Giorgio Pastore ha scritto:
Oh come mi dispiace!
Per ragioni che ho dimenticato, padreeinstein l'ho messo in kill file.
E così ho perso un post che a quanto intuisco sarebbe stato per me
fondamentale :-)
Ma veniamo ai discorsi seri. Hai scritto:
> Esistono differenze semantiche culturali e personali. A seconda del
> background di chi parla/scrive ci possono essere lievi differenze
> originatesi dalla tradizione didattica italo-francese o quella
> anglosassone.
e può darsi che sia per questo che io dissento dala tua conclusione:
> A meno che tu non debba far filologia dei termini scientifici direi
> che non perdi niente a considerarli sinonimi.
Per spiegarmi dovrò scrivere un po', quindi stasera ci sarà solo
questo post col mio nome :)
Cominciamo dalla storia, che guarda caso è quasi tutta francese...
1811: Joseph-Louis Lagrange, che in realtà era italiano (nato a
Torino, col nome di Giuseppe Luigi Lagrangia o Lagrancia: lascio ai
piemontesi del NG di spiegarci che cos'è una "grangia" o "grancia",
che a me fa venire in mente qualcosa legato all'agricoltura) pubblica
un trattato intitolato "Mécanique Analytique".
Non l'ho mai letto, ma sappiamo tutti quale fosse il suo contenuto:
una trattazione della meccanica dei sistemi di punti (e dei corpi
rigidi vincolati?) per mezzo di "ccordinate generalizzate", quelle che
da allora si chiamano "coordinate lagrangiane".
Lagrange dimostra che con adeguata scelta di queste, le eq. del moto
del sistema si possono scrivere senza far intervenire le /reazioni
vincolari/, che è un bel vantaggio dato che queste sono in partenza
incognite e bisogna comunque eliminarle "a mano" se si usano le
tecniche standard.
Di più: L. dimostra anche che le dette equazioni (ovviamente
conosciute come "eq. di Lagrange") possono essere ricavate dalla sola
conoscenza di una funzione scalare delle coordinate, delle loro
derivate prime rispetto al tempo, ed eventualmente del tempo
esplicito.
Inutile dire che quella funzione si chiama da tempo "Lagrangiana".
Il nome "meccanica analitica" credo derivi dal fatto che questa
trattazione della meccanica fa uso di tecniche dell'Analisi più
sofisticate (funzioni di più variabili, inversione di tali funzioni,
derivate di funzioni composte...) di quelle necessarie per la
meccanica di Newton-Eulero.
Propongo ora una citazione che illustra pregi e difetti (per un
fisico) della meccanica lagrangiana.
"Si è visto che basta aver fissato un sistema di coordinate
lagrangiane e conoscere l'espressione esplicita della L per arrivare
in modo completamente automatico alle equazioni del moto: le equazioni
di Lagrange forniscono cioè un orientamento preciso sulla strada da
seguire per la risoluzione di un problema di meccanica. Se non si fa
uso di tali equazioni la strada da seguire non è sempre evidente, ed è
più facile cadere in errori; generalmente è poi necessario ricorrere
ad artifici per l'eliminazione delle reazioni vincolari. Da questo
punto di vista è chiaro che le equazioni di Lagrange costituiscono un
aiuto specilamente nei casi più complicati, quando non esistono - o
non sono facimente individuabili - delle "scorciatoie" quali quelle
fornite dai teoremi di cosnervazione, ecc. Un'obiezione ad un uso
troppo estensivo delle equazioni di Lagrange sta nel fatto che queste,
a causa del loro carattere formale, permettono un minor gioco
all'intuizione, rendendo più difficili considerazioni qualitative,
valutazioni grossolane del comportamento del sistema in esame, ecc.;
in definitiva possono incoraggiare una certa forma di pigrizia
mentale. In considerazione di questa possibilità si può dire che la
cosa migliore è sempre il mantenere uno stretto rapporto fra il
procedimento intuitivo e quello sistematico, controllando sempre l'uno
con l'altro, e rimanendo sempre pronti ad utilizzare caso per caso
quello più conveniente."
Chi l'ha scritto? Lo trovate in fondo, nella nota (*) :-)
In seguito la meccanica lagrangiana verrà applicata a numerosi
problemi meccanici, e verrà sviluppata in varie direzioni: la
meccanica hamiltoniana di W.R. Hamilton, i principi variazionali
(Hamilton, Jacobi...) le trasformazioni canoniche...
Un campo di applicazione principe sarà la /meccanica celeste/, dove il
formalismo hamiltoniano sarà alla base del calcolo delle perturbazioni
prodotte al moto di un corpo celeste dall'interazione gravitazionale
con altri corpi.
Alla fine del secolo Poincaré con lo studio del /problema dei tre
corpi/ e col trattato "Les méthodes nouvelles de la mécanique céleste"
fonderà quella che nel secolo successivo diventerà, per opera
soprattutto della scuola russa di Kolmogorov, la /nuova meccanica/.
Tutti questi possono essere considerati sviluppi della meccanica
analitica, che quindi a me pare uno specifico settore di ricerca
nell'ambito della meccanica.
Di un altro sviluppo della mecc. analitica dico dopo.
Venendo alla meccanica razionale, riporto la definizione che ne dà
wikipedia francese:
"La mécanique rationnelle désigne une discipline mathématique visant
à ériger les théories mécaniques dérivées de la mécanique de
Newton (celle-ci incluse):
- la mécanique analytique et la mécanique céleste,
- la mécanique du solide,
- la mécanique des milieux continus, comprenant notamment la théorie de
- l'élasticité et la mécanique des fluides,
- la relativité restreinte,
en un corpus régi par des définitions et des axiomes, de sorte
qu'elles deviennent des sciences hypothético-déductives, susceptibles
de jugements a priori.
Le terme a été forgé par Auguste Comte dans son Cours de philosophie
positive (1830-1842)."
Come si vede, secondo questa accezione la meccanica razionale è
piuttosto un approccio alla meccanica intesa nel senso più generale.
Discutibile la realizzazione del programma, di fare della meccanica
una disciplina ipotetico-deduttiva.
Questo è accaduto solo in parte, mentre la meccanica razionale si è in
realtà caratterizzata soprattuto per un maggior rigore logico e
matematico (rispetto ad es. alle trattazioni tradizionali che si
trovano nei testi di fisica).
Dico ora qualcosa sulla tradizione italiana.
La meccanica razionale ha avuto grande sviluppo in Italia tra fine
'800 e primi anni del '900, grazie a nomi come Marcolongo, Maggi,
Burali-Forti, e soprattutto Levi-Civita.
Ne è seguita una stabilizzazione accademica: insegnamenti di Meccanica
Razionale in tutti i corsi di laurea di Ingegneria, Fisica,
Matematica, dove la m.r. includeva nei suoi programmi all'incirca gli
argomenti che dice wikipedia francese, con la sola esclusione della
relatività.
Questa era certamente la situazione quando ero studente io: a Roma
insegnava m.r. Signorini, allievo di Levi-Civita (ma non alla sua
altezza).
Le lezioni di Signorini erano di una noia mortale per la gran parte
degli studenti, ma io gli sono debitore di una formazione chiara di
molti concetti della meccanica, che nel corso di Fisica Sperimentale
erano trattati in modo molto più aprossimativo.
Sicuramente l'influenza della m.r. si sente ancora nel mio modo di
pensare.
Quanto alla mecc. analitica, in quel corso di m.r. era appena
accennata, anzi se ricordo bene era argomento facoltativo o riservato
ai soli studenti di matematica.
Una ripresa della mecc. analitica si aveva (per i fisici) in Fisica
Teorica, perché la m.a., dopo Heisenberg, era una necessaria base di
partenza per capire la meccanica quantistica.
In effetti tutta la fisica teorica (non solo quantistica) si appoggia
pesantemente sulle idee e sui metodi della m.a.: è vero per la teoria
quantistica dei campi, ma anche per la meccanica statistica, per la
fisica dei solidi, e forse per altro che ora non mi viene in mente.
E' per questo ad es. che nel mio primo insegnamento universitario, nel
'55-'56, la m.a. costituiva una parte importante del mio corso di
Fisica Superiore, insieme alla relatività ristretta e all'elettrom.
avanzato.
Anche in seguito ho avuto occasione più volte d'insegnare m.a., che
era appunto un costituiente essenziale (lo è ancora?) della formazione
del fisico.
(*) E. Fabri, appunti dalle lezioni di Fisica Superiore, A.A. 1955-56.
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Elio Fabri