«Salvare i Condotti di Asciano è possibile» Ma il progetto è in un cassetto da dieci anni
Realizzato da professionisti, fu offerto al Comune. E intanto gli archi crollano
BELLISSIMO e fragile, l'acquedotto Mediceo fra Pisa e San Giuliano è un vecchio ammalato e solitario di 500 anni. Di proprietà del Comune di Pisa, ma rivendicato all'occorrenza da quello di San Giuliano, è stato snobbato dai Piuss delle passate amministrazioni del capoluogo e ignorato dallo spacchettamento delle quote Sat promesse dalla Regione. Quei 954 archi che per cinquecento anni hanno portato l'«acqua bona» dai Monti Pisani in città, restano ancora figli di nessuno. L'ultimo crollo, avvenuto giusto l'altro ieri all'incrocio fra via Bellini e via Puccini, è l'ennesima dimostrazione. E anche l'ennesimo paradosso della malattia culturale dei nostri tempi dove i bravi dottori sono assenti.
per senso civico ed etico, avevano offerto al Comune di Pisa il frutto del loro lavoro, consentendo così un notevole risparmio sulla cifra finale da investire per il recupero di questo vecchio infermo. Un progetto messo a punto dall'architetto Massimo Gasperini, dal professor Gaetano Greco, ordinario di storia moderna all'Università di Siena, da Mario Noferi, studioso e cultore di storia delle tradizioni locali, e dalla storica dell'arte Sara Taglialagamba. Uno studio di ricerche multidisciplinari che, prima confluite nel libro pubblicato da Ets «Il Principe, la città, l'acqua: l'acquedotto mediceo di Pisa», è stato poi il punto di partenza di quel progetto grazie al quale il Comune di Pisa ottenne, nel 2013, 300mila euro dalla Fondazione Pisa. Soldi che l'assessorato ai lavori pubblici tiene stretti, alla stregua di un tesoretto da cui attingere per interventi di somma urgenza, come quello di cui si è data notizia ieri. «Avevamo condiviso il progetto preliminare con Comune, Soprintendenza, Acque e tutti i soggetti legati a vario titolo a quest'opera imponente e malandata - spiega l'architetto Gasperini -. Tredici milioni di euro e due anni di lavoro sarebbero stati sufficienti
per mettere in sicurezza l'opera. Adesso, certamente, ne serviranno di più». Più il tempo scorre, come l'acqua che passava dai Condotti, più aumentano le esigenze e i rischi per il monumento e l'incolumità delle persone. «Nell'ultimo ventennio - spiega ancora l'architetto - abbiamo assistito a un numero eccezionale di crolli, senza paragoni rispetto al passato». La struttura è in disuso dal 1911 e da allora le manutenzioni si sono sempre più diradate ammalorandola. Il monumento è ingabbiato da tiranti che ne attenuano le pendenze, non è sicuro. Ogni tanto lancia un sos, cedendo un brandello d'arcata; si interviene di rattoppi, lasciandolo morire lentamente. Non c'è bisogno di attendere un sisma che lo butti giù definitivamente, perché è sufficiente l'opera debilitante del vento, come dimostrano gli studi di alcuni esperti della Facoltà d'ingegneria. E intanto ad Asciano si confida in un generoso mecenate.
Eleonora Mancini
I RIFLETTORI su questo grande ammalato, che ricade per il 60% sul territorio di San Giuliano, si sono accesi nel 2009 grazie all'associazione «Salviamo l'Acquedotto Mediceo», un movimento spontaneo di cittadini affranti alla vista di un bene storico destinato soltanto al perimento. I soldi sono l'eterno problema assieme alla progettualità. Eppure un progetto esiste, «donato» una decina di anni fa da una squadra di studiosi e di esperti che,
L'OPERAZIONE Tredici milioni di euro e due anni di lavori
per metterlo in sicurezza
IN MALORA Gli archi dell'Acquedotto Mediceo pendenti e legati a tiranti e blocchi

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Guido Nassi
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