Domanda nuova in appello?

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ccoticelli

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Oct 14, 2010, 10:52:40 AM10/14/10
to legalit
Può in appello considerarsi domanda nuova la richiesta di applicazione
del 2054 c.c.?
Mi spiego: nell'ambito di un giudizio davanti gdp chiedo l'esclusiva
responsabilità del convenuto.
Il giudice ritiene non raggiunta la prova(solo rispetto alla
responsabilità, non al verificarsi del sinistro che non è contestato),
rigetta la domanda e condanna alle spese.
In appello chiedo, tra l'altro e in subordine, l'applicazione del 2054
IIcomma c.c. , ma la controparte in comparsa dichiara di "non
accettare il contraddittorio su domande nuove" in appello.
Ritengo che chiedere la resp. esclusiva e , in subordine, anche se in
appello, la corresponsabilità, non sia domanda nuova!!
Semplicemente impugno la decisione del giudice di primo grado che
secondo l'art. citato, avrebbe dovuto gradare la responsabilità non
avendone ritenenuto provata l'esclusività a carico di una delle parti.
Cosa ne pensate?Sapete indicarmi qualche precedente giurip. in merito?

Agostino Mario Mela

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Oct 14, 2010, 11:13:16 AM10/14/10
to leg...@googlegroups.com
Qui soccorre la buona vecchia facoltà di giurisprudenza.
Quali sono gli elementi che identificano una domanda giudiziale?

avv. Agostino Mario Mela, Cagliari

Il giorno 14/ott/10, alle ore 16:52, ccoticelli ha scritto:

> -- hai ricevuto questo messaggio in quanto iscritto al gruppo
> "legalit" - http://legalit.solignani.it

Avv. Edoardo Patini

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Oct 14, 2010, 11:21:41 AM10/14/10
to leg...@googlegroups.com
Se ho capito bene hai chiesto l'attribuzione della responsabilit� per intero
ed oggi hai appellato invocando almeno una colpa concorrente.
Se � cos�, tutto mi sembra tranne che una domanda nuova.
Se chiedo cento sulla scorta del fatto X ed il giudice appura che devo avere
50 sulla scorta dello stesso fatto e non del fatto Y, � obiettivamente
difficile sostenere che ho avanzato una domanda nuova. la domanda ha infatti
ad oggetto una richiesta risarcitoria e la causa petendi non muta. L'art.
2054 opera poi nell'ambito della graduazione della colpa, ed si innesta
assolutamente nell'orbita dell'art. 2043. E' evidente qiundi che graduando
la colpa anche attraverso la presunzione del 2054 il giudice altro farebbe
se non rinvenire le fondamenta delle pronuncia nell'ambito della domanda
originaria ancorch� formulata sulla scorta dell'art. 2043 .
A meno che non si confonda il contenuto della domanda (che � il bene
giuridico richiesto) col contenuto letterale della stessa. In quel caso
dovresti essere penalizzato per non avere chiesto l'esatto importo
percentuale che ti si sarebbe dovuto riconoscere all'esito della graduazione
della responsabilit�. Questo accadeva per� negli antichi processi per
formulas.
Ho gi� visto a volte talune difese impostate in questi termini, ed ho
provato un misto tra rabbia e commiserazione nei confronti di chi le ha
proposte (in pi� occasioni mi � stato eccepito che una domanda di
risarcimento sarebbe stata nulla non essendo stato precisato l'importo della
somma di cui reclamavo il risarcimento). Purtroppo ho anche visto magistrati
fortemente disorientati rispetto alle argomentazioni sopra sviluppate e
riferite velocemente in udienza.

E.


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From: "ccoticelli" <ccoti...@hotmail.com>
Sent: Thursday, October 14, 2010 4:52 PM
To: "legalit" <leg...@googlegroups.com>
Subject: [legalit] Domanda nuova in appello?

> Pu� in appello considerarsi domanda nuova la richiesta di applicazione


> del 2054 c.c.?
> Mi spiego: nell'ambito di un giudizio davanti gdp chiedo l'esclusiva

> responsabilit� del convenuto.


> Il giudice ritiene non raggiunta la prova(solo rispetto alla

> responsabilit�, non al verificarsi del sinistro che non � contestato),


> rigetta la domanda e condanna alle spese.
> In appello chiedo, tra l'altro e in subordine, l'applicazione del 2054
> IIcomma c.c. , ma la controparte in comparsa dichiara di "non
> accettare il contraddittorio su domande nuove" in appello.
> Ritengo che chiedere la resp. esclusiva e , in subordine, anche se in

> appello, la corresponsabilit�, non sia domanda nuova!!


> Semplicemente impugno la decisione del giudice di primo grado che

> secondo l'art. citato, avrebbe dovuto gradare la responsabilit� non
> avendone ritenenuto provata l'esclusivit� a carico di una delle parti.


> Cosa ne pensate?Sapete indicarmi qualche precedente giurip. in merito?
>

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Agostino Mario Mela

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Oct 14, 2010, 11:45:34 AM10/14/10
to leg...@googlegroups.com
Forse perché è abbastanza chiaro che non esiste mutamento di petitum e
di causa petendi?
Domani il sole sorgerà, ne sono fermamente certo, anche se non c'è
giurisprudenza in merito.

avv. Agostino Mario Mela, Cagliari

Il giorno 14/ott/10, alle ore 17:38, ccoticelli ha scritto:

> Caro Avv. Patini, sono pienamente d'accordo con Lei, solo che, aldilà
> delle pagine dei manuali cui giustamente fa riferimento l'Avv. Mela,
> non sono ancora riuscito a trovare giurisprudenza chiara in merito.

ccoticelli

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Oct 14, 2010, 11:45:53 AM10/14/10
to legalit
Pienamente d'accordo con entrambi, purtroppo però non sono ancora
riuscito a trovare sentenze a supporto di tuto ciò....

ccoticelli

unread,
Oct 14, 2010, 11:54:14 AM10/14/10
to legalit
Caro Avv. Mela, La ringrazio per la cortesia avuta nel rispondermi, ma
nonostante l'evidenza di quanto afferma, per scrupolo difensivo,
visto che un'eccezione (scemenza se preferisce) è stata avanzata,
avrei preferito trovare qualcosa, ancorchè risalente, in merito.
Ma forse risponderò rassicurando controparte e giudice che domani il
sole sorgerà.
Saluti

On 14 Ott, 17:45, Agostino Mario Mela <agostino.m...@tiscali.it>
wrote:

Avv. Edoardo Patini

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Oct 14, 2010, 11:57:18 AM10/14/10
to leg...@googlegroups.com
Qui vale la regola del tu :) quindi non darmi del lei.
Penso che difficilmente potrai trovare giurisprudenza specifica, per quanto
infatti in diritto si sia sostenuto di tutto, difficilmente troverai massime
sul tema impostando la ricerca sulla " novit� della domanda" . Come ti ha
suggerito l'ottimo collega Mela prova a partire dalla radice della questione
ed imposta la ricerca sulla base del petitum e della causa petendi.
Vedrai che troverai diverse massime che potrai utilizzare per sostenere che
il petitum non � cambiato e che la causa petendi � la stessa. Parti
dall'art. 2054 e cerca, all'interno delle massime che trovi sotto questo
articolo, quelle che ne innestano la ratio nell'art. 2043.

E.

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From: "ccoticelli" <ccoti...@hotmail.com>
Sent: Thursday, October 14, 2010 5:38 PM
To: "legalit" <leg...@googlegroups.com>
Subject: [legalit] Re: Domanda nuova in appello?

> Caro Avv. Patini, sono pienamente d'accordo con Lei, solo che, aldil�


> delle pagine dei manuali cui giustamente fa riferimento l'Avv. Mela,
> non sono ancora riuscito a trovare giurisprudenza chiara in merito.
>

f.zannini

unread,
Oct 14, 2010, 12:22:35 PM10/14/10
to leg...@googlegroups.com
La soluzione del caso è più semplice se si utilizza la aritmetica che a
differenza del diritto è una scienza esatta.
Se partiamo dal concetto che una colpa esclusiva è = al 100% un concorso di
colpa è sicuramente una parte minore di quel 100%, per cui chiedere la colpa
concorrente invece che esclusiva non è domanda nuova perché costituisce una
forma di riduzione della domanda iniziale, per cui ecco cosa devi dire al
giudice senza dover ricorrere alla giurisprudenza: che faccia i
conti!!!!.....:-)))
saluti

>-----Messaggio originale-----
>Da: leg...@googlegroups.com [mailto:leg...@googlegroups.com] Per conto
>di Agostino Mario Mela
>Inviato: giovedì 14 ottobre 2010 17.46
>A: leg...@googlegroups.com
>Oggetto: [legalit] Domanda nuova in appello?

Luca de Grazia

unread,
Oct 14, 2010, 12:25:15 PM10/14/10
to leg...@googlegroups.com
Il giorno 14 ottobre 2010 17:38, ccoticelli <ccoti...@hotmail.com> ha scritto:
Caro Avv. Patini, sono pienamente d'accordo con Lei, solo che, aldilà
delle pagine dei manuali cui giustamente fa riferimento l'Avv. Mela,
non sono ancora riuscito a trovare giurisprudenza chiara in merito.

Vedi se questa può andare....

Cordiali saluti.

(Avv. Luca-M. de Grazia)


Corte d'Appello civ Roma Sezione 3 Civile
Sentenza del 13 luglio 2010, n. 3018
Integrale

RISARCIMENTO DANNI DA SINISTRO STRADALE - RISARCIMENTO DANNI - DOMANDA - MODIFICAZIONE QUANTITATIVA NEL CORSO DEL GIUDIZIO - AMMISSIBILITÀ - SUSSISTENZA

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

CORTE D'APPELLO DI ROMA

TERZA SEZIONE CIVILE

composta dai signori magistrati:

Dr. Giuseppe Lo Sinno - Presidente rel. est. -

Dr. Maurizio De Stefano - Consigliere -

Dr. Angelo Martinelli - Consigliere -

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di XI grado iscritta al n. 6586/2006 del R.G. Affari Contenz. posta in decisione ex art. 352 c.p.c. all'udienza del 11.6.2010 e vertente

tra

Fo.Pa., nato a Caracas (Venezuela) il (...), rappresenta e difesa dall'avv. Gu.De. del foro di Roma ed elettivamente domiciliata in Roma, presso lo studio del medesimo avv., come da procura in atti;

Appellante

nei confronti di

As.Ge. S.p.A., con sede in Trieste, in persona del legale rapp.te p.t., e Bu.Ma., nato a Roma il (...), entrambi rapp.ti e difesi dall'avv. Um.Zo. del foro di Civitavecchia ed elettivamente domiciliati in Civitavecchia, presso lo studio del medesimo avv.to, giusta delega in atti;

Appellati E Appellanti Incidentali

E

Pe.Si.;

Appellata Contumace

Oggetto: Appello a sentenza del Tribunale di Civitavecchia n. 709/06 (risarcimento danni per sinistro stradale).

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione del 9 giugno 2006 Fo.Pa. proponeva appello avverso la sentenza del Tribunale di Civitavecchia, depositata il 19.9.2006, che aveva condannato in solido, le Ge.As., Bu.Ma. e Pe.Si., al risarcimento dei danni subiti dalla Fo. in esito ad un sinistro stradale avvenuto in data (...) nel territorio del Comune di Cerveteri; avendo dichiarato la esclusiva responsabilità dei convenuti nella determinazione del sinistro con successiva liquidazione dei danni, come da Ctu medica, limitata al danno biologico, morale e lucro cessante (limitato ai mancati introiti di due contratti per ingaggio quale ballerina professionista).

La appellante propone censura della sentenza appellata con riferimento alla esatta quantificazione e determinazione dei danni subiti in seguito al sinistro; insistendo per la riforma della sentenza con condanna dei convenuti al pagamento della complessiva somma di Euro 1.652.900,52, oltre accessori e spese del giudizio.

La As.Ge. e Bu.Ma., costituitisi, chiedevano disattendersi l'appello e, a loro volta, prospettavano appello incidentale, sostenuto da vari motivi di critica, per vedere riformata la sentenza sia per ciò che riguardava la responsabilità del sinistro (che sarebbe da ascrivere a colpa concorrente) che per la determinazione del quantum debeatur.

All'udienza dell'11 giugno 2010, mutato il rito in quello ordinario, i procuratori delle parti precisavano le rispettive conclusioni come da verbale e rinunciavano a nuovi termini; la causa veniva trattenuta per la decisione senza l'assegnazione di termini di legge per il deposito di conclusionali e repliche.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Prima di procedere all'esame del merito dell'impugnazione occorre far luogo a dichiarazione di contumacia di Pe.Si., regolarmente citata e non costituitasi.

Occorre procedere partendo dall'esame del primo motivo di appello incidentale; poiché, nella sostanza, e in sintesi gli appellanti, criticando il riparto di colpa operato dal primo giudice, sostengono che la responsabilità dell'evento sia da ascrivere o a colpa esclusiva della Fo. o, in subordine, a titolo di concorso paritario tra i due conducenti: non poteva considerarsi corretto sostenere che le prove assunte avessero consentito di pervenire all'esclusiva responsabilità della Pe. quale conducente che aveva invaso l'altrui corsia di marcia; il teste che viaggiava a in bicicletta dietro l'auto Opel Corsa aveva riferito di aver visto la auto Ibiza condotta dall'attrice viaggiare a forte velocità ed invadere l'altrui corsia; il teste G.Ma. aveva interesse nella causa in quanto danneggiato nel sinistro quale trasportato dalla Fo., e quindi poco attendibile; il fatto doveva attribuirsi a colpa della conducente Fo., la quale, tenendo velocità inadeguata rispetto ai luoghi aveva invaso la corsia opposta.

La doglianza è in fondata.

In relazione ai luoghi (risultanti dalle foto in atti e dal rapporto dei c.c., non fatti oggetto di contestazione quanto alla loro rispondenza al sito del sinistro) ed alle dichiarazioni dei testimoni escussi emerge evidente che l'origine prima del sinistro sia stata la condotta di guida dell'appellato Bu. che, all'uscita da una curva, su strada di campagna con alta vegetazione laterale, invase la mezzeria opposta nel momento in cui sopraggiungeva l'autovettura della appellante la cui condotta di guida non ha trovato elementi di censura da col legare a fatti e circostanze oggettive.

Il teste Ma. (da ritenere attendibile in quanto, al momento della resa testimonianza, era stato già risarcito dei danni subiti quale trasportato) ha chiaramente escluso che la Fo. procedesse a velocità non adeguata evidenziando come fosse stata l'auto Opel ad invadere la loro corsia uscendo da una curva a forte velocità, rendendo inevitabile l'urto tra le due auto,

A contrario, la teste indotta dai convenuti/appellati (sig.ra Se.), sentita in primo grado, di fatto ha esposto solo dei vaghi non ricorso ed imprecise circostanze che non hanno dato alcun apporto alla tesi difensiva della compagnia di assicurazioni (così rendendo inutili le dichiarazioni rese ai c.c. qualche giorno dopo il sinistro),

A fronte della indubbia colpa del Bu. (avere invaso l'altrui corsia) scatta la presunzione di responsabilità di cui all'art. 2054 c. 1 c.c. che dichiara responsabili di ogni danno i conducenti di autovetture i quali non diano la prova liberatoria di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno; non avendo gli appellanti incidentali dimostrato non solo l'esenzione da colpe del conducente della Opel ma anche la sussistenza di colpe (specifiche o per generica imprudenza) a carico della conducente dell'auto Ibiza (sig.ra Fo.).

Infatti, la presunzione di colpa del conducente dell'autoveicolo investitore prevista dall'art. 2054, I comma, c.c. non opera in contrasto con il principio della responsabilità per fatto illecito, fondata sul rapporto di causalità fra evento dannoso e condotta umana; pertanto, la circostanza che il conducente non abbia fornito la prova idonea a vincere la presunzione non preclude l'indagine in ordine all'eventuale concorso di colpa, ai sensi dell'art. 1227, I comma, c.c., del conducente dell'auto investita (confr. Cass. set. III, 13.3.2009, n. 6168), per la cui affermazione, tuttavia, l'onere della prova incombe sempre sul conducente dell'autoveicolo investitore e sul suo assicuratore.

Ma come si è già detto nessuna prova è stata fornita dalla convenuta compagnia di assicurazioni atta a vincere la presunzione di responsabilità gravante sul conducente del mezzo assicurato ex art. 2054 c. 1 c.c.; e sebbene sia vero che l'applicazione della presunzione non elimina la corrispondente presunzione gravante sull'altro conducente (in caso di scontro tra veicoli), è parimenti vero che tale soggetto può liberarsi dalla presunzione a suo carico provando il rispetto delle norme sulla circolazione stradale o la presenza di una situazione che le aveva impedito un diverso comportamento (confr. Cass. sei. III, 14.2.2006, n. 3193: "in tema di scontro tra veicoli, l'accertamento in concreto della colpa di uno dei conducenti non comporta, di per sé, II superamento della presunzione di colpa concorrente dell'altro, all'uopo occorrendo che quest'ultimo fornisca la prova liberatoria, ovvero la dimostrazione di essersi uniformato alle norme sulla circolazione e a quelle della comune prudenza, e di essere stato messo in condizioni di non potere fare alcunché per evitare il sinistro"); come esattamente è avvenuto nel caso in esame dove l'attrice aveva dimostrato (con il teste Ma. con la produzione del verbale dei C.C.) l'assenza di sua colpa (procedendo a velocità adeguata ai luoghi e sulla sua corsia di pertinenza) e la presenza di una situazione che le aveva impedito di fare alcunché per evitare l'impatto con l'auto avversaria (stante la repentinità con cui tale mezzo aveva invaso la sua corsia di marcia).

Sul punto la sentenza di I grado merita conferma integrale.

Con il motivo d'appello principale della Fo. viene mossa critica all'impugnata sentenza per aver questa aderito alle risultanze della Ctu, pur già analiticamente contestate nel corso del primo giudizio, senza neppure far luogo a richiamo del detto consulente e senza tenere conio della documentazione prodotta in fase conclusiva del processo di primo grado (da cui emergeva l'entità della invalidità accertala in sede amministrativa: 100%). In particolare vengono mosse censure relativamente a mancata o scarsa considerazione di pretese lesioni ulteriori anche a livello psichiatrico, oltre che del danno patrimoniale ed esistenziale subito; e si contesta che le domande originarie fossero state irritualmente modificate nel corso del giudizio avendo, essa parte, solo precisato le proprie iniziali richieste di risarcimento di tutti i danni, fisici, morali e patrimoniali subiti.

Osserva la Corte che, con riferimento alla legittimità delle richieste avanzate dalla parte qui appellante in sede di precisazione delle conclusioni di I grado (ritenute contenenti una indebita modifica della domanda originaria), le cesure di parte appellante siano condivisibili perché costituisce principio consolidato quello che afferma la legittimità della precisazione, quantitativa e qualitativa, delle pretese risarcitone che il danneggiato domanda in conseguenza di un evento dannoso unico e non modificato.

Infatti, non costituisce domanda nuova e deve ritenersi ammessa nel corso di tutto il giudizio di primo grado e finché non si precisano le conclusioni, la modificazione quantitativa del risarcimento del danno in origine richiesto, intesa non solo come modifica della valutazione economica del danno costituito dalla perdita o dalla diminuzione di valore di una cosa determinata, ma anche come richiesta dai danni provocati dallo stesso fatto che ha dato origine alla causa, che si manifestano solo nel corso del giudizio; se danni di questo tipo, chiesti in primo grado, si sono prodotti anche dopo la sentenza di primo grado, possono essere ancora chiesti in grado di appello (Cass. sez. III, 10.11.2003, n. 16819).

La appellante, peraltro, in primo grado aveva chiesto il risarcimento dei "danni tutti, fisici, morali e patrimoniali dalla stessa subiti e subendi... oltre alle spese mediche sostenute." senza indicare alcun tipo specifico di danno da consentire di valutare come non richiesto quello non espressamente indicato, ad esempio danno morale piuttosto che danno estetico, ecc, così rendendo possibile l'attività interpretativa del giudice che tenendo conto di tutte le voci di danno liquidabili non incorre in vizio di ultrapetizione (conf r. Cass. sez. III, 12.6.2006, n. 13546).

Per ciò che riguarda, più in particolare, il danno patrimoniale per perdita della capacità di lavoro specifica non v'è chi non veda l'errore in cui è incorso il I giudice nel considerare domanda nuova la soia specificazione che una certa somma veniva imputata a tale specifica ipotesi di danno patrimoniale per lucro cessante (che come è noto è una delle due categorie del danno risarcibile ex art. 1223 c.c.); non avendo considerato che, in caso di illecito lesivo dell'integrità psico-fisica della persona, il giudice è tenuto a verificare se le lesioni accertate, oltre ad incidere sulla salute del soggetto, abbiano anche ridotto la sua capacità lavorativa specifica, con riduzione, per il futuro, della sua capacità di reddito, attribuendo in tal caso due distinte voci di risarcimento, rispettivamente a titolo di danno biologico e di danno patrimoniale per la riduzione della capacità lavorativa specifica (Cass. sez. III, 23.2.2006, n. 4020 che specifica come, nell'ambito delle somme liquidate per la prima voce, è quindi precluso al giudice individuare e disaggregare la componente riferibile alla perdita della capacità lavorativa).

"Di norma la domanda di risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali comprende anche la domanda di risarcimento del danno biologico, sia perché in termini strettamente logici tale formulazione della domanda è assolutamente esaustiva, sia perché la varietà degli orientamenti interpretativi - anche in sede di giurisprudenza costituzionale (sentenze n. 184 del 1986 e 372 del 1994) e della corte di cassazione - circa la natura giuridica del danno biologico, non consente di attribuire univocamente all'espressione "patrimoniali e non patrimoniali" la valenza limitativa di un riferimento a danni strettamente patrimoniali o strettamente morali; né analogo significato limitativo può essere attribuito ad una allegazione, sul piano della quantificazione, di danni patrimoniali determinati in base alla percentuale di invalidità e al livello del reddito, perché simile quantificazione è idonea a ricomprendere il danno biologico correlato alla riduzione dell'attitudine al lavoro (mentre anche la voce relativa al danno non patrimoniale può includere parte del danno biologico) e, inoltre, è probabilmente espressione di una mera richiesta di liquidazione equitativa, mancando il riferimento ad un'effettiva perdita di guadagno" (così Cass. sez. lav., 27.7.1995, n. 8216).

L'unica categoria di danno che deve ritenersi sicuramente non richiesta inizialmente dalla danneggiata (e non passibile di aggiunta in corso di causa) era quella del c.d. danno esistenziale per la diversità di tale danno dal semplice danno morale (confr., per tutte, Cass. sez. III, 24.8.2007, n. 17977: "la domanda di risarcimento del danno morale, ove specificamente proposta, non può essere intesa come implicitamente riferita anche al risarcimento del c.d. danno esistenziale, laddove non sia proposta anche una domanda di risarcimento di danni non patrimoniali e manchino specifiche allegazioni di fatto in ordine all'esistenza di pregiudizi, intesi come alterazione delle abitudini relazionali e delle scelte di vita del soggetto, del tutto distinti e diversi dai dolore e dalla sofferenza inferiore, indipendentemente dalla autonoma configurabilità e dalla astratta collocazione sistematica del danno esistenziale nell'ambito della categoria del danno non patrimoniale").

La censura può giudicarsi, quindi, fondata fatta eccezione dell'ultima categoria di danno indicata.

Alla appellante, pertanto, spettava il risarcimento del danno biologico, del morale, del danno patrimoniale (inteso, anche, nella sua accezione di perdita di capacità di lavoro specifico) e del rimborso spese mediche (sostenute e da sostenere, queste ultime, quale danno futuro necessitano della prova della loro necessaria sussistenza nel tempo).

Passando alla quantificazione dei danni subiti dalla appellante (e confermate le somme già liquidate dal tribunale) il primo esame riguarda gli esiti di natura "permanente" all'integrità psicofisica della sig.ra Fo. (quantificati nel 25% dal Ctu - limitati al 6% dal Ctp delle Ge. - ed accertati nei 100% dalla commissione invalidi civile Asl. Rmf. 6.12.2002, cui fa cenno anche il ctu nei suoi chiarimenti 2.9.2005).

Il Ctu, con ampi e approfonditi ragionamenti specialistici e attento e scrupoloso esame di tutta la documentazione ha chiarito come è giunto alle proprie determinazioni, non mancando di spiegare i percorsi argomentativi che facevano apparire non fondate le critiche del ctp (che limitava la ita al 6% in considerazione del fatto lesivo "trauma cranico - trauma da contraccolpo del rachide cervicale e contusione del ginocchio sin."), con la sola eccezione della non sicura riferibilità della diagnosi di sindrome psico - organica post traumatica o disturbo post - traumatico al trauma cranico subito dalla sig.ra Fo. (potendo essere legata a "stress emotivo"); sindrome indicata, comunque, come "certa clinicamente" (relazione a chiarimenti del 12.9.05).

Alla detta relazione suppletiva appare opportuno riportarsi poiché dalla stessa si evince la infondatezza delle critiche del Ctp dr. Sa.; emergendo, in verità, il tentativo del ctp di indurre in errore nella valutazione delle reali conseguenze dannose subite dalla Fo. a cui attribuisce dei danni di livello e rilevanza marginali (non solo nella loro quantificazione risarcitoria) avendo ritenuto di limitarli al solo trauma cranico - colpo di frusta e contusione del ginocchio sin., senza considerare che la danneggiata aveva subito, in conseguenza sia del trauma cranico che del disturbo algo funzionale del ginocchio, danni incidenti sia sulla sfera psichica che funzionale della sua persona che andavano considerati come complessivamente incidenti sulle capacità di vita del soggetto che aveva subito, in definitiva, "la perdita funzionale dell'arto inferiore sinistro con impossibilità alla deambulazione non assistita ed i disturbi psichici suddetti" (supplemento ctu), con conseguenze penalizzanti tali da aver portato anche la commissione invalidità civile a riconoscere inabile al lavoro al 100% la signora Fo..

Tuttavia rimangono distinte le categorie del danno biologico per invalidità permanente da quelle della invalidità civile ai fini assistenziali e previdenziali, per la diversità della valutazione di riferimento (il danno biologico da invalidità permanente consistendo nelle ripercussioni negative, di carattere non patrimoniale, e diverse dalla mera sofferenza psichica, della permanente lesione dell'integrità psico - fisica del soggetto leso per l'intera durata della sua vita residua; l'invalidità civile costituendo un modo di valutare le conseguenze negative a produrre reddito ed il modo di integrare tale perdite).

Si ritiene, pertanto, che la invalidità del 25% determinata dal Ctu sia congrua e motivata in esito agli esiti invalidanti descritti. Trattasi, come appare evidente, di esiti certamente non modesti e ben descritti nell'Esame Obiettivo (pag.12) della Ctu, ove si espone come "l'andatura e la stazione eretta sono fortemente deficitarie a causa del mancato controllo volontario del tono dell'arto inferiore sinistro. Il tono muscolare è nella norma eccetto che nell'arto inferiore sinistro che presenta un tremore a forti scosse, incontrollato che rende molto difficoltosa la stazione eretta e la deambulazione...".

Al contrario deve pervenirsi al ristoro dell'intero danno per la perdita della capacità di lavoro specifico della sig.ra Fo. (ballerina e coreografo) perché su tale aspetto concorda tanto il Ctu che l'esito degli accertamenti della commissione medica sull'invalidità civile (già considerati dal Ctu nei suoi chiarimenti).

La perdita totale di tale specifica attitudine lavorativa può dirsi oggettiva una volta che si consideri l'entità ed il tipo di lesioni psico/fisiche subite dalla appellante.

Dove divergono le conclusioni medico/legali del C.T.U. e del ctp. è sull'incidenza negativa che le indicate lesioni, con gli esiti permanenti descritti, hanno avuto sulla capacità lavorativa specifica della signora Fo. che ha dichiarato che al momento dell'incidente svolgeva attività di ballerina (a tal fine producendo due contratti di ingaggio per spettacoli).

Considerato l'insieme degli atti a disposizione e valutato il complesso delle menomazioni analiticamente descritte dal Ctu ritiene il Giudicante che non possa essere, condiviso il giudizio, sostanzialmente assolutorio, formulato dal ctp. dr. Sa. perché, in concreto, l'aver considerato modesti gli esiti permanenti (continuando ad indicare una semplice contusione del ginocchio sin.) ha negato che la parte possa ritenersi impossibilitata allo svolgimento dell'attività di danzatrice.

Tuttavia gli esiti invalidanti descritti comportano una compromissione notevole della possibilità di esercitare ancora l'attività di ballerina che, come è evidente, implica ben altro sforzo ed impegno fisico di una normale attività umana, necessitando di un corpo non solo esteticamente adeguato ma, soprattutto, capace di affrontare le particolari evoluzioni ginnico/artistiche tipiche dell'arte della danza (sia essa quella classica che moderna) implicanti movimenti continui e ritmici del capo, del collo, delle spalle, delle braccia, del tronco, delle gambe e, in una sola parola, dell'intera struttura corporea intesa nel suo insieme.

Pur senza dover descrivere analiticamente i movimenti richiesti ad una ballerina (di qualsiasi categoria essa sia; dalla celebre interprete di danza classica alla più modesta comprimaria di compagnie amatoriali), appare oltremodo evidente che alla stessa è richiesto un fisico integro e privo di limitazioni e deficit (quali sono certamente un ginocchio non integro con deficit ai gradi estremi per la flesso estensione ed i movimenti di abduzione, adduzione de intra - extra rotazione della gamba; come - ad ese. una spalla ipotonomiotrofica, un arto accorciato, una limitata flessione del capo, o del gomito o delle spalle, un deficit nella presa del pugno ecc. ecc.) pena l'impossibilità di proporsi quale soggetto in grado di far parte di un corpo di ballo o di manifestazioni di danza.

Sarebbe possibile per la danneggiata la continuazione della professionalità acquisita nel settore della danza mediante lo svolgimento dell'attività di insegnate di danza (ma la condizione psicologica attuale non rende verosimile tale prospettiva); tuttavia "insegnare" non è la stessa cosa di "danzare". Si può trasferire ad altri la propria capacità di danza anche con un corpo soggetto a menomazioni o limitazioni non totali, ma (anche tenuto conto dell'età del soggetto al momento del danno subito), ma appare francamente difficile ipotizzare che la sig.ra Fo. possa tornare a ballare come danzatrice professionista.

Pertanto gli esiti indicati devono ritenersi come incidenti sulla capacità specifica di lavoro (tenuto conto dell'età della danneggiata - all'epoca anni 42 -) intesa come effettiva perdita di capacità incidente al di fuori del mero danno biologico.

Tale menomazione deve considerarsi come sicuramente incidente sulla perdita di occasioni di guadagno nel settore indicato in precedenza; ed in difetto di elementi di sicuro affidamento sul mancato guadagno subito può procedersi in via presuntiva ed equitativamente tenuto conto che va risarcita la riduzione totale del guadagno essendo emerso che la parte lesa non ha residua capacità di lavoro (conf. Cass. sez. III, 27.7.2001, n. 10289: "l'invalidità permanente (totale o parziale), mentre di per sé concorre a dar luogo a danno biologico, non comporta necessariamente anche un danno patrimoniale, a tal fine occorrendo che il giudice, oltre ad accertare in quale misuro la menomazione fisica abbia inciso sulla capacità di svolgimento dell'attività lavorativa specifica e questa, a sua volta, sulla capacità di guadagno, accerti se ed in quale misura in tale soggetto persista o residui, dopo e nonostante l'infortunio subito, una capacità ad attendere ad altri lavori, confacente alle sue attitudini e condizioni personali ed ambientali, ed altrimenti idonei alla produzione di altre fonti di reddito, in luogo di quelle perse o ridotte; solo se dall'esame di detti elementi risulti una riduzione della capacità di guadagno e del reddito effettivamente percepito, questo (e non la causa di questo, cioè la riduzione della capacità di lavoro specifica) è risarcibile sotto il profilo del lucro cessante; la relativa prova incombe al danneggiato, e può essere anche presuntiva, purché Sia certa la riduzione della capacità di lavoro specifica").

- Quantificazione del risarcimento.

Per il danno da perdita della capacità lavorativa specifica (avuto riguardo ai guadagni percepiti nell'anno 2000 come documentati con i doc. n. 20 e 21), si ritiene di stimare la riduzione effettivamente subita dalla attrice nel 100% di ciò che avrebbe potuto guadagnare per la durata di anni 10 (valutandosi in tale lasso temporale la vita professionale effettiva ulteriore di una ballerina) e ulteriori 10 per attività consimili (insegnante di danza), sino all'età di 62 anni.

Stimato in Euro 34.200,00 annui il ricavo dell'attività esercitata (Euro 2850,00 x 12); annui e moltiplicato per 10 anni = 342.000,00; mentre quello di insegnante di Euro 12.000,00 annuo (Euro 1.000,00 x 12 = 12.000 x 10 = Euro 120.000), si ha una somma pari a Euro 462.000,00, che si ritiene congruo quale risarcimento del danno per lucro cessante, stimato con valori calcolati all'attualità.

Circa la altre pretese di risarcimento avanzate dalla appellante, possono trovare accoglimento quelle relative al danno patrimoniale per tutte le spese mediche sostenute e documentate - considerate congrue dal Ctu per la somma di Euro 3.842,33 che si adegua, all'attualità, in Euro 4.000,00.

Per le spese future, tenuto conto che lo stesso Ctu aveva evidenziato la necessità di successivi controlli e verifiche medico - sanitarie, appare evidente che debba riconoscersi, in via equitativa, una ulteriore somma che consenta di ristorare, in anticipo, quando la appellante sarà tenuta a sostenere per cure mediche legate all'infortunio patito. Equo appare liquidare una somma di Euro 4.000 (Euro 1000,00 x 4 cicli di interventi medici).

Spetta alla appellante anche il risarcimento per la perdita della propria autovettura pari a Euro 1500,00 in via equitatva, essendo stato provata la rottamazione del veicolo e, quindi, la concreta perdita di un bene di cui si era proprietari e possessori; non essendo necessario provare che si sia sopportata la spesa per la demolizione amministrativa.

Tutte le somme liquidate non possono essere ulteriormente aumentate per l'incidenza della svalutazione monetaria maturatasi post factum perché in questa sede si è proceduto ad una liquidazione con valutazione con moneta attuale frutto di liquidazione eminentemente equitativa che tiene conto dei valori attuali, e che la rivalutazione non è altro che il mezzo di rendere attuale, alla - data della decisione, l'ammontare del debito di valore fatto valere dal creditore danneggiato.

Le somme determinate nel totale andranno, comunque, aumentate dei I soli interessi dalla data del fatto dannoso alla odierna liquidazione, quali interessi di natura compensativa.

E' ben noto come l'obbligazione di risarcire il danno sia una tipica obbligazione di valore avendo la funzione, non di consegnare una determinata somma, ma quella di ricostruire integralmente il patrimonio del danneggiato, seppure elargendo, per equivalente, un somma di denaro.

Ne consegue che al creditore spettano sia rivalutazione (per compensare il valore intrinseco del bene perduto) che lucro cessante (per compensare il mancato uso del bene perduto) utilizzando la tecnica di un tasso di interesse da determinare equitativamente (vedi la celebre Cass. Sez. Unite 17.2.1995 n. 1712 e più di recente Cass 10.3.2006 n. 5234, Cass. 2007/10884, nonché Cass. 5.U. 1499/2008).

Per calcolare il lucro cessante si farà ricorso al rendimento medio dei titolo di stato, sul presupposto che il creditore, se avesse potuto disporre della somma l'avrebbe investita in titoli di stato (cd. "rendistato", pubblicato dalla Ba.D'I.). Poiché la somma è stata liquidata ai valori attuali, il tasso di rendimento va applicato sulle somme devalutate dividendo la somma liquidata per i coefficienti F.O.I., così determinando anno per anno il reddito non percepito dal creditore.

I tassi di rendistato sono reperibili al seguente indirizzo internet http://www.bancaditalia.it/banca mercati/operazioni/titoli/tassi/rendi.

Infine, poiché una volta liquidato, il risarcimento del danno, da credito di valore si trasforma in credito di valuta, su di esso vanno calcolati gli interessi legali data della sentenza.

L'esito dei calcoli sarà il seguente, sul credito rivalutato di Euro 471500,00 e con decorrenza anno 2001 (successivo a quello della scadenza dei due contratti di lavoro prodotti dalla Fo.):

anno Poi somma devalutata Rendistato Interessi

Euro 471.500,00 - 2001 - 1,1659 - Euro 404.408,61 - 10,00 - Euro 40.440,86

Euro 471.500,00 - 2002 - 1,1383 - Euro 414.214,18 - 10,00 - Euro 41.421,42

Euro 471.500,00 - 2003 - 1,1109 - Euro 424.430,64 - 10,00 - Euro 42.443,06

Euro 471.500,00 - 2004 - 1,0893 - Euro - 432.846,78 - 8,852 - Euro 38.315,60

Euro 471.500,00 - 2005 - 1,0710 - Euro 440.242,76 - 6,551 - Euro 28.839,20

Euro 471.500,00 - 2006 - 1,0501 - Euro - 449.004,86 - 5,512 - Euro 24.749,15

Euro 471.500,00 - 2007 - 1,0323 - Euro 456.747,07 - 3,556 - Euro 16.241,93

Euro 471.500,00 - 2008 - 1,0000 - Euro 471.500,00 - 5,353 - Euro 25.240,18

Euro 471.500,00 - 2009 - 1,905 - Euro 396.052,08 - 4,722 - Euro 18.701,91

Euro 276.393,31

credito rivalutato Euro 471.500,00

interessi Euro 276.393,31

Totale Euro 747.893,31

Pertanto le parti qui appellate vanno condannate, in solido, al pagamento degli ulteriori importi sopra indicati.

In ragione dell'esito complessivo della vertenza le spese del giudizio vanno poste a carico degli appellati, in solido, con distrazione in favore del procuratore dell'appellante, che ne ha fatto espressa richiesta.

Le dette spese legali, tenuto conto della natura dell'affare, del valore della causa e delle attività effettivamente compiute, presente in atti la notula afferente al secondo grado, possono liquidarsi come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte di Appello di Roma definitivamente pronunziando, in parziale accoglimento dell'appello proposto da Fo.Pa. nei confronti di Ge.As. S.p.A. e Bu.Ma. (appellanti incidentali) nonché di Pe.Si., ed avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Civitavecchia, depositata il 19.9.2006 n. 709/2006, così provvede:

a) in parziale riforma della sentenza appellata, Condanna i signori Pe.Si. e Bu.Ma., in solido con la As.Ge. S.p.A., in persona del suo legale rapp.te p.t., a pagare alla signora Fo.Pa. la ulteriore somma di Euro 747.893,31, da maggiorarsi con gli interessi ai tasso legale decorrenti dalla data della presente sentenza al saldo effettivo;

b) Rigetta l'appello incidentale e conferma, nel resto, la appellata sentenza;

c) Condanna gli appellati, in solido, al pagamento, con distrazione in favore del difensore dell'appellante, avv. Gu.De., delle spese legali del presente grado del giudizio, che liquida in Euro 1.146,30 per spese, Euro 2.500,00 per diritti e Euro 6.000,00 per onorari, oltre Iva, Cpa e spese generali, come per legge.

Così deciso in Roma, il 18 giugno 2010.

Depositata in Cancelleria il 13 luglio 2010.

Avv. Edoardo Patini

unread,
Oct 14, 2010, 12:51:36 PM10/14/10
to leg...@googlegroups.com
Caro Luca questa sentenza dice anche qualcosa di più.
In questo caso non si è avuta una modificazione quantitativa del danno, ma la Corte d'appello ha risolto - a mio avviso correttamente - un aspetto ulteriore. Ha infatti chiarito che il danno non richiesto in citazione ma occorso in corso di causa, siccome riconducibile alla originaria causa petendi può anche essere chiesto in corso di causa, ed addirittura (ho letto frettolosamente e spero di non aver capito male) persino per la prima volta in grado di appello.
Per me che sono un Komeinista del sostanzialismo questa sentenza è davvero un distillato di buon senso.
Grazie per averla postata
 
E.  
-- hai ricevuto questo messaggio in quanto iscritto al gruppo "legalit" - http://legalit.solignani.it

Avv.Mirco MInardi

unread,
Oct 14, 2010, 3:39:34 PM10/14/10
to legalit
Non è una mutatio libelli perchè non introduci una nuova causa petendi
o un petitum diverso e più ampio, ma semplicemente una riduzione
quantitativa della pretesa. Il giudice avrebbe potuto e dovuto
accertare anche d'ufficio il concorso di colpa, trattandosi di
eccezione in senso lato.

Agostino Mario Mela

unread,
Oct 14, 2010, 11:59:34 PM10/14/10
to leg...@googlegroups.com
Forse non ci siamo capiti.
Ho inteso sostenere questo: non è buona tecnica affannarsi a sfondare
porte aperte.
Nel suo aureo libretto intitolato Come si fa una tesi di laurea,
Umberto Eco mostra quanto suoni stonato l'argomento di chi cita
Aristotele a sostegno di tesi assolutamente banali.
Nello stesso modo, credo che sia inappropriato invocare l'autorità di
precedenti giurisprudenziali a sostegno di conclusioni agevolmente
argomentabili sulla base di concetti e/o principi pacifici.
Sia semmai l'avversario a cercare giurisprudenza a sostegno di una
tesi bislacca. Non la troverà, oppure troverà un'eloquente Pretura
Canicattì del 1973 (l'equivalente dell'autore Modestucci citato nel
libro di Eco), che si commenterà da sé.
Si evidenzi semmai la disperata debolezza della posizione avversa, che
induce il difensore di essa ad invocare tesi così improbabili.
Condividiamo con i giudici una preparazione giuridica di base,
acquisita nelle facoltà di giurisprudenza. Serviamocene per condurre
il giudice, attraverso un percorso il più possibile rettilineo, fatto
di ragionamenti semplici e stringenti, verso le conclusioni che ci
interessa patrocinare.
Cerchiamo, ove possibile, di accreditare dell'avvocato un'immagine
migliore di quella del triviale cacamassime del modello imperante.
E' un discorso che si può collegare a quello sulla scomparsa della
monografie giuridiche.
In sardo diciamo: torràusu a su connòttu (torniamo al conosciuto).

avv. Agostino Mario Mela, Cagliari


Il giorno 14/ott/10, alle ore 17:54, ccoticelli ha scritto:

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