On Mon, 28 Aug 2023 16:21:56 +0200, SirJohnny.SewagePit wrote:
Ciao,
> Le ringrazio per le risposte.
Ma di niente, ci mancherebbe. Lo scopo dei newsgroup, ormai in gran
parte (e purtroppo) defunti, e' proprio l'aiuto reciproco. :-)
> A me stimola molto il capire il momento e i modi attraverso i quali
> una persona si possa trovare improvvisamente privata del libero
> arbitrio, di amministrare i propri beni. Tendenzialmente considero che
> ciò segua a situazioni molto gravi; eppure leggendo online rilevo, a
> volte, casi di persone che devono essere curate per forza per il loro
> bene. Questo mi sorprende molto, in parte mi angoscia.
Di situazioni del genere possono essercene tante e talvolta si e'
costretti ad operare ai margini della legalita' proprio perche' le
leggi attuali sono piu' ideologiche che pratiche e, se da una parte
hanno avuto dei meriti, dall'altra non hanno previsto (non hanno voluto
prevedere) casi che sono piu' frequenti di quello che si creda. Non per
nulla c'e' un'ampia parte di professionisti che chiede a gran voce,
purtroppo inascoltata, una revisione della legge.
A parte l'anziano indementito di cui si e' gia' parlato, e ce ne
sono tanti, mi vengono in mente il paziente con una grave patologia
psicotica, delirante e convinto di essere braccato dalle spie russe,
che si barrica in casa e spende tutto quello che ha per far costruire
un bunker nel giardino, oppure il paziente con l'umore troppo su (in
termini tecnici "fase maniacale"), convinto di fare l'affare del secolo,
che vende casa e si indebita per comprare la macchina che trasforma
il fango in oro. Di esempi del genere ce ne sono tanti, aggiungerei i
tossicodipendenti da varie sostanze (alcol e gioco d'azzardo compresi)
che non hanno coscienza di malattia e che portano la famiglia e loro
stessi alla rovina verso i quali, in assenza di collaborazione, si puo'
fare ben poco.
Sono situazioni appunto gravi in cui spesso le risorse legali sono
poche o nulle; pensi che il TSO (trattamento sanitario obbligatorio),
quando possibile e non lo e' sempre, puo' durare al massimo 14 giorni,
poi il paziente va dimesso e ovviamente a casa non assume piu' i farmaci
e riprende i comportamenti soliti. La legge attualmente non prevede che
esistano strutture per lungodegenti, che quindi vengono scaricati sulla
famiglia quando non finiscono a fare i barboni per strada.
Provvedimenti di interdizione e inabilitazione e la piu' recente
"amministrazione di sostegno" possono venire talvolta in aiuto, ma
specie per i primi due non e' facile perche' spesso il paziente, che non
e' stupido, riesce a passare per "normale" alle visite specialistiche
effettuate dal CTU.
In casi come questi diventa umano fare il possibile, anche ai margini
della legalita', per il benessere del paziente e dei parenti.
> Da quel che ho capito per lo svilupparsi di situazioni di questo tipo
> ci deve essere un precedente che può aver allarmato un medico.
Non un solo precedente, una situazione di cronicita' grave. Non sono
decisioni che si prendono alla leggera.
> A questo punto è deontologicamente e legalmente possibile, che lo
> psichiatra, ipoteticamente allarmato da una psicopatologia che ritiene
> porterebbe il paziente a nuocere a qualcuno, possa contattare i
> conoscenti suggerendo di farlo visitare da un altro medico (in privato),
> per avviare, volente o nolente, una cura?
Direi proprio di si, dal punto di vista deontologico ma anche legale:
spesso il medico e' soggetto ad "obbligo di referto" e ad "obbligo
di rapporto (denuncia)". Se io vedo un paziente che e' convinto di
essere Erode e progetta di fare una strage nell'asilo qua vicino, sono
moralmente e legalmente obbligato ad avvertire almeno la forza pubblica.
Questo specialmente se opero come medico di una struttura pubblica, in
cui rivesto non solo il ruolo di specialista privato ma anche quello di
incaricato di pubblico servizio se non di pubblico ufficiale.
> La sorpresa del paziente che si veda prescrivere una ricetta bianca
> per uno psicofarmaco, in una visita privata, potrebbe però portarlo a
> ignorare la prescrizione.
Infatti, specie se c'e' una grave psicopatologia di fondo. E se questo
comporta rischi gravi di lesioni a se' o ad altri, in qualche modo
bisogna agire.
> In quel caso lo psichiatra, consultato privatamente dal paziente,
> potrebbe 'a fin di bene' contattare i parenti/conoscenti e sollecitare
> l'inizio di una cura occulta; o potrebbe accettare di rispondere a
> domande dei parenti circa l'esito della/e visita/e?
Non potrebbe, appunto per le varie leggi compresa quella sulla
privacy, ma in situazioni di grave pericolo si puo' sempre invocare
l'articolo 54 del codice penale, lo "stato di necessita'". Oppure, se la
situazione lo permette, avviare le pratiche per un TSO.
La situazione che ipotizza invece e' piu' frequente nei casi cronici
non pericolosi (non apparentemente pericolosi) e di gravita' moderata,
gestibili insomma dai familiari. Il piu' delle volte sono i familiari
per primi che contattano, spiegano il problema, e poi il professionista
effettua in un modo o nell'altro una visita per rendersi conto e nel
caso prescrivere una terapia.
> A me ciò sembra strano, perché penso che, fino a prova contraria, per
> quanto possa essere bravo un medico, a chiunque debba essere data la
> possibilità di farsi visitare da un altro, che magari esprimerebbe un
> parere differente.
Il problema e' che casi come questi non sono in grado di effettuare
una valutazione del loro stato proprio perche' non si rendono conto
di avere un problema. Il "consenso informato", tanto richiesto dal
legislatore, in questi casi e' impossibile e altrettanto impossibile e'
pretendere che siano loro a decidere di loro stessi. Per questo sono
stati previsti i vari provvedimenti, peccato che siano armi spuntate.
> Lo stesso problema potrebbe valere per un anziano e trovo interessante
> capirne le dinamiche, nell'ipotesi di un contrasto tra familiari, in una
> pratica d'interdizione.
Qui si entra in un nuovo ginepraio. ;-)
Il professionista che interviene deve non solo valutare attentamente
il paziente, cosa resa difficile dalla mancata collaborazione, ma
anche capire, sempre per il bene del suo paziente, quanto in effetti
ci sia di patologia psichica e quanto sia invece l'interesse dei
familiari a farlo passare per malato. Li' interviene la sensibilita' del
professionista e, se la cosa "puzza", diviene necessario insistere con
gli accertamenti prima di certificare alcunche'. Purtroppo di questi
tempi la paura di denunce e rivalse legali e' elevatissima al punto che
tanti professionisti rifiutano certe prestazioni "a rischio", un po'
come fanno altri specialisti.
Un saluto,
--
Gianfranco Bertozzi