniziative messe in campo per contrastare i processi di militarizzazione delle scuole, dell’università, dei territori, quali iniziative reali abbiamo messo in campo per denunciare la natura imperialista della guerra e le sue ripercussioni sulle condizioni di vita delle classi lavoratrici.

Nella nostra storia abbiamo sempre giudicato la guerra imperialista come una sconfitta per la classe operaia trasformata in carne da macello per rispondere agli interessi finanziari ed economici propri del capitalismo.

La differenza rispetto al passato è che oggi la guerra è arrivata direttamente nel vecchio continente, anzi era già arrivata nel 1999 con l’attacco alla ex Jugoslavia sostenuto dalla Nato anche con la complicità di parte dei comunisti che allora erano presenti nei governi di centro sinistra, in Italia e in altri paesi europei. E non ci sembra che negli ultimi 30 anni sia avvenuta una seria autocritica di quel nefasto operato adoperandosi direttamente, in casa nostra, per contrastare la guerra e l’imperialismo

Rispetto al 1999, o alle mobilitazioni di inizio secolo, la risposta dei movimenti contro la guerra è stata decisamente più debole, le principali organizzazioni sindacali e sociali si sono limitate a qualche passeggiata senza mai mettere in campo iniziative concrete, scioperi, proteste contro l’invio di armi, una costante opera di informazione sulle cause e sugli esiti del conflitto esterno anche sulla nostra società.


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Domenico Moro: La piattaforma di intermediazione commerciale della Cina e la de-dollarizzazione

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La piattaforma di intermediazione commerciale della Cina e la de-dollarizzazione

di Domenico Moro

Sui mass media si è dato molto risalto alle dichiarazioni di Trump secondo le quali gli Usa avrebbero portato i dazi sull’import dalla Cina al 60%. Pochi, però, hanno ricordato che già Biden aveva alzato i dazi per tutta una serie di prodotti, quadruplicandoli per le auto elettriche (102,5%), e aumentandoli notevolmente per le batterie al litio (25%), e per i chip e i pannelli solari (50%). Di fatto, quindi, siamo in piena guerra commerciale tra Usa e Cina.

Ma la guerra commerciale è solo un aspetto della guerra economica che coinvolge non solo Usa e Cina, ma anche altri paesi tra cui quelli che appartengono ai Brics+, a partire dalla Russia e dall’Iran, colpiti dalle sanzioni Usa. Un aspetto di questa guerra, persino più importante dei dazi, ruota attorno alla cosiddetta dedollarizzazione.

La dedollarizzazione è il processo attraverso il quale la valuta statunitense, il dollaro, viene scalzata dal suo ruolo di moneta di riserva e con la quale avvengono gli scambi di merci a livello internazionale. Infatti, fino ad oggi, ogni compratore che voglia acquistare sul mercato internazionale delle merci quotate in dollari deve aprire un conto presso una banca statunitense, la correspondent bank, per procurarsi dollari. Così facendo, però, il compratore in questione si sottomette alla legislazione statunitense e, quindi, al controllo del governo americano. Per questa ragione il dollaro è anche una importante arma di guerra da parte degli Usa che lo impiegano per sanzionare, bloccandone le transazioni commerciali, i paesi con cui hanno contenziosi politici aperti.


Carlo Formenti: I popoli africani contro l'imperialismo 3. Amilcar Cabral

perunsocialismodelXXI

I popoli africani contro l'imperialismo 3. Amilcar Cabral

di Carlo Formenti

Amílcar Cabral com Fidel Castro.pngAmilcar Cabral è l’ultimo intellettuale rivoluzionario africano di questo trittico in cui ho già presentato le idee di Said Bouamama e Kevin Ochieng Okoth. Nato in Nuova Guinea da genitori capoverdiani nel 1924, quando il Paese era ancora una colonia portoghese, nel 1945 ottenne una borsa di studio che gli consentì di frequentare l’Università di Lisbona dove conseguì la laurea in agronomia e dove rimase fino al 1952, ma soprattutto dove conobbe quelli che sarebbero diventati, assieme a lui, i leader delle guerre di liberazione delle altre colonie portoghesi, fra i quali l’angolano Mario Pinto de Andrade e il mozambicano Eduardo Mondlane. Rientrato in patria con l’incarico di agrimensore, si mise alla testa della lotta per l’indipendenza nazionale che si concluse vittoriosamente nel 1973 pochi mesi dopo la sua morte (nel gennaio di quell’anno venne assassinato da agenti portoghesi). Il suo contributo teorico, politico e culturale alla rivoluzione anticolonialista e antimperialista e allo sviluppo della teoria marxista, è di ampio respiro e resta un punto di riferimento obbligato per capire le dinamiche della lotta di classe in Africa. Per presentarne il pensiero, ho utilizzato qui un’antologia che raccoglie testi di discorsi tenuti nel corso dei suoi viaggi in giro per il mondo per raccogliere solidarietà alla lotta del popolo guineano (“Return to the Source”, Monthly Review Press). Alla fine trarrò le conclusioni di questo percorso in tre tappe.

* * * *

1. Teoria e prassi come momenti di un unico processo di apprendimento


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Fulvio Grimaldi: Il colpo di coda del serpente demente - Picchiare (filo) palestinesi ma compiangere (falsi) semiti - Destre bicefale e sinistre acefale

mondocane

Il colpo di coda del serpente demente - Picchiare (filo) palestinesi ma compiangere (falsi) semiti - Destre bicefale e sinistre acefale

di Fulvio Grimaldi

“CALEIDO” Francesco Capo intervista Fulvio Grimaldi

https://youtu.be/QOvrv7ix4O4

https://www.youtube.com/watch?v=QOvrv7ix4O4

QuiradiolondraTv: “Mondocane e Punto”: martedì e venerdì, ore 20.00

https://www.quiradiolondra.tv/live/

Byoblu (canale 262) “Le interviste”, Michele Crudelini intervista Fulvio Grimaldi: Gaza, Libano, Netaniahu sotto processo, missili sulla Russia e contro Trump. Mercoledì 20 ore 16.00 e 21.30 https://www.byoblu.com/2024/11/20/netanyahu-passeggia-da-padrone-a-gaza-ma-senza-guerra-ha-le-ore-contate-fulvio-grimaldi/

I missili che la schizzata schiatta bipartisan (ma essenzialmente Democratica) dei Neocon ha fatto lanciare contro la Russia dal più rintronato dei suoi epigoni, più che ai russi, che non ne risentiranno più di tanto, intendono provocare danni al nuovo presidente e ai suoi spaventosi (per gli armaioli) progetti di evitare la cosiddetta terza guerra mondiale (quella in Medioriente, invece, gli risulterebbe digeribile: la fanno altri, come d’abitudine).

Spedendo questi bonbon a casa di Putin, tra la sua gente, per la prima volta nella Storia (dopo i missili a Cuba, subito svaporati) gli USA rischiano di vedersi arrivare tra i piedi la ritorsione, in forma di bonbon equivalenti.


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Carla Filosa: Il rapporto capitale-lavoro non esiste veramente più?

lantidiplomatico

Il rapporto capitale-lavoro non esiste veramente più?

di Carla Filosa

Non è sicuramente impresa facile affrontare il rapporto capitale/lavoro, dopo che un intellettuale come Cacciari ne ha negato l’attualità (intervista a Ottolina tv, 1.09,’24) nel presente momento storico in cui la cultura in genere, e quella ispirata all’analisi marxista ancor più, è stata gettata alle ortiche. Non si tratta di difendere Marx dalla demonizzazione che il neo-liberismo ha finito di compiere, ma di capire l’iter scientifico di certi stimati intellettuali, da sempre schierati in una sinistra dichiaratasi comunista, ma che poi se ne discostano con una ibridazione di pensiero che sembra superare l’alienazione capitalistica dominante, attraverso un percorso essenzialmente volontaristico. Indubbiamente ha buon gioco l’approdo al nihilismo di Nietzsche e alla Tecnica heideggeriana, seppure da lui rivisitata con senso critico. Il fascino per Gödel, scientisti e antidialettici deve aver spostato l’attenzione dai rapporti storico-sociali all’illusione di una scienza libera dalle condizioni della sua esistenza e sviluppo, invece appropriate dal capitale.

Ciò è particolarmente importante se si pensa a quanto tali mutamenti di rotta possano interferire con gli orientamenti sociali di persone che non dispongono di strumenti né di tempo per costruire le proprie scelte politiche e culturali. Marx ci ha lasciato un patrimonio conoscitivo che è stato relegato nelle ristrette maglie di risicate élites intellettuali, invece di essere - come sarebbe stata sua intenzione - disponibile per l’emancipazione di una classe di lavoratori dal dominio dello sfruttamento capitalistico.


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Ricardo Martins: La Germania sta collassando. Costo del conflitto in Ucraina e crollo politico interno le cause

giubberosse

La Germania sta collassando. Costo del conflitto in Ucraina e crollo politico interno le cause

di Ricardo Martins - New Eastern Outlook del 17.11.24

Al centro della disputa che ha portato al crollo della coalizione di governo c’è Christian Lindner, il ministro delle Finanze licenziato dal cancelliere Olaf Scholz per essersi rifiutato di accettare un nuovo bilancio che prevedeva ulteriori spese per l’Ucraina.

Mentre la Germania lotta contro una crisi politica ed economica senza precedenti, il suo impegno a sostenere l’Ucraina resta sotto un intenso controllo pubblico. L’economia stagnante, che porta a una riduzione della riscossione delle entrate, è aggravata da un freno costituzionale all’indebitamento. Le infrastrutture e gli investimenti sociali sono le aree principali colpite dalla tensione economica; stanno sopportando il peso, aggravato da 37 miliardi di euro di aiuti all’Ucraina.

Tutto questo solleva questioni fondamentali sul futuro della Germania. La caduta della coalizione di governo è stata la prima vittima.

Da leader europeo e potenza economica a un futuro incerto

La Germania, un tempo considerata la potenza d’Europa, sta ora affrontando un profondo disastro politico ed economico, esacerbato dal suo coinvolgimento nel conflitto ucraino. Le ultime previsioni del Fondo monetario internazionale prevedono che l’economia tedesca ristagnerà senza alcuna crescita prevista entro la fine di quest’anno, dopo un calo dello 0,3% l’anno scorso. Tali fosche proiezioni indicano che la ripresa non è all’orizzonte.


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Mauro Armanino:Lettere dal Sahel XVI

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Lettere dal Sahel XVI

di Mauro Armanino

 

Censure di polvere nel Sahel

Niamey, agosto 2024. Sono sparite in sordina da un giorno all’altro. Le bandiere dei Paesi membri della Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale non sono più in vendita. Negli affollati crocevia della città di Niamey, tra semafori claudicanti, vigili per regolare il disordinato traffico del rientro si vende di tutto. Datteri, pura acqua potabile in sacchetti di plastica, ciabatte di fabbricazione artigianale, guinzagli per cani inesistenti, giocattoli cinesi di plastica, gabbie per i canarini e persino copie in formato gigante del Corano. Le uniche bandiere ammesse sono quelle degli Stati dell’ AES, il Mali, il Burkina Faso e il Niger e, da qualche mese, bianca, blu e rossa a bande orizzontali, quella della Federazione Russia. Sulla altre si è applicata, senza alcune legge scritta, l’auto- censura commerciale.

L’ordinanza del governatore della regione di Niamey ha recentemente annunciato una serie di misure per contrastare l’accattonaggio crescente nella capitale del Paese. I mendicanti saranno suddivisi e ricondotti ai villaggi di provenienza. Nei casi di recidiva questi ultimi saranno portati nelle zone di grande irrigazione del Paese e obbligati a lavorare, seppur non in modo ‘forzato’. In effetti il generale governatore spiega la mendicità, nazionale e internazionale dei bambini e donne soprattutto, con la pigrizia e la ricerca di soluzioni facili. La censura dei poveri non data d’oggi, purtroppo. Sembra una delle costanti della storia umana. Censurare i poveri, renderli invisibili invece di lottare contro le cause che producono la miseria è una strategia senza futuro. Nel frattempo si coltivano i talibé nelle strade.


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Nicoletta Pirotta: Contro la sinistra liberale. Riflessioni sul tema

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Contro la sinistra liberale. Riflessioni sul tema

di Nicoletta Pirotta

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11.jpgIn Germania, dopo la rottura con il Partito della Sinistra (Die Linke), Sahra Wagenknecht ha intrapreso un proprio percorso politico che l’ha portata a dare vita a un’associazione e poi, nel gennaio di quest’anno, a un partito vero e proprio: il BSW che sta per “Bündnis Sahra Wagenknecht” (“Coalizione Sahra Wagenknecht”). Con questo partito si è presentata alle elezioni regionali in Turingia e in Sassonia e lo scorso settembre in Brandeburgo piazzandosi al terzo posto in tutti e tre le regioni, rispettivamente con il 15,8, l’11,8 e il 13,5% dei voti. Voti raccolti soprattutto nelle periferie e nei quartieri popolari.

Per dare conto dei fondamenti teorici di un partito, in grado fin dalla sua fondazione, di ottenere non pochi consensi, Wagenknecht ha scritto un libro pubblicato anche in Italia, con la prefazione di Vladimiro Giacché, dal titolo Contro la sinistra neoliberale.

Su di lei si è detto tutto e il contrario di tutto, anche nel nostro Paese.

Già questo fatto mi ha incuriosito perché quando i pareri divergono così profondamente vuole dire che un po’ di ciccia c’è. Ma il motivo per cui ho voluto leggere il libro di Wagenknecht è un altro.

Esso ha a che vedere con lo spaesamento e l’impotenza che provo nel constatare, contemporaneamente, l’avanzata, non solo sul piano politico, di una destra sempre più aggressiva e la mancanza di alternative condivise capaci non tanto di modificare i rapporti di forza ma nemmeno di fare da argine a questa avanzata.

Questo è vero particolarmente in Italia vista la mancanza di un soggetto politico in grado di rappresentare un punto di vista alternativo al neoliberismo, autonomo ma al contempo non autoreferenziale. L’ultima esperienza politica che ha avuto un senso in tale prospettiva era stata Rifondazione Comunista almeno fino al 2008. Ho partecipato con slancio e convinzione a questo percorso che poi, però, mi ha lasciata orfana di una “rifondazione” mai compiuta fino in fondo.


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