Un articolo interessante sulle vicende della Val di Susa..
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NOTAV: IL GIORNO CHE L’ITALIA VENNE GIU’
DI GIUSEPPE GENNA
carmillaonline.com
Se lo dicono Pierferdinando Casini e Pierluigi Bersani e se ha
l'avvallo di un ex comunista che ebbe i permessi Cia per andarsene
negli States in anni impossibili, allora è vero. E' tutto vero: è
gravissimo quanto è accaduto oggi in Val di Susa. Deve essere vero,
perché lo dicono a destra e sinistra non si sa più di che cosa. Deve
essere vero se lo afferma "la Repubblica" insieme al "Corriere della
Sera". E, di fatto, è vero. Però non è vero al modo in cui lo
intendono questi spettri che deambulano nella storia universale delle
meschinerie. Se 70mila persone si mobilitano e vanno a formare una
massa che confligge con apparati polizieschi di Stato, significa che è
stato abbattuto un filtro decisivo e che si va a compiere quanto è
iniziato a slittare dalla tragedia del G8 di Genova: l'Italia è uscita
definitivamente da ciò che cominciò nei primi Ottanta. Cambia tutto.
Oggi abbiamo assistito a una guerra e siamo attualmente sommersi da un
rovinoso tentativo di mistificazione e di disinformazione.
Secondo le autorità - non si sa oramai nemmeno loro autorità di cosa e
rispetto a chi - i manifestanti erano 6-7mila. Erano invece circa
70mila. Ciò è comprovabile. La giornata è controllabile da qualunque
prospettiva, da ovunque, è già compattata in migliaia di archivi
digitali, resi disponibili e reperibili on line. Spezzettata e
frammentata in un organismo vivente di immagini, suoni, voci. Twitter
soprattutto e Facebook in parte hanno canalizzato un'informazione
capillare e incontrovertibile da parte di qualunque tentativo di
falsificazione. Basta informarsi qui, qui, qui, qui e qui e qui e si
potrebbe andare avanti all'indefinito.
Eppure il Presidente della Repubblica, questo sir bisnonno d'Italia
che tiene tantissimo al 150° compleanno non si sa di chi o di cosa e
se proprio o altrui, questo finissimo conoscitore dell'inglese e delle
intelligence di mezzo mondo, questo portavoce delle più raffinate
ordinanze antisociali e mercantiliste dell'Europa che sarebbe unita
non si sa in nome di cosa o di chi - costui ha dunque preso la parola
e condannato informando tutti i cittadini della verità che è smentita
praticamente da tutta la Rete italiana: "Quel che è accaduto in Val di
Susa - sostiene l'anziano migliorista -, per responsabilità di gruppi
addestrati a pratiche di violenza eversiva, sollecita tutte le
isituzioni e le componenti politiche democratiche a ribadire la più
netta condanna, e le forze dello Stato a vigilare e intervenire ancora
con la massima fermezza. Non si può tollerare che a legittime
manifestazioni di dissenso cui partecipino pacificamente cittadini e
famiglie si sovrappongano, provenienti dal di fuori, squadre
militarizzate per condurre inaudite azioni aggressive contro i reparti
di polizia chiamati a far rispettare la legge". Parole del Capo dello
Stato di Cose.
Ecco, non c'è più lo Stato di Cose. Il Presidente è fuori dalla Storia
come tutti i Presidenti, così come anche tutti i sodali di un
Parlamento che appare oggi, e drammaticamente, distantissimo dal
sentire comune. E' significativo che si manifesti come dominatrice
neomediatica l'intollerabile verve populista di Beppe Grillo, con il
suo giustizialismo antropologicamente autoritario, col suo
antipoliziottismo poliziesco, con la sua ribadita assenza di
spiegazioni circa la questione dei suoi sostenitori bancarii. E'
significativo perché c'è il Comico contro il Re, a vederla da fuori.
Il frame da indurre nelle menti beote sarebbe: le parole di Beppe
Grillo vs le parole della Politica e dello Stato di Cose. Frame
errato, ovviamente. Poiché oggi sono in convergenza molteplici frame
in Val di Susa, luogo che rischia davvero di diventare, magari anche
soltanto emblematicamente, il Vietnam di questa classe dirigente.
Senza neppure desiderare di entrare nella questione di merito circa il
progetto TAV, è evidente che siamo di fronte al crollo del paradigma
fintopacifista ed ex borghese, alla saldatura trasversale di classi
anagrafiche che fa crollare il tentativo statuale di imporre al Paese
come modello unico la lotta tra generazioni, all'ipocrisia di
un'Europa che dovrebbe essere unita soltanto nelle lordure e non nelle
proteste (non si capisce perché dovrebbero protestare soltanto gli
italiani e non contestatori francesi o inglesi o tedeschi, visto che
peraltro si dice di volere il cantiere TAV per rimanere agganciati
all'Europa...).
Migliaia, decine di migliaia di persone che vanno tra alberi e coste a
bosco, vecchi bambini donne giovani maschi e sindaci e parenti e
serpenti e chiunque abbia desiderato manifestare - che popolo è? Sono
gli inquietanti black-block? Sono gli scalmanati sbarazzini di un
tempo? Sono i violenti mestatori che fecero e fanno e faranno scendere
la notte sulla Repubblica? E che dire del bouncing che l'informazione
degli old media ha subìto e sta tuttora sperimentando di fronte agli
scotimenti della testa di mezzo mondo, che risponde su Twitter al
monologo sempreguale del potere italiano e delle sue leggi d'emergenza
eternamente in vigore? Non si parla qui soltanto dei telegiornali
berlsuconiani, e cioè tutti tranne il tg3, che sarà sicuramente un
telegiornale napolitano. A vedersi escluso dalla storia è il generale
atteggiamento di un'intera classe, politica e giornalistica e
opinionistica e preoccupata e meditabonda. Non vale affatto il
rovesciamento pasoliniano tra borghesi rivoluzionari e poliziotti
proletari. I proletari che furono tali, in Italia, secondo l'Istat,
sono oggi ben felici del padronato. Però qualcosa sfugge allo schema.
Qui e ora si è al di là dell'operaiato fordista e postfordista e di
tutte le categorie che hanno retto trent'anni di vicariato della
politica in Italia. Senza aderire minimamente alle analisi da Toni
Negri dei poveri spiriti, la manifestazione diffusa della violenza e
della mobilitazione in un contesto non urbano, anzi naturale, ma con
la visuale perenne della connessione, lascia intendere fino a quale
profondità sia giunta la frattura tra lo Stato di Cose e le persone
che costituirebbero il popolo che si riunirebbe teoricamente nello
Stato stesso. Il quale Stato si fotte bellamente dello stato di cose
non napolitano, ma napoletano. Il quale Stato effettua una manovra
economica doppia rispetto alla greca, però tra un anno, a ribadire
l'urgenza che c'è di vararla e che impoverirà ingiustamente, in nome
della finanziarizzazione dell'esistenza, milioni di italiani.
Il crollo delle maschere e la diffusione transnazionale delle notizie
stanno testimoniando che si compie una facile profezia in Italia, al
di là di ingiustificati entusiasmi primaverili: la gente si è rotta i
coglioni e, se si rompe i coglioni, non è che si confronta con il
televisore - va direttamente dall'unico possibile rappresentante che
lo Stato di Cose può schierare di fronte ai cittadini oggi, cioè il
Poliziotto. Questo atto è testimoniato. Inizia di un totale inizio una
lunghissima battaglia, che è in realtà una guerra, anzi: più guerre.
Si incendiano zone sovrapposte del vivere civile: le lotte per
l'ambiente, per la dignità della vita, per i diritti inalienabili di
un'etica universale, per l'uguaglianza, per l'abbattimento dei filtri
all'informazione diffusa.
Ogni inizio segna una fine. Oggi terminano in Italia gli anni Ottanta
e Novanta e Zero Zero - compiendo quella trasformazione che ha in
piazza Alimonda a Genova il cominciamento autentico e sanguinario di
questo inizio.
Giuseppe Genna
Fonte:
www.carmillaonline.com
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