Si aggira per la penisola uno spettro, anzi tre sebbene concatenati. Proviamo a chiarire chi e perché.
Il primo inganno di questo nostro tempo, e forse il più subdolo, si annida dietro una parola soave, affascinante, quasi eterea: “resilienza”. Dite la verità, chi di voi, anche munito di studi classici, aveva sentito, soprattutto con la frequenza che la porta sulla bocca di chi non ha niente di serio da dire ma vuole dirlo molto a-la-page, questa amena parola?
Non è qui importante farne l’esegesi, quanto capirne il non detto che essa maldestramente cela. Resilienza è usata come sinonimo fico (ma dotto) di assuefazione, adattamento, arrangiarsi, abituarsi insomma il vecchio motto per cui tirare a campare è sempre meglio che tirare le cuoia.
Noi preferiamo invece una parola che a resilienza è apparentemente vicina, in realtà ne rappresenta filosoficamente l’opposto, cioè resistenza. Resistenza è chi non si arrende, chi non muta la propria natura, chi lotta contro le tendenze opposte, certo non riguarda chi nuota secondo la corrente.
Propalare il concetto di resilienza, martellandolo fino ad inculcarlo e a farlo diventare trendy, mira proprio a disinnescare l’indole alla resistenza contro le ingiustizie o i soprusi che alberga in ognuno di noi. Fatevi i fatti vostri e sarete resilienti obbedienti.
Per tutto questo noi rispediamo la polpetta avvelenata della “resilienza” a chi l’ha furbescamente confezionata. Viva la coraggiosa resistenza, abbasso la vigliacca resilienza!
Venendo al cosiddetto Green Pass (o, peggio, Super Maxi Mega Green Pass), che di verde ecologico, stile Greta, non ha un piffero di niente, sgombriamo subito il campo dagli equivoci: è uno strumento burocratico/amministrativo che, come ammesso dai virologi onnipresenti in tv, non ha niente a che fare con le misure sanitarie. Insomma un ricatto di vecchio tipo per “convincere” i riottosi, che tuttavia in Italia ha trovato declinazioni originali, di stampo quantomeno autoritario, come l’obbligo di mostrarlo per potersi recare a lavoro (una condizione che ha equiparato il fu-Belpaese a grandi Nazioni come il Tagikistan o la Micronesia, sic). Un’infamia peggiore della mai dimenticata tessera per il pane, con cui regimi dittatoriali di varie latitudini hanno sempre voluto testare la fedeltà della popolazione. Peggiore perché più ipocrita, se puoi permetterti 200 euro al mese di tasca tua e sopporti seccature inenarrabili (i famigerati tamponi) puoi avere il Mini Green Pass, ma se hai 50 anni e 1 giorno e sei sano come un pesce non puoi avere neanche quello, perciò stai a casa verosimilmente senza stipandio. Con somma gioia del datore di lavoro, messo ancor più in difficoltà di quanto già non sia, della famiglia che deve stringer la cinghia e dell’economia reale che è tutto fuorché in ripresa…
Infine il meschino tentativo di realizzare in laboratorio una nuova legge elettorale proporzionale, con una soglia di sbarramento molto bassa, intorno al 3%, talché produca alle elezioni della prossima primavera un risultato certo, garantito, prevedibile: una tale frammentazione del Parlamento che indurrebbe centro-sinistra, centro-centro, centro-destra, centro-sopra e centro-sotto, con la benedizione del colle più alto di Roma, a ridare vita alla grande ammucchiata, o inciucio 2.0 che dir si voglia. In barba al 50% di italiani che li sfanculerebbe astenendosi dal voto. E chi ne sarebbe il presidente del consiglio? Una figura nuova, mai sentita prima… il nome inizia con la M ed il cognome con la D… ma non è Marcello Dinosauri.
Quindi, occhio. Non facciamoci fregare, non deleghiamo voltandoci dall’altra parte. Ci riguarda tutti prima o poi. Il denominatore comune di questi tre inganni è infatti l’attacco alla democrazia per quanta ancora ne sopravvive, fermiamoli – pacificamente ma tenacemente – prima che sia troppo tardi.
FUTURO IERI
https://amicifuturoieri.wordpress.com