Circa gli stipendi degli insegnanti (ma sarebbe ormai tempo di distinguere
tra maestre d'asilo e professori di liceo) certo si può discutere
all'infinito sulle mille lire in meno o il quarto d'ora in più, ma
l'incontrovertibile verità resta una sola:
se si vuole che gli insegnanti insegnino e trasmettano valori borghesi, si
deve dar loro la possibilità di vivere da borghesi. Se non lo si desidera,
si continui pure a pagarli come proletari. Ma si accetti anche il fatto che
un insegnante proletarizzato non può trasmettere che rabbia e rancore,
moltiplicato per il numero dei propri alunni. E ignoranza: perché senza
soldi non si viaggia, non si va per musei, non si va a teatro, non si
acquistano film né libri.
Quadrare il cerchio è stato possibile fino agli anni sessanta, quando
l'insegnamento era una pratica riservata alla moglie dell'avvocato o del
dentista. Il delitto dei giovani insegnanti di oggi è quello di voler
considerare l'insegnamento una professione sulla quale poter costruire il
proprio futuro, non un passatempo per signore annoiate o un'attività di
ripiego in attesa di un "lavoro vero".
A queste legittime e urbanissime istanze c'è ancora chi risponde che
l'insegnamento non è una professione, ma una missione. Bene. Si consenta
allora a ogni insegnante di posare sulla cattedra una cassettina di legno
con su scritto "Per le missioni", e si misuri a fine mese se l'elemosina di
studenti e genitori è stata più o meno generosa di quella che - nonostante
la spinta elettorale - va di questi tempi proponendo il nostro governo...