REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE D'APPELLO DI ROMA
TERZA SEZIONE CIVILE
composta dai signori magistrati:
Dr. Giuseppe Lo Sinno - Presidente rel. est. -
Dr. Maurizio De Stefano - Consigliere -
Dr. Angelo Martinelli - Consigliere -
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di XI grado iscritta al n. 6586/2006 del R.G. Affari
Contenz. posta in decisione ex art. 352 c.p.c. all'udienza del 11.6.2010 e
vertente
tra
Fo.Pa., nato a Caracas (Venezuela) il (...), rappresenta e difesa dall'avv.
Gu.De. del foro di Roma ed elettivamente domiciliata in Roma, presso lo studio
del medesimo avv., come da procura in atti;
Appellante
nei confronti di
As.Ge. S.p.A., con sede in Trieste, in persona del legale rapp.te p.t., e
Bu.Ma., nato a Roma il (...), entrambi rapp.ti e difesi dall'avv. Um.Zo. del
foro di Civitavecchia ed elettivamente domiciliati in Civitavecchia, presso lo
studio del medesimo avv.to, giusta delega in atti;
Appellati E Appellanti Incidentali
E
Pe.Si.;
Appellata Contumace
Oggetto: Appello a sentenza del Tribunale di Civitavecchia n. 709/06
(risarcimento danni per sinistro stradale).
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione del 9 giugno 2006 Fo.Pa. proponeva appello avverso la
sentenza del Tribunale di Civitavecchia, depositata il 19.9.2006, che aveva
condannato in solido, le Ge.As., Bu.Ma. e Pe.Si., al risarcimento dei danni
subiti dalla Fo. in esito ad un sinistro stradale avvenuto in data (...) nel
territorio del Comune di Cerveteri; avendo dichiarato la esclusiva
responsabilità dei convenuti nella determinazione del sinistro con successiva
liquidazione dei danni, come da Ctu medica, limitata al danno biologico, morale
e lucro cessante (limitato ai mancati introiti di due contratti per ingaggio
quale ballerina professionista).
La appellante propone censura della sentenza appellata con riferimento alla
esatta quantificazione e determinazione dei danni subiti in seguito al sinistro;
insistendo per la riforma della sentenza con condanna dei convenuti al pagamento
della complessiva somma di Euro 1.652.900,52, oltre accessori e spese del
giudizio.
La As.Ge. e Bu.Ma., costituitisi, chiedevano disattendersi l'appello e, a
loro volta, prospettavano appello incidentale, sostenuto da vari motivi di
critica, per vedere riformata la sentenza sia per ciò che riguardava la
responsabilità del sinistro (che sarebbe da ascrivere a colpa concorrente) che
per la determinazione del quantum debeatur.
All'udienza dell'11 giugno 2010, mutato il rito in quello ordinario, i
procuratori delle parti precisavano le rispettive conclusioni come da verbale e
rinunciavano a nuovi termini; la causa veniva trattenuta per la decisione senza
l'assegnazione di termini di legge per il deposito di conclusionali e
repliche.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Prima di procedere all'esame del merito dell'impugnazione occorre far luogo a
dichiarazione di contumacia di Pe.Si., regolarmente citata e non
costituitasi.
Occorre procedere partendo dall'esame del primo motivo di appello
incidentale; poiché, nella sostanza, e in sintesi gli appellanti, criticando il
riparto di colpa operato dal primo giudice, sostengono che la responsabilità
dell'evento sia da ascrivere o a colpa esclusiva della Fo. o, in subordine, a
titolo di concorso paritario tra i due conducenti: non poteva considerarsi
corretto sostenere che le prove assunte avessero consentito di pervenire
all'esclusiva responsabilità della Pe. quale conducente che aveva invaso
l'altrui corsia di marcia; il teste che viaggiava a in bicicletta dietro l'auto
Opel Corsa aveva riferito di aver visto la auto Ibiza condotta dall'attrice
viaggiare a forte velocità ed invadere l'altrui corsia; il teste G.Ma. aveva
interesse nella causa in quanto danneggiato nel sinistro quale trasportato dalla
Fo., e quindi poco attendibile; il fatto doveva attribuirsi a colpa della
conducente Fo., la quale, tenendo velocità inadeguata rispetto ai luoghi aveva
invaso la corsia opposta.
La doglianza è in fondata.
In relazione ai luoghi (risultanti dalle foto in atti e dal rapporto dei
c.c., non fatti oggetto di contestazione quanto alla loro rispondenza al sito
del sinistro) ed alle dichiarazioni dei testimoni escussi emerge evidente che
l'origine prima del sinistro sia stata la condotta di guida dell'appellato Bu.
che, all'uscita da una curva, su strada di campagna con alta vegetazione
laterale, invase la mezzeria opposta nel momento in cui sopraggiungeva
l'autovettura della appellante la cui condotta di guida non ha trovato elementi
di censura da col legare a fatti e circostanze oggettive.
Il teste Ma. (da ritenere attendibile in quanto, al momento della resa
testimonianza, era stato già risarcito dei danni subiti quale trasportato) ha
chiaramente escluso che la Fo. procedesse a velocità non adeguata evidenziando
come fosse stata l'auto Opel ad invadere la loro corsia uscendo da una curva a
forte velocità, rendendo inevitabile l'urto tra le due auto,
A contrario, la teste indotta dai convenuti/appellati (sig.ra Se.), sentita
in primo grado, di fatto ha esposto solo dei vaghi non ricorso ed imprecise
circostanze che non hanno dato alcun apporto alla tesi difensiva della compagnia
di assicurazioni (così rendendo inutili le dichiarazioni rese ai c.c. qualche
giorno dopo il sinistro),
A fronte della indubbia colpa del Bu. (avere invaso l'altrui corsia) scatta
la presunzione di responsabilità di cui all'art. 2054 c. 1 c.c. che dichiara
responsabili di ogni danno i conducenti di autovetture i quali non diano la
prova liberatoria di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno; non
avendo gli appellanti incidentali dimostrato non solo l'esenzione da colpe del
conducente della Opel ma anche la sussistenza di colpe (specifiche o per
generica imprudenza) a carico della conducente dell'auto Ibiza (sig.ra Fo.).
Infatti, la presunzione di colpa del conducente dell'autoveicolo investitore
prevista dall'art. 2054, I comma, c.c. non opera in contrasto con il principio
della responsabilità per fatto illecito, fondata sul rapporto di causalità fra
evento dannoso e condotta umana; pertanto, la circostanza che il conducente non
abbia fornito la prova idonea a vincere la presunzione non preclude l'indagine
in ordine all'eventuale concorso di colpa, ai sensi dell'art. 1227, I comma,
c.c., del conducente dell'auto investita (confr. Cass. set. III, 13.3.2009, n.
6168), per la cui affermazione, tuttavia, l'onere della prova incombe sempre sul
conducente dell'autoveicolo investitore e sul suo assicuratore.
Ma come si è già detto nessuna prova è stata fornita dalla convenuta
compagnia di assicurazioni atta a vincere la presunzione di responsabilità
gravante sul conducente del mezzo assicurato ex art. 2054 c. 1 c.c.; e sebbene
sia vero che l'applicazione della presunzione non elimina la corrispondente
presunzione gravante sull'altro conducente (in caso di scontro tra veicoli), è
parimenti vero che tale soggetto può liberarsi dalla presunzione a suo carico
provando il rispetto delle norme sulla circolazione stradale o la presenza di
una situazione che le aveva impedito un diverso comportamento (confr. Cass. sei.
III, 14.2.2006, n. 3193: "in tema di scontro tra veicoli, l'accertamento in
concreto della colpa di uno dei conducenti non comporta, di per sé, II
superamento della presunzione di colpa concorrente dell'altro, all'uopo
occorrendo che quest'ultimo fornisca la prova liberatoria, ovvero la
dimostrazione di essersi uniformato alle norme sulla circolazione e a quelle
della comune prudenza, e di essere stato messo in condizioni di non potere fare
alcunché per evitare il sinistro"); come esattamente è avvenuto nel caso in
esame dove l'attrice aveva dimostrato (con il teste Ma. con la produzione del
verbale dei C.C.) l'assenza di sua colpa (procedendo a velocità adeguata ai
luoghi e sulla sua corsia di pertinenza) e la presenza di una situazione che le
aveva impedito di fare alcunché per evitare l'impatto con l'auto avversaria
(stante la repentinità con cui tale mezzo aveva invaso la sua corsia di
marcia).
Sul punto la sentenza di I grado merita conferma integrale.
Con il motivo d'appello principale della Fo. viene mossa critica
all'impugnata sentenza per aver questa aderito alle risultanze della Ctu, pur
già analiticamente contestate nel corso del primo giudizio, senza neppure far
luogo a richiamo del detto consulente e senza tenere conio della documentazione
prodotta in fase conclusiva del processo di primo grado (da cui emergeva
l'entità della invalidità accertala in sede amministrativa: 100%). In
particolare vengono mosse censure relativamente a mancata o scarsa
considerazione di pretese lesioni ulteriori anche a livello psichiatrico, oltre
che del danno patrimoniale ed esistenziale subito; e si contesta che le domande
originarie fossero state irritualmente modificate nel corso del giudizio avendo,
essa parte, solo precisato le proprie iniziali richieste di risarcimento di
tutti i danni, fisici, morali e patrimoniali subiti.
Osserva la Corte che, con riferimento alla legittimità delle richieste
avanzate dalla parte qui appellante in sede di precisazione delle conclusioni di
I grado (ritenute contenenti una indebita modifica della domanda originaria), le
cesure di parte appellante siano condivisibili perché costituisce principio
consolidato quello che afferma la legittimità della precisazione, quantitativa e
qualitativa, delle pretese risarcitone che il danneggiato domanda in conseguenza
di un evento dannoso unico e non modificato.
Infatti, non costituisce domanda nuova e deve ritenersi ammessa nel corso di
tutto il giudizio di primo grado e finché non si precisano le conclusioni, la
modificazione quantitativa del risarcimento del danno in origine richiesto,
intesa non solo come modifica della valutazione economica del danno costituito
dalla perdita o dalla diminuzione di valore di una cosa determinata, ma anche
come richiesta dai danni provocati dallo stesso fatto che ha dato origine alla
causa, che si manifestano solo nel corso del giudizio; se danni di questo tipo,
chiesti in primo grado, si sono prodotti anche dopo la sentenza di primo grado,
possono essere ancora chiesti in grado di appello (Cass. sez. III, 10.11.2003,
n. 16819).
La appellante, peraltro, in primo grado aveva chiesto il risarcimento dei
"danni tutti, fisici, morali e patrimoniali dalla stessa subiti e subendi...
oltre alle spese mediche sostenute." senza indicare alcun tipo specifico di
danno da consentire di valutare come non richiesto quello non espressamente
indicato, ad esempio danno morale piuttosto che danno estetico, ecc, così
rendendo possibile l'attività interpretativa del giudice che tenendo conto di
tutte le voci di danno liquidabili non incorre in vizio di ultrapetizione (conf
r. Cass. sez. III, 12.6.2006, n. 13546).
Per ciò che riguarda, più in particolare, il danno patrimoniale per perdita
della capacità di lavoro specifica non v'è chi non veda l'errore in cui è
incorso il I giudice nel considerare domanda nuova la soia specificazione che
una certa somma veniva imputata a tale specifica ipotesi di danno patrimoniale
per lucro cessante (che come è noto è una delle due categorie del danno
risarcibile ex art. 1223 c.c.); non avendo considerato che, in caso di illecito
lesivo dell'integrità psico-fisica della persona, il giudice è tenuto a
verificare se le lesioni accertate, oltre ad incidere sulla salute del soggetto,
abbiano anche ridotto la sua capacità lavorativa specifica, con riduzione, per
il futuro, della sua capacità di reddito, attribuendo in tal caso due distinte
voci di risarcimento, rispettivamente a titolo di danno biologico e di danno
patrimoniale per la riduzione della capacità lavorativa specifica (Cass. sez.
III, 23.2.2006, n. 4020 che specifica come, nell'ambito delle somme liquidate
per la prima voce, è quindi precluso al giudice individuare e disaggregare la
componente riferibile alla perdita della capacità lavorativa).
"Di norma la domanda di risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non
patrimoniali comprende anche la domanda di risarcimento del danno biologico, sia
perché in termini strettamente logici tale formulazione della domanda è
assolutamente esaustiva, sia perché la varietà degli orientamenti interpretativi
- anche in sede di giurisprudenza costituzionale (sentenze n. 184 del 1986 e 372
del 1994) e della corte di cassazione - circa la natura giuridica del danno
biologico, non consente di attribuire univocamente all'espressione "patrimoniali
e non patrimoniali" la valenza limitativa di un riferimento a danni strettamente
patrimoniali o strettamente morali; né analogo significato limitativo può essere
attribuito ad una allegazione, sul piano della quantificazione, di danni
patrimoniali determinati in base alla percentuale di invalidità e al livello del
reddito, perché simile quantificazione è idonea a ricomprendere il danno
biologico correlato alla riduzione dell'attitudine al lavoro (mentre anche la
voce relativa al danno non patrimoniale può includere parte del danno biologico)
e, inoltre, è probabilmente espressione di una mera richiesta di liquidazione
equitativa, mancando il riferimento ad un'effettiva perdita di guadagno" (così
Cass. sez. lav., 27.7.1995, n. 8216).
L'unica categoria di danno che deve ritenersi sicuramente non richiesta
inizialmente dalla danneggiata (e non passibile di aggiunta in corso di causa)
era quella del c.d. danno esistenziale per la diversità di tale danno dal
semplice danno morale (confr., per tutte, Cass. sez. III, 24.8.2007, n. 17977:
"la domanda di risarcimento del danno morale, ove specificamente proposta, non
può essere intesa come implicitamente riferita anche al risarcimento del c.d.
danno esistenziale, laddove non sia proposta anche una domanda di risarcimento
di danni non patrimoniali e manchino specifiche allegazioni di fatto in ordine
all'esistenza di pregiudizi, intesi come alterazione delle abitudini relazionali
e delle scelte di vita del soggetto, del tutto distinti e diversi dai dolore e
dalla sofferenza inferiore, indipendentemente dalla autonoma configurabilità e
dalla astratta collocazione sistematica del danno esistenziale nell'ambito della
categoria del danno non patrimoniale").
La censura può giudicarsi, quindi, fondata fatta eccezione dell'ultima
categoria di danno indicata.
Alla appellante, pertanto, spettava il risarcimento del danno biologico, del
morale, del danno patrimoniale (inteso, anche, nella sua accezione di perdita di
capacità di lavoro specifico) e del rimborso spese mediche (sostenute e da
sostenere, queste ultime, quale danno futuro necessitano della prova della loro
necessaria sussistenza nel tempo).
Passando alla quantificazione dei danni subiti dalla appellante (e confermate
le somme già liquidate dal tribunale) il primo esame riguarda gli esiti di
natura "permanente" all'integrità psicofisica della sig.ra Fo. (quantificati nel
25% dal Ctu - limitati al 6% dal Ctp delle Ge. - ed accertati nei 100% dalla
commissione invalidi civile Asl. Rmf. 6.12.2002, cui fa cenno anche il ctu nei
suoi chiarimenti 2.9.2005).
Il Ctu, con ampi e approfonditi ragionamenti specialistici e attento e
scrupoloso esame di tutta la documentazione ha chiarito come è giunto alle
proprie determinazioni, non mancando di spiegare i percorsi argomentativi che
facevano apparire non fondate le critiche del ctp (che limitava la ita al 6% in
considerazione del fatto lesivo "trauma cranico - trauma da contraccolpo del
rachide cervicale e contusione del ginocchio sin."), con la sola eccezione della
non sicura riferibilità della diagnosi di sindrome psico - organica post
traumatica o disturbo post - traumatico al trauma cranico subito dalla sig.ra
Fo. (potendo essere legata a "stress emotivo"); sindrome indicata, comunque,
come "certa clinicamente" (relazione a chiarimenti del 12.9.05).
Alla detta relazione suppletiva appare opportuno riportarsi poiché dalla
stessa si evince la infondatezza delle critiche del Ctp dr. Sa.; emergendo, in
verità, il tentativo del ctp di indurre in errore nella valutazione delle reali
conseguenze dannose subite dalla Fo. a cui attribuisce dei danni di livello e
rilevanza marginali (non solo nella loro quantificazione risarcitoria) avendo
ritenuto di limitarli al solo trauma cranico - colpo di frusta e contusione del
ginocchio sin., senza considerare che la danneggiata aveva subito, in
conseguenza sia del trauma cranico che del disturbo algo funzionale del
ginocchio, danni incidenti sia sulla sfera psichica che funzionale della sua
persona che andavano considerati come complessivamente incidenti sulle capacità
di vita del soggetto che aveva subito, in definitiva, "la perdita funzionale
dell'arto inferiore sinistro con impossibilità alla deambulazione non assistita
ed i disturbi psichici suddetti" (supplemento ctu), con conseguenze penalizzanti
tali da aver portato anche la commissione invalidità civile a riconoscere
inabile al lavoro al 100% la signora Fo..
Tuttavia rimangono distinte le categorie del danno biologico per invalidità
permanente da quelle della invalidità civile ai fini assistenziali e
previdenziali, per la diversità della valutazione di riferimento (il danno
biologico da invalidità permanente consistendo nelle ripercussioni negative, di
carattere non patrimoniale, e diverse dalla mera sofferenza psichica, della
permanente lesione dell'integrità psico - fisica del soggetto leso per l'intera
durata della sua vita residua; l'invalidità civile costituendo un modo di
valutare le conseguenze negative a produrre reddito ed il modo di integrare tale
perdite).
Si ritiene, pertanto, che la invalidità del 25% determinata dal Ctu sia
congrua e motivata in esito agli esiti invalidanti descritti. Trattasi, come
appare evidente, di esiti certamente non modesti e ben descritti nell'Esame
Obiettivo (pag.12) della Ctu, ove si espone come "l'andatura e la stazione
eretta sono fortemente deficitarie a causa del mancato controllo volontario del
tono dell'arto inferiore sinistro. Il tono muscolare è nella norma eccetto che
nell'arto inferiore sinistro che presenta un tremore a forti scosse,
incontrollato che rende molto difficoltosa la stazione eretta e la
deambulazione...".
Al contrario deve pervenirsi al ristoro dell'intero danno per la perdita
della capacità di lavoro specifico della sig.ra Fo. (ballerina e coreografo)
perché su tale aspetto concorda tanto il Ctu che l'esito degli accertamenti
della commissione medica sull'invalidità civile (già considerati dal Ctu nei
suoi chiarimenti).
La perdita totale di tale specifica attitudine lavorativa può dirsi oggettiva
una volta che si consideri l'entità ed il tipo di lesioni psico/fisiche subite
dalla appellante.
Dove divergono le conclusioni medico/legali del C.T.U. e del ctp. è
sull'incidenza negativa che le indicate lesioni, con gli esiti permanenti
descritti, hanno avuto sulla capacità lavorativa specifica della signora Fo. che
ha dichiarato che al momento dell'incidente svolgeva attività di ballerina (a
tal fine producendo due contratti di ingaggio per spettacoli).
Considerato l'insieme degli atti a disposizione e valutato il complesso delle
menomazioni analiticamente descritte dal Ctu ritiene il Giudicante che non possa
essere, condiviso il giudizio, sostanzialmente assolutorio, formulato dal ctp.
dr. Sa. perché, in concreto, l'aver considerato modesti gli esiti permanenti
(continuando ad indicare una semplice contusione del ginocchio sin.) ha negato
che la parte possa ritenersi impossibilitata allo svolgimento dell'attività di
danzatrice.
Tuttavia gli esiti invalidanti descritti comportano una compromissione
notevole della possibilità di esercitare ancora l'attività di ballerina che,
come è evidente, implica ben altro sforzo ed impegno fisico di una normale
attività umana, necessitando di un corpo non solo esteticamente adeguato ma,
soprattutto, capace di affrontare le particolari evoluzioni ginnico/artistiche
tipiche dell'arte della danza (sia essa quella classica che moderna) implicanti
movimenti continui e ritmici del capo, del collo, delle spalle, delle braccia,
del tronco, delle gambe e, in una sola parola, dell'intera struttura corporea
intesa nel suo insieme.
Pur senza dover descrivere analiticamente i movimenti richiesti ad una
ballerina (di qualsiasi categoria essa sia; dalla celebre interprete di danza
classica alla più modesta comprimaria di compagnie amatoriali), appare oltremodo
evidente che alla stessa è richiesto un fisico integro e privo di limitazioni e
deficit (quali sono certamente un ginocchio non integro con deficit ai gradi
estremi per la flesso estensione ed i movimenti di abduzione, adduzione de intra
- extra rotazione della gamba; come - ad ese. una spalla ipotonomiotrofica, un
arto accorciato, una limitata flessione del capo, o del gomito o delle spalle,
un deficit nella presa del pugno ecc. ecc.) pena l'impossibilità di proporsi
quale soggetto in grado di far parte di un corpo di ballo o di manifestazioni di
danza.
Sarebbe possibile per la danneggiata la continuazione della professionalità
acquisita nel settore della danza mediante lo svolgimento dell'attività di
insegnate di danza (ma la condizione psicologica attuale non rende verosimile
tale prospettiva); tuttavia "insegnare" non è la stessa cosa di "danzare". Si
può trasferire ad altri la propria capacità di danza anche con un corpo soggetto
a menomazioni o limitazioni non totali, ma (anche tenuto conto dell'età del
soggetto al momento del danno subito), ma appare francamente difficile
ipotizzare che la sig.ra Fo. possa tornare a ballare come danzatrice
professionista.
Pertanto gli esiti indicati devono ritenersi come incidenti sulla capacità
specifica di lavoro (tenuto conto dell'età della danneggiata - all'epoca anni 42
-) intesa come effettiva perdita di capacità incidente al di fuori del mero
danno biologico.
Tale menomazione deve considerarsi come sicuramente incidente sulla perdita
di occasioni di guadagno nel settore indicato in precedenza; ed in difetto di
elementi di sicuro affidamento sul mancato guadagno subito può procedersi in via
presuntiva ed equitativamente tenuto conto che va risarcita la riduzione totale
del guadagno essendo emerso che la parte lesa non ha residua capacità di lavoro
(conf. Cass. sez. III, 27.7.2001, n. 10289: "l'invalidità permanente (totale o
parziale), mentre di per sé concorre a dar luogo a danno biologico, non comporta
necessariamente anche un danno patrimoniale, a tal fine occorrendo che il
giudice, oltre ad accertare in quale misuro la menomazione fisica abbia inciso
sulla capacità di svolgimento dell'attività lavorativa specifica e questa, a sua
volta, sulla capacità di guadagno, accerti se ed in quale misura in tale
soggetto persista o residui, dopo e nonostante l'infortunio subito, una capacità
ad attendere ad altri lavori, confacente alle sue attitudini e condizioni
personali ed ambientali, ed altrimenti idonei alla produzione di altre fonti di
reddito, in luogo di quelle perse o ridotte; solo se dall'esame di detti
elementi risulti una riduzione della capacità di guadagno e del reddito
effettivamente percepito, questo (e non la causa di questo, cioè la riduzione
della capacità di lavoro specifica) è risarcibile sotto il profilo del lucro
cessante; la relativa prova incombe al danneggiato, e può essere anche
presuntiva, purché Sia certa la riduzione della capacità di lavoro
specifica").
- Quantificazione del risarcimento.
Per il danno da perdita della capacità lavorativa specifica (avuto riguardo
ai guadagni percepiti nell'anno 2000 come documentati con i doc. n. 20 e 21), si
ritiene di stimare la riduzione effettivamente subita dalla attrice nel 100% di
ciò che avrebbe potuto guadagnare per la durata di anni 10 (valutandosi in tale
lasso temporale la vita professionale effettiva ulteriore di una ballerina) e
ulteriori 10 per attività consimili (insegnante di danza), sino all'età di 62
anni.
Stimato in Euro 34.200,00 annui il ricavo dell'attività esercitata (Euro
2850,00 x 12); annui e moltiplicato per 10 anni = 342.000,00; mentre quello di
insegnante di Euro 12.000,00 annuo (Euro 1.000,00 x 12 = 12.000 x 10 = Euro
120.000), si ha una somma pari a Euro 462.000,00, che si ritiene congruo quale
risarcimento del danno per lucro cessante, stimato con valori calcolati
all'attualità.
Circa la altre pretese di risarcimento avanzate dalla appellante, possono
trovare accoglimento quelle relative al danno patrimoniale per tutte le spese
mediche sostenute e documentate - considerate congrue dal Ctu per la somma di
Euro 3.842,33 che si adegua, all'attualità, in Euro 4.000,00.
Per le spese future, tenuto conto che lo stesso Ctu aveva evidenziato la
necessità di successivi controlli e verifiche medico - sanitarie, appare
evidente che debba riconoscersi, in via equitativa, una ulteriore somma che
consenta di ristorare, in anticipo, quando la appellante sarà tenuta a sostenere
per cure mediche legate all'infortunio patito. Equo appare liquidare una somma
di Euro 4.000 (Euro 1000,00 x 4 cicli di interventi medici).
Spetta alla appellante anche il risarcimento per la perdita della propria
autovettura pari a Euro 1500,00 in via equitatva, essendo stato provata la
rottamazione del veicolo e, quindi, la concreta perdita di un bene di cui si era
proprietari e possessori; non essendo necessario provare che si sia sopportata
la spesa per la demolizione amministrativa.
Tutte le somme liquidate non possono essere ulteriormente aumentate per
l'incidenza della svalutazione monetaria maturatasi post factum perché in questa
sede si è proceduto ad una liquidazione con valutazione con moneta attuale
frutto di liquidazione eminentemente equitativa che tiene conto dei valori
attuali, e che la rivalutazione non è altro che il mezzo di rendere attuale,
alla - data della decisione, l'ammontare del debito di valore fatto valere dal
creditore danneggiato.
Le somme determinate nel totale andranno, comunque, aumentate dei I soli
interessi dalla data del fatto dannoso alla odierna liquidazione, quali
interessi di natura compensativa.
E' ben noto come l'obbligazione di risarcire il danno sia una tipica
obbligazione di valore avendo la funzione, non di consegnare una determinata
somma, ma quella di ricostruire integralmente il patrimonio del danneggiato,
seppure elargendo, per equivalente, un somma di denaro.
Ne consegue che al creditore spettano sia rivalutazione (per compensare il
valore intrinseco del bene perduto) che lucro cessante (per compensare il
mancato uso del bene perduto) utilizzando la tecnica di un tasso di interesse da
determinare equitativamente (vedi la celebre Cass. Sez. Unite 17.2.1995 n. 1712
e più di recente Cass 10.3.2006 n. 5234, Cass. 2007/10884, nonché Cass. 5.U.
1499/2008).
Per calcolare il lucro cessante si farà ricorso al rendimento medio dei
titolo di stato, sul presupposto che il creditore, se avesse potuto disporre
della somma l'avrebbe investita in titoli di stato (cd. "rendistato", pubblicato
dalla Ba.D'I.). Poiché la somma è stata liquidata ai valori attuali, il tasso di
rendimento va applicato sulle somme devalutate dividendo la somma liquidata per
i coefficienti F.O.I., così determinando anno per anno il reddito non percepito
dal creditore.
I tassi di rendistato sono reperibili al seguente indirizzo internet
http://www.bancaditalia.it/banca mercati/operazioni/titoli/tassi/rendi.
Infine, poiché una volta liquidato, il risarcimento del danno, da credito di
valore si trasforma in credito di valuta, su di esso vanno calcolati gli
interessi legali data della sentenza.
L'esito dei calcoli sarà il seguente, sul credito rivalutato di Euro
471500,00 e con decorrenza anno 2001 (successivo a quello della scadenza dei due
contratti di lavoro prodotti dalla Fo.):
anno Poi somma devalutata Rendistato Interessi
Euro 471.500,00 - 2001 - 1,1659 - Euro 404.408,61 - 10,00 - Euro
40.440,86
Euro 471.500,00 - 2002 - 1,1383 - Euro 414.214,18 - 10,00 - Euro
41.421,42
Euro 471.500,00 - 2003 - 1,1109 - Euro 424.430,64 - 10,00 - Euro
42.443,06
Euro 471.500,00 - 2004 - 1,0893 - Euro - 432.846,78 - 8,852 - Euro
38.315,60
Euro 471.500,00 - 2005 - 1,0710 - Euro 440.242,76 - 6,551 - Euro
28.839,20
Euro 471.500,00 - 2006 - 1,0501 - Euro - 449.004,86 - 5,512 - Euro
24.749,15
Euro 471.500,00 - 2007 - 1,0323 - Euro 456.747,07 - 3,556 - Euro
16.241,93
Euro 471.500,00 - 2008 - 1,0000 - Euro 471.500,00 - 5,353 - Euro
25.240,18
Euro 471.500,00 - 2009 - 1,905 - Euro 396.052,08 - 4,722 - Euro 18.701,91
Euro 276.393,31
credito rivalutato Euro 471.500,00
interessi Euro 276.393,31
Totale Euro 747.893,31
Pertanto le parti qui appellate vanno condannate, in solido, al pagamento
degli ulteriori importi sopra indicati.
In ragione dell'esito complessivo della vertenza le spese del giudizio vanno
poste a carico degli appellati, in solido, con distrazione in favore del
procuratore dell'appellante, che ne ha fatto espressa richiesta.
Le dette spese legali, tenuto conto della natura dell'affare, del valore
della causa e delle attività effettivamente compiute, presente in atti la notula
afferente al secondo grado, possono liquidarsi come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte di Appello di Roma definitivamente pronunziando, in parziale
accoglimento dell'appello proposto da Fo.Pa. nei confronti di Ge.As. S.p.A. e
Bu.Ma. (appellanti incidentali) nonché di Pe.Si., ed avverso la sentenza emessa
dal Tribunale di Civitavecchia, depositata il 19.9.2006 n. 709/2006, così
provvede:
a) in parziale riforma della sentenza appellata, Condanna i signori Pe.Si. e
Bu.Ma., in solido con la As.Ge. S.p.A., in persona del suo legale rapp.te p.t.,
a pagare alla signora Fo.Pa. la ulteriore somma di Euro 747.893,31, da
maggiorarsi con gli interessi ai tasso legale decorrenti dalla data della
presente sentenza al saldo effettivo;
b) Rigetta l'appello incidentale e conferma, nel resto, la appellata
sentenza;
c) Condanna gli appellati, in solido, al pagamento, con distrazione in favore
del difensore dell'appellante, avv. Gu.De., delle spese legali del presente
grado del giudizio, che liquida in Euro 1.146,30 per spese, Euro 2.500,00 per
diritti e Euro 6.000,00 per onorari, oltre Iva, Cpa e spese generali, come per
legge.
Così deciso in Roma, il 18 giugno 2010.
Depositata in Cancelleria il 13 luglio 2010.