ho letto qualche pagina, tramite Google Libri,
del saggio "La relatività e la falsa cosmologia"
scritto da Marco De Paoli.
A quanto ho capito, l'autore mette in dubbio
la validità della teoria del Big Bang e, in parte,
la relatività di Einstein.
Ad es., si legge che la contrazione delle lunghezze
non sarebbe "effettiva", ma dovuta alla nostra "percezione"
della realtà...
Insomma, avete letto questo libro? Che ne pensate?
Ho scorso molto rapidamente alcune delle pagine che si possono leggere su
google libri.
L'impressione che ne ho avuto e' che l'autore non abbia capito la
relativita'. Per essere ancora piu' preciso, la mia impressione e' che
l'autore non abbia capito proprio uno dei punti di base della relativita'
(si potrebbe anche dire *il* punto di base) e cioe' che alla parola "tempo"
non possiamo dare alcun significato finche' non ne diamo una definizione
operativa.
--
Bruno Cocciaro
--- Li portammo sull'orlo del baratro e ordinammo loro di volare.
--- Resistevano. Volate, dicemmo. Continuavano a opporre resistenza.
--- Li spingemmo oltre il bordo. E volarono. (G. Apollinaire)
Non ho letto il libro, ma l'affermazione sulla "contrazione delle
lunghezze" (e si dovrebbe aggiungere la "dilatazione dei tempi") non
sembra sbagliata e non mette in dubbio per nulla la relatività di
Einstein.
Nella relatività speciale infatti lo spazio e il tempo sono uniti a
formare lo spazio-tempo a quattro dimensioni.
Prova a pensare alla posizione di due punti su di un piano cartesiano:
c'è una differenza tra le coordinate x e una tra le coordinate y. Se fai
ruotare gli assi cartesiani, cambiano i valori di queste differenze, ma
la distanza tra i punti rimane ovviamente la stessa.
In relatività le cose funzionano in modo analogo, solo che i "punti" non
hanno solo coordinate spaziali ma anche temporali, e vengono detti
"eventi". Sono individuati non solo da un "dove", ma anche da un
"quando", rispetto naturalmente a un certo riferimento. Quando però si è
in movimento rispetto al riferimento precedente in un certo senso è come
se gli assi del riferimento (pseudo)cartesiano ruotassero, e questo fa sì
che sia la distanza tra i "punti" sia il tempo che trascorre tra due
"istanti" appaiono diversi.
Rimane però sempre costante la quantità (spazio)^2-(tempo)^2, la vera
"distanza al quadrato", che a differenza del quadrato di una distanza
spaziale nello spazio euclideo può essere positiva, nulla o negativa.
Nel primo caso è in teoria possibile, muovendosi con velocità opportuna,
fare in modo che gli eventi appaiano contemporanei, o che uno dei due
preceda o segua l'altro; nel terzo caso è in teoria possibile fare in
modo che i due eventi si verifichino nella stessa posizione ma in tempi
diversi: non potrò però invertire la loro sequenza; nel secondo caso
infine si tratta di eventi che possono essere messi in relazione da un
segnale luminoso, e questo in qualunque sistema di riferimento li si
consideri.
Sperando di aver colto il senso della domanda,
ciao.
--
Il popolo ha scelto Barabba.
> Insomma, avete letto questo libro? Che ne pensate?
Letto (tutto). Un florilegio di puttanate. L'autore non capisce nulla di
fisica (lo so per certo!). Per quanto riguarda la matematica, e`
arrivato fino alla soglia del calcolo infinitesimale.
In uno spassoso passaggio, spiega l'errore che commette Einstein quando
parla della pallina che il viaggiatore lascia cadere dal finestrino del
treno e che il viaggiatore vede cadere verticalmente, mentre una persona
ferma sulla banchina la vede percorrere una traiettoria parabolica.
Einstein evidentemente sbaglia perche' si e` dimenticato di tenere conto
dell'effetto dell'aria.
E` uno dei tanti che non ha capito nulla di quello di cui parla, ma ne
parla ugualmente :(. Bisogna dire che e` in buona compagnia, gia` altri
filosofi lo hanno preceduto su questa strada.
--
Franco
Wovon man nicht sprechen kann, darüber muß man schweigen.
(L. Wittgenstein)
Buongiorno,
sono l'autore del libro e se mi si consente potrei dire in breve due
parole al riguardo.
Ad Agonistes dico: sì, la contrazione delle lunghezze (come la
dilatazione dei tempi) deve essere correttamente intesa non come
realtà ontologica ma come effetto di rilevazione e misurazione
condizionata dallo stato di quiete o di moto relativo
dell'osservatore. Si potrebbe anche parlare di "percezione della
realtà", ma è preferibile evitare un'espressione che può essere
equivoca: infatti questa percezione non è meramente sensoriale e
soggettiva, in quanto deve necessariamente apparire tale anche alla
rilevazione matematica. Ciò non equivale ad un diniego della teoria
della relatività, ma ad una sua corretta lettura. L'intervento di
Lefthand è stato al riguardo chiarificatore. Vorrei dunque dire a
Bruno Cocciaro che una definizione operativa di tempo (nel senso di
Bridgman) è lecita in campo scientifico, ma a condizione appunto che
non si confonda tale nozione operativa con il tempo reale: proprio
onde evitare questa confusione, foriera di paradossi, verte la
precisazione di cui sopra sul tempo relativo come effetto di misura
condizionato dalla posizione del soggetto.
A Franco, che con un tocco di classe signorile dice che il mio libro
è un "florilegio di puttanate" e che "sa per certo" che io al riguardo
non so nulla, dico solo che chi critica in questi termini può
conoscere il proprio campo specifico (e magari insegnare Elettronica
in un Politecnico) e ciononostante essere straordinariamente limitato
in tutto il resto (relatività compresa). Lo "spassoso passaggio"
dimostra un uso logico scorretto nell'argomentazione di Einstein:
anche il viaggiatore vede la pallina cadere a forma
approssimativamente parabolica.
Infine devo precisare che il mio libro, che richiede una lettura non
frammentaria, non è più quello leggibile su Google: ne è uscita (2008)
una seconda edizione molto ampliata e da pochi mesi la traduzione
francese (Paris 2009, L'Harmattan), con ulteriori approfondimenti
(oltre 200 pagine aggiunte). Non dico questo per esortare
all'acquisto: chi è interessato, può trovare il libro in alcune
biblioteche e richiederlo in prestito.
Con cordialità
Marco de Paoli
>
> Buongiorno,
>
> sono l'autore del libro e se mi si consente potrei dire in breve due
> parole al riguardo.
> Con cordialit
> Marco de Paoli
Ho dato anche io un'occhiata la suo libro (cercandone parti su
internet), e da esperto di relatività, fisica e matematica
relativistica, docente universitario su tali argomenti e ricercatore
su tali argomenti, concordo con l'opinione di Franco sul suo libro
(anche se io non avrei usato gli stessi termini). Aggiungo che, se mi
devo basare su quello che scrive sul libro, devo concludere che lei di
fisica relativistica e di fisica in generale, non abbia capito molto.
Può essere poco signorile, ma è la "verità" di un addetto ai lavori.
Poi lei è libero di pensare che io, i miei colleghi fisici, Einstein
incluso, non abbiano capito molto o nulla della teoria della
relatività. E non creda che io non pensi che la critica, da ambienti
filosofici, alla fisica non sia interessante oppure che sia inutile
(esistono studi molto seri ed interessanti da parte di filosofi
analitici su tali argomenti
http://plato.stanford.edu/search/searcher.py?query=relativity ).
Penso semplicemente che per criticare la fisica,classica
relativistica, quantistica, da qualsiasi punto di vista bisogna, prima
di tutto, avere capito di cosa si parli, altrimenti si rischia solo di
fare una brutta figura...
Bruno Cocciaro, con il quale sono in spesso in disaccordo su alcune
questioni fondazionali della relatività, ha una conoscenza degli
aspetti critici della relatività che il tuo libro non sfiora nemmeno
lontanamente. Lei dimostra, nelle prime pagine di non avere nemmeno
capito cosa si intenda con spazio e tempo assoluto, proponendo una
serie notevole di non sequitur; molte delle critiche, infondate, che
lei muove alla relativizzazione dello spazio e del tempo, si possono
riferire alla relatività galieliana (pagina 18), mi pare che solo la
la teoria dei luoghi naturali di Aristotele possa superare le sue
critiche. Nella migliore delle ipotesi non si è espresso bene, usando
termini comuni al posto di termini propri della fisica, nella peggiore
non ha proprio capito niente di cinematica classica e relativistica e
non riesco proprio ad immaginare chi possa capire qualcosa dalla sua
critica, per come è scritta...
senza entrare nel merito del contenuto.
Saluti,
Valter Moretti
Dipartimento di Matematica - Università di Trento
> Buongiorno,
>
> sono l'autore del libro e se mi si consente potrei dire in breve due
> parole al riguardo.
Prima cosa, permettimi di passare al tu. Qui usiamo tutti il tu. Non so se
sei nuovo dei newsgrups, ma qua e' una specie di regola. Tu naturalmente
regolati come meglio credi, semplicemente volevo dirti, qualora non lo
sapessi gia', che, in questo contesto, l'uso del tu, anche rivolgendosi ad
un utente che non si conosce, non ha assolutamente niente di irriguardoso.
> Vorrei dunque dire a
> Bruno Cocciaro che una definizione operativa di tempo (nel senso di
> Bridgman) è lecita in campo scientifico, ma a condizione appunto che
> non si confonda tale nozione operativa con il tempo reale
La definizione operativa di tempo e' questa:
si prende uno strumento di misura chiamato orologio (sorvoliamo su questioni
"tecniche", questioni da semplici "scienziati", certo non da "sapienti",
come ad esempio il chiedersi come facciamo per assegnare ad un certo
strumento di misura l'appellativo di "orologio"). Facciamo partire lo
strumento simultaneamente all'evento A, poi lo stoppiamo simultaneamente
all'evento B. Chiamiamo la misura effettuata dallo strumento *intervallo di
tempo* fra gli eventi A e B.
Il "tempo reale", quello che non va confuso con il tempo definito
operativamente, che cos'e' ?
Ha qualcosa a che fare con i risultati delle misure effettuate con gli
orologi?
> proprio
> onde evitare questa confusione, foriera di paradossi, verte la
> precisazione di cui sopra sul tempo relativo come effetto di misura
> condizionato dalla posizione del soggetto.
Io non vedo alcun paradosso. Non conosco nessuno, fra chi ritengo essere
conoscitore dell'argomento, che abbia coscienza di un qualche paradosso
associato alla relativita'.
Ho la fortissima sensazione che a te non sia affatto chiaro cosa sia il
"tempo relativo come effetto di misura condizionato dalla posizione del
soggetto".
A mio avviso e' impossibile prendere piena coscienza di cosa sia il "tempo
relativo" di cui si parla in relativita', senza considerare l'analisi acuta
che ha fatto Reichenbach. Ad esempio ne trovi un'esposizione abbastanza
dettagliata nel saggio che Reichenbach manda per il volume "Albert Einstein:
scienziato e filosofo", la traduzione italiana della Boringhieri degli anni
80 compare con il titolo "Autobiografia scientifica", in alcune biblioteche
si trova anche la traduzione precedente della Einaudi che e' migliore. Di
certo comunque quel saggio non e' affatto sufficiente. Andrebbe letto dopo
aver chiarito aspetti "tecnici" di centrale importanza, come, ad esempio,
come si arriva alle trasformazioni di Lorentz.
Quando Valter dice che il tuo libro non sfiora nemmeno lontanamente aspetti
critici della relativita', si sta riferendo, con ogni probabilita', proprio
all'analisi che ha avuto origine da Reichenbach.
> Con cordialità
> Marco de Paoli
Ciao.
> Quando Valter dice che il tuo libro non sfiora nemmeno lontanamente aspetti
> critici della relativita', si sta riferendo, con ogni probabilita', proprio
> all'analisi che ha avuto origine da Reichenbach.
Certo, mi riferivo proprio a quel tipo di analisi, iniziata con
Reichenbach, che conosco abbastanza, ed a tutti i risvolti moderni
trattati anche da parte della filosofia analitica di stampo
anglosassone.
Ciao, Valter
Io ho fatto come te, nel senso che incuriosito sono
andato su google libri. Ma solo per capire, ᅵ un
libro che vorrebbe essere di fisica o di filosofia?
Da una rapida scorsa non vedo nemmeno una formula...
--
Computer multitasking: oggetto che
puᅵ essere messo fuori uso da piᅵ
persone contemporaneamente.
"Valter Moretti" <vmor...@hotmail.com> ha scritto nel messaggio
news:19a894f8-d97c-4377...@q16g2000yqq.googlegroups.com...
Ti posso assicurare che è così anche in Italia, non solo nei paesi
anglosassoni. Ora non trovo più il riferimento, ma c'è un sito in cui sono
raccolte le lezioni di un docente universitario sull'argomento tempo. La
trattazione della relatività del novecento è ampia e ben strutturato.
Ovviamente, non trattandosi di un corso di filosofia della scienza,
l'argomento è inserito in un contesto più ampio, dove i piani sono però ben
separati (con ciò che non è sostanzialmente fisica). I temi che tu hai
indicato, sono tutti trattati in modo esauriente. Ma non è l'unico in
Italia: in genere chi si occupa di queste cose lo fa con cognizione e nel
contesto di ricerche che durano a lungo. Quanto poi possa rimanere agli
studenti non saprei...
"Bruno Cocciaro" <b.coc...@comeg.it> ha scritto nel messaggio
news:4ba3c1a2$0$1112$4faf...@reader4.news.tin.it...
> "mdp" <marcod...@yahoo.it> ha scritto nel messaggio
> news:053ab165-ea1b-4809...@t20g2000yqe.googlegroups.com...
>
>> Buongiorno,
>>
>> sono l'autore del libro e se mi si consente potrei dire in breve due
>> parole al riguardo.
>
> La definizione operativa di tempo e' questa:
> si prende uno strumento di misura chiamato orologio (sorvoliamo su
> questioni
> "tecniche", questioni da semplici "scienziati", certo non da "sapienti",
> come ad esempio il chiedersi come facciamo per assegnare ad un certo
> strumento di misura l'appellativo di "orologio"). Facciamo partire lo
> strumento simultaneamente all'evento A, poi lo stoppiamo simultaneamente
> all'evento B. Chiamiamo la misura effettuata dallo strumento *intervallo
> di
> tempo* fra gli eventi A e B.
>
> Il "tempo reale", quello che non va confuso con il tempo definito
> operativamente, che cos'e' ?
> Ha qualcosa a che fare con i risultati delle misure effettuate con gli
> orologi?
>
E' la prima domanda che mi sono posto anch'io: cosa intenderà con tempo
reale? Permettimi di dirti, senza voler far polemica, che a volte il tuo
atteggiamento è davvero irritante (semplici scienziati, sapienti), molto
peggio che se scrivessi: "florilegio di puttanate", perché c'è quella vena
di sarcasmo che trasuda disprezzo, ma che è ben dissimulata dietro una
patina di buone maniere.
Ripeto, senza voler fare polemica, altrimenti ti avrei dato dello s...zo e
basta :-) :-)
> Prima cosa, permettimi di passare al tu. Qui usiamo tutti il tu. Non so se
> sei nuovo dei newsgrups, ma qua e' una specie di regola.
Grazie a Bruno Cocciaro,
e d'accordissimo sul darci del tu (essendo new entry non sapevo
esattamente della regola, pur intuendola). Finalmente, dopo la
pesantezza plumbea degli ultimi due interventi, vedo che ora si
discute.
Nel risponderti, cerco di approfondire un poco quanto ho già detto
in una lettera (un po' stizzita, certo, ma non nei tuoi confronti)
ancora non pubblicata ma nel frattempo superata da questa mia
nuova.
Naturalmente conosco tutti i non facili testi sulla relatività
(compresi testi "minori" quasi introvabili) di Reichenbach, che cito
nel mio testo (certo se vi si dà solo un'"occhiata" la cosa può
sfuggire). Al riguardo invero conosco anche i testi di Schlick, nonché
testi oggi desueti come quello di Cassirer (tr. it. 1973). E penso che
tu conoscerai "Gli orologi di Einstein, le mappe di Poincaré" di
Galison (tr. Cortina).
Detto questo, devo però aggiungere che in questi testi (validissimi
quelli dei primi tre autori nominati) non ho trovato risposta al
problema che io pongo che (senza sottovalutare le questioni tecniche,
senza cui oggi non v'è scienza) è forse ancora più difficile di una
questione tecnica.
Questo problema riguarda la differenza fra il tempo misurabile della
fisica e il tempo reale. Mi è abbastanza chiara la definizione
operativa di tempo (ma perché dovete sempre pensare che, se uno si
muove in un altro quadro interpretativo, sia solo e unicamente perché
non ha capito?): tu lo riassumi, e si può definirlo come una misura
risultante entro date coordinate in base alla posizione di quiete o di
moto relativa dell'osservatore. Tutto ciò che produce una scansione
regolare può essere considerato come un orologio, dal numero di giri
della lavatrice al battito cardiaco alla frequenza di emissione di un
atomo. Einstein ha usato il tempo di percorrenza della luce,
considerato come un valore costante nella teoria ristretta. Ma se noi
identifichiamo la misura del tempo con il tempo (che non sembra
misurabile senza reintrodurre le coordinate e la posizione del
soggetto) ne emergono quelle che io ritengo conseguenze paradossali:
un universo totalmente deterministico (che già Popper contestava ad
Einstein) in cui in linea di principio diventa possibile l'inversione
e la retroazione temporale, ovvero diventa possibile l'impossibile
(quantomeno finché vale la nozione di irreversibilità, dalla
termodinamica a Prigogine). Il "cono di Einstein" potrebbe essere al
riguardo un diagramma ingannevole.
Sono problemi sicuramente grandi, con implicazioni scientifiche per
quanto non solo di tipo scientifico, che non si possono risolvere qui
in poche righe. Ma che tuttavia vanno posti.
Con un saluto
Marco de Paoli
> Permettimi di dirti, senza voler far polemica, che a volte il tuo
> atteggiamento è davvero irritante (semplici scienziati, sapienti), molto
> peggio che se scrivessi: "florilegio di puttanate", perché c'è quella vena
> di sarcasmo che trasuda disprezzo, ma che è ben dissimulata dietro una
> patina di buone maniere.
> Ripeto, senza voler fare polemica, altrimenti ti avrei dato dello s...zo e
> basta :-) :-)
Dici che "a volte il mio atteggiamento e' ..."; mi vene da pensare a quali
potrebbero essere le altre volte. Ci saranno di sicuro, ma, almeno a mia
coscienza, sono situazioni analoghe a questa segnalata da te.
Certo che c'e' quella vena di sarcasmo. Disprezzo pero' e' una parola un po'
grossa, io ne avrei usata un'altra, ma non e' poi tanto importante la parola
che avrei usato io.
In generale non mi va di essere trattato con sufficienza. E, quando mi pare
di vedere un tale atteggiamento nel mio interlocutore, provo a ripagarlo con
la stessa moneta, il piu' possibile identica cosi' che sia chiaro, come
dire, chi e' che ha cominciato. In sostanza, se uno si presenta dicendo che
distingue fra sapienti e scienziati (essendo i primi di categoria
superiore), io gli rispondo che sto sorvolando su questioni "poco
importanti", da "semplici scienziati", non da "sapienti".
Ritengo peraltro che chiunque abbia diritto ad esprimere il proprio parere,
anche quando questo potrebbe sembrare irriguardoso nei confronti di altri.
Insomma, De Paoli ha tutto il diritto di ritenere degna di considerazione la
distinzione fra sapienti e scienziati, e finche' esprime la sua opinione in
maniera non offensiva, almeno non direttamente offensiva, come in effetti
fa, non lo si puo' certo biasimare per questo. Pero' immagino che lo stesso
De Paoli possa aspettarsi risposte "venate di sarcasmo" da parte di chi
farebbe parte della "categoria inferiore".
Il passo di De Paoli al quale mi sto riferendo, quello in cui parla di
scienza e sapienza, e' nella premessa del suo libro:
http://books.google.it/books?id=eCdD6JNpWIkC&printsec=frontcover&source=gbs_v2_summary_r&cad=0#v=onepage&q=&f=false
"Certo noi rifiutiamo di assolutizzare la scienza vedendo in essa il culmine
e il vertice della conoscenza umana, secondo le vecchie - e queste si',
anacronistiche - procedure scientiste o positivistiche, e facciamo nostra la
classica distinzione fra *filosofia prima* e *filosofia seconda* o fra
*sapientia* e *scientia*: pero' amiamo il pensiero scientifico e nella
autentica grande *scientia* vediamo una effettiva e reale conoscenza del
mondo per quanto parziale e comunque per propria natura non tale da elevarsi
alla *sapientia*."
Vorrei aggiungere qualcosa invece, come esempio, dato che lei ha
scritto che io avrei fatto affermazioni apodittiche, in modo tale che
tutti possano farsi un'idea del contenuto del libro.
A pagina 82 del suo libro discutendo della natura generale del moto
(prescindendo dalla relatività einsteiniana), lei conclude con queste
parole che dimostrano, secondo me, quanto lei sia familiare con le
idee fondamentali della fisica classica elementare. Ho volutamente
staccato una frase dal testo e l'ho inserita tra due * * perché è,
secondo me, emblematica del suo punto di vista. Ecco quanto lei
scrive.
<<Siccome noi in molti casi abbiamo difficoltà a definire se un corpo
sia in moto o meno senza riferirlo a un sistema di riferimento,
*siccome in taluni casi dobbiamo riferirci a un corpo B per capire se
A rispetto a B sia in movimento* allora usiamo dei sistemi di
riferimento: ma questo non significa che il moto sia relativo e che
non esista un moto assoluto. In realtà tutti i moti sono assoluti: un
movimento è sempre in sé e i quanto tale un moto assoluto, anche se
noi per definirlo e misurarlo abbiamo bisogno di relativizzarlo
rapportandolo a un sistema di riferimento.>>
A mio parere, non ha alcun senso discutere di relatività einsteniana
se uno non ha chiaro i concetti elementari di cinematica della fisica
classica. E con le affermazioni di sopra non mi sembra che lei abbia
molta chiarezza su tali temi di meccanica classica elementare.
Veniamo però alla relatività einsteniana, argomento centrale del suo
libro. Lei "spiega" in questo modo il fenomeno del "rallentamento"
degli orologi. A pagina 52. (L'orologio B, nel suo schema, è in moto
ad altissima velocità rispetto all'orologio A.)
<<Quindi non è che l'orologio B vada più lento alle alte velocità: è
che il segnale luminoso inviato da B a A, dovendo percorrere un lungo
cammino, impiega un certo tempo nel giungere ad A che registra questo
maggior tempo come un rallentamento dell'orologio B. Questo appare
alla rilevazione equivalente a un rallentamento, ma in realtà
l'orologio non ha rallentato.>>
Quindi, seguendo il suo ragionamento, il rallentamento degli orologi
si avrebbe anche in fisica classica? (senza le trasformazioni di
Lorentz). A leggere quanto scrive sopra, sembrerebbe che lei voglia
fare intendere che Eistein fosse un ingenuo e che tutti i fisici siano
altrettanto ingenui, dato che non hanno mai capito che la ragione
ultima del fenomeno è davvero cosa così ovvia.
Quello che mi irrita del suo libro è un certo atteggiamento arrogante
che talora affiora e si esplicita in una malcelata ironia
sull'ingenuità degli scienziati...
Valter Moretti
PS. Bruno Cocciaro non è "mio amico", nel senso che non ci conosciamo
personalmente, ma abbiamo solo fruttuosamente discusso tante volte qui
sopra. Non volevo affatto difenderlo (e non credo proprio che ce ne
sia bisogno), volevo solo dire quello che ho detto senza secondi fini.
Malgrado lei non ci crederà e pensi probabilmente che io agisca in
modo corporativo o interessato, a me invece preme solo di chiarire il
mio giudizio sul suo libro, per amore della conoscenza e basta, dato
che sono uno scienziato... magari non un "sapiente" come vorrebbe lei.
> Ti posso assicurare che č cosě anche in Italia, non solo nei paesi
> anglosassoni. Ora non trovo piů il riferimento, ma c'č un sito in cui sono
> raccolte le lezioni di un docente universitario sull'argomento tempo. La
> trattazione della relativitŕ del novecento č ampia e ben strutturato.
> Ovviamente, non trattandosi di un corso di filosofia della scienza,
> l'argomento č inserito in un contesto piů ampio, dove i piani sono perň ben
> separati (con ciň che non č sostanzialmente fisica). I temi che tu hai
> indicato, sono tutti trattati in modo esauriente. Ma non č l'unico in
> Italia: in genere chi si occupa di queste cose lo fa con cognizione e nel
> contesto di ricerche che durano a lungo. Quanto poi possa rimanere agli
> studenti non saprei...
Ciao, hai ragione, basta aprire alcune parti del testo di "Filosofia
della Fisica" a cura di G. Boniolo, per rendersi conto che anche in
Italia c'č qualcuno che si occupa, con competenza, di filosofia della
fisica (molti, probabilmente la maggior parte, sono fisici di
formazione).
Purtroppo perň queste persone sono una minoranza in Italia. Mio
fratello ha studiato filosofia (della scienza) in Italia, in varie
sedi (Genova, Pisa, Firenze) prima di passare al monmdo anglosassone
(Londra), per cui conosco un po' la situazione italiana ed anche
quella all'estero. Ora mio fratello č lecturer in Scozia ad
Aberdeen... Lui č, al contrario di me, uno dei tanti "cervelli in
fuga"... ma ha girato mezzo mondo per una decina di anni (Germania,
UK, Australia, USA), prima di approdare in Scozia, per cui mi sono
fatto un'idea, tramite le discussioni con lui e, principalmente,
tramite la montagna di testi sull'argomento (in lingua inglese) che
esiste nella nostra casa materna.
Ciao, Valter
"Valter Moretti" <vmor...@hotmail.com> ha scritto nel messaggio
news:8a45dae8-e79d-44cf...@q23g2000yqd.googlegroups.com...
> On 22 Mar, 08:18, "Peter11" <n...@none.it> wrote:
>
>> Ti posso assicurare che è così anche in Italia, non solo nei paesi
>> anglosassoni. Ora non trovo più il riferimento, ma c'è un sito in cui
>> sono
>> raccolte le lezioni di un docente universitario sull'argomento tempo. La
>> trattazione della relatività del novecento è ampia e ben strutturato.
>> Ovviamente, non trattandosi di un corso di filosofia della scienza,
>> l'argomento è inserito in un contesto più ampio, dove i piani sono però
>> ben
>> separati (con ciò che non è sostanzialmente fisica). I temi che tu hai
>> indicato, sono tutti trattati in modo esauriente. Ma non è l'unico in
>> Italia: in genere chi si occupa di queste cose lo fa con cognizione e nel
>> contesto di ricerche che durano a lungo. Quanto poi possa rimanere agli
>> studenti non saprei...
>
> Ciao, hai ragione, basta aprire alcune parti del testo di "Filosofia
> della Fisica" a cura di G. Boniolo, per rendersi conto che anche in
> Italia c'è qualcuno che si occupa, con competenza, di filosofia della
> fisica (molti, probabilmente la maggior parte, sono fisici di
> formazione).
Boniolo è "entrambe" le cose, nel senso che è laureato sia in fisica che in
filosofia. E' un percorso abbastanza comune per chi si specializza in
filosofia della scienza.
Questo l'ha scritto un filosofo "puro". Se ti va, prova a dare un'occhiata,
magari dal punto 4 in poi dove è più "tecnico" (se hai tempo e ti va leggilo
tutto, perché nella prima parte vengono fatte considerazioni
sull'impostazioni filosofiche di Einstein). Ecco, se lo leggi sarei curioso
di conoscere il tuo parere.
http://www.episteme.formazione.unimib.it/file_utente/laudisa/File/Filosofia%20e%20conoscenza%20scientifica%20nel%20pensiero%20di%20Einstein.pdf
> Purtroppo però queste persone sono una minoranza in Italia. Mio
> fratello ha studiato filosofia (della scienza) in Italia, in varie
> sedi (Genova, Pisa, Firenze) prima di passare al monmdo anglosassone
> (Londra), per cui conosco un po' la situazione italiana ed anche
> quella all'estero. Ora mio fratello è lecturer in Scozia ad
> Aberdeen... Lui è, al contrario di me, uno dei tanti "cervelli in
> fuga"... ma ha girato mezzo mondo per una decina di anni (Germania,
> UK, Australia, USA), prima di approdare in Scozia, per cui mi sono
> fatto un'idea, tramite le discussioni con lui e, principalmente,
> tramite la montagna di testi sull'argomento (in lingua inglese) che
> esiste nella nostra casa materna.
Mah, vero. Noi abbiamo avuto qualche problemuccio con l'impostazione
filosofica dei primi decenni del secolo scorso, che hanno separato
nettamente i piani. E' un retaggio che ci portiamo ancora dietro adesso,
forse.
> Ciao, Valter
> Questo l'ha scritto un filosofo "puro". Se ti va, prova a dare un'occhiata,
> magari dal punto 4 in poi dove è più "tecnico" (se hai tempo e ti va leggilo
> tutto, perché nella prima parte vengono fatte considerazioni
> sull'impostazioni filosofiche di Einstein). Ecco, se lo leggi sarei curioso
> di conoscere il tuo parere.http://www.episteme.formazione.unimib.it/file_utente/laudisa/File/Fil...
Ciao, ho letto un po' velocemente perché devo andare a fare lezione.
Però mi pare scritto bene. L'autore è della scuola dei logici
quantistici? (Dalla Chiara Univ. Firenze).
L'unico appunto è il seguente, sempre che io abbia capito bene la tesi
(che mi pare di condividere). Alla fine l'autore sostiene che Bell nel
1964 ha dimostrato che non si possa sostenere l'incompletezza
preservando la località. Io direi che Bell abbia trovato una procedura
sperimentabile per poter scegliere tra le due alternative, o meglio
per testare la località (il discorso sulla completezza è molto
subdolo). La conferma nella caduta della località nei processi di
misura quantistici si è avuta da parte di sperimentatori (Aspect ed il
suo gruppo prima di tutti) negli anni successivi e gli esperimenti si
continuano a fare (e ci sono fisici non ancora convinti, come
Selleri). La questione mi ricorda un fatto. Una volta Accardi è venuto
nel mio dipartimento a fare un seminario nel quale, tra le altre cose,
molto aggressivamente sosteneva (se ricordo bene) che in realtà non è
vero che Bell si occupasse della località e (sempre se ricordo bene)
che la parola "località" non appare mai nell'articolo fondamentale di
Bell. Purtroppo a quel punto è nata un'accesissima discussione (e io
ero uno dei partecipanti) e la cosa è un po' degenerata facendo
deragliare il seminario, per altro affollatissimo. Mi sarebbe piaciuto
approfondire la questione. Io comunque credo che, alla prova
sperimentale, la località sia il personaggio che esca morto dalla
discussione basata sulla critica EPR.
Ciao, Valter
> Ma se noi
> identifichiamo la misura del tempo con il tempo (che non sembra
> misurabile senza reintrodurre le coordinate e la posizione del
> soggetto)
A me sembra misurabilissimo senza che si reintroducano queste cose:
tengo un orologio in mano e lo guardo. Non ho bisogno di coordinate. Le
*relazioni* tra i tempi degli osservatori le richiedono, ma queste
richiedono necessariamente una definizione operativa.
In ogni caso, non hai ancora detto che cos'e` il vero tempo. E'
misurabile? Si direbbe di no, se no ricadi nella tua stessa critica. Se
non e' misurabile, che relazione ha con la Fisica, che tratta di cose
misurabili?
> ne emergono quelle che io ritengo conseguenze paradossali:
> un universo totalmente deterministico
Non vedo proprio come: le misure temporali sono cinematica, il
determinismo e' una proprieta' della dinamica. E la meccanica di Newton
e' deterministica nonostante assuma il tempo e lo spazio assoluti.
Dovresti poi anche spiegare come mai si possa formulare una disciplina
non deterministica come la Meccanica Quantistica anche identificando il
"tempo" col "tempo misurato", cosa che critichi.
> in cui in linea di principio diventa possibile l'inversione
> e la retroazione temporale
No, nella Relativita' non e' possibile.
> anche il viaggiatore vede la pallina cadere a forma
> approssimativamente parabolica.
In assenza di attrito? No di certo.
> Selleri che
> mi ha inviato critiche non disgiunte da apprezzamenti, Vittorio Banfi,
> docente di astrodinamica e autore di libri sulla relatività che ha
> presentato e recensito un mio libro, Halton Arp, uno dei massimi
> astrofisici contemporanei che mi ha inviato un messaggio benaugurante,
Sarebbe interessante sapere che cosa dicono esattamente questi signori.
Non sarebbe la prima volta che espressioni di cortesia vengono
scambiate, da una persona un po' troppo ansiosa di farsi apprezzare,
come segnali di consenso.
> > Selleri che
> > mi ha inviato critiche non disgiunte da apprezzamenti, Vittorio Banfi,
> > docente di astrodinamica e autore di libri sulla relatività che ha
> > presentato e recensito un mio libro, Halton Arp, uno dei massimi
> > astrofisici contemporanei che mi ha inviato un messaggio benaugurante,
>
> Sarebbe interessante sapere che cosa dicono esattamente questi signori.
> Non sarebbe la prima volta che espressioni di cortesia vengono
> scambiate, da una persona un po' troppo ansiosa di farsi apprezzare,
> come segnali di consenso.
Scusa ma in fondo non importa: non credo che vogliamo metterci a
discutere usando principi di autorità... E poi Selleri e Arp... non
potrei proprio dire che siano "autorità" del loro campo (non conosco
Banfi). Sono fisici "eretici", sostengono cose a volte interessanti e
sicuramente controverse, fuori dal coro, e da un certo punto di vista
fanno anche bene per tenere aperta l'attenzione su strade alternative,
ma questo cosa c'entra con le affermazioni, a mio parere confuse ed
erronee, contenute nel libro? Niente.
Ciao, Valter
> Detto questo, devo però aggiungere che in questi testi (validissimi
> quelli dei primi tre autori nominati) non ho trovato risposta al
> problema che io pongo che (senza sottovalutare le questioni tecniche,
> senza cui oggi non v'è scienza) è forse ancora più difficile di una
> questione tecnica.
> Questo problema riguarda la differenza fra il tempo misurabile della
> fisica e il tempo reale.
Te lo ha gia' fatto notare Enrico: parli di "tempo reale" ma non e' affatto
chiaro cosa tu vorresti intendere con quelle parole. E, in tutta sincerita',
io ritengo proprio che chi ha studiato e compreso la relativita', nel
leggere queste tue frasi, abbia chiarissima l'impressione che tu ignori
totalmente la *base* della relativita'.
Se tu non ignorassi tale base non ti avventureresti in critiche tipo "ne
vengono fuori questi paradossi ... inversione temporale ... i buchi neri
..." prima di fermarti a chiarire il punto.
Quel punto sarebbe di gran lunga il centro del tuo intervento. Tutto il
resto sarebbe assolutamente trascurabile.
Se tu avessi ragione su quel punto allora la questione sarebbe chiusa: la
relativita' sarebbe morta perche' minata alla base.
E allora perche' perdersi in discorsi largamente di secondo piano sorvolando
allegramente sul nocciolo del discorso? Capisci perche' dai l'impressione,
almeno la dai a me, di non aver capito la base della relativita' ?
Poi potra' anche darsi che in qualche parte del tuo libro compaia la
spiegazione di cosa tu intendi con le parole "tempo reale", ma il fatto che
tu ancora non abbia spiegato qui cosa intendi con quelle parole lascia
trasparire chiaramente che non sospetti che quella sarebbe stata la critica
che avresti ricevuto prima di ogni altra da chi conosce la relativita'. E
quale altro motivo potrebbe esserci nel non sospettare cio' se non quello
che non si ha chiara coscienza di quale pilastro della relativita' si
vorrebbe demolire?
> Con un saluto
> Marco de Paoli
Ciao.
> In sostanza, se uno si
> presenta dicendo che distingue fra sapienti e scienziati (essendo i
> primi di categoria superiore)
Ah, la critica crociana :-/
> "Certo noi rifiutiamo di assolutizzare la scienza vedendo in essa il
> culmine e il vertice della conoscenza umana, secondo le vecchie - e
> queste si', anacronistiche - procedure scientiste o positivistiche, e
> facciamo nostra la classica distinzione fra *filosofia prima* e
> *filosofia seconda* o fra *sapientia* e *scientia*: pero' amiamo il
> pensiero scientifico e nella autentica grande *scientia* vediamo una
> effettiva e reale conoscenza del mondo per quanto parziale e comunque
> per propria natura non tale da elevarsi alla *sapientia*."
Questo mi fa pensare a quanto scritto su argomenti scientifici da
"sapienti" come Fichte o Hegel, ad esempio certe pagine nelle quali Hegel
dà praticamente dell'incompetente o del truffatore a Newton!
"Archaeopteryx" <cor.bonukFANCULOSPAM@libero_NOMAIL_.it> ha scritto nel
messaggio news:4ba2778f$0$1112$4faf...@reader2.news.tin.it...
> Il 13/03/2010 4.32, agonistes^ ha scritto:
>> Insomma, avete letto questo libro? Che ne
>> pensate?
>
> Io ho fatto come te, nel senso che incuriosito sono
> andato su google libri. Ma solo per capire, è un
> libro che vorrebbe essere di fisica o di filosofia?
> Da una rapida scorsa non vedo nemmeno una formula...
>
> --
> Computer multitasking: oggetto che
> può essere messo fuori uso da più
> persone contemporaneamente.
Leggiti il libro di Cassani sulla toc, che lì di formule ne trovi quante ne
vuoi :-)
> Ora, io ho molta pazienza, sono una persona garbata e gentile, ma alla
> fine verrebbe veramente da dire con Totò: ma mi faccia il piacere!
> Marco
> de Paoli
Ciao Marco
Avrei anche io intenzione di leggere il tuo libro, ne ho letto solo i
pezzi su google.
Cosi' mi verrebbe da farti delle domande. Ho intuito il tuo punto di
vista, sostanzialmente nel tuo libro sei molto piu' ontologico che
fisico (nel senso stretto del termine).
Mi piacciono particolarmente 2 o 3 interventi (tipo pag. 45, 22....ed
altri)
[utilizzero' il termine fotone per riferirmi alla luce nel caso in cui
le si dia la caratteristica di "ente luminifero"]
Come si giustifica (a parer tuo) il fatto che queste 2 frasi sono
differenti(se lo sono):
-)Misurare la velocita' di un fotone che mi viene addosso;
-)Misurare la velocita' della <<sorgente>> da cui il fotone mi sta
venendo addosso.
e poi: Perche' l'elemento che bisogna considerare e' il ds^2,
cioe' (cdt)^2 - (dl)^2 ?
Cosa deve significare per noi questo invariante?
Bisognerebbe prima capire e poi, eventualmente, usare il sarcasmo.
Ognuno usi il sarcasmo come sa e come crede ma, solo per precisare, la
distinzione fra "scientia" e "sapientia", o fra filosofia prima e
seconda, non è un insulto. È la definizione classica, tradizionale.
Dice semplicemente che quella scientifica è una forma di conoscenza,
importante soprattutto oggi ma non la sola (tranne che per gli
scientisti a oltranza): un romanzo di Flaubert può offrire uno
scandaglio e una conoscenza della psiche umana più profonda di quella
offerta dalla psichiatria, un'immagine di Escher può offrire
conoscenza come un teorema matematico. Uno può far tutto il sarcasmo
che vuole, ma nel dire questo non v'è nulla di offensivo: lo
scienziato non è solo scienziato, è anche e anzitutto un uomo e come
uomo nulla vieta che egli stesso (e non un altro) abbia una conoscenza
che travalichi la scienza. Nulla impedisce che uno scienziato sia
anche un sapiente in un senso più ampio (la leggenda dice che tale fu
Pitagora). Schrödinger ad esempio considerava più importante per la
vita la sua conoscenza di dottrine orientali della sua equazione
d'onda, Pauli riteneva che la conoscenza del simbolismo della psiche
non fosse meno importante del principio di esclusione. E infatti non a
caso costoro erano anche grandi scienziati.
Per Archeopteryx: esamino la formula della relatività ristretta (in
ed. 2008 pp. 78-80) per mostrare come essa già contenga
tautologicamente quanto intende ricavare.
Marco dp
"Bruno Cocciaro" <b.coc...@comeg.it> ha scritto nel messaggio
news:4ba77a60$0$1110$4faf...@reader4.news.tin.it...
Mah, è appunto roba un po' vecchiotta, anacronistica. Se ci riferiamo ad
Agostino, (ma non sono un filosofo) credo che la sapientia sia solo la
telologia, anzi la Teologia :-)
Comunque non ho capito bene la natura del libro. In genere i filosofi o si
occupano di filosofia della scienza, e quindi ne parlano in senso tecnico
(vedi post di Moretti anche in Italia, non solo nei paradisi anglosassoni
che cita), guardando a questioni abbastanza sottili, oppure sono inseriti in
contesti tematici, come appunto la concezione del tempo. Abbracciando le
diverse prospettive, il filosofo che parla del tempo non può limitarsi alla
fisica. Ci sono trattazioni corrette della relatività in corsi di filosofia
, almeno dei concetti essenziali (attenzione che il filosofo non fa il
fisico di mestiere), le quali, inserite appunto in un contesto più ampio,
necessitano delle dovute cautele, del tipo: questa è la trattazione data
dalla fisica, con tutto ciò che ne consegue.
Non so se mi sono spiegato :-) Spero di sì. Il testo del De Paoli a me che
non sono né fisico né filosofo mi pare che, invece, mischi un po' i piani.
Non tratta la questione dal punto di vista tecnico, epistemologico, etc. (da
filosofo della scienza, insomma), ma neppure è un tassello del più vasto
panorama entro il quale la cultura umana ha trattato la questione (per far
ciò, occorre segregare bene i contesti, proprio per evitare di mischiare
Einstein con Bergson, perché parlano di cose diverse). In ultima analisi,
credo che l'impostazione sia un po' anacronistica, vittima proprio di quella
distinzione di scientia e sapientia cui fa cenno e che oggi non credo abbia
più molto senso.
> Scusa ma in fondo non importa: non credo che vogliamo metterci a
> discutere usando principi di autorità...
No, certo che no. E' De Paoli che ha tirato fuori il discorso,
apparentemente per farsi bello (trovo sempre interessante che gli
"eretici" criticano sempre la Scienza Ufficiale in nome della Liberta'
di Pensiero ma poi, alla prima occasione, si affrettano a porsi sotto
l'ala della prima autorita', vera o presunta, che trovano). Io mi sono
limitato a fare presente che e' facile prendere fischi (risposte di
cortesia) per fiaschi (apprezzamenti per le idee), e che quindi quanto
MDP aveva detto in proposito vale poco piu' di zero.
"Valter Moretti" <vmor...@hotmail.com> ha scritto nel messaggio
news:12d27dda-2171-484a...@g19g2000yqe.googlegroups.com...
> On Mar 22, 11:19 pm, "Peter11" <n...@none.it> wrote:
>
>> Questo l'ha scritto un filosofo "puro". Se ti va, prova a dare
>> un'occhiata,
>> magari dal punto 4 in poi dove è più "tecnico" (se hai tempo e ti va
>> leggilo
>> tutto, perché nella prima parte vengono fatte considerazioni
>> sull'impostazioni filosofiche di Einstein). Ecco, se lo leggi sarei
>> curioso
>> di conoscere il tuo
>> parere.http://www.episteme.formazione.unimib.it/file_utente/laudisa/File/Fil...
>
>
> Ciao, ho letto un po' velocemente perché devo andare a fare lezione.
> Però mi pare scritto bene. L'autore è della scuola dei logici
> quantistici? (Dalla Chiara Univ. Firenze).
Sì, è un ex studente della Dalla Chiara. Il mio intento era solo quello di
mostrare che c'è gente (non è l'unico) che fa ricerca in questo campo con un
impostazione seria.
Il libro oggetto del thread, invece, non mi pare niente di che anche come
impostazione generale, che trasuda vecchiume, e questo al di là dei passaggi
dubbi o scorretti che sono stati sottolineati dai diversi partecipanti alla
discussione.
> L'unico appunto è il seguente, sempre che io abbia capito bene la tesi
> (che mi pare di condividere). Alla fine l'autore sostiene che Bell nel
> 1964 ha dimostrato che non si possa sostenere l'incompletezza
> preservando la località. Io direi che Bell abbia trovato una procedura
> sperimentabile per poter scegliere tra le due alternative, o meglio
> per testare la località (il discorso sulla completezza è molto
> subdolo). La conferma nella caduta della località nei processi di
> misura quantistici si è avuta da parte di sperimentatori (Aspect ed il
> suo gruppo prima di tutti) negli anni successivi e gli esperimenti si
> continuano a fare (e ci sono fisici non ancora convinti, come
> Selleri). La questione mi ricorda un fatto. Una volta Accardi è venuto
> nel mio dipartimento a fare un seminario nel quale, tra le altre cose,
> molto aggressivamente sosteneva (se ricordo bene) che in realtà non è
> vero che Bell si occupasse della località e (sempre se ricordo bene)
> che la parola "località" non appare mai nell'articolo fondamentale di
> Bell. Purtroppo a quel punto è nata un'accesissima discussione (e io
> ero uno dei partecipanti) e la cosa è un po' degenerata facendo
> deragliare il seminario, per altro affollatissimo. Mi sarebbe piaciuto
> approfondire la questione. Io comunque credo che, alla prova
> sperimentale, la località sia il personaggio che esca morto dalla
> discussione basata sulla critica EPR.
Sul tema ha scritto questo:
http://www.episteme.formazione.unimib.it/file_utente/laudisa/File/Non-Local%20Realistic%20Theories%20and%20the%20Scope%20of%20the%20Bell%20theorem,%20Accepted%20version,%2028th%20October%202008.pdf
Lei mi sta dicendo che per capire ogni fraase del suo libro devo
leggerlo TUTTO.
Ma siamo impazziti?
> Detto questo, vengo al punto 1. Non so bene a cosa ti riferisci,
> perch continui a dire che la cosa non va senza dire perch . Non posso
> se non rimandare al mio libro, nonch al mio studio su "Theoria
> Motus" (Ed. Angeli) dove con riferimento in particolare alla caduta
> dei gravi e alle maree si analizza un "moto assoluto" (il lavoro fu a
> suo tempo accettato per la pubblicazione su una rivista specializzata
> come "Il Giornale di Fisica"). Mi duole non poter dire di pi , ma
> l'obiezione non mi chiara e comunque non posso qui riscrivere tutte
> le mie tesi.
Tu hai scritto che la nozione di moto è assoluta. Questa affermazione,
in cinematica, non ho ragione di negarlo è una bestialità e se uno
studente venisse a sostenermi una cosa simile all'esame di meccanica
razionale lo boccerei subito, e la stessa cosa farebbe ogni mio
collega. Si può parlare di *accelerazione* assoluta (non di moto
assoluto, che non ha senso da Galileo in poi)
ma è necessario introdurre la dinamica, più precisamente la nozione di
sistema di riferimento inerziale. Questo in meccanica classica. Nelle
teorie relativistiche la questione è una generalizzazione abbastanza
diretta.
Dato che tu invece sostiene che esiste il *moto assoluto*, e lo hai
scritto chiaramente, nemmeno parlando di accelerazione, ma proprio di
moto, tu ha pertanto esternato delle critiche alla meccanica classica
e non (solo) alla relatività.
> Sul punto 2. Ritenere che il "rallentamento" degli orologi (ovunque
> esso possa apparire, in fisica relativistica o meno) indichi un reale
> rallentamento del tempo proprio dovuto a quella erronea
> identificazione fra il tempo e la misura del tempo cui accennavo.
> Se
> qui v' ingenuit , essa dovuta proprio a questa identificazione: se
> il tempo ridotto alla misura del tempo, allora in effetti il
> rallentamento degli orologi indicher automaticamente e immediatamente
> e necessariamente un rallentamento del tempo, ma non cos . Nel libro
> (ed. 2008 pp. 240-243) ho cercato di mostrare questo anche con
> riferimento ai tempi biologici scanditi dal battito cardiaco
> (ultimamente ho anche sottoposto a un biologo la questione e ne ho
> avuto ulteriori dati per varie specie viventi).
Non mischiare le carte in tavole per favore. Io ti ho fatto una
domanda precisa e tu l'hai evitata. Ti ho fatto notare che in base
alla tua "spiegazione", il ritardo degli orologi ci sarebbe anche in
fisica classica. Tu hai scritto che il fenomeno del rallentamento
degli orologi è dovuto al fatto che la luce deve percorrere più spazio
per raggiongere l'altro orologio. Questo è quello che tu hai scritto.
Non puoi negarlo, è scritto nero su bianco. Se tu prendessi le formule
di Einstein potresti controllare se la tua idea è *quantitativamente*
in accordo con la formula del ritardo di Einstein. Noteresti che *non*
lo è. Quindi, indipendentemente dalla natura del fenomeno del
rallentamento degli orologi, tu ti riferisci a qualcosa che NON è
quanto sostenuto nella relatività. Vorrei una risposta su questo
punto preciso, per piacere, che non sia "leggiti tutto il libro".
Perché ho letto tutta quella parte e NON ho trovato la risposta, ma
solo tanta confusione.
> Per "tempo reale" intendo semplicemente con definizione in negativo il
> tempo non misurato e non misurabile, che occorre presupporre (con
> definizione in positivo potrei dire che intendo il tempo assoluto).
Scusa ma non ho capito di cosa stia parlando.
> La
> distinzione fra tempo misurato e tempo reale necessaria (anche se in
> meccanica quantistica si ottiene un alto grado di predicibilit in
> base al tempo misurato). La scienza non tratta solo di cose
> misurabili,
Ma certo sono d'accordo sull'ultima affermazione, il punto è che la
scienza fornisce delle definizioni comprensibili degli enti che
tratta, che possono essere teorici e non direttamente misurabili (come
la lagrangiana di un sistema fisico). Io invece non ho ancora capito
la sua definizione di "tempo reale".
Volevo ancora scrivere una cosa. Ad un certo punto nel libro tu
critichi la teoria del Big Bang, sostenendo che non ha senso che
l'universo sia stato una singolarità fino ad un certo tempo iniziale e
poi, a quell'istante esploda e dia luogo a quello che osserviamo ora.
Tu scrivi qualcosa del tipo, ma purtroppo non riesco a trovare il
punto, che non ha senso che *fino a quell'istante* non sia successo
niente e poi succeda tutto. Evidentemente hai perso un punto chiave.
In un senso *molto preciso* e chiaro usando la struttura logico
matematica della relatività generale è vero che *nel Big Bang nasce
anche il tempo* e prima non c'era niente perché "prima" *non vuol dire
assolutamente nulla in questo contesto*. Questo è quello che viene
fuori dalla relatività generale. Sei libero di crederci o no che le
cose stiano così nella realtà fisica (e diverse persone ne dubitano),
ma quello che ho scritto è in linguaggio non tecnico ma fedelmente
quello che afferma il modello del BB in RG.
Se, vuoi criticare la relatività generale ed il modello del Big Bang,
dovresti criticare quello che dice davvero, non quello che non dice.
Valter Moretti
> se il tempo è ridotto alla misura del tempo, allora in effetti il
> rallentamento degli orologi indicherà automaticamente e immediatamente
> e necessariamente un rallentamento del tempo, ma non è così.
> Nel libro (ed. 2008 pp. 240-243) ho cercato di mostrare questo anche con
> riferimento ai tempi biologici scanditi dal battito cardiaco
> (ultimamente ho anche sottoposto a un biologo la questione e ne ho
> avuto ulteriori dati per varie specie viventi).
Ciao, premesso che non ho letto il libro e forse fraintendo quel
che scrivi, ecco le mie domande:
se vuoi dire che gli orologi biologici (esempio il battito cardiaco)
si comportano in modo diverso dagli altri, sorge un grosso problema:
viene violato il principio di relatività. In pratica la relatività è
distrutta.
E' questo che sostieni?
>La distinzione fra tempo misurato e tempo reale è necessaria
questo puoi dirlo solo se dimostri che con questa, e solo con questa,
distinzione hai una teoria migliore della relatività ordinaria.
Altrimenti non vedo lo scopo di complicare una teoria, se la
complicazione non la fa funzionare meglio. La tua assunzione di un
"substrato" assoluto è un vantaggio per la fisica ? Inoltre: porta a
conseguenze osservabili diverse da quelle previste dalla teoria ordinaria?
Ciao,
Corrado
> Per "tempo reale" intendo semplicemente con definizione in negativo il
> tempo non misurato e non misurabile, che occorre presupporre (con
> definizione in positivo potrei dire che intendo il tempo assoluto).
E perche' occorrerebbe presupporlo?
Comunque, hai detto solo cosa non e' il tempo reale. Dire in positivo che e'
il tempo assoluto cambia di poco le cose. Si dovrebbe uscire dalle parole e
entrare in qualche maniera, magari indiretta, mediata quanto vuoi, nei
*fatti*.
Insomma, questo "tempo reale" c'entra qualcosa con gli orologi o e' solo
l'unione di due parole che suonano bene?
Se, posto il fatto che il "tempo reale" dovrebbe essere non misurabile, ne
venisse fuori che non potrebbe nemmeno avere alcun legame con gli orologi,
allora direi che sarebbe decisamente opportuno cambiare nome a questo
concetto che chiami "tempo reale". Chiunque alla parola "tempo" associa
qualcosa di legato agli orologi, un concetto non legato in alcun modo con
gli orologi non potrebbe essere associato alla parola "tempo". Se tu lo
chiamassi, che so, un nome qualsiasi, "QWERT", allora sarebbe chiarissimo
che non stai parlando di orologi, sarebbe anche chiarissimo a tutti che il
QWERT non c'entra nulla con la relativita', la quale parla di tempo, cioe'
di orologi.
> La
> distinzione fra tempo misurato e tempo reale è necessaria (anche se in
> meccanica quantistica si ottiene un alto grado di predicibilità in
> base al tempo misurato).
Perche' sarebbe necessaria ?
> La scienza non tratta solo di cose
> misurabili, ma assume anche assiomi e postulati
Certamente. E si assumono anche tanti concetti implicitamente. Si danno per
scontati tanti concetti senza averne piena coscienza (e non si potra' mai
avere piena coscienza di quanti e quali concetti si stanno assumendo
implicitamente).
Ma quando qualcuno prende coscienza di una qualche assunzione implicita,
data finora per scontata, ma non avente alcun legame con i fatti (insomma,
si prende coscienza che l'assunzione non e' stata "suggerita" dalla natura),
accade che la scienza faccia un grande passo in avanti.
Con la discesa del tempo dall'olimpo dell'a priori e' avvenuto esattamente
questo.
> Ma un osservatore
> esterno al sistema potrebbe effettuare la rilevazione e per lui (anche
> se le due velocità rimangono distinte) non sarà vero senza
> precisazioni che c+a=c. Il fisico Guillaume (1917) mosse al riguardo
> pertinenti obiezioni a Einstein (cfr. A. Genovesi, Il carteggio fra
> Albert Einstein ed Edouard Guillaume, Ed. Angeli, anche se l'autore è
> totalmente schierato con Einstein).
Obiezioni pertinenti ???
Qualche anno fa mi esercitavo spesso a seguire i contorti ragionamenti del
"detrattore" della relativita' di turno che capitava a cadenza quasi mensile
su isf. Insomma, ero abbastanza allenato (ci vuole un certo allenamento
perche' i detrattori della relativita' fanno sostanzialmente sempre
ragionamenti molto contorti, molto piu' difficili da comprendere della
semplice relativita'). Cio' nonostante non riuscii a seguire le "obiezioni"
di Guillame. Mi ricordo che lo stesso Einstein dopo qualche lettera
cominciava a rispondergli palesando un po' il fatto che gli stavano cadendo
le braccia, tipo "Ahhh, ancora con questi discorsi ? Ma quante volte te lo
devo spiegare?"
Se ben ricordo il problema era sempre quello. Guillame, come te, usava nelle
sue obiezioni il "tempo vero" (a detta di Einstein, e sempre posto che
ricordi bene; io, come detto, non sono riuscito a seguire le contorte
argomentazioni di Guillame).
Comunque, se tu trovi "pertinenti" le argomentazioni di Guillame, ti sarei
grato se tu mi aiutassi a capirle.
Immagino che ti renda conto che quanto dici sopra spiega decisamente poco.
Come potrebbe fare un osservatore esterno ad effettuare la rivelazione?
Cosa intendi con "per lui [...] non sarà vero senza precisazioni che c+a=c"
e sulla base di cosa lo affermi?
> Il viaggiatore vede la pietra cadere approssimativamente a parabola in
> presenza di attrito. Nel brano citato Einstein (che nei suoi testi
> divulgativi è assai più impreciso che non sugli Annalen der Physik)
> dice che il viaggiatore vede la pietra cadere in linea retta
> prescindendo dall'attrito, mentre l'osservatore a terra la vede a
> parabola (Relatività, Boringhieri, 1967, p. 50, cfr. Opere scelte
> Boringhieri). Questo è un paralogismo, anche se l'ha detto Einstein:
> se si considera l'attrito, entrambi vedono la pietra cadere
> approssimativamente a parabola; se non lo si considera, entrambi la
> vedono cadere approssimativamente in linea retta.
Lei ha capito *questo* ?
Farebbe bene allora a rivedere le sue nozioni in cinematica, dinamica
elementare e relativita' galileiana, e a considerare, magari facendosi
aiutare, cosa accade in totale assenza d'aria.
> Se invece, come fa
> Einstein, si considera implicitamente l'aria per l'osservatore
> terrestre e non la si considera per il viaggiatore, allora è possibile
> dire che il primo vede la caduta a parabola e il secondo in linea
> retta. Ma questo, per l'appunto, è un paralogismo.
Lo sarebbe se fosse vero che "si considera implicitamente l'aria per
l'osservatore terrestre e non la si considera per il viaggiatore". Ma
non e' vero, e l'"allora" non discende da questa considerazione. Rientra
invece a pieno diritto nella categoria dei paralogismi qualsiasi
conclusione lei derivi da quanto ha affermato qui sopra.
Vedo che a differenza di tanti altri che pubblicano i loro pensieri su
siti web o documenti pdf in rete, lei e' riuscito a dar loro una forma
editoriale. Ma vale sempre il vecchio monito:
Ecclesiaste 12:12 ... figlio mio, bada bene: i libri si moltiplicano
senza fine, ma il troppo studio esaurisce le forze.
Per ridurre l'affaticamento e' indispensabile capire rapidamente quali
libri sono utili da leggere e quali invece e' meglio lasciare sugli
scaffali per il macero. Indubbiamente, lei qui da' degli elementi che
rendono la decisione molto facile nel suo caso.
Mi spiace non poterle esprimere i sensi della mia stima, che riservo a
chi si rende conto dei suoi limiti, qualunque sia la loro altezza, e
cerca di superarli alzando con costanza l'asticella di qualche
millimetro al giorno: non elevadola a parecchi metri per passarci sotto.
--
TRu-TS
Conoscenza non e' ricordare le cose,
ma ricordare in che libro cercarle.
Beniamino Placido
> Nel libro ho cercato di mostrare questo anche con
> riferimento ai tempi biologici scanditi dal battito cardiaco
Ovvero sostieni che il cuore non e' un oggetto fisico? Per favore, dimmi
che ho capito male.
> Per "tempo reale" intendo semplicemente con definizione in negativo il
> tempo non misurato e non misurabile, che occorre presupporre (con
> definizione in positivo potrei dire che intendo il tempo assoluto).
Che *non* occorra presupporre il tempo (e lo spazio) assoluto e' noto da
generazioni prima di Einstein. Persino l'Encyclopedie (1751-1772)
chiamava questo concetto "inutile alla Geometria ed alla Fisica". A
meta' ottocento nemmeno in Inghilterra, patria di Newton e Clarke, lo si
considerava piu' rilevante.
> La scienza non tratta solo di cose
> misurabili, ma assume anche assiomi e postulati
I quali hanno precise conseguenze misurabili. Spazio e tempo assoluti no.
> Certo il determinismo risulta anche nella fisica classica (v. il
> demone di Laplace), ma esso è deducibile anche in quella relativistica
> financo con inversione temporale.
Mi sa che non hai capito le obiezioni. Tu scrivi che il determismo
assoluto e' una conseguenza paradossale dell'identificazione di tempo
con tempo misurato. Ma allora:
Primo, questo determinismo si ha anche in presenza del tempo assoluto di
Newton, quindi il tuo ragionamento ti porta a rigettare la fisica
classica tout-court, in quanto paradossale.
Secondo, si concluderebbe che teorie indeterministiche che usino questa
identificazione (tempo=tempo misurato) sarebbero *impossibili*. Ma
questo e' falso, visto che la MQ esiste, quindi il tuo ragionamento e'
errato.
> Gödel – ed è solo un esempio
> – in un noto articolo del '49 ha svolto le equazioni relativistiche
> del campo mostrandone necessaria implicazione l'inversione temporale
Goedel scrisse una soluzione delle equazioni della relativita'
*generale*; che NON e' una conseguenza necessaria di quella speciale. Se
il tuo ragionamento, che si applica anche alla RS, fosse corretto,
dovresti poter trovare soluzioni "a viaggio nel tempo" stile Goedel
anche li'; ma queste soluzioni non esistono, anzi sono dimostrabilmente
proibite. Percio' il tuo ragionamento e' errato.
> dice che il viaggiatore vede la pietra cadere in linea retta
> prescindendo dall'attrito, mentre l'osservatore a terra la vede a
> parabola
Ed e' perfettamente vero. Argomento da fisica liceale (newtoniana).
> se [l'attrito] non lo si considera, entrambi la
> vedono cadere approssimativamente in linea retta.
Ma neanche per idea. Che questo fosse falso lo sapeva gia' Galileo,
altro che Einstein! E non puoi certo salvarti con quell'
"approssimativamente": qui non abbiamo bisogno di approssimazioni,
possiamo parlare esattamente.
Scusa, ma come puoi pensare di essere preso sul serio parlando di
scienza se poi commetti sfondoni di questo tipo su argomenti elementari?
> Se invece, come fa
> Einstein, si considera implicitamente l'aria per l'osservatore
> terrestre e non la si considera per il viaggiatore,
Ma neanche per sogno. Dove lo dice? Quell' "implicitamente" e'
rivelatore: e' un'implicazione che hai messo tu, per la ragione, ora
evidente, che non hai capito molto nemmeno la fisica classica.
In breve sulle altre questioni.
Sì, non considerando i tempi di percorrenza della luce anche in fisica
classica vi sarebbero i rallentamenti di orologi. Ma un fisico
classico non direbbe mai che questo è un rallentamento del tempo.
Le formule di Einstein possono predire il ritardo dell'orologio, ma
non possono dire a cosa sia dovuto questo ritardo (così come le
equazioni della meccanica quantistica predicono quasi tutto, ma non ci
dicono quale sia la natura dell'oggetto subatomico). Comunque il
rallentamento dell'orologio non va calcolato solo in base alle
distanze e ai tempi di percorrenza della luce, ma anche in base ai
potenziali gravitazionali.
Sul Big Bang. Ovvio che la cosmologia attuale, nata da una costola
relativistica, dice che con il Big Bang nasce anche il tempo. Già
Agostino diceva che con la creazione viene creato anche il tempo. Ma
chi assume un tempo assoluto non pensa che il tempo sia creato.
MARCO DE PAOLI
"Bruno Cocciaro" <b.coc...@comeg.it> ha scritto nel messaggio
news:4ba933cf$0$1131$4faf...@reader3.news.tin.it...
> "mdp" <marcod...@yahoo.it> ha scritto nel messaggio
> news:2003b513-dbf6-4068...@15g2000yqi.googlegroups.com...
>
>
> Comunque, se tu trovi "pertinenti" le argomentazioni di Guillame, ti sarei
> grato se tu mi aiutassi a capirle.
>
Su questo mdp ti ha dato un'indicazione interessante: il libro del filosofo
della scienza Genovese, che ha analizzato minuziosamente tutto il carteggio
tra i E. e G.. tieni presenti, però, che, come dice mdp, "l'autore è
totalmente schierato con Einstein" :-). Una parte del testo si trova anche
in google books, ma oltre ad essere una minima parte, hanno pure pubblicato
una pagina sì e una no, quindi, non si capisce molto :-) Al di là dei
commenti di Genovese, c'è tutto il carteggio originale...
in fisica, in cinematica, SI, � oggi una bestialit�.
>Ma Newton (che poggia su Galileo) ne parlava,
> addirittura facendone un postulato. Ancor pi� che di una critica alla
> meccanica classica si tratta di evitare fraintendimenti correnti su
> Galileo. Quello che ha detto Galileo � stato molto di pi� di quello
> che ne ha accolto la meccanica classica. In Theoria Motus ho mostrato
> come � totalmente scorretto parlare del "principio di relativit�
> galileiano" se non si fanno alcune fondamentali precisazioni che non
> si fanno mai.
(....)
Guarda *� inutile che cerchi di usare il principio di autorit�*, � una
bestialit� e basta.
Mi rifiuto di discutere a questi livelli, posso farlo con un bambino o
con uno studente del primo anno che non abbia alcuna istruzione di
fisica elementare, ma non con una persona che ha scritto un libro per
critica re la relativit� e la cosmologia relativistica... Puoi
discutere a livello storico di come la nozione si sia modificata e
come siamo arrivati alla nozione moderna di cinematica "relativa", ma
non ha senso, in fisica moderna
(parlo di meccanica classica, pi� precisamente di cinematica classica)
parlare di *moto assoluto*. Al pi�, si pu� parlare, in dinamica di
*accelerazione* assoluta, rispetto ad un qualunque sistema di
riferimento inerziale.
Tornare al moto assoluto, in cinematica, sarebbe come cercare di
discutere ancora se la terra sia piatta o sferica.
....
> In seguito la meccanica
> classica ha espunto il moto assoluto. Ma Galileo e Newton lo
> affermavano, ed io concordo con loro.
vabbene, allora stai parlando di fisica del passato non di fisica
attuale e nemmeno di relativit�.
> Non vale dire che nella caduta dei gravi � in gioco l'accelerazione e
> non il moto: perch� l'accelerazione � comunque moto;
Di tutto quello che hai scritto, e che faccio una fatica inceredibile
a capire, dato che usi i termini fisici
molto liberamente senza chiarire un mucchio di dettagli essenziali, mi
preme solo rimarcare, rispetto alla tua ultima affermazione di sopra,
che l'accelerazione � l'accelerazione e non � il moto. Il moto � per
definizione relativo ad un sistema di riferimento (arbitrario).
Chiamiamo le cose con i loro nomi, senza pasticci, altrimenti non si
capisce niente. Mi pare che la tua tecnica � di portare tutto nel
fango dove tutto � uguale a tutto e si pu� sostenere tutto ed il
contrario di tutto. Inoltre hai fatto un pasticcio indirimibile tra
cinematica e dinamica, in situazioni in cui esiste un sistema di
riferimento privilegiato...
>
> In breve sulle altre questioni.
> S�, non considerando i tempi di percorrenza della luce anche in fisica
> classica vi sarebbero i rallentamenti di orologi.
No, in fisica classica non c'� alcun rallentamento degli orologi!
Quello che tu hai chiamato "rallentamento" � automaticamente tenuto in
conto, il rallentamento
di cui si discute in relativit� � al netto di quello che dici tu.
> Ma un fisico
> classico non direbbe mai che questo � un rallentamento del tempo.
E non lo � in assoluto.
> Le formule di Einstein possono predire il ritardo dell'orologio, ma
> non possono dire a cosa sia dovuto questo ritardo (cos� come le
> equazioni della meccanica quantistica predicono quasi tutto, ma non ci
> dicono quale sia la natura dell'oggetto subatomico).
Le formule di Einstein sono *al netto* del fenomeno che dici tu, cio�
del fatto che un segnale luminoso deve percorrere sempre pi� spazio
per raggiungere l'altro orologio, dato che i due orologi si
allontanano. Per cui il "rallentamento degli orologi" non c'entra
proprio niente con quello che sostieni tu nella parte del libro alla
quale ci stiamo riferendo.
Sulle affermazioni che hai scritto dopo (sopra) non sono affatto
d'accordo. Einstein spiega molte cose, anche dei "perch�" non solo dei
come. Per�, mi pare che dal tuo punto di vista tutta la fisica � fatta
di "come " e mai di perch�, le cause, dal tuo punto di vista non sono
spiegate da nessuna branca della fisica, che � solo una descrizione
predittiva. In questo modo tu ti stai ponendo fuori dalla fisica e le
tue critiche non riguardano pi� la fisica.
> Comunque il
> rallentamento dell'orologio non va calcolato solo in base alle
> distanze e ai tempi di percorrenza della luce, ma anche in base ai
> potenziali gravitazionali.
Ma questo che cosa c'entra? Stavamo parlando di relativit� speciale,
che con il ritardo dovuto ai potenziali gravitazionali non c'entra
niente: potrebbe essere vera la relativit� speciale e falsa quella
generale. Ancora una volta cerchi di tirare il ragionamento nelle
nebbie per poter sostenere le tue tesi? Non � un atteggiamento
intellettualmente onesto.
> Sul Big Bang. Ovvio che la cosmologia attuale, nata da una costola
> relativistica, dice che con il Big Bang nasce anche il tempo. Gi�
> Agostino diceva che con la creazione viene creato anche il tempo. �
Si l'ho letto anche io e la capacit� di astrazione di Agostino era
veramente notevole, ma...
e allora?
> Ma
> chi assume un tempo assoluto non pensa che il tempo sia creato.
E allora? questa massima ti sembra che abbia minimamente a che fare
con la relativit�, la critica alla cosmologia ecc ecc. in particolare
con la tua critica alla cosmologia alla quale mi riferivo. Ti faccio
notare che tu non hai scritto nel libro che il tempo nasce nel Big
Bang e *questo fatto* a te non piace e lo trovi discutibile ecc ecc,
come forse stai sostenendo ora, hai invece scritto un'altra cosa nella
quale presupponevi che il tempo esistesse *prima* del Big Bang. Una
volta di pi� hai criticato qualcosa che non dice la cosmologia del Big
Bang. In altre parole parlavi di cose che non conosci.
Valter Moretti
> MARCO DE PAOLI
Questa non l'avevo vista e merita un commento anche da parte mia.
Goedel in quell'articolo ha mostrato che esistono soluzioni delle
equazioni della relatività generale di Einstein (mentre tu parlavi di
quella speciale dove tale situazione non sussiste come si prova
facilissimamente), in cui esistono curve temporali chiuse che non sono
eliminabili con un certa procedura matematica (passare ad uno spazio
di rivestimento). Con l'*inversione temporale* non c'entra niente,
l'inversione temporale, in fisica, è un'altra cosa... Inoltre non c'è
alcuna *necessità*: le equazioni della relatività generale di Einstein
da sole ammettono *anche* quelle soluzioni. Dopo il risultato di
Goedel è stata raffinata la formulazione della RG in modo tale da
eliminare, se si vuole, tali soluzioni, che per altro potrebbero
comunque anche essere fisicamente sensate: se nessuno ha mai visto una
cosa mica vuol dire che non esiste! La condensazione di Bose-Einstein
prima che facessero l'esperimento era solo teorica.
Valter Moretti
>> Comunque, se tu trovi "pertinenti" le argomentazioni di Guillame, ti
>> sarei grato se tu mi aiutassi a capirle.
>>
> Su questo mdp ti ha dato un'indicazione interessante: il libro del
> filosofo della scienza Genovese, che ha analizzato minuziosamente tutto il
> carteggio tra i E. e G.. tieni presenti, però, che, come dice mdp,
> "l'autore è totalmente schierato con Einstein" :-). Una parte del testo si
> trova anche in google books, ma oltre ad essere una minima parte, hanno
> pure pubblicato una pagina sì e una no, quindi, non si capisce molto :-)
> Al di là dei commenti di Genovese, c'è tutto il carteggio originale...
Ti ringrazio ma ce l'ho gia' quel libro. E' proprio leggendo quelle lettere
che non riuscivo a comprendere le obiezioni di Guillame (per quanto sia vero
che non mi ci sono mai messo a leggerle con estremo impegno).
Non mi ricordo quasi niente perche' sono passati un po' di anni, ma non
sarei proprio sicurissimo del fatto che Genovesi (con la i) fosse
"totalmente schierato con Einstein".
Con "aiutarmi a capire le obiezioni di Guillame", sostenendone la loro
pertinenza, intenderei proprio qualcosa tipo:
alla lettera XXX Guillame dice ..., poi Einstein risponde ... , ma la
risposta di Einstein e' debole perche' ... ecc.
Io almeno la pertinenza o meno di alcune obiezioni la valuterei a seguito di
uno studio di questo tipo.
Per il momento quelle obiezioni le valuto poco pertinenti essendo quelle
lettere poco chiare ai miei occhi, e sospetto che la poca chiarezza sia
dovuta ad una scarsa comprensione da parte dell'autore. Pero', in via di
principio, potrebbe certamente esserci una scarsa comprensione da parte mia
delle obiezioni di Guillame.
> Se il tempo relativo è reale, allora sicuramente non v'è alcun motivo
> per presumere un tempo reale: il tempo reale è il tempo relativo,
> chiusa la faccenda. Ma se il tempo relativo, pur risultando ad un
> esatto calcolo matematico, non è il tempo reale, allora va presupposto
> un tempo reale altro dal tempo relativo (anche se alla scienza può
> essere lecito dire che in campo scientifico di questo tempo non sa che
> farsi).
Scusami se insisto ma a me pare proprio che tu non stia centrando il tema.
Non sono sicuro che ti sia chiara la mia domanda. Provo a ripeterla.
Io non ho capito cosa sia cio' che tu chiami "tempo reale". Mi predispongo
alla massima comprensione e, per evitare di farmi confondere con altri
concetti, decido di cambiare nome al concetto che vorrei tu mi spiegassi. Lo
chiamo QWERT. Per il momento mi accontenterei di capire solo la seguente
cosa (cioe' gradirei che tu rispondessi alla seguente domanda):
il QWERT ha un qualche legame con cio' che io chiamo tempo, cioe' con gli
esiti delle misure che si effettuano con gli orologi?
Una volta capito quale sarebbe tale legame sarei dispostissimo a cambiare
nome al QWERT ad esempio a chiamarlo "tempo ..." (con al posto di ... quello
che vuoi tu).
Per renderti ancora piu' chiaro quanto sia incomprensibile per me quanto
dici sopra, provo a tradurtelo nella maniera che a me pare piu' chiara (per
quanto sempre poco comprensibile):
Se il tempo è reale, allora sicuramente non v'è alcun motivo per presumere
un QWERT: il QWERT è il tempo, chiusa la faccenda. Ma se il tempo, pur
risultando ad un esatto calcolo matematico, non è il QWERT, allora va
presupposto un QWERT altro dal tempo (anche se alla scienza può essere
lecito dire che in campo scientifico di questo QWERT non sa che farsi).
> Ciao
> MARCO DE PAOLI
Trovo anche curioso che a proposito della dilatazione del tempo
dovuta al tempo di propagazione, a nessuno sia venuto in mente di
chiedere se allora nel caso in cui B si muove *verso* A ci debba
essere invece un'accelerazione dell'orologio :-)
Insomma: questa confusione tra ritardo relativistico ed effetto
Doppler e' molto comune da parte di profani, anche perche' vengono
confusi dalla solita divulgazione fatta alla carlona. Ma questo
pretende di essere un filosofo :-(
Una curiosita' a proposito di Guillaume: sapevo di questa discussione
con Einstein, perche' Angelo Genovesi ha anche pubblicato nel 2002 la
traduzione italiana di un piccolo scritto di Einstein, del 1910,
originalmente edito in francese proprio a cura di Guillaume, e
intitolato "Il principio di relativita' e le sue conseguenze nella
fisica moderna".
Genovesi, che non conoscevo prima, mi chiese di leggere la sua
traduzione, e infatti nell'introduzione cortesemente mi ringrazia.
--
Elio Fabri
Io vorrei salvarlo. E per salvarlo preferisco sacrificare il principio
di causalita' orientato nel tempo nello stesso verso dei processi
termodinamici in cui l'entropia aumenta.
Ma mi ero ripromesso di lasciarti lavorare in pace fino alla fine del
semestre :-)
ciao
Non so se era proprio a me che volevi rispondere;
comunque, il mio solo post fin qui sull'argomento in
thread riguardava la mia perplessitᅵ sul "taglio"
del testo. Ero in assoluta buona fede e non volevo
fare battute. Un minimo di occhio ce l'ho, l'ho
scorso velocemente e da un lato non mi pareva un
testo di fisica, davvero no, dall'altro, ovviamente
giᅵ dalla dichiarazione di intenti (critica del big
bang, etc.) si qualifica come un testo di fisica.
Volevo solo capire. Successivamente ho dato
un'occhiata all'introduzione e mi sono risposto da solo.
> Ognuno usi il sarcasmo come sa e come crede ma,
> solo per precisare, la distinzione fra "scientia"
> e "sapientia", o fra filosofia prima e seconda,
> non ᅵ un insulto. ᅵ la definizione classica,
> tradizionale. Dice semplicemente che quella
> scientifica ᅵ una forma di conoscenza, importante
> soprattutto oggi ma non la sola (tranne che per
> gli scientisti a oltranza): un romanzo di
> Flaubert puᅵ offrire uno scandaglio e una
> conoscenza della psiche umana piᅵ profonda di
> quella offerta dalla psichiatria, un'immagine di
> Escher puᅵ offrire conoscenza come un teorema
> matematico.
Quanto affermi, che quoto sopra, non mi pare la
sostanza della stessa linea di pensiero tenuta
nell'introduzione.
Ci leggo: "[...] nell'autentica, grande 'scientia'
vediamo una effettiva e reale conoscenza del mondo
per quanto parziale e comunque per propria natura
non tale da elevarsi alla 'sapientia'. [...] Tutta
volta alla misurazione e alla quantificazione, la
scienza veramente non sembra piᅵ voler conoscere
almeno parzialmente il mondo: per essa ᅵ piᅵ
importante che i calcoli si applichino e funzionino
in qualche modo, anche a costo di farli funzionare a
forza, e resta sospeso il giudizio sull'effettivo
valore di veritᅵ delle teorie proposte. La scienza
dunque non pensa perchᅵ lo scienziato non si rende
conto, non capisce le implicazioni profonde del suo
stesso procedere, ciᅵ che il suo procedere chiama in
causa e che continuamente travalica il campo
strettamente scientifico".
Non credo di aver decontestualizzato le parti su cui
ci sarebbe qualcosa da osservare :) basta leggere tutta
l'introduzione per constatarlo.
Ora, non ᅵ mia intenzione mettere in piedi una
discussione piᅵ grande di me ma mi limito a
sottolineare un paio di cose, dal punto di vista del
non addetto ai lavori e semplice curioso qual sono.
Il fatto che ti paia che la scienza non possa per
sua natura elevarsi al rango di sapienza non ᅵ
un'asserzione dimostrabile se non altro perchᅵ cosa
sia la scienza ᅵ abbastanza chiaro, cosa sia la
sapienza ᅵ una questione soggettiva. Al contrario, ᅵ
lo stesso tipo di argomento, paralogismo, non so
nemmeno come definire un qualcosa che io chiamerei
"arroganza intellettuale", su cui le religioni
rivelate fondano il proprio magistero. In parole
povere hai giᅵ deciso che la scienza occupa una
posizione subordinata.
Affermi che la distinzione tra i due ordini di
conoscenza ᅵ quella tradizionale. Mi pare ovvio; non
credo che un filosofo cadrebbe su un fatto cosᅵ
basilare del proprio campo di indagine. Ma questa
distinzione poteva avere un senso finchᅵ la scienza
- presumo con Galileo - non si ᅵ separata dalla
filosofia. A questo punto, con metodi propri, un
ambito di "azione" ben chiaro e delimitato, non vedo
almeno io personalmente la ragione di una gerarchia
che non ha ragion d'essere a meno - ma non voglio
fare il malpensante piᅵ di quanto io faccia
normalmente - che non si riaffacci la tendenza di
non pochi filosofi a ritenere la propria disciplina
il criterio ultimo di veritᅵ su ogni aspetto del
pensiero umano.
Che la scienza non sia, almeno per me, la sola fonte
di conoscenza non ci piove. Le volte che mi piace
riflettere su temi che oggi afferirebbero alla
psicanalisi e cose simili, penso sia infinitamente
piᅵ profonda la "Recherche", per dirne una, di
qualsiasi manuale anche fosse il migliore. Ma questo
accade esattamente perchᅵ si esce dall'ambito di
quel che almeno al presente la scienza ᅵ in grado di
indagare e lᅵ ci vuole l'artista, quello autentico.
Sono piani che vanno tenuti distinti, e chi fa
scienza seria ᅵ il primo ad avere cura di non
mescolarli.
Tra le mille cose che mi verrebbero in mente, penso
ci sia un ulteriore equivoco su cosa sia "grande"
'scientia'. Credo si possa fare buona scienza anche
con un piccolo problema di cinematica dalla
soluzione nota. Per quanto ne so e per la mia
limitatissima esperienza, le patologie alle quali ti
riferisci, non so quanto consapevolmente, esistono.
Non mancano lavori in cui il dato oggettivo viene
piegato all'ipotesi di partenza magari per
accumulare pubblicazioni per concorsi, oppure si
perde di vista la correttezza di metodo. Ma non ᅵ
qualcosa di preoccupante perchᅵ ᅵ roba che si
elimina da sᅵ, e non mi pare corretto generalizzare
dicendo che addirittura la scienza nella sua
totalitᅵ non ᅵ consapevole del proprio procedere.
Sta sotto gli occhi che i primi a occuparsi delle
implicazioni filosofiche ed epistemologiche delle
scoperte scientifiche sono stati gli autori di
queste ultime, e sarei sorpreso che persone non
addentro ai problemi tecnici potessero capire meglio
le cose rispetto a chi le andava e le va scoprendo.
Certo, ᅵ auspicabile e necessaria una certa
"collaborazione" tra approcci diversi, ma le
graduatorie di validitᅵ del sapere non mi hanno mai
troppo convinto.
ciao!
Apx.
--
"La teoria ᅵ sapere come funzionano le cose e
non sapere come farle funzionare; la pratica ᅵ
sapere come far funzionare la cose senza sapere come
funzionano; il nostro scopo ᅵ unire la pratica
alla teoria per riuscire a non far funzionare
le cose senza capire come abbiamo fatto"
eppure ci sei costretto, perchè se gli orologi non rallentano tutti
esattamente allo stesso modo, il principio di relatività è distrutto
senza scampo.
> Anzitutto mi interessa capire la natura del tempo.
cioè, mi sembra di capire, la natura del cambiamento. Secondo me
la natura del cambiamento è un problema filosofico, interessante
senza dubbio, ma non fisico.
Ciao,
Corrado
Buongiorno, non mi sono fatto vivo per un po’ perché ultimamente mi
hanno tirato dietro pomidoro, uova marce, 4 forchette, un tavolo da
ping pong e una lavatrice, però vorrei rassicurare tutti: sto bene.
Chi mi tirò la lavatrice, dopo aver detto la prima volta che Lui con i
suoi colleghi è un’autorità e che io non sum dignus di parlare, avendo
io risposto che alcuni suoi pari mi hanno un pochino pochino
apprezzato e che Newton postulava il moto assoluto, da allora
stranamente mi accusa continuamente di fare appello al Principio di
Autorità.
Ogni volta il ritornello del Professore (di Liceo o di Università),
tante volte sentito, è sempre lo stesso: se un mio studente mi dicesse
simili bestialità, gli darei 2, lo caccerei a pedate, lo boccerei! Non
sanno quanti studenti facendosi beffe di loro ripetono la canzone del
Professore senza credervi affatto, ma solo per prendere un buon voto.
Così quel professore che ben ricordo: guai se gli si diceva che forse
Lucrezio si era veramente ucciso come diceva s. Gerolamo. Per lui
erano solo calunnie. Fioccavano i 2. E dunque noi gli ripetevamo la
storiella e lui era contento: s. Gerolamo ha detto che Lucrezio si è
ucciso, ma sono sole calunnie, non è vero niente, Lucrezio era un uomo
sereno. Com’era contento! E così, se oggi dovessi sostenere
un’interrogazione, certo che direi che il viaggiatore vede la pietra
cadere in linea retta �€" precisando con teatrale vox clamans:
prescindendo dall’attrito, però! �€" mentre invece l’osservatore a terra
la vede a parabola. Così faccio contento il Prof. e prendo un bel
voto.
Mi si ricorda che in cinematica non ha senso di parlare di moto
assoluto. Ma è talmente ovvio che no: dal punto di vista cinematico
che sia Pierino ad allontanarsi dalla stazione o che sia la stazione
ad allontanarsi da Pierino, che sia la Terra a girare intorno al Sole
o che sia il Sole a girare intorno alla Terra, è la stessa cosa. Ma
dal punto di vista dinamico non è la stessa cosa. Così,
cinematicamente è la stessa cosa che Maometto vada alla montagna o la
montagna vada a Maometto (la distanza è sempre quella, il tempo di
percorrenza con una velocità data è sempre quello). Ma Maometto fatica
di meno, produce meno calore e meno lavoro, se la montagna muove le
chiappe e va da lui.
Gödel. Certo che Gödel ’49 parte dalla relatività generale (v. Opere,
Bollati Bor., vol. II); parimenti, certo che la considerazione dei
potenziali gravitazionali è tratta dalla relatività generale. Mi si
dice: la relatività ristretta e la generale sono due cose diverse,
l’una potrebbe essere vera e l’altra falsa. Vero (se è solo per
questo, potrebbero anche essere false entrambe). D’accordo sul teorema
di Gödel, che non vale per la relatività ristretta. Ma sull’altra
questione non è vero che “qui stiamo parlando solo di relatività
ristretta”. A prescindere dal fatto che nell’intendimento di Einstein
la relatività generale conclude e corona la relatività ristretta,
resta che, dopo che egli ha mostrato che il rallentamento degli
orologi è dovuto anche al potenziale gravitazionale, occorre
considerare anche questo. Ad esempio una discussione sul paradosso dei
gemelli che non tenga conto del potenziale gravitazionale, e dunque
condotta solo nei termini della relatività ristretta come se Einstein
poi non avesse mai elaborato la teoria generale, può essere un
esercizio accademico interessante ma piuttosto sterile. Per questo
dico che, in aggiunta ai tempi di percorrenza della luce di cui
parlavo, occorre anche considerare i potenziali gravitazionali.
Guillaume. Dicevamo che Einstein ha trattato con condiscendenza
Guillaume, così come ha trattato con condiscendenza Bergson (di cui
Guillaume divenne un po’ il difensore scientifico). Al celebre
dibattito di Parigi (gli atti sono stati anche tradotti in italiano)
Einstein (che masticava male il francese) non capiva nemmeno cosa
dicesse Bergson nel suo forbito linguaggio, e continuava a tirare per
la giacca il vicino: “che dice? ma che dice questo?”. D’altra parte
bisogna riconoscere che in quell’intervento un po’ prolisso e
improvvisato (lui se ne stava zitto e gli fu chiesto di parlare),
Bergson non diede il meglio di sé. Ma torniamo a Guillaume. In effetti
è vero quanto dice Bruno: i ragionamenti di Guillaume non sono
semplici da seguire. Io mi limito a segnalare qui un esempio con cui
Guillaume argomenta.
Cocciaro, hai il testo sottomano? Se vuoi, vai alla XIII lettera di
Guillaume. Qui dice che un’ora può essere espressa anche come 60
minuti o 3600 secondi, cosicché 1 e 60 e 3600 diventano misure (in
ore, minuti, secondi) della stessa durata per cui 1 : 60 : 3600.
Invece, nella XXVII lettera, dice che in un orologio la lancetta
piccola percorre un giro di quadrante mentre quella grande ne percorre
12 e «si la grande aiguille parcourt par exemple t = 36 divisions
(cercle des minutes), la petite aiguille n’en parcourra, dans le même
temps, que t′ = 3, de sorte que 3 et 36 sont des mesures de la même
durée» in quanto 36 = 12 x 3. Sono solo esempi, ma mi sembrano una
buona bussola per orientarsi nelle non facili argomentazioni di
Guillaume. Egli intendeva mostrare come sia possibile ottenere gli
stessi risultati einsteiniani mantenendo i presupposti della fisica
classica. «Attraverso le trasformazioni di Lorentz (cito dal mio
libro, ed. 2008 p. 121), Guillaume ricondusse i molteplici indici
temporali (t1, t2 etc.) propri della rappresentazione poliparametrica
del tempo einsteiniana all’interno di una rappresentazione
monoparametrica con un unico tempo universale t (...). In tal modo i
tempi einsteiniani non vengono negati bensì diventano variabili
all’interno di un unico parametro temporale, ovvero misure diverse
della stessa durata temporale, eseguite con orologi di periodo t1, t2
etc. di cui l’uno fornisce tempi più lunghi e l’altro più brevi».
Cos’è dunque questo “tempo reale”? Non è un fantasma metafisico che si
cela dietro i tempi relativi, è il tempo che li comprende tutti come
un quadrato suddiviso in 50 quadratini li comprende tutti. Considera
però che il mio ragionamento è filosoficamente più complesso di quello
di Guillaume (che non conoscevo e non cito in I ed.): semplicemente,
mi sembra di aver trovato in lui una interessante conferma da parte di
un fisico.
Vengo all’altra questione da te posta. Io dico: «l’osservatore interno
al sistema Terra in moto può non avere alcun modo di rilevare una
differenza di tempi nella percorrenza dei raggi luminosi, ma questo
non significa che tale differenza non vi sia: (...) misuriamo solo la
velocità della luce che in effetti rimane quella, proprio come chi
spara un proiettile da un treno in corsa, se non ha modo di rilevare
il moto del treno, calcolerà solo la velocità del proiettile. Ma le
cose sono diverse per un osservatore esterno al sistema: (...) un
osservatore ipotetico in un altro sistema solare che veda la cosa dal
di fuori potrà dire che, dato un segnale luminoso nella stessa
direzione della Terra in moto, ne risulterà una velocità complessiva
di 300.000 Km/sec. più 30 Km/sec» (I ed. p. 32). Poi ho visto che
anche per Guillaume l’invarianza della velocità della luce vale solo
all’interno del sistema nel quale è presente la luce. Scrive
Guillaume: «si abbandona così il principio della costanza assoluta
della velocità della luce che si sostituisce con la seguente
convenzione: la velocità di un raggio luminoso è una costante allorché
la si misura nel sistema che contiene il raggio. È una costante
relativa».
Infine in breve sulla questione della pietra e della banchina. Da
Trieste mi tirano un uovo marcio schifosissimo (“al macero i tuoi
libri!”, “non posso esprimerti stima!”) e mi dicono: studia la
cinematica! etc. Ma, gentilissimo, lo so anch’io che per la fisica è
una bestemmia, che mi bocciano etc. etc. Ma segua il ragionamento. Il
moto non modifica nulla: cinematicamente il viaggiatore è in moto
rispetto alla banchina come la banchina lo è rispetto al treno, per
cui entrambi gli osservatori vedono una caduta parabolica in presenza
di attrito, e una caduta in linea retta prescindendo dall’attrito. Non
vedono cose diverse. Al massimo potremmo dire che l’osservatore a
terra, prescindendo dall’aria, se si lascia ingannare dal moto del
treno potrebbe ritenere di vedere per inganno retinico una caduta
parabolica. Ma al ragionamento, egli concluderà esattamente come il
viaggiatore.
Un saluto.
Marco de Paoli
“Ci sedemmo dalla parte del torto. Tutti gli altri posti erano
occupati” (B. Brecht).
Fare un esperimento? no eh? Cercare sui libri dei dati su eventuali
esperimenti, no eh? Ci sono dei bellissimi esperimenti fatti con
riprese stroboscopiche in proposito...
Ma lei ha "studiato" tutto così nella sua vita? (intendo anche con
l'onestà intellettuale alla quale si riferisce).
Non mi meraviglio che alla fine abbia scritto un libro, il cui
contenuto relativo alla fisica, sia così pieno di corbellerie per
usare un eufemismo.
Valter Moretti
> A me sembra misurabilissimo senza che si reintroducano queste cose:
> tengo un orologio in mano e lo guardo.
E se io fossi estraneo alle consuetudini terrestri?
Cosa mi farebbe scegliere tra un "orologio" a forma di <<pendola>> ed
uno a forma di <<caffettiera>>?
Perche'.... se ci rifletti... la concezione del tempo non e' del tutto
estranea a te.
Io pero'preferisco chiamarlo cronometro, piu' che orologio
> Debbo dire che per me rimane un mistero come mai vi siate tutti cosi'
> impegnati in una discussione palesemente inconcludente.
La frequentazione dei vari Cassani, Buggio e compagnia bella mi ha fatto
capire che si crackpot - a cui ormai mi rsento di accomunare De Paoli -
non si fa cambiare idea, ne' si puo' cavarne alcunche' se non forse
qualche stimolo al ripasso. Non scrivo per loro, ma per chi, come l'OP,
vuole farsi un' idea del valore del libro. Spero che si sia chiarito che
tale valore e' praticamente zero.
> E' rimasto al '600 se va bene.
Lo si capisce da quello che scrive, in effetti. Pare che abbia anche
scritto un libro o due di stroia della fisica del XVII secolo...
ossignur :-(
> Non
> sanno quanti studenti facendosi beffe di loro ripetono la canzone del
> Professore senza credervi affatto, ma solo per prendere un buon voto.
Io preferisco uno studente che ripete cose giuste che non ha capito ad
uno che ripete con arroganza cose sbagliate - e non si corregge nemmeno
dopo che gli spiegano l'errore.
> dal punto di vista dinamico non è la stessa cosa. Così,
> cinematicamente è la stessa cosa che Maometto vada alla montagna o la
> montagna vada a Maometto [...] Ma Maometto fatica
> di meno, produce meno calore e meno lavoro, se la montagna muove le
> chiappe e va da lui.
Ecco, questo e' il risultato di parlare in termini generici - il "moto"
- invece di termini precisi - velocita' e accelerazione. Certo, i
termini generici fanno "sapiente" invece di "tecnico" (ma chissa' se ti
ricordi del viaggio di Socrate dopo il verdetto dell'oracolo), ma hanno
il difetto di portare spesso alla confusione. Quando si parla di
equivalenza di sistemi di riferimento si parla, fino alla RR inclusa, di
equivalenza di sistemi *inerziali* - cioe' *velocita'* relative
uniformi. Le *accelerazioni* sono *assolute*! Cosi' la fatica, il
consumo di energia, ecc. sono maggiori quando si accelera il corpo piu'
grande: e questa e' una cosa su cui tutti gli osservatori inerziali
concordano. Questo significa l'equivalenza dei sistemi di riferimento:
se avessi capito la meccanica classica lo sapresti. E sapresti anche che
questo vale anche in presenza dello spazio assoluto di Newton.
> D’accordo sul teorema
> di Gödel, che non vale per la relatività ristretta.
Quindi devi ammettere di avere commesso un errore logico, abbastanza
elementare: quale sia, te l'ho spiegato due giorni fa (24/3 ore 10:36).
> A prescindere dal fatto che nell’intendimento di Einstein
> la relatività generale conclude e corona la relatività ristretta,
"Conclude" e "corona" sono termini che con la logica non hanno nulla a
che fare. Ed il tuo e' un errore logico.
> dopo che egli ha mostrato che il rallentamento degli
> orologi è dovuto anche al potenziale gravitazionale, occorre
> considerare anche questo.
Se la differenza di pot. non e' 0, ed e' sufficientemente intensa per
crare confusione.
> Ad esempio una discussione sul paradosso dei
> gemelli che non tenga conto del potenziale gravitazionale, e dunque
> condotta solo nei termini della relatività ristretta come se Einstein
> poi non avesse mai elaborato la teoria generale, può essere un
> esercizio accademico interessante ma piuttosto sterile.
Sterile? Niente affatto. Il pdg si verifica quotidianamente negli
acceleratori di particelle, e' necessario tenerne conto nella loro
progettazione, ed il potenziale gravitazionale non c'entra un fischio.
> Il moto non modifica nulla: cinematicamente il viaggiatore è in moto
> rispetto alla banchina come la banchina lo è rispetto al treno, per
> cui entrambi gli osservatori vedono una caduta parabolica in presenza
> di attrito, e una caduta in linea retta prescindendo dall’attrito.
A parte il fatto che in condizioni normali di attrito e velocita' la
traiettoria e' molto piu' vicina ad una parabola che ad una retta,
questo ragionamento e' grossolanamente errato, ed e' anche questo
conseguenza di un modo di parlare, e pensare, fumoso (il rifiuto della
matematica e' una faccetta di questo modo di pensare).
La velocita' orizzontale della pietra e' costante, quella verticale NO,
e' proporzionale al tempo: come puo' saltarne fuori una linea retta?
Elimina il tempo fra le equazioni x=vt e y=1/2gt^2 e troverai
y=gx^2/(2v^2), che, come ogni buon studente liceale sa dirti, a
pappagallo o meno, e' una parabola. Puo' essere una retta solo se la
vel. orizzontale v e' zero: e questo avviene dal punto chi sta sul
treno. CVD.
Se non sei d'accordo su questo allora confermi di non aver capito
nemmeno la meccanica classica. Ha ragione quello che ti ha detto che le
tue obiezioni sono a livello aristotelico.
> potrebbe ritenere di vedere per inganno retinico una caduta parabolica.
Vabbe', siamo alle comiche finali. Non lo sai che si puo' osservare
sperimentalmente - come ti ha detto Valter Moretti - il moto parabolico?
Direi quindi che Franco sul tuo libro aveva ragione. Il macero? Spero di
si', vorrebbe dire che le tue sciocchezze hanno avuto poca circolazione.
Peccato per tutti quegli alberi abbattuti...
"Enrico SMARGIASSI" <smarg...@ts.infn.it> ha scritto nel messaggio
news:hoio6f$vkf$1...@nnrp-beta.newsland.it...
> mdp wrote:
>
> Ecco, questo e' il risultato di parlare in termini generici - il "moto" -
> invece di termini precisi - velocita' e accelerazione. Certo, i termini
> generici fanno "sapiente" invece di "tecnico" (ma chissa' se ti ricordi
> del viaggio di Socrate dopo il verdetto dell'oracolo), ma hanno il difetto
> di portare spesso alla confusione. Quando si parla di equivalenza di
> sistemi di riferimento si parla, fino alla RR inclusa, di equivalenza di
> sistemi *inerziali* - cioe' *velocita'* relative uniformi. Le
> *accelerazioni* sono *assolute*! Cosi' la fatica, il consumo di energia,
> ecc. sono maggiori quando si accelera il corpo piu' grande: e questa e'
> una cosa su cui tutti gli osservatori inerziali concordano. Questo
> significa l'equivalenza dei sistemi di riferimento: se avessi capito la
> meccanica classica lo sapresti. E sapresti anche che questo vale anche in
> presenza dello spazio assoluto di Newton.
>
Di ciò se ne rende conto anche il cavallo di Ferrara?
> Di ciò se ne rende conto anche il cavallo di Ferrara?
Anche quello di Caligola, se e' per questo :-)
Dunque, io rispondo dialogando con Bruno Cocciaro. Cocciaro mi dice:
la questione del tempo in fisica è anzitutto operativa. Io rispondo:
sì, ha ragione, ma attenzione a non confondere questa definizione
operativa del tempo (che è misura condizionata dalla posizione di
quiete o di moto relativa dell'osservatore) con il tempo reale,
altrimenti ne vengono fuori paradossi poco sostenibili (determinismo
assoluto, retroazioni temporali etc.). Il mio è un argomento, giusto o
sbagliato che sia.
Ma ecco, dopo "un'occhiata" veloce al mio testo, saltare su Valter
Moretti in difesa dell'amico: come ti permetti di toccare Bruno
Cocciaro? Lascia stare "i miei colleghi fisici, Einstein incluso". Io
posso anche essere in disaccordo con Cocciaro, ma io sono io e tu non
permetterti, ignorantissimo che non sei altro! Bruno Cocciaro è
bravissimo (e quis negat?), Bruno Cocciaro è molto ma mooolto più
bravo di te! Va bene, può essere benissimo, ma che c'entra? Non è
questo il punto. Il punto è la distinzione fra tempo operativo e tempo
reale, non se Cocciaro è moooolto più bravo di me.
Il signor Moretti, pensate un po', vorrebbe anche spiegarmi che io non
ho capito "nemmeno" cosa sia lo spazio e il tempo assoluto. Ma no
Moretti, dai, suvvia: intendo per spazio e tempo assoluto quello che
intende Newton nei Principia, solo sfrondando gli addentellati
teologici ("sensorium Dei", do you remember?).
Ancora: le mie critiche alla relativizzazione di spazio e tempo sono
"infondate". Va bene, interessante affermazione apodittica, del tipo
ipse dixit (l'"autos efa" pitagorico). Ma non basta dire che le mie
critiche sono "infondate": di grazia, per favore, per piacere, occorre
dire perché lo sono. Altrimenti, chi fa "brutta figura" qui? Vi sono
dei non sequitur? Va bene, ma mi dica quali: o basta la sua parola?
Ma dimenticavo: Selleri (Moretti dovrebbe conoscerlo, I suppose), che
mi ha inviato critiche non disgiunte da apprezzamenti, Vittorio Banfi,
docente di astrodinamica e autore di libri sulla relatività che ha
presentato e recensito un mio libro, Halton Arp, uno dei massimi
astrofisici contemporanei che mi ha inviato un messaggio benaugurante,
tutti costoro che nel mio libro (2008 e 2009) ringrazio per le loro
critiche costruttive, chi sono rispetto a Franco o a Moretti?
Leggendo Moretti io vedo solo una reazione un po' scomposta. Non entra
minimamente nelle questioni poste. Io accetto la critica, anzi la
cerco. Ma qui non vedo argomenti.
Ora, io ho molta pazienza, sono una persona garbata e gentile, ma alla
fine verrebbe veramente da dire con Totò: ma mi faccia il piacere!
Marco
de Paoli
> Non so se era proprio a me che volevi rispondere (...);
> Ero in assoluta buona fede e non volevo
> fare battute.
No, non alludevo a te, tu non hai fatto battute, hai posto una
questione.
E' un testo di epistemologia.
> In parole
> povere hai gi deciso che la scienza occupa una
> posizione subordinata.
Non è una decisione di qualcuno, e nulla toglie che che la scienza
sia (o dovrebbe essere per sua natura) una forma di conoscenza reale.
Semplicemente non può tutto e a un certo punto si ferma (ma nemmeno la
sapienza cui alludo può tutto e non vedo sapienti).
Per quanto riguarda la scienza, solo mi spiace quando mi sembra di
vederla impari a se stessa e quasi venir meno al proprio compito, ad
esempio quando (come oggi mi sembra in particolare in cosmologia)
introduce concetti totalmente speculativi e troppi argumenta ad hoc.
> Ma questa
> distinzione poteva avere un senso finch la scienza
> - presumo con Galileo - non si separata dalla
> filosofia.
La distinzione è lecita ma guarda, la separazione fra la filosofia e
la scienza è stata uno dei maggiori disastri intellettuali della
nostra epoca.
> non vedo
> almeno io personalmente la ragione di una gerarchia
> che non ha ragion d'essere a meno (...)
> che non si riaffacci la tendenza di
> non pochi filosofi a ritenere la propria disciplina
> il criterio ultimo di verit su ogni aspetto del
> pensiero umano.
Non penso minimamente che la filosofia (o la sapienza o che altro)
sia il criterio per stabilire la verità su questioni scientifiche.
> Che la scienza non sia, almeno per me, la sola fonte
> di conoscenza non ci piove. (...)
> Sono piani che vanno tenuti distinti, e chi fa
> scienza seria il primo ad avere cura di non
> mescolarli.
Concordo in generale, però guarda che a volte da certe mescolanze ne
vengono fuori cose interessanti.
> Credo si possa fare buona scienza anche
> con un piccolo problema di cinematica dalla
> soluzione nota.
E' indubbio. Kuhn,che esalta le rivoluzioni scientifiche di contro
alla "scienza normale", sottovaluta un po' il fatto che è "la scienza
normale" a preparare il terreno per decenni e a volte per secoli alla
"rivoluzione". E poi avviene che chi viene dopo si prende tutta la
gloria. Duhem questo lo ha capito molto bene.
> le patologie alle quali ti
> riferisci, non so quanto consapevolmente, esistono.
> Non mancano lavori in cui il dato oggettivo viene
> piegato all'ipotesi di partenza magari per
> accumulare pubblicazioni per concorsi, oppure si
> perde di vista la correttezza di metodo. Ma non
> qualcosa di preoccupante perch roba che si
> elimina da s , e non mi pare corretto generalizzare
> dicendo che addirittura la scienza nella sua
> totalit non consapevole del proprio procedere.
Purtroppo non si tratta solo di patologie dovute a cause estrinseche
(concorsi, metodologie - che poi non esistono nella scienza:
Feyerabend). E' qualcosa di più strutturale. Husserl ha chiarito
alcune cose al riguardo, ma non tutte.
> Sta sotto gli occhi che i primi a occuparsi delle
> implicazioni filosofiche ed epistemologiche delle
> scoperte scientifiche sono stati gli autori di
> queste ultime
Sì, ed è positivo, ma spesso è fatto in modo molto insufficiente. E'
giusto dirlo, così come giustamente lo scienziato critica le ingerenze
indebite. La "filosofia spontanea" dello scienziato è spesso
insufficiente come la scienza del filosofo.
> sarei sorpreso che persone nonaddentro ai problemi tecnici potessero capire meglio
> le cose rispetto a chi le andava e le va scoprendo.
Qualche volta può succedere. Come l'autore di un romanzo può non
essere il miglior giudice di se stesso e può non vedere nella sua
opera cose importanti che altri giustamente vi vedono, così può
accadere anche in altri campi.
> Certo, auspicabile e necessaria una certa
> "collaborazione" tra approcci diversi, ma le
> graduatorie di validit del sapere non mi hanno mai
> troppo convinto.
La scienza sicuramente è sovrana nel proprio ambito, sicuramente lo
scienziato non deve rendere conto a un "superiore".
Infine, questa collaborazione tra approcci diversi di cui parli la
vedo estremamente difficile. Forse, allo stato attuale, impossibile.
> "La teoria sapere come funzionano le cose e
> non sapere come farle funzionare; la pratica
> sapere come far funzionare la cose senza sapere come
> funzionano; il nostro scopo unire la pratica
> alla teoria per riuscire a non far funzionare
> le cose senza capire come abbiamo fatto"
Frase amara, questa, ma molto vera. Ancora peggio è quando il
conflitto non è fra teoria e pratica.
> ciao!
Ciao
marco de paoli
> A me sembra misurabilissimo senza che si reintroducano queste cose:
> tengo un orologio in mano e lo guardo. Non ho bisogno di coordinate.
Ma a questo punto... un lettore disattento potrebbe chiederti:
<<ma una caffettiera e' un orologio?>>
Quello che traspare da questa domanda "innocente" e' cio' che
inevitabilmente (nascosto dalle tue righe) esce fuori con prepotenza:
--)o tu sai cosa sia il tempo , e lo sai "a priori" cosicche' riesci
a distinguere un <<buon orologio>> da un <<cattivo orologio>> da un
altro ancora che non e' nemmeno l'ombra di un orologio
--)oppure tu non sai cosa sia il tempo.... e tenti di misurarlo con un
orologio. Ma questa seconda ipotesi mi puzza lievemente di
<<LOOP>> ... e' come dire che (Benigni e Troisi in Non ci resta che
piangere) quando dovevano costruire la lampadina nel mille_eQquattro
quasi 1500 se la sarebbero fatta fare da un elettricista...
"e gia'... inventavano prima l'elettricista e poi la lampadina..."
> In ogni caso, non hai ancora detto che cos'e` il vero tempo. E'
> misurabile? Si direbbe di no, se no ricadi nella tua stessa critica. Se
> non e' misurabile, che relazione ha con la Fisica, che tratta di cose
> misurabili?
Vedi sopra
> E' indubbio. Kuhn,che esalta le rivoluzioni scientifiche di contro
> alla "scienza normale", sottovaluta un po' il fatto che è "la scienza
> normale" a preparare il terreno per decenni e a volte per secoli alla
> "rivoluzione".
Questo e' uno dei fraintendimenti piu' comuni di Kuhn; ma e' colpa di
chi fraintende, non dell'autore. Kuhn non esalta affatto le rivoluzioni
versus la scienza normale; scrive chiaro e tondo che e' la fase
paradigmatica ad essere scienza, che e' in essa che si compiono i
progressi principali, e che le fasi rivoluzionarie sono ritorni parziali
ad una fase pre-scientifica, da superare il piu' in fretta possibile.
Semmai il suo problema e' che non capisce - e con onesta' intellettuale
lo riconosce, anzi e' il primo a farlo notare - come possano nascere
rivoluzionari da scienziati formatisi in ambito "normale". Questo,
secondo me, nasce dal fatto, gia' sostenuto da Toulmin, che la
distinzione che K. fa tra le due fasi e' sopravvalutata, e che la
scienza normale in realta' e' piena di "microrivoluzioni" (concetto
peraltro non assente nemmeno in Kuhn).
> La "filosofia spontanea" dello scienziato è spesso
> insufficiente come la scienza del filosofo.
La filosofia spontanea degli scienziati si e' dimostrata quasi sempre
piu' che sufficiente per il progresso della scienza, mentre le
elucubrazioni esterne dei filosofi raramente hanno avuto un influenza
piu' che nominale (mi viene da pensare a F. Bacone).
> Qualche volta può succedere. Come l'autore di un romanzo può non
> essere il miglior giudice di se stesso e può non vedere nella sua
> opera cose importanti che altri giustamente vi vedono, così può
> accadere anche in altri campi.
Bisogna pero' che chi viene dall'esterno conosca bene cio' che e' fatto
all'interno, altrimenti parla a vuoto, come un critico letterario che
volesse ribaltare l'opinione corrente su Tolstoj leggendolo sui
riassunti del Reader's Digest. Purtroppo non e' sempre stato il caso con
i filosofi, e, come si e' dimostrato ampiamente in questa discussione,
non e' certo il caso con te.
> --)oppure tu non sai cosa sia il tempo.... e tenti di misurarlo con un
> orologio. Ma questa seconda ipotesi mi puzza lievemente di
> <<LOOP>>
E' chiaro che per misurare una cosa devo prima averne una nozione
intuitiva. Questo vale per tutto, anche, per esempio, per la
temperatura, solo che la temperatura non eccita l'animo dei filosofi
come il Tempo :-) Si parte dal concetto intuitivo, si elaborano metodi
per darvi un significato preciso, e si vede come si sviluppa la scienza
connessa a quel concetto ed a quei significati. Si puo' vedere che certe
definizioni di orologio (o di termometro) conducono a determinate leggi,
altre no (p.es. certi termometri ti conducono alla legge dei gas
perfetti, altri no)). Allora si raffina la definizione e si ripete...
E' un circolo? Se anche fosse un circolo, non e' un circolo vizioso, ma
virtuoso. Io invece lo paragono ad una spirale: si gira in tondo, ma
salendo ad ogni giro. E' semplicemente una manifestazione del carattere
evolutivo ed autocorrettivo della Scienza. Alla fine ci troviamo con un
concetto di Tempo (o Temperatura) molto piu' raffinato e potente di
quello intuitivo iniziale, in grado di inglobarlo e di correggerlo se
necessario. Perche', non dimentichiamolo, anche il concetto iniziale e'
un dato dell'esperienza.
Non soltanto è virtuoso, è ermeneutico. :-)
Che la comprensione di ogni concetto non possa prescindere da successivi
raffinamenti, a partire da un pre-giudizio onestamente riconosciuto come tale, è
affermato anche dai filosofi che hanno riflettuto di più sul processo
interpretativo. Si può partire ad esempio da:
http://it.wikipedia.org/wiki/Circolo_ermeneutico
Lo stesso Kuhn, in quel libro molto bello e poco citato che è /The Essential
Tension/, riconosce l'importanza della tradizione ermeneutica.
Paolo
> Che la comprensione di ogni concetto non possa prescindere da successivi
> raffinamenti, a partire da un pre-giudizio onestamente riconosciuto come tale, č
> affermato anche dai filosofi che hanno riflettuto di piů sul processo
> interpretativo. Si puň partire ad esempio da:http://it.wikipedia.org/wiki/Circolo_ermeneutico
Thomas Brody; "The Philosophy Behind Physics"? E' molto interessante.
Tratta con molta lucidita' proprio questo problema, direi
dall'epistemologia all'esegesi.
Lui era un fisico austriaco che insegnava in Mexico... e questo libro
riassume diversi suoi articoli con dei capitoli inediti in cui
affronta il problema della conoscenza in fisica.
Le nostre idee nel riscontro con la realta'; ed il concetto di
casualita'.
> E' chiaro che per misurare una cosa devo prima averne una nozione
> intuitiva. [...]
>
> E' un circolo? Se anche fosse un circolo, non e' un circolo vizioso, ma
> virtuoso. Io invece lo paragono ad una spirale: si gira in tondo, ma
> salendo ad ogni giro.
concordo pienamente; come se il centro di questa spirale
(irragiungibile) fosse il concetto.
Ma e' qui la mia riflessione... che e' girata principalmente all'OP
giusto parlare di <<quel tempo>> [irragiungibile concettualmente,
aggiungo] da noi umani, che poi si mappa su un sempre meglio
definibile <<tempo>> che riusciamo anche a misurare.
Quindi il <<tempo>> (il nostro tempo) e' una congettura (piu'o meno
corretta), mentre il TEMPO non sapremo mai cosa sia.
Ogni nostra idea trova un parziale riscontro nella realta' ed e' lo
stesso cervello che si riadatta continuamente alle sue idee quando
deve migliorare la conoscenza del mondo; dato che la mente <<fa
esperienza>> sulla realta' solo attraverso altri concetti, meno
sofisticati, che ha gia'prodotto.
Il punto allora e' l'esistenza di una duplice entita'.
Io mi vorro' riferire solamente a quello a cui si tende, centro della
spirale.
Abbiamo solamente supposto che esista davvero o ne abbiamo una prova?
Tant'e' che la stessa <<anima>> e' un'idea alla quale tende gran parte
delle manifestazioni irrazionali (e non) di noi uomini, ma la
temperatura anche... Per questa, la Temperatura, sappiamo altresi' che
piu' tentiamo una definizione precisa e chiara tanto meno ci risulta
chiaro a cosa essa si applichi, e la massa allo stesso modo.
Una cosa che pero' riusciamo bene a definire e' il (A) <<senso di
contemporaneita'>> tra eventi.
Ma un evento, sappiamo altresi', esiste in una infinita' di punti che
attraversano tutto l'universo... basterebbe seguirne il cono di luce.
Altra cosa che ci risulta chiara e' il (B) <<senso di prima e dopo>>.
Manca quel pezzo che ci dica (C) <<di quanto>> sono non contemporanei
un prima e un dopo: e cioe' questo TEMPO.
Quando noi misuriamo il nostro tempo abbiamo solo fatto dei confronti
tra <<macchine>> che ripropongono degli stati molto simili tra loro...
e parliamo di cicli.
Il sole che sorge: ciclico?
No, poiche' dipende tutto dal punto di osservazione.
Anche un sasso, fermo a terra, sembra non mostrare nulla di ciclico.
Invece e' tutto il frutto del punto di vista. Se fossi sulla Luna
vedrei chiaramente che il sasso <<esisbisce>> il suo comportamento
ciclico.
Allora tutto e' ciclico (e al contempo non lo e').
Ora e' il TEMPO intimamente legato con la luce (lo SPAZIOTEMPO se
vuoi).
> Questo e' uno dei fraintendimenti piu' comuni di Kuhn; ma e' colpa di
> chi fraintende, non dell'autore. Kuhn non esalta affatto le rivoluzioni
> versus la scienza normale; scrive chiaro e tondo che e' la fase
> paradigmatica ad essere scienza (...) ,
Ha anche detto che la scienza "normale" è la più chiusa e dogmatica.
Per Kuhn "e' la fase paradigmatica ad essere scienza"? Solo quella?
Dunque per Kuhn gli estensori delle tavole alfonsine erano scienziati
e invece Galileo, Keplero, Newton (cui nessuno vorrà negare siano
stati alfieri di grandi rivoluzioni scientifiche) non lo erano?
Incredibile dictu, sed legitur.
>(...) e che le fasi rivoluzionarie sono ritorni parziali
> ad una fase pre-scientifica, da superare il piu' in fretta possibile.
Certo, certo. Galileo, Keplero, Newton non sono alla base della
scienza classica: secondo Kuhn si tratta di "ritorni parziali ad una
fase pre-scientifica, da superare il piu' in fretta possibile". Povero
Kuhn. Ma of course "e' colpa di chi fraintende, non dell'autore".
Marco de Paoli
su questa seconda parte credo di dissentire. I filosofi
inventano spesso problemi "etici" ad hoc che alla fine
mettono dei grossi paletti alla scienza che essa non pu�
rimuovere, poich� non sono problemi reali, ma argomenti
irrazionali che per� fan presa sulla pancia dei
contribuenti, e che i politici brandiscono volentieri come
clave, fumosamente adatte ad essere adattate alla bisogna.
Ad es. VOI tutti, scienziati, in italia, lavorate meno bene,
meno autonomamente, di quanto non potreste fare se il
filosofo B. Croce non vi avesse fatto terra bruciata
attorno, imponendo a priori che foste dei paria di secondo
rango del vero sapere, in una scala inventata da lui (e per
fortuna adottata solo in italianistan e in vaticanistan :-))
Penso ad es. al ritardo enorme sviluppato nella ricerca
sulle staminali, rispetto al resto del mondo occidentale,
quando paradossalmente avremmo avuto fior di scienziati di
punta (che finiscono a lavorare altrove)
Se questa non � influenza concreta di concetti immateriali,
allora non so cosa lo sia.
Ma forse tu indendevi una cosa diversa, ossia indicazioni
pratiche per migliorare la vita ... allora forse concordo
(gli ultimi filosofi che ci hanno provato e che ricordi, non
della scienza, forse furono Freud e Marx, il primo ormai
superato almeno in parte, il secondo ancora da raggiungere
... e guarda caso non furono neppure filosofi in senso
stretto). Gli altri se la suonano e se la cantano. Se solo
lo facessero "privatamente" non sarebbe nemmeno male. Ma poi
te li trovi a fare para-politica, e allora si che sono
volatili senza zucchero.
Ciao
Soviet
>
>> Qualche volta pu� succedere. Come l'autore di un romanzo pu� non
>> essere il miglior giudice di se stesso e pu� non vedere nella sua
>> opera cose importanti che altri giustamente vi vedono, cos� pu�
"Enrico SMARGIASSI" <smarg...@ts.infn.it> ha scritto nel messaggio
news:hol2fn$8t9$1...@nnrp-beta.newsland.it...
> Il 26/03/2010 21:59, Peter11 ha scritto:
>
>> Di ciò se ne rende conto anche il cavallo di Ferrara?
>
> Anche quello di Caligola, se e' per questo :-)
Bè, dovrebbe essere simmetrica la cosa, anche se con risultati diversi sugli
umori dei due quadrupedi. Il cavallo di Caligola è contento perché si porta
in sella una settantina di chili e poi, secondo l'urban legend è pure
senatore; quello di Ferrara è infelice per due motivi: il primo perché deve
fare un notevole sforzo per muovere dal suo stato di quiete relativa il di
lui proprietario, che peraltro non è riuscito neanche a farlo diventare
vicedirettore di libero...
cosa intendi?
"causa ed effetto" si possono leggere al contrario? la maggiore
entropia determina una soluzione ordinata?
in che modo si relaziona al principio di localit�? lo spazio tempo
sarebbe connesso con causa ed effetto e col disordine?
> Cocciaro, hai il testo sottomano? Se vuoi, vai alla XIII lettera di
> Guillaume. Qui dice che un’ora può essere espressa anche come 60
> minuti o 3600 secondi, cosicché 1 e 60 e 3600 diventano misure (in
> ore, minuti, secondi) della stessa durata per cui 1 : 60 : 3600.
> Invece, nella XXVII lettera, dice che in un orologio la lancetta
> piccola percorre un giro di quadrante mentre quella grande ne percorre
> 12 e «si la grande aiguille parcourt par exemple t = 36 divisions
> (cercle des minutes), la petite aiguille n’en parcourra, dans le même
> temps, que t′ = 3, de sorte que 3 et 36 sont des mesures de la même
> durée» in quanto 36 = 12 x 3. Sono solo esempi, ma mi sembrano una
> buona bussola per orientarsi nelle non facili argomentazioni di
> Guillaume.
Se le argomentazioni sono queste direi che siano facilissime. Ed e'
facilissimo vedere che sono delle banalita'. Anche una misura di lunghezza
puo' essere espressa come 1 km o 1000 m. E' la stessa misura espressa in
unita' diverse. Cosa questa (cioe' la possibilita' di esprimere una misura
secondo diverse unita') vera per *ogni* misura. Certo non una specificita'
delle misure di intervalli di tempo.
> Egli intendeva mostrare come sia possibile ottenere gli
> stessi risultati einsteiniani mantenendo i presupposti della fisica
> classica. «Attraverso le trasformazioni di Lorentz (cito dal mio
> libro, ed. 2008 p. 121), Guillaume ricondusse i molteplici indici
> temporali (t1, t2 etc.) propri della rappresentazione poliparametrica
> del tempo einsteiniana all’interno di una rappresentazione
> monoparametrica con un unico tempo universale t (...). In tal modo i
> tempi einsteiniani non vengono negati bensì diventano variabili
> all’interno di un unico parametro temporale, ovvero misure diverse
> della stessa durata temporale, eseguite con orologi di periodo t1, t2
> etc. di cui l’uno fornisce tempi più lunghi e l’altro più brevi».
Poliparametrica ... monoparametrica ... ma che roba e' ?
Einstein e' chiarissimo. Il tempo e' ***solo*** cio' che si misura con
l'orologio.
t1, t2 etc. o sono risultati di misure effettuate con un qualche orologio
oppure sono chiacchere (o mix fra misure e chiacchere). Che cosa ci potrebbe
essere mai da unificare? Piu' unificato (e chiaro) di cosi' non riesco a
vederlo. Il tempo e' solo quello: cio' che si misura con l'orologio.
Naturalmente uno potrebbe non capire cosa si dice in relativita', e, in
conseguenza della sua scarsa comprensione, perdersi nelle parole non
cogliendo i significati di esse. Alla fine potrebbe arrivare a dire che in
relativita' si parla di "tanti tempi" (t1, t2, etc.). Ma sarebbe solo un
modo per dire che non ha capito.
> Cos’è dunque questo “tempo reale”? Non è un fantasma metafisico che si
> cela dietro i tempi relativi, è il tempo che li comprende tutti come
> un quadrato suddiviso in 50 quadratini li comprende tutti.
Ci rinuncio.
Non ricordo piu' se te l'ho gia' chiesto 3 o 4 volte.
Ogni volta non rispondi. O rispondi con parole che potrebbero andar bene per
"ripetere la canzone del Professore senza credervi affatto, solo per
prendere un buon voto" non certo per far capire all'interlocutore cosa
sarebbe il concetto che vorremmo spiegargli.
Ti ho detto che il tempo di cui si parla in relativita' e' un solo ed e'
quello che si misura con l'orologio. Cio' che, in relativita', si intende
con le parole "tempo relativo" e' qualcosa di tecnico che tu *non conosci*
e, in conseguenza di cio', e' bene che tu non usi quelle parole.
Siamo partiti dall'inizio.
Io ti ho detto che il tempo e' soltanto cio' che si misura con l'orologio.
Tu vuoi parlare di tempo reale.
Io ti ho chiesto se questo tuo tempo reale ha una una qualche relazione con
il tempo, cioe' con cio' che si misura con l'orologio.
Onde evitare confusioni ti ho anche suggerito di cambiare nome, almeno in
prima istanza, a questo tuo tempo reale. Ho proposto QWERT, mi va bene un
qualsiasi altro nome che non contenga in alcun modo la parola tempo in
quanto questa e' gia' occupata da "cioe' che si misura con l'orologio".
Tu mi rispondi (traduco di nuovo per rendere piu' chiara la tua risposta):
Cos’è dunque questo “QWERT”? Non è un fantasma metafisico che si cela dietro
il tempo [usi impropriamente un plurale, tempi relativi, ma lo fai in
maniera del tutto indebita perche' io ti ho detto che in relativita' il
tempo e' solo uno], è il QWERT che comprende tutti i tempi [quali ??? Il
tempo e' uno solo!] come un quadrato suddiviso in 50 quadratini li comprende
tutti.
Ti sembra una risposta?
Chiudo dicendoti che mi sentirei di comportarmi in maniera scorretta nei
tuoi confronti se non ti facessi presente con forza, anche io come tutti
coloro ti hanno risposto qua, che sono veramente sconcertanti alcune delle
cose che dici. Se ti conoscessi personalmente, se tu fossi mio amico, ti
implorerei di fare di tutto per togliere al piu' presto il tuo libro dal
commercio.
La storia di Einsten (Galileo ecc. ... come anche tutti i partecipanti a
questa discussione e tutti gli studenti del mondo) che si sarebbe
dimenticato dell'effetto dell'aria, con ciliegina finale dell'inganno
retinico, e' incredibile. Quando l'ha detto Franco, parlando di "spassoso
passaggio", non ci ho creduto. Ho pensato: "Franco avra' capito male". Poi
lo
hai detto un paio di volte tu nel thread e ancora mi rifiutavo di crederci.
Pensavo "Staro' capendo male cosa vuole dire". Alla fine ho dovuto
desistere.
Rispondo qui sulla questione caduta gravi.
È ovvio che non ne viene una linea retta. Certo che con attrito il
grave cade in accelerazione approssimativamente a parabola e non in
linea retta. Dico approssimativamente (e questo "approssimativamente"
in realtà è rigoroso, non generico come mi obiettano), perché nel XVII
secolo si discusse moltissimo su quale fosse la traiettoria esatta:
per Galileo nel Dialogo era una parabola o una semiparabola o
addirittura «un ghirigoro» (Opere, Utet, vol. II, p. 219), per Keplero
e Fermat era una sorta di spirale, per Newton una spirale tuttavia
quasi in verticale ai 4 punti cardinali, per Hooke un ellissoide con
spostamento rispetto alla verticale praticamente nullo ai poli e
massimo all'equatore, etc.
Ma veniamo alle "comiche finali". Mi fa piacere sapere che si può
osservare sperimentalmente il moto parabolico. Da parte mia non ho mai
dubitato che nella caduta dei gravi con attrito vi sia un moto
parabolico o approssimativamente tale. Ma alla normale osservazione
quotidiana di un grave in caduta (e non in un contesto sperimentale),
cosa si vede veramente?
Cominciamo dall'osservatore galileiano ai piedi di una torre da cui
cade un grave. Cosa vede, una parabola? No. Galileo lo fa dire a
Simplicio: «come, se ella (pietra) si muove trasversalmente, la veggo
io muoversi rettamente e perpendicolarmente?» (Dialogo, in Opere,
Utet, II, p. 217). E risponde Galileo, con inaudita audacia: tu vedi
una retta, ma non devi credere a quello che vedi; infatti «quando la
torre si muovesse insieme con la Terra, ed il sasso la radesse, il
moto del sasso sarebbe trasversale, e non perpendicolare» (cit. pp.
180-181). E intende: quello che vedi è una caduta perpendicolare ma,
poiché la Terra e l'atmosfera si muovono con la torre, in realtà il
moto del sasso è parabolico (invero è una specie di zig-zag o
«ghirigoro», ma stiamo pure alla parabola senza complicarci la vita).
Perché questo? Galileo non si limita a dire che quella del grave in
caduta è una parabola apparente determinata solo dal moto terrestre
(non dice: la Terra si sposta in avanti mentre il grave cade in
perpendicolare e così sembra di avere una parabola). Dice che la
traiettoria è (approssimativamente) una parabola reale, determinata
dalla spinta dell'aria in rotazione con la Terra. Galileo dice: se la
pietra cadendo si sposta leggermente in avanti (e non all'indietro
verso ovest - in nostro emisfero-, come secondo i tolemaici sarebbe
avvenuto nel caso per loro impossibile di un moto terrestre), questo è
perché spinta dall'aria. Questo, secondo Galileo, avviene perché la
Terra in rotazione trascina l'atmosfera in rotazione differenziale,
che tanto più interferisce col grave in caduta quanto più questo si
avvicina a terra.
È un ragionamento aristotelico questo? In certo senso sì, perché
Galileo è più aristotelico di quanto non si dica. In un altro senso,
no: perché l'aria che spinge non è quella di cui parlava Aristotele,
ma è l'atmosfera trascinata (oggi diremmo per frame-dragging) dalla
Terra in rotazione. Ditemi del resto per quale altro motivo il grave
dovrebbe cadere spostato in avanti e non all'indietro. Per Copernico e
Giordano Bruno, in base al principio di relatività abbiamo un sistema
unico e il grave cade perpendicolare; per i tolemaici, se la Terra
ruotasse cadrebbe all'indietro. Ma non così per Galileo che in un
sistema aperto non applica il principio di relatività. Questo dice
Galileo.
Ora passiamo all'altro caso, treno e banchina. Qui il moto parabolico
della pietra in caduta si dovrebbe vedere meglio, perché non si tratta
solo della Terra in moto, c'è un treno in moto e la parabola è più
marcata. Al riguardo, voi dite che la traiettoria a parabola della
pietra è vista solo dall'osservatore sulla banchina, mentre io dico
che vale per entrambi gli osservatori, anche per il viaggiatore.
Prescindendo dall'attrito (mettendo la mano fuori dal finestrino di un
treno in corsa noi vediamo che la mano tende ad essere spostata
all'indietro), il viaggiatore sa che la velocità orizzontale della
pietra è zero. Sa che non è la pietra che va indietro ma il treno che
va avanti (non è la stessa cosa del grave in caduta dalla torre spinto
lievemente in avanti dall'atmosfera in rotazione differenziale con la
Terra). Però vede la pietra andare all'indietro e contemporaneamente
all'ingiù e ciò che appare andare all'indietro e contemporaneamente
all'in giù sembra approssimativamente una parabola. Per questo dico
che la traiettoria è per entrambi approssimativamente a parabola,
anche per il viaggiatore.
Ma in realtà solo in un senso molto generale si può dire di "vedere".
Infatti, nessuno dei due osservatori (come nemmeno quello ai piedi
della torre) vede istante per istante una traiettoria parabolica (né
quello della torre la vede semiparabolica, o a spirale o a ellissoide
etc.). La traiettoria del grave in caduta è ricavata matematicamente,
non è vista direttamente: al più si può immaginare che una linea
ideale che unisca le differenti posizioni della pietra in caduta può
essere all'incirca una parabola. Dunque, in realtà nessuno dei due
osservatori letteralmente vede, ma entrambi comprendono con il
ragionamento che la traiettoria del grave in caduta dal treno in moto
è approssimativamente una parabola.
Ciao
Marco de Paoli
Che traiettoria farà la pallina vista dal treno?
Che traiettoria farà la pallina vista dalla banchina?
Valter Moretti
> Ora passiamo all'altro caso, treno e banchina. Qui il moto parabolico
> della pietra in caduta si dovrebbe vedere meglio, perch� non si tratta
> solo della Terra in moto, c'� un treno in moto e la parabola � pi�
> marcata. Al riguardo, voi dite che la traiettoria a parabola della
> pietra � vista solo dall'osservatore sulla banchina, mentre io dico
> che vale per entrambi gli osservatori, anche per il viaggiatore.
> Prescindendo dall'attrito (mettendo la mano fuori dal finestrino di un
> treno in corsa noi vediamo che la mano tende ad essere spostata
> all'indietro), il viaggiatore sa che la velocit� orizzontale della
> pietra � zero. Sa che non � la pietra che va indietro ma il treno che
> va avanti (non � la stessa cosa del grave in caduta dalla torre spinto
> lievemente in avanti dall'atmosfera in rotazione differenziale con la
> Terra). Per� vede la pietra andare all'indietro e contemporaneamente
> all'ingi� e ci� che appare andare all'indietro e contemporaneamente
> all'in gi� sembra approssimativamente una parabola. Per questo dico
> che la traiettoria � per entrambi approssimativamente a parabola,
> anche per il viaggiatore.
Temo che ti occorra una rinfrescata delle basi della fisica del liceo,
come minimo: quello che dici � tutto sbagliato. Guarda questo, tanto per
cominciare:
http://www.youtube.com/watch?v=ne6kTmpWFlM
Maurizio
--
Per rispondermi via e-mail togli l'ovvio.
> Che traiettoria farà la pallina vista dal treno?
> Che traiettoria farà la pallina vista dalla banchina?
Ognuna di queste 2 domande che non ha una sola risposta, ma molte
risposte.
Che traiettoria <<fara'>> la pallina, quella vera o quella ipotizzata
sulla base di un modello teorico?
E se pure fosse da rispondere quella <<vera traiettoria>>, allora
dovremmo misurarla [e quindi essere capaci di misurarla] con assoluta
precisione, e poi siamo sicuri che la traiettoria sara' sempre la
stessa identica ad ogni lancio e "nelle dovute" precondizioni di
sperimentazione?
Quindi aria, velocita', rotazione terrestre, e battito delle ali della
farfalla in Indonesia?
> A Moretti.
> Ma io ora certamente non le dico "cos� non vale" (sarebbe troppo
> facile) e accetto il suo esempio.
bene andiamo avanti...
> Dunque, nel suo esempio cosa vede il viaggiatore, cosa vede il pedone
> fermo?
> Capisco che lei vorrebbe una risposta netta e decisa (anch'io
> preferisco la risposta s�-s� / no-no di evangelica memoria) ma, a
> costo di sembrarle capzioso e sofistico, come persona che a suo tempo
> all'Universit� ha studiato la neuropsicologia della percezione visiva
> le dir� che la risposta non � univoca.
ma senta, � chiaro che "cosa vede" per me significava "quale fosse la
traiettoria nel riferimento considerato".
Lei ha capito benissimo che non mi riferivo a neurofisiologia o
altro... Guardi non mi risponda su questo, perch� altrimenti non
finiamo pi�. Pongo invece la domanda in un altro modo.
Prendo una cinepresa e la fisso al treno ed eseguo l'esperimento che
dicevo (lascio la pallina cadere tenendola fuori dal finestrino,
quando il treno si muove a velocit� costante, lentamente in modo tale
che l'attrito non conti.
Allora dopo averlo ripreso, guardo il filmato ottenuto con la
cinepresa sistemata come detto.
Che traiettoria vedr� fare alla pallina sullo schermo?
Contemporaneamente prendo un'altra cinepresa la fisso *sulla
banchina* riprendendo lo stesso esperimento. Quando guardo sullo
schermo questo secondo filmato, che traiettoria vedr� fare alla
pallina?
Se vedo una parabola in uno dei due casi, come � disposta?
Il vertice sar� il punto in cui si lascia la pallina, ma il punto di
caduta, sar� nella direzione del moto del treno o in quella opposta?
Saluti,
Valter Moretti
"Valter Moretti" <vmor...@hotmail.com> ha scritto nel messaggio
news:462adc7a-674c-41e5...@k13g2000yqe.googlegroups.com...
> On Apr 1, 12:26 pm, mdp <marcodepa...@yahoo.it> wrote:
>
>> A Moretti.
>
>
> ma senta, � chiaro che "cosa vede" per me significava "quale fosse la
> traiettoria nel riferimento considerato".
Dovresti far tesoro dei consigli di Elio quando dice che occorrerebbe
abolire il termine "osservatore" :-)
Certo, penso possa accadere in qualsiasi campo...
che non abbracci o coinvolga il metodo scientifico.
Del resto, si può accertare se sia come dici o meno.
Si potrebbe tentare una valutazione storica di tutte
le volte che la scienza non ha potuto proseguire il
suo cammino senza l'intervento di filosofi (solo per
restare in tema) che abbiano indirizzato o suggerito
strade nuove. Io penso che non si troverebbe niente
e non perché io creda che i filosofi siano
"inferiori" agli scienziati ma perché il progresso
significativo in una disciplina scientifica solleva
automaticamente una serie di problemi che vanno
affrontati in termini concreti. Come dicevo, se
esistono - e non lo so - scoperte significative a
cui non fosse stato possibile conferire un contenuto
concreto senza la filosofia, beh, ne prenderò atto.
>> "La teoria sapere come funzionano le cose e
>> non sapere come farle funzionare; la pratica
>> sapere come far funzionare la cose senza sapere
>> come funzionano; il nostro scopo unire la
>> pratica alla teoria per riuscire a non far
>> funzionare le cose senza capire come abbiamo
>> fatto"
>
> Frase amara, questa, ma molto vera. Ancora
> peggio è quando il conflitto non è fra teoria e
> pratica.
Oh, my God :) Ma era uno scherzo :) io uso sempre
firme con un pizzico di ironia e davvero non sono
riuscito a vederci niente di negativo.
ciao^
Apx
--
Una volta ho chiesto la differenza tra l'incesto
e l'incendio. Non credo di aver capito troppo bene
perché dopo un po' ho dato fuoco a mia sorella.
> Temo che ti occorra una rinfrescata delle basi della fisica del liceo,
> come minimo: quello che dici è tutto sbagliato.
Guarda, gliel'abbiamo detto in tanti, ma come vedi anche dalle risposte
che ha dato in questi giorni non ci arriva. Cavilla sul significato di
"vedere", mescola situazioni con attrito e senza (noterai che non ha
nemmeno capito il perche' Valter gli ha proposto un esempio col treno a
bassa velocita'), non sembra nemmeno capire che quello che sta dicendo
e' in contrasto con la fisica *newtoniana*, nonostante bastino due
calcoletti elementari per dimostrarlo; e, naturalmente, attribuisce la
sua confusione mentale agli altri. Credo che Valter abbia rinunciato a
cercare di convincerlo, e certo non ricomincero' io.
> Ha anche detto che la scienza "normale" è la più chiusa e dogmatica.
Kuhn uso' il termine "dogma" alla conferenza The Structure of Scientific
Change tenuta ad Oxford nel 1961 (atti pubblicati in Scientific Change,
ed. A.C. Crombie, Heinemann 1963) anche nel titolo della sua relazione:
"The function of dogma in scientific research". Ma di fronte alle
obiezioni, ammise che il termine era inappropriato e fuorviante e lo
elimino' dal suo vocabolario; nella Structure of Scientific Revolutions,
all'epoca in fase di scrittura, non appare.
Quanto alla "chiusura", e' un termine cosi' generico che e' difficile
condurci una discussione sopra, o anche solo parlarne, senza avere
chiarito un po' che cosa si intende.
> Per Kuhn "e' la fase paradigmatica ad essere scienza"? Solo quella?
Kuhn nella SSR (cap. III, IV e V) si dilunga a spiegare in che cosa la
scienza si differenzia da altre attivita' intellettuali, e la differenza
e' quella: l'esistenza di un paradigma. Di *un* paradigma. Questo
implica, tra le altre cose, che non esistono "scuole", quindi tutti gli
scienziati condividono sostanzialmente gli stessi concetti, valori e
metodi, che i problmi di base non vanno riesaminati ogni volta, che
quindi ogni scienziato non e' costretto a ripartire da zero...
La fase rivoluzionaria e' per K. un *parziale* (ti sottolineo il termine
visto che a quanto pare lo hai trascurato: ed e' un errore serio)
ritorno alla fase prescientifica, in cui ci sono due, o magari piu',
paradigmi in competizione. E' parziale in due sensi: primo, perche' non
coinvolge tutto il sapere scientifico - K. dice che una rivoluzione puo'
coinvolgere comunita' anche solo di venti-trenta scienziati -, quindi
rimane una base comune di confronto, anche se ridotta; secondo, perche'
e' comunque temporanea e coinvolge persone che, dopotutto, si sono
formate intellettualmente durante la fase paradigmatica.
Quindi i partecipanti alla fase "rivoluzionaria" possono chiamarsi
comunque scienziati: e' la fase, non le persone, ad essere meno
scientifica. (K. non e' Popper, e non sente il bisogno di una cesura
netta tra scienza e non-scienza.) Inoltre, e forse piu' importante,
questi che citi sotto sono scienziati perche' fondano un nuovo paradigma
che funziona meglio del precedente; fossero rimasti dei capi-scuola, una
tra le altre, non avrebbero creato scienza. Anzi il "progresso tramite
le rivoluzioni" (SSR cap. XIII) econdo K, puo'avvenire solo in questo
modo, visto che e' solo su base paradigmatica che si puo' ottenere, e
forse anche misurare, il progresso scientifico. K., come certo sai, nega
che esista alcunche' che si possa chiamare "progresso verso la verita'";
l'unico modo oggettivo per valutare il progresso scientifico e' tramite
l'amplimento dei problemi risolti. E per questo ci vuole il paradigma.
> Dunque per Kuhn gli estensori delle tavole alfonsine erano scienziati
> e invece Galileo, Keplero, Newton (cui nessuno vorrà negare siano
> stati alfieri di grandi rivoluzioni scientifiche) non lo erano?
Questo dovresti chiederlo a Kuhn, non a me. Se hai letto bene il mio
post precedente, avrai notato che sono lontano dal sottoscrivere tutto
quello che K. dice, per quanto lo ritenga importante. Credo che di
fronte alla tua obiezione risponderebbe piu' o meno con gli argomenti
che ho scritto sopra, e concluderebbe che si', sono scienziati anche
loro - eccome.
> Certo, certo. Galileo, Keplero, Newton non sono alla base della
> scienza classica
Tua personalissima, e sbagliatissima, interpretazione di quanto ho
scritto. Vedi sopra.
> secondo Kuhn si tratta di "ritorni parziali ad una
> fase pre-scientifica, da superare il piu' in fretta possibile".
Esatto. Durante la fase rivoluzionaria il normale processo scientifico,
che per K. e' "puzzle solving", si interrompe parzialmente, proprio
perche' si perde una parte della base comune tra studiosi. Il termine
"rivoluzione" fu scelto da K. in esplicita analogia con le rivoluzioni
politiche; la rivoluzione si ha quando "political recourse fails" e
bisogna ricorrere a mezzi non-politici. Fuor di metafora, gli argomenti
usati nella fase paradigmatica perdono almeno in parte il loro valore
persuasivo e bisogna ricorrere ad altri (nelle opere successive, a
partire dal Postscript, K. cerco' di smorzare l'impatto potenzialmente
irrazionalistico di queste considerazioni); i partecipanti al dibattito
"talk past each other", la discussione razionale diventa piu' difficile
e si tende a parlare di piu' di problemi "fondazionali". In breve i
vantaggi della fase paradigmatica - vedi sopra - tendono a perdersi ed
il problem solving complessivamente a rallentare. Nessuna meraviglia che
si tratti di una fase esaltante si', ma - secondo K. - meno produttiva
di quella normale. A meno di essere Trockij, nessuno ama vivere in una
rivoluzione permanente.
> su questa seconda parte credo di dissentire. I filosofi inventano spesso
> problemi "etici" ad hoc che alla fine mettono dei grossi paletti alla
> scienza che essa non puņ rimuovere,
Si', a volte succede, ma - a parte che si potrebbe discutere se la
responsabilita' e' dei filosofi o se si limitano a dar voce a pensieri
gia' diffusi - qui si parlava di epistemologia e forse metafisica piu'
che di etica. O, almeno, di questo parlavo io.
Invece ho capito l'esempio di Moretti e ho detto che mi è piaciuto,
perché consente di vedere le cose al rallentatore. Mi è piaciuto al
punto che io l'ho ulteriormente accentuato in forma paradossale: non
solo treno a passo d'uomo con pallina di piombo che cade, ma treno a
0,00001 Km/h con Elefante che cade. E a domanda ho risposto ("a
domanda risponde", come scrive il carabiniere). Ho risposto (1)
dicendo: entrambi gli osservatori (non uno solo, entrambi) vedono una
caduta perpendicolare (ancor più chiaramente vedono una caduta
perpendicolare se dal treno quasi fermo cade un Elefante). Certo, non
era la risposta che voleva Moretti.
Però poi è bene infine tornare all'esempio di Einstein. Einstein non
parla di un treno a passo d'uomo o un treno da cui piovono elefanti.
Parla di un treno normale, quale quello che poteva portarlo a Berna e
che se ben ricordo ancora corre a tratti lungo l'attuale piccola
strada per Berna. Dunque, non un treno che si sta fermando o sta
partendo ma un treno in moto, diciamo a 80 Km/h. Se dal finestrino
cade una pietra, cosa vedono i due osservatori? Io ho risposto (2):
entrambi vedono una caduta parabolica, non solo uno. Einstein può dire
che il viaggiatore vede una caduta perpendicolare perché prescinde
dall'attrito.
Nell'esempio di Einstein io dico:
- se si considera l'attrito si ha per entrambi caduta parabolica (lo
definisco moto orizzontale reale per spinta all'indietro del grave in
caduta);
- se non si considera l'attrito si ha per entrambi caduta
perpendicolare (lo definisco moto orizzontale apparente essendo in
realtà il treno che avanza).
Considero casi "purificati", senza porre altri problemi (né
interferenze col moto terrestre né altro). Prescindo da qualsiasi
approssimazione e quindi parlo netto di parabola o perpendicolare.
Infine (3): non ci sono due traiettorie, c'è una e una sola
traiettoria ancorché essa possa essere vista da osservatori differenti
in due modi differenti (ma in realtà, nell'esempio di Einstein, essa
viene vista allo stesso modo).
Se queste mie risposte (1-2-3) sono errate, non mi si dica: sono
errate. Nemmeno mi si dica: "sono in contrasto con la fisica
newtoniana", perché nessuno può escludere che la fisica newtoniana
contenga errori. Se le mie risposte (1-2-3) sono errate, mi si dica
perché e in cosa sono errate.
Marco de Paoli
x = componente orizzontale dello spazio percorso dalla pietra;
y = componente verticale (diretta verso il basso);
t = intervallo di tempo dall'istante in cui la pietra viene lasciata
cadere;
v = velocita' treno, costante, diretta nelle x positive;
g = accelerazione di gravita'
tutte nel riferimento dell'osservatore a terra, assenza di attrito.
x = v*t
y = (1/2)g*t^2
--> y = (1/2)g*(x/v)^2 --> y = (g/2v^2) * x^2
--> y = k*x^2. Che equazione e' questa? E' una parabola.
Facciamo un esempio:
v = 2m/s = 7.2 km/h --> y = 1.225*x^2
questa *non puo'* essere "approssimativamente una retta", a meno che
uno consideri un intervallo di x di pochi millimetri.
P.S. Le cose che ho scritto le insegnano al liceo.
Saluti
cometa_luminosa.
Ti hanno già consigliato di guardare questo video:
http://www.youtube.com/watch?v=ne6kTmpWFlM&NR=1
Come mai non l'hai ancora commentato?
E sopratutto cosa ne pensi di ciò che viene detto al minuto 3:20 ?
Di fronte alle critiche, Kuhn (anche per un certo timore delle
conseguenze delle sue stesse affermazioni) avrà riconosciuto che il
termine "dogma" non era felice (e altrettanto potrebbe dirsi per
termini similari da lui magari non usati come "chiusura") ma la
sostanza non cambia. In realtà Kuhn, con "gran dispitto" dei
rappresentanti della scienza "normale", è sempre stato assai più
interessato alle rivoluzioni scientifiche (si era del resto negli anni
sessanta quando incominciarono a diffondersi le sue tesi...) che non
alla scienza "normale" (fin dal suo primo grosso lavoro sulla
rivoluzione quantistica di Planck: tr. it. Alle origini della fisica
contemporanea. La teoria del corpo nero e la discontinuità quantica,
Il Mulino). A suo tempo l'ho sentito a parlare a Torino, e mi pare
proprio di ricordare che non mancassero accenni al "dogmatismo" della
scienza "normale". Il paradigma (o almeno quello dominante) è
certamente uno nella fase "normale" ma, per l'appunto come anche il
mio interlocutore riconosce, nella fase rivoluzionaria di fatto
abbiamo più paradigmi in concorrenza. Dei paradigmi concorrenti ha poi
parlato Lakatos: il carteggio di Kuhn con Lakatos (v. Kuhn–Lakatos,
Dogma contro critica, Cortina) può contribuire a chiarire in parte
questi aspetti.
A Kuhn va riconosciuto di avere "shakerato" idee di una certa
importanza, e va detto che le accuse a lui mosse di irrazionalismo,
sociologismo, relativismo e quant'altro sono piuttosto ingiuste (Kuhn
ha detto che nei paradigmi e nei loro mutamenti sono implicati
motivazioni psicologiche, sociologiche, religiose, extrascientifiche
insomma, ma non ha mai detto che le rivoluzioni scientifiche si
riducano a queste motivazioni ed anzi ha detto che tutto parte dal
prendere sul serio sul piano strettamente scientifico, certo in un
mutato quadro storico, determinate anomalie e incongruenze).
In fondo però nella sua nota opera maggiore Kuhn rimane alla fin fine
un grande divulgatore (per questo piace tanto): fra l'altro in essa
non vi sono molti esempi di rivoluzione scientifica, oltre all'abusata
rivoluzione copernicana e a qualcosa sulla termodinamica. Certo è
assai più facile dire qualcosa su Kuhn che non studiarsi in francese
gli otto volumoni del Système du monde di Duhem che (lui sì) parla
veramente e a fondo della "scienza normale", quella fatta in incognito
e per secoli da autori per lo più sconosciuti.
Marco de Paoli
PS) Mi spiace molto che nell'ultimo post (prima non era mai successo)
siano saltate le sillabe con accento, regolarmente presenti al mio
computer ove uso Time New Roman, perché la cosa inceppa e rende
difficoltosa la lettura.
> Kuhn avr� riconosciuto che il
> termine "dogma" non era felice (e altrettanto potrebbe dirsi per
> termini similari da lui magari non usati come "chiusura") ma la
> sostanza non cambia.
Invece cambia molto. Perche' per Kuhn il "dogma" e' utile, e per certi
versi indispensabile, per la scienza: quindi usare questo termine, con
il suo portato negativo, e' sbagliato. "Scientists *exploit* a paradigm,
rather than simply *slumber* within it" [TSK, in Scientific Change, AC
Crombie ed., (Heinemann 1963), p. 390; enfasi nel testo].
> In realt� Kuhn, con "gran dispitto" dei
> rappresentanti della scienza "normale", � sempre stato assai pi�
> interessato alle rivoluzioni scientifiche
Certamente, basta conoscere il titolo del suo opus maius per capire che
quello era l'argomento che lo intereressava di piu'. Ma se uno va oltre
il titolo scopre che le cose che tu hai detto, che sono diverse, sono
del tutto errate:
1) sostieni che K. non sostiene che e' la fase paradigmatica (o piu'
esattamente monoparadigmatica; insomma la scienza normale) ad essere
scienza a pieno titolo;
2) che questo implicherebbe che K. non considerava Galileo ecc., in
generale i ricercatori in fase non-paradigmatica, come scienziati;
3) che le rivoluzioni non sono ritorni (parziali) ad una fase
pre-scientifica da superare in fretta.
Queste tue affermazioni, fatte tramite un infelice ed improvvido
sarcasmo, sono SBAGLIATE. E si tratta di un errore non da poco, perche'
stanno *al cuore* del pensiero kuhniano. Il perche' te l'ho spiegato nel
mio messaggio precedente, e qui mi limito a fornire qualche citazione,
tra le molte possibili, che credo siano sufficienti a dissipare
eventuali dubbi:
1) "Un attento sguardo all'impresa scientifica suggerisce che e' la
scienza normale, in cui il tipo di controlli cari a Popper non ha luogo,
piuttosto che la scienza straordinaria, cio' che piu' distingue la
scienza dalle altre attivita'" [TSK, in Critica e Crescita della
Conoscenza, a cura di I.Lakatos e A. Musgrave (Feltrinelli, 2a ed.
1986), p. 75].
2) [Parlando degli ottici prima dell'instaurazione del paradigma dell'
Opticks] "Those men were scientists. Yet anyone examining a survey of
physical optics before Newton may well conclude that, though the field's
practitioners were scientists, the net result of their activity was
something less than science." [The Structure of Scientific Revolutions,
(The Univ. of Chicago Press, 2nd ed. 1970), cap. II, p.13]. Nota quanto
sia simile a quanto ho scritto io qualche giorno fa.
3) "So long as the tools a paradigm supplies continue to prove capable
to of solving the problems it defines, science moves fastest and and
penetrates most deeply through confident employment of those tools.
The reason is clear. As in manifacture so in science - retooling is an
extravagance to be reserved for the occasion that demands it." {ibid.,
cap. VII, p.76].
Naturalmente si puo' non esere d'accordo con TSK, ed io ho gia' detto
che sono lontano dal concordare in pieno con lui, ma prima bisogna
conoscerlo e capirlo.
> A suo tempo l'ho sentito a parlare a Torino, e mi pare
> proprio di ricordare che non mancassero accenni al "dogmatismo" della
> scienza "normale".
Capire una conferenza non di rado e' piu' difficile che capire un testo
scritto, dove si ha la possibilita' di fermarsi, riflettere,
rileggere... E visto la tua incomprensione degli scritti di TSK, non
credo che le tue impressioni di una conferenza abbiano un gran peso.
> Certo �
> assai pi� facile dire qualcosa su Kuhn che non studiarsi in francese
> gli otto volumoni del Syst�me du monde di Duhem
Certamente e' piu' facile. E vista la tua palese incomprensione del
primo, c'e` da preoccuparsi a pensare a cosa puoi avere combinato col
secondo...
> x = componente orizzontale dello spazio percorso dalla pietra;
> y = componente verticale (diretta verso il basso);
> (...)
> Che equazione e' questa? E' una parabola.
Sì, è una parabola, ma è quello che dico anch'io.
Giustamente consideri x come "componente orizzontale dello spazio
percorso dalla pietra".
Però poi dici che questa parabola risulta "nel riferimento
dell'osservatore a terra". Aggiungi anche: "assenza di attrito". Penso
sottintenda che la pietra, oltre che cadere verso terra ("componente
verticale verso il basso"), va in senso orizzontale in quanto lasciata
indietro dal moto in avanti del treno, cosicché (anche prescindendo
idealmente dall'attrito che la spinge all'indietro) ne viene per
l'appunto una parabola.
Ma qui è la differenza.
Perché è una parabola solo per l'osservatore a terra? Io dico (ed è
questo l'oggetto del contendere) che (contrariamente a quanto afferma
Einstein nell'esempio citato) è una parabola anche per l'osservatore
sul treno. PER L'OSSERVATORE SUL TRENO
1) è una parabola considerando l'attrito (perché la pietra è spinta
all'indietro). Ma per l'osservatore sul treno
2) è una parabola comunque, anche prescindendo dall'attrito (quando ho
parlato di perpendicolare in assenza di attrito intendevo solo dire
che senza attrito la pietra non si muove orizzontalmente e cade e
basta: si muove il treno. Ma poiché il treno va avanti e
cinematicamente è la stessa cosa che sia la pietra a andare indietro o
il treno a andare avanti, per questo dico che anche per l'osservatore
sul treno sarà una parabola).
Si continua a dire: lo insegnano a scuola. Lo so, ma il punto è che io
rifiuto precisamente alcune cose che si insegnano a scuola.
Con un saluto
Mdp
PS) Occorre però ancora una precisazione. Ribadisco che quando parlo
di traiettoria perpendicolare o parabolica da corpo mobile a velocità
sufficiente si intende una traiettoria mentalmente ricostruita e non
direttamente vista ad occhio nudo. Anni addietro ho fatto più volte
l'esperimento, lasciando cadere più volte dal sedile posteriore di
un'auto in corsa su un lungo rettilineo a quell'ora deserto un sasso
di peso sufficiente (poi immediatamente raccolto): in una frazione di
secondo il sasso lasciato cadere appare immediatamente a terra 50
metri più indietro, e assolutamente non si vede nessuna traiettoria,
né perpendicolare né parabolica (lo spiega la neurofisiologia: la
mente non fa in tempo a catturare i singoli fotogrammi perché troppo
veloci). Si vede solo l'inizio A (pietra lasciata cadere) e la fine B
(pietra a terra 50 m. indietro), ma il percorso A-B non si vede: esso
non è direttamente visto ma mentalmente ricostruito. Questa però è una
questioene distinta, importante ma collaterale. L'argomentazione mia
principale è quella di cui sopra.
Segue breve risposta agli altri due post.
Non so perché, ma mi viene in mente Feynman con in mano un mattone...
> - se non si considera l'attrito si ha per entrambi caduta
> perpendicolare (lo definisco moto orizzontale apparente essendo in
> realtà il treno che avanza).
Vediamo se ho capito bene. Tu dici che se lascio cadere una pallina di
piombo (o di carta) da un treno che corre nel vuoto a 80 km/h, questa
viene vista cadere con traiettoria rettilinea perpendicolare al suolo
(ossia alla direzione della forza di gravità) sia dall'osservatore sul
treno che dall'osservatore a terra?
Ho capito bene?
Cioè, se il tale sul treno lascia cadere la pallina nel momento in cui
la sua mano sfiora il palo con la scritta "Stazione di Eboli", questa
pallina cade ai piedi del palo?
Sostieni questo o qualcosa di diverso?
> Infine (3): non ci sono due traiettorie, c'è una e una sola
> traiettoria ancorché essa possa essere vista da osservatori differenti
> in due modi differenti (ma in realtà, nell'esempio di Einstein, essa
> viene vista allo stesso modo).
Per stessa traiettoria intendi "con la stessa esatta forma"?
O solo "vagamente si assomigliano" perchè se entrambe non sono
rettilinee in prima approssimazione lo sviluppo di Taylor successivo
contiene un termine parabolico?
> - probabilmente ignori che nel vuoto, due oggetti di massa diversa
> lasicati cadere dallo stesso punto, cadono esattamente nello stesso
> modo (stessa, traiettoria, legge oraria...);
Ma no che non lo ignoro. Scusa, ma per chi mi hai preso?
> - probabilmente ignori che la condizione sopra, e' sperimentalmente
> valida anche in aria, in opportuni range di velocita' e massa (a casa,
> prova a fare misurare i tempi di caduta di una pallina da 5kg e una da
> 3 kg
Fatto fino alla nausea. Prova tu a vedere cosa succede lasciando
cadere una scatola vuota da un Kg e la stessa scatola piena da 2 Kg.
Ci sarà (in attrito) una differenza infinitesimale. Tocca terra prima
la scatola più pesante o la più leggera? Un bambino risponderebbe la
più pesante (esperimenti di Piaget), però... Chissà cosa direbbe
Eotvos.
> - probabilmente ignori che la legge oraria di un oggetto in caduta
> libera, nelle condizioni elencate sopra, sia una parabola, ovvero che
> lo spazio percorso e' proporzionale al quadrato del tempo di caduta
Lo so, lo so...
> - probabilmente ignori che se lascio cadere un mazzo di chiavi dall'ultimo
> piano di un grattacielo di N piani (magari sulla Luna), il tempo che
> impiega il mazzo a cadere dal piano N al piano N-1, non e' lo stesso
> che impieghera dal piano N-1 al piano N-2;
Ma sì che lo so...
> probabilmente ignori come si compongono le velocita';
Lo so, lo so, lo si sa a partire da Stevin.
> - probabilmente non conosci la differenza in matematica tra una retta
> e una parabola; magari la conosci in geometria elementare, ma non in
> contesto di geometria analitica, equazioni parametriche o leggi
> orarie;
Nessuno è perfetto.
> - probabilmente ignori (o meglio l'hai sicuramente imparato
> all'universita', ma l'hai dimenticato) che la fisica e' una scienza
> empirica, e che quanto riportato sopra (eccetto l'ultimo punto, in cui
> si parla di matematica, e non di fisica) e' frutto di osservazioni,
> esperimenti, ripetizioni di osserivazioni ed esperimenti con apparati
> sperimentali e tecniche di analisi via via piu' sofisticate.
Lo so, lo so. Ma la fisica è anche e anzitutto teorica. Prima parte da
ipotesi e poi sperimenta (se pur sperimenta).
> Conosco perfettamente la difficolta' concettuale e pratica dei
> novellini che si affacciano per la prima volta all'affascinante mondo
> della cinematica.
> Ma vedrai che dopo i pochi esperimenti che ti ho indicato, ti
> apparira' tutto molto piu' chiaro.
Certo, certo.
A NURAX
Ciao, ho visto il video, molto ben fatto.
1) carrello e cinepresa fermi; 2) carrello mobile e cinepresa ferma;
3) carrello e cinepresa mobili; 4) punto mobile a cerchio che si
sposta in avanti, con disegno di successione di parabole. In 2) si
vede perpendicolare ma è parabola in avanti. Appunto, Galileo: "vedi
una perpendicolare, ma non credere a quello che vedi".
Ma con ciò?
È contesto sperimentale con attrito trascurabile. La pallina poi cade
sul carrello in moto, non fuori dal carrello. Nel treno di Einstein is
different: l'osservatore sul treno vede la pietra cadere non
all'interno del vagone, ma fuori per terra; e la pallina va indietro
non avanti (per questo E. non considera l'attrito, come appunto dico).
Mdp
> Se queste mie risposte (1-2-3) sono errate, non mi si dica: sono
> errate. Nemmeno mi si dica: "sono in contrasto con la fisica
> newtoniana", perché nessuno può escludere che la fisica newtoniana
> contenga errori. Se le mie risposte (1-2-3) sono errate, mi si dica
> perché e in cosa sono errate.
Francamente, con tutto il rispetto, mi sembra che abbiano tentato di
spiegarlo e dimostrarlo in tutti i modi. Mi ci proverò anch'io, che non
sono un fisico ma qualcosa mi ricordo, formulando in modo forse più utile
l'esempio del treno.
Immaginiamo il vagone passeggeri di treno in transito davanti la banchina
di una stazione. Tutti i finestrini sono chiusi, così all'interno del
vagone l'aria è in quiete e si muove insieme al treno, alla medesima
velocità (ad es. 100 km/h). L'esperimento della pallina viene eseguito di
fronte ad un finestrino all'interno del treno. La pallina, rilasciata alla
sommità del finestrino, ne percorre l'altezza e cade su una mensola alla
sua base (il tutto oltre il vetro, per chi guarda da fuori). Un
osservatore sulla banchina può seguire l'esperimento attraverso il
finestrino del treno. Mettiamo che tra l'osservatore ed il treno sia
collocato uno ulteriore schermo trasparente, ancorato al terreno, ove sia
possibile tracciare il moto della pallina. Vediamo che succede:
1) all'interno del treno, dove l'aria è ferma, chi rilascia la pallina la
vede compiere una caduta rettilinea e ortogonale al pavimento del vagone,
qualunque sia la velocità del treno. Questo può essere verificato da
chiunque. Sali sulla Freccia Rossa e fai cadere la pallina accanto ad un
riferimento verticale, o un filo a piombo. Cadrà giù dritta a prescindere
dalla velocità del treno (purchè questo sia in moto rettilineo unifotrme).
2) L'osservatore sulla banchina vedrà attraverso il finestrino la pallina
cadere in verticale per effetto della gravità. Ma la vedrà anche spostarsi
orizzontalmente a causa della velocità con il quale il treno (e la
pallina) attraversano la stazione. Ovviamente lo spostamento orizzontale
sarà tanto maggiore quanto è alta la velocità del treno. Quindi nel
sistema di riferimento solidale alla banchina la pallina si muove sia in
verticale che in orizzontale. Se si tracciasse la risultante di queste due
componenti, ovvero la traiettoria della pallina, sullo schermo posto
sulla banchina otterremmo una parabola.
Francamente mi pare abbastanza chiaro. Stando all'interno del treno non si
rilevano scostamenti orizzontali della pallina rispetto al sistema -
vagone nel corso della caduta. E' intuitivo e confermato dall'esperienza.
Guardando dalla banchina, dal momento in cui inizia a cadere a quando
raggiunge la base del finestrino, la pallina avrà percorso parecchia
strada insieme al treno, spostandosi orizzontalmente rispetto al sistema -
stazione. Anche questo mi pare intuitivo e confermato dall'esperienza.
In conclusione nel treno si registra un moto di caduta rettilineo. Dalla
banchina se ne registra uno parabolico, con una forte componente
orizzontale che è semplicemente data dal movimento del treno. Dove sta il
problema???
Saluti
Ermes
--
questo articolo e` stato inviato via web dal servizio gratuito
http://www.newsland.it/news segnala gli abusi ad ab...@newsland.it
Eh si'. Questo lo penso anch'io. Penso anche che tu continui a ripetere
sempre le stesse cose perche' non riesci a centrare le tue risposte nel
merito. E il motivo per il quale non ci riesci e', a mio avviso, che, senza
aver capito il punto di partenza della relativita', si corre fortemente il
rischio di girare a vuoto senza rendersene conto. E quel punto di partenza
tu non l'hai capito. Questo sempre secondo il mio parere.
In altri termini, secondo me, dovresti prendere in *seria* considerazione
l'idea di *non aver capito* argomenti che altri potrebbero aiutarti a
comprendere. Argomenti che certamente potresti comprendere se solo assumessi
un *reale* atteggiamento di ascolto.
> Se tu identifichi il tempo con il tempo misurato
> degli orologi, allora evidentemente non ha senso parlare di un tempo
> oltre al tempo misurato.
Marco, io non identifico nulla. Semplicemente ho provato a spiegarti cosa
intendo con le parole "intervallo di tempo". Ho poi chiesto a te di fare
altrettanto. Di spiegarmi cosa intendi con le parole "tempo vero". In
particolare ti ho chiesto di spiegarmi se il tuo "tempo vero" ha una qualche
relazione con cio' che io chiamo tempo. Ma tu non l'hai fatto. E'
possibilissimo che tu creda di averlo fatto. Ma quello che e' certo e' che
io continuo a non capire cosa tu intenda con le parole "tempo vero", o
meglio, a me pare chiaro che tu continui ad usare le parole "tempo vero"
sorvolando totalmente su cio' che l'umanita' ha compreso con l'avvento della
relativita'.
Tu sei ovviamente libero di non identificare. Ma intanto dovresti spiegare
cosa sarebbero questi concetti non identificabili. Mi hai parlato di
pavimento e mattonelle. Io ti ho spiegato cosa sarebbe la mia mattonella (e'
cio' che si misura con l'orologio). Le altre mattonelle cosa sarebbero? Tu
*non* lo hai spiegato!!!
Non mi hai detto:
"un conto e' la mattonella che dici tu, altro conto e' questa altra
mattonella, che e' in questa relazione con la tua mattonella ma non e' ad
essa identificabile. Poi ci sarebbe questa terza mattonella, anch'essa
distinta dalle prime due ... Tutte queste mattonelle hanno pero' qualcosa in
comune. C'e' un concetto che le accomuna tutte. Quel concetto io lo chiamo
tempo vero".
Non c'e' alternativa. Per non girare a vuoto dovresti affrontare i punti
riportati sopra. Prima di parlare di pavimento e mattonelle dovresti
spiegare cosa sarebbero questi "tempi relativi" che, secondo te, sarebbero
unificati nel concetto di "tempo vero".
> Se invece non si identifica il tempo con il
> tempo misurato, allora è lecito presupporre (con Newton) un tempo
> reale non misurato né misurabile (tu chiamalo come vuoi, io lo chiamo
> Tempo ma potrei dire Aion in greco che non è Cronos: infatti parlo di
> tempo assoluto). Tu poi dici che oggi la fisica non sa che farsi di un
> tempo non misurabile, ed io ne prendo atto (anche se lo reputo un
> errore foriero di gravi fraintendimenti quando si passa dalle
> equazioni al mondo reale). Se queste considerazioni ti risultano
> incomprensibili e oscure, non posso farci niente.
Da quanto dici sopra l'unica cosa che capisco e' che preferisci Aion a
qwert. Benissimo, usiamo la parola Aion. Sta di fatto che questo:
"Se tu identifichi l'Aion con il tempo (cioe' con cio' che si misura con gli
orologi), allora evidentemente non ha senso parlare di un Aion oltre al
tempo. Se invece non si identifica l'Aion con il tempo, allora è lecito
presupporre (con Newton [ma Newton il tempo non lo misurava con gli orologi?
In questo non direi che si discostasse da Einstein. Certo, poi Einstein ha
detto a Newton che ci dobbiamo attenere veramente a quanto dicono gli
orologi, non presupporre noi che gli orologi si comporteranno in un dato
modo. Questa *e'* la relativita': il dire a Newton che ci dobbiamo attenere
veramente a quanto dicono gli orologi]) un Aion non misurato né misurabile.
Tu poi dici che oggi la fisica non sa che farsi di un Aion non misurabile,
ed io ne prendo atto (anche se lo reputo un errore foriero di gravi
fraintendimenti quando si passa dalle equazioni al mondo reale). Se queste
considerazioni ti risultano incomprensibili e oscure, non posso farci
niente."
non spiega in alcun modo cosa sarebbe questo Aion.
Ti posso assicurare che io non identifico il tempo con l'Aion. Non lo
identifico nemmeno con il Paiort, ne' con il Vestiq. Tutti e tre questi
concetti sono per me totalmente vuoti (quindi non li identifico affatto con
il concetto di tempo che per me non e' affatto vuoto). Per me l'Aion e'
esattamente identico al Paiort e al Vestiq. Immagino che anche per te i
concetti di Paiort e Vestiq siano vuoti. Bene, se io ti parlassi di Paiort,
tu non mi chiederesti di spiegarti innanzitutto cosa intendo con la parola
Paiort? Io sto facendo esattamente quello (da piu' di un mese ormai). Ti sto
chiedendo cosa intendi con la parola Aion, cosa sarebbero le mattonelle che
comporrebbero il pavimento Aion.
> Propongo anch'io un giochino di parole: anziché sostituire tempo con
> Qwert, sostituisci Einstein con "il signor Rossi". Se dunque avessi
> detto: "il signor Rossi dice che da un treno in corsa vede una pallina
> cadere in perpendicolare, ma il signor Rossi non considera l'aria che
> la spinge all'indietro a parabola mentre il treno avanza", tu non
> avresti battuto ciglio. Ma se dico: "Einstein dice che da un treno in
> corsa vede una pallina cadere in perpendicolare, ma Einstein non
> considera l'aria che la spinge all'indietro a parabola mentre il treno
> avanza", ecco il finimondo: "è incredibile", "è roba dell'altro
> mondo", che "spassoso passaggio", "che dice questo?", "capisce meno di
> un cavallo!", "butta al macero i tuoi libri!", "studia, asino!".
> Questo è l'effetto del Principio di Autorità.
Marco, te lo dico con estrema sincerita':
penso proprio che tu non ti renda conto di quanto arroganti ed offensive
siano alle volte le tue parole (quelle riportate sopra sono un ottimo
esempio di offese gratuite condite da una buona dose di arroganza).
Poco conta che tu possa aggiungere che non ti riferivi a nessuno in
particolare. Che non vuoi offendere nessuno, che fai solo un discorso in
generale sui guasti che potrebbe causare il principio di autorita'. Sei
comunque offensivo perche' quel principio non e' stato invocato da nessuno.
Gli spassosi passaggi sono tali non a causa del principio di autorita'. Puoi
anche sostituire Einstein con il signor Rossi, ma non cambierebbe
assolutamente nulla. Lo spasso sarebbe esattamente identico.
Io ritengo che tu abbia avuto dei pessimi maestri sulle questioni
riguardanti la relativita'. Ma non ti dico "prova a ragionare con la tua
testa invece di ripetere quanto ti hanno detto degli ignoranti che ti
parlavano di relativita' senza conoscerla per niente". Non te lo dico
perche' ritengo che tu stia ragionando con la tua testa. Che poi la tua
testa sia stata fuorviata dalla lettura di quanto scritto da ignoranti
potra' anche essere vero (e io ritengo che sia vero). Permane il fatto che
io non ritenga che tu abbia messo la tua testa al servizio degli ignoranti
che hai avuto come maestri. Chi mi sta parlando sei tu. E' a te che chiedo
conto di cio' che dici. Ti parlo come si parla ad una persona capace di
ragionare, non come si parlerebbe ad uno stupido capace solo di fare il
portavoce.
Tu potrai anche ritenere che la mia testa sia stata fuorviata dalla lettura
di scritti di Einstein, o Poincare', o Reichenbach, o altri. Permane il
fatto che sia io colui che ti sta parlando. E gradirei essere considerato
come persona capace di ragionare. Non come persona capace di fare il
portavoce.
Se ti dico (io come tutti) che non riesco a capacitarmi su come tu possa
ritenere che, in assenza di attrito, tanto dal treno quanto dalla stazione
si vedrebbe cadere la pallina in linea retta, te lo dico per motivi che
prescindono totalmente da Einstein e dal signor Rossi. Te lo dico perche'
*io* non riesco a capacitarmi su come tu possa commettere un errore simile
(tanto che una parte di me continua a dire "non e' possibile che sostenga
cio', devo aver capito male").
Ciao.
> 2) � una parabola comunque, anche prescindendo dall'attrito (quando ho
> parlato di perpendicolare in assenza di attrito intendevo solo dire
> che senza attrito la pietra non si muove orizzontalmente e cade e
> basta: si muove il treno. Ma poich� il treno va avanti e
> cinematicamente � la stessa cosa che sia la pietra a andare indietro o
> il treno a andare avanti, per questo dico che anche per l'osservatore
> sul treno sar� una parabola).
Da queste tue parole si capisce che non hai ben chiaro il concetto di
sistema di riferimento (sdr). Quando si parla di sdr "solidale al treno"
s'intende che stai considerando una terna di assi cartesiani che sono
appunto immobili rispetto al treno. Rispetto a questo sdr, dove mai
sarebbe la parabola?
Non solo, ma chi ti assicura che sia il treno a muoversi e non la
stazione, in mancanza di altre informazioni?
> Si continua a dire: lo insegnano a scuola. Lo so, ma il punto � che io
> rifiuto precisamente alcune cose che si insegnano a scuola.
Benissimo, allora per� sarebbe stato meglio intitolare il tuo libro:
"Aristotele restaurato: Galileo e Newton si sbagliavano". Einstein qui
non c'entra nulla. E comunque sarebbe meglio *studiare* qualche buon
libro del liceo o del primo anno di universit�, prima di contestarlo.
Che significa "lasciata indietro dal moto in avanti del treno"? Se il
treno va in avanti, anche la pallina va in avanti.
> cosicché (anche prescindendo
> idealmente dall'attrito che la spinge all'indietro) ne viene per
> l'appunto una parabola.
> Ma qui è la differenza.
> Perché è una parabola solo per l'osservatore a terra?
Anche nel riferimento del treno (= per l'osservatore nel treno) la
legge oraria e' quadratica, solo che non la vede geometricamente
perche' il moto e' rettilineo. Li' la legge e': x = 0; y = -g*t^2.
> Io dico (ed è
> questo l'oggetto del contendere) che (contrariamente a quanto afferma
> Einstein nell'esempio citato)
Scusa eh, con tutto il rispetto. Ma tu pretendi di contraddire
Einstein senza conoscere le leggi elementari della meccanica? Scusa,
ma tu che lavoro fai? Scrivi libri? Ok. Mettiamo che un contadino
russo che non sa nulla di lingua italiana, a parte una decina di
frasi, pretenda di insegnare a te come si scrive un libro in italiano.
Che gli risponderesti?
cometa_luminosa = BlueRay.
> Tu dici che se lascio cadere una pallina di
> piombo da un treno che corre nel vuoto a 80 km/h,
> questa viene vista cadere con traiettoria rettilinea?
No.
In realtà parliamo di caduta dei gravi nel vuoto solo in modo
approssimato. Nel vuoto assoluto e totale (laddove mancassero anche
campi gravitazionali) nessun corpo cade ma rimane fermo. Parlando però
di vuoto pneumatico quale quello (approssimato in alta percentuale)
che si ottiene sperimentalmente, è lecito dire che il grave cade nel
vuoto (così inteso), e che tutti i gravi cadono nel vuoto (così
inteso) alla stessa velocità.
Fatta questa precisazione, giungiamo al punto.
La traiettoria (quanto meno se la velocità è sufficientemente alta)
non si vede direttamente. La mente la ricostruisce immediatamente e
automaticamente (poi possono eventualmente subentrare le
considerazioni dell'osservatore che può essere un fisico, ma questa è
un'altra questione).
Dato come tu dici "un treno in corsa nel vuoto" (vuoto nel senso di
cui sopra) ciò che la mente (sia del viaggiatore che dell'osservatore
a terra) ricostruisce immediatamente NON può essere una traiettoria
rettilinea.
L'osservatore (sia a terra che sul treno) non formerà l'immagine di
una traiettoria rettilinea (= non completerà il punto A iniziale e il
punto B finale della traiettoria con l'immagine di una retta): infatti
il treno si muove in avanti (sia per l'uno che per l'altro
osservatore) e quindi, essendo cinematicamente la stessa cosa che sia
la pallina a andare indietro o il treno a andare avanti, l'osservatore
ricostruirà l'immagine di una parabola. Entrambi gli osservatori,
anche quello sul treno.
> Cioè, se il tale sul treno lascia cadere la pallina
> nel momento in cui la sua mano sfiora il palo con la
> scritta "Stazione di Eboli", questa pallina cade ai
> piedi del palo?
Nel vuoto (nel senso detto) sì.
E non c'è contraddizione con il "no" precedente: là si parlava di
traiettorie "viste", qui di traiettoria effettiva.
Con un treno ideale "in corsa nel vuoto" la pallina cade
perpendicolare ai piedi del palo (con l'impercettibile e trascurabile
spostamento parabolico dovuto al moto terrestre).
Qui è il punto. Gli osservatori (entrambi) vedono (= ricostruiscono
mentalmente) una parabola, perché la pallina è in moto apparente
all'indietro rispetto al treno che avanza. Ma in realtà (prescindendo
dal lievissimo spostamento per il moto terrestre) nel vuoto si tratta
realmente, oggettivamente di una traiettoria rettilinea, perché la
pallina ha un moto orizzontale apparente per gli osservatori ma non ha
alcun moto orizzontale reale se per definizione e come da ipotesi non
vi è attrito.
Se invece diamo una normale condizione di attrito nel treno in corsa
vi sarà caduta a parabola (effettiva e "percepita" da entrambi).
> Infine: non ci sono due traiettorie, c'è una e una sola
> traiettoria ancorché essa possa essere vista da
> osservatori differenti in due modi differenti (ma in
> realtà, nell'esempio di Einstein, essa viene vista
> allo stesso modo).
> Per stessa traiettoria intendi "con la stessa esatta
> forma"? O solo "vagamente si assomigliano"?
Intendo la stessa figura, "vista" in due modi speculari.
Nel vuoto v'è una e una sola traiettoria reale, rettilinea
(prescindendo dal moto terrestre).
Ma domandare se la traiettoria abbia "la stessa esatta forma" può
significare solo domandare se abbia la "stessa esatta forma" (o forme
che "si assomigliano") per i due osservatori posti (non avrebbe alcun
senso domandare se la stessa ed unica traiettoria abbia o meno la
"stessa forma" di se stessa o se assomigli a se stessa).
Posto il problema, si deve rispondere che nelle condizioni ipotizzate
(treno "in corsa nel vuoto" etc.) sia l'osservatore sul treno che
quello sulla banchina vedranno (= ricostruiranno mentalmente) una
parabola. Le due parabole non avranno "la stessa esatta forma", ma vi
si avvicineranno moltissimo (è molto di più di una "vaga somiglianza")
perché (nel caso ideale) saranno immagini speculari, nel senso
letterale proprio come allo specchio o speculari come la mano destra e
la sinistra. Nel vuoto abbiamo un'unica traiettoria rettilinea
(prescindendo dal moto terrestre) ma vista (= ricostruita) secondo due
parabole speculari: nel "treno in corsa nel vuoto" per il viaggiatore
il grave in caduta parabolica APPARENTE è in allontanamento; per
l'osservatore a terra è in avvicinamento se il treno lo ha superato e
in allontanamento se il treno si avvicina (il "termine parabolico" cui
alludi in chiusura potrebbe forse indicare, ma non ne sono sicuro, il
lievissimo spostamento parabolico della perpendicolare per via del
moto terrestre).
A ERMES
No, Einstein ha concepito anche l'esempio che tu riporti ma non è
quello che io discuto: nell'esempio di Einstein a cui mi rifaccio la
pietra viene gettata non all'interno del vagone ma fuori dal
finestrino (per questo Einstein parla di una pietra e definisce
"fattaccio" il gettarla fuori).
Come "con ciò"? E' un mese che ci frantumi i cosidetti con la storia che
entrambi vedono la pallina cadere perpendicolarmente, e adesso di fronte
all'evidenza che dicevi stupidaggini, te ne esci con un "ma con ciò"?
In quanto alla tua frase "si vede perpendicolare ma è parabola in avanti",
mi fai pensare che non ti rendi conto di quello che dici. E' come se tu
avessi detto: vedo una balena ma è un nave. Ma pensi prima di scrivere? Ma
secondo te la fisica si basa sulle illusioni ottiche?
> È contesto sperimentale con attrito trascurabile. La pallina poi cade
> sul carrello in moto, non fuori dal carrello.
Quindi secondo te, se la pallina non cadesse sul carrello ma fuori, la
traiettoria sarebbe diversa? Non tentare di svicolare il ragionamento con il
treno di Einstein, per ora lasciamolo da parte e concentriamoci su questo
esperimento.
Ti ricordo che tu affermavi che in queste condizioni, entrambi gli
osservatori vedono la pallina cadere in modo perpendicolare. Ora, di fronte
all'evidenza, e con l'ausilio di una telecamera fissa che evita le illusioni
ottiche, ammetti che le palline cadono in modo diverso a seconda del punto
di vista, o vuoi continuare imperterrito a sostenere l'insostenibile?
Scusa il ritardo, avevo accantonato questa tua domanda perche' per
rispondere mi era necessaria e sufficiente una ricerca su Google, e in
quel momento non potevo farla.
In sintesi: la connessione causale a livello microscopico e' simmetrica
nel tempo. L'idea antropocentrica di "causalita" asimmetrica nel tempo
riguarda sistemi termodinamici per la cui trattazione e' necessario
postulare (o spiegare, se mai ci riusciremo) il II principio della
termodinamica; ma questo non ha ruolo nella descrizione degli eventi
microscopici per cui vale la simmetria CPT ed e' inutile, se non
illegittimo, considerarlo gia' a quello stadio.
Ho esposto piu' estesamente cosa intendo nel primo post di questo
thread, nel punto dove parlo di Aspect:
http://groups.google.it/group/free.it.scienza.fisica/browse_thread/thread/acf9c7c60a283510
alcuni approfondimenti li ho dati in due post successivi dello stesso
thread:
http://groups.google.it/group/free.it.scienza.fisica/msg/018416f42b10f676
http://groups.google.it/group/free.it.scienza.fisica/msg/85f8854342053f60
E anche qui (e nei miei post successivi dello stesso thread):
http://groups.google.it/group/free.it.scienza.fisica/msg/6c66ddcaafd551c1?hl=it
l'idea deriva dall'"Interpretazione Transazionale della MQ"
di Cramer
http://www.npl.washington.edu/ti/
(summary: http://www.npl.washington.edu/npl/int_rep/ti_over/ti_over.html )
a sua volta basata sull' absorber theory di Wheeler and Feynman, a sua
volta sviluppata prendendo in considerazione (anziche' eliminare perche'
"prive di significato fisico") le soluzioni anticipate delle equazioni
d'onda assieme a quelle ritardate.
Infine, il modo con cui dal II principio della termodinamice discende la
nostra sensazione di "scorrere del tempo" e il principio di causalita'
antropico (nel senso che le cause precedono l'efetto) l'ho espresso qui:
http://groups.google.it/group/it.scienza.fisica/msg/ca2e99d8a12c7b7e?hl=it
ciao
--
TRu-TS
Una cosa prima di tutto: nell'ultimo mio post comparso (n. 93),
dicendo della traiettoria perpendicolare del grave in caduta dal treno
in assenza d'aria, ho aggiunto fra parentesi: perpendicolare
prescindendo dal lievissimo spostamento parabolico dovuto al moto
terrestre. Correggo: posta una situazione in assenza d'aria non vi
sarà alcun "lievissimo spostamento parabolico", la caduta è
perpendicolare e basta.
Vengo ora a Bruno Cocciaro.
> non riesci a centrare le tue risposte nel
> merito. E il motivo per il quale non ci riesci e', a > mio avviso, che, senza
> aver capito il punto di partenza della relativita', si corre fortemente il
> rischio di girare a vuoto senza rendersene conto. E
> quel punto di partenza
> tu non l'hai capito.
Bruno,
Il "punto di partenza" della relatività, a mio avviso, è nel principio
galileiano e nei due postulati della teoria ristretta. Il primo, come
ho mostrato, è comunemente frainteso (Galileo non applica il suo
principio di relatività ai "sistemi aperti") e da ciò derivano alcune
conseguenze. Invece i due postulati einsteiniani, per l'appunto, sono
postulati: per Einstein era un postulato il principio di relatività
come per Newton erano postulati lo spazio e il tempo assoluti (come ha
rilevato Holton, Einstein nel celebre articolo nel giro di due righe
trasforma la "congettura di relatività" in "principio di relatività" e
poi in "postulato": la cit. dovrebbe essere in Einstein e la cultura
scientifica del XX secolo, Il Mulino). Di un postulato, anche nel caso
funzionasse benissimo, ancora non si afferma con certezza in quanto
postulato la verità. Non bisogna mai dimenticare questo, che alla base
di tutto sono dei postulati: in linea di principio nulla impedirebbe
di partire da altri postulati, se i postulati accettati apparissero
dubbi e se da altri postulati si ricavasse qualcosa di buono (il che
certo sarebbe da mostrare).
Mi dici: tu non spieghi cos'è il tempo reale. Ho cercato di farlo nei
limiti del possibile, ma non è veramente possibile. "Aion" non è una
parola come tante, che io metto lì perché mi piace (magari al posto di
Paiort o Vestiq). Deriva dal greco, è usata dai primi pensatori greci.
Vuol dire "aei to on" e cioè: ciò che è sempre (lett. "sempre
essente"). È l'eterno, un eterno immanente. Questo tempo non ha a che
fare (come mi è stato detto il 25.3) con il divenire, col mutamento.
Non è Cronos. Tutto questo non si può spiegare, non si può capire, non
si può misurare. Riguarda l'infinito, e l'infinito nel tempo è
incomprensibile come l'infinito nello spazio: la mente qui si scontra
con i propri limiti. È per questo che sono stato volutamente vago al
riguardo. In questo senso io per primo dico che questo tempo non
riguarda la scienza.
Tuttavia, senza librarci nel cielo metafisico, è forse possibile in
un'accezione più ristretta considerare con un simbolo un "tempo reale"
senza impegolarci in impossibili discussioni. Scendendo dunque dal
cielo metafisico, ove a volte manca l'ossigeno e si fatica a
respirare, io ti ho rinviato più nel concreto ad alcuni passi di
Guillaume (che poi è solo un piccolo tassello nel mio discorso) e tu
mi hai risposto: "dice che 1 : 60 : 3600 sono diverse misure (ore,
minuti, secondi) della stessa durata temporale, che banalità". Ma
questo è solo un semplicissimo esempio che fa Guillaume. Bisogna poi
vedere come lo applica ai tempi relativistici, e questo è tutt'altro
che semplice. Penso che Guillaume si riferisca ai sistemi di
trasformazione che permettono il passaggio da un sistema all'altro:
direi che è come tradurre uno stesso "invariante" spartito musicale in
diversi "covarianti" (pianoforte, orchestra di archi, etc.). Guillaume
dice però che questa trasformazione è possibile appunto perché è
sotteso un tempo reale (che non scomoda Aion e che lui se ben ricordo
ritiene esprimibile con un simbolo inseribile nelle equazioni: parla
di tempo "monoparametrico"). Al riguardo io ho cercato di
esemplificare non con l'immagine del pavimento e delle mattonelle,
come tu dici, ma con l'immagine più astratta del quadrato composto di
50 quadratini. Forse avrei fatto meglio a parlare di un quadrato
composto da figure geometriche diverse di cui sia tuttavia possibile
mostrare l'equivalenza (come nelle immagini classiche del Teorema di
Pitagora in cui si mostra che i due quadrati dei cateti equivalgono al
quadrato dell'ipotenusa pur essendone diversi). Spero che questo, per
quanto in maniera insufficiente, possa chiarire un poco di più.
Sul grave in caduta dal treno, ti ricordo: è Einstein che scrive: "io
sto al finestrino di un vagone ferroviario e (...) prescindendo dalla
resistenza dell'aria, vedo discendere la pietra in linea
retta" (Relatività, Boringhieri, 1967, p. 50). Io critico ciò che egli
ricava da questa affermazione. Dico che nel vuoto il grave cade in
linea retta, ma il viaggiatore (e l'osservatore sulla banchina)
"ricostruisce" una parabola perché, anche prescindendo dall'attrito,
stante il moto in avanti del treno ne viene un moto orizzontale
apparente della pietra in caduta da cui si ricava una parabola.
Vorrei anche precisare alcune cose sul principio di autorità. Quando
io dico che la stessa frase fa un effetto diverso se contestata al
signor Rossi o ad Einstein, non intendo dire (anche se per molti penso
sia proprio così) che tu la accetti pappagallescamente solo perché
detta da Einstein. Tu mi dici di ritenere la contestazione di quella
frase come errata (addirittura spassosa) a prescindere dal fatto che
sia contestata al signor Rossi o ad Einstein: ebbene, non ho motivo
per non crederti. Io non intendevo minimamente offenderti, e non ho
detto che tu prendi per buona senza ragionarci una frase solo perché
l'ha detta Einstein. Quanto io volevo dire è che la contestazione di
una frase del signor Rossi non suscita lo stesso scandalo della
contestazione della stessa frase detta da Einstein.
Proprio qui vorrei dire qualcosa sul principio di autorità. A costo di
sembrarti contraddittorio devo dirti che io non disprezzo il principio
di autorità. L'ipse dixit (autos efa) pitagorico è ormai inteso come
segno di dogmatismo autoritario, ma nel suo senso originario esso
voleva dire solo questo: lo ha detto lui, Pitagora, non il primo
venuto. Cioè: se l'ha detto un uomo di provata esperienza e maturità e
sapienza allora, anche se quanto dice ti può sembrare a tutta prima
strano o errato o assurdo, prova a ragionarci su e a capire. Più
banalmente, e senza scomodare Pitagora, se un docente di greco mi dice
che l'aoristo è così e così, io tendo a credergli. Ed è giusto e
comprensibile: la ribellione inconsulta al principio di autorità è
solo segno di immaturità e infantilismo (la psicoanalisi vi vedrebbe
facilmente irrisolti conflitti con la figura paterna). Poi però, e su
questo dovremmo essere d'accordo, il principio d'autorità non basta:
anche il docente di greco può sbagliare e, per quanto la cosa possa
sembrare molto difficile, financo Pitagora potrebbe sbagliare.
Peraltro, io prendo in considerazione la possibilità di essere in
errore e non mi sembra giusta l'accusa che mi rivolgi, di non avere
capacità di ascolto.
Non ho avuto pessimi maestri, per il semplice fatto che non ho avuto
maestri. È tutta farina del mio sacco, "da solo pigio l'uva" (è una
bella espressione di Schopenhauer), nessuno mi ha corrotto. Nessuno
dei docenti di fisica di Liceo con cui ho parlato condivide
minimamente le mie idee. I molti libri che posseggo e su cui ho
studiato in tema di relatività sono libri a diversi livelli di
esposizione e tutti presuppongono un assenso totale. Tutto quello che
posseggo contro la relatività è un vecchissimo e scanzonato numero di
una rivista ("Frigidaire"). Poi il libro di Bergson, ma quando l'ho
letto già ero pieno di dubbi e comunque la mia concezione del tempo
non è quella bergsoniana. Sono andato a rivedere, certo, i vecchi
critici di Einstein soprattutto degli anni venti, ma quando già avevo
i miei dubbi (e comunque i loro testi li ho trovati, quando li ho
trovati, citati in contesti di totale stroncatura). Poi i fisici che
io ringrazio non sono affatto concordi con me in tema di relatività, e
mi guardo bene dall'attribuire loro le mie tesi: semplicemente,
anziché insultarmi mi hanno rivolto alcune critiche, che in alcuni
casi mi hanno fatto pensare e rivedere alcune cose.
In particolare il professor Vittorio Banfi, a me carissimo. Non
condividendo egli la teoria del Big Bang, accettò di presentare a
Milano e di recensire il mio primo breve scritto in proposito, ma
quando andai a toccare la relatività fu ben diverso. Gli inviai il
dattilo di quello che poi divenne "La relatività e la falsa
cosmologia" e poi circa due settimane dopo andai a trovarlo per sapere
cosa ne pensava. Non dimenticherò mai la scena, è come se fosse
avvenuta ieri. L'anziano professore mi accolse una sera in uno
studiolo pieno di libri, scuoteva la testa e mi diceva: "lei mi ha
deluso, mi ha deluso, mi ha deluso. La prego, non si faccia trascinare
dall'ambizione, si fermi. Non pubblichi questo testo, lei è un
filosofo non un fisico, la faranno a pezzi, non lo pubblichi.
Pubblichi solo la seconda parte, sulla critica al Big Bang che è non
in tutto accettabile, ma è nella sostanza accettabile. Ma la prima
parte, mi ascolti, non la pubblichi". A questo punto avvenne la scena
che non dimenticherò. Gli si illuminò il volto e come riandando
indietro con la mente disse: "ma lei non sa cos'è stato Einstein per
noi. Eravamo giovanissimi, quando cominciammo a vedere quelle
equazioni. Restammo tutti a bocca aperta, stupefatti, increduli, pieni
di ammirazione. Che roba, che chiarezza, che meraviglia, un mondo
intero ci si spalancava davanti agli occhi". Poi mi contestò due cose
(una era ciò di cui si sta discutendo qui, sul grave in caduta dal
treno), ma non argomentò: disse solo "non è vero, non è vero, non è
così, lei si sbaglia". Aveva la voce spezzata e incrinata, quasi il
fiato grosso, e non insistetti. Lo salutai con affetto e me ne tornai
a casa.
Ora saluto anche te
Marco
> L'anziano professore mi accolse una sera in uno
> studiolo pieno di libri, scuoteva la testa e mi diceva: "lei mi ha
> deluso, mi ha deluso, mi ha deluso. La prego, non si faccia trascinare
> dall'ambizione, si fermi. Non pubblichi questo testo, lei è un
> filosofo non un fisico, la faranno a pezzi, non lo pubblichi.
[snip]
> Poi mi contestò due cose (una era ciò di cui si sta discutendo qui,
> sul grave in caduta dal treno), ma non argomentò: disse solo
> "non è vero, non è vero, non è così, lei si sbaglia".
> Aveva la voce spezzata e incrinata, quasi il fiato grosso,
Posso immaginarlo.
> e non insistetti.
Però l'hai pubblicato lo stesso. Forse ti sei convinto che l'assenza di
argomentazione fosse in realtà incapacità di argomentare? non hai
chiesto il parere di altri fisici di tua conoscenza su un punto così
fortemente contestatoti da un anziano professore?
Sulla precisazione iniziale torno in chiusura di post. Sì, intendevo
vuoto pnenumatico proprio per togliere di mezzo aria, attrito, forze
viscose e moscerini.
> La traiettoria (quanto meno se la velocità è sufficientemente alta)
> non si vede direttamente.
Ma si può calcolare con precisione. E, credimi, per un osservatore è
una retta, mentre per l'altro una parabola. Non si sono
filosofeggiamenti che tengano.
> Dato come tu dici "un treno in corsa nel vuoto" (vuoto nel senso di
> cui sopra) ciò che la mente (sia del viaggiatore che dell'osservatore
> a terra) ricostruisce immediatamente NON può essere una traiettoria
> rettilinea.
Eppure sul treno si vedrebbe la pallina cadere lungo la verticale.
Ossia se faccio cadere la pallina giusto a fianco della cornice del
finestrino la vedro scendere - di moto uniformemente accelerato -
costeggiando tale bordo rettilineo. Nessuna parabola, nessuna 'curva',
solo un movimento rettilineo. Questa sarebbe anche la traiettoria
'ricostruita' dalla mente umana, oltre che quella prevista dalla
matematica e dalla fisica.
> L'osservatore (sia a terra che sul treno) non formerà l'immagine di
> una traiettoria rettilinea (= non completerà il punto A iniziale e il
> punto B finale della traiettoria con l'immagine di una retta): infatti
> il treno si muove in avanti (sia per l'uno che per l'altro
> osservatore) e quindi, essendo cinematicamente la stessa cosa che sia
> la pallina a andare indietro o il treno a andare avanti, l'osservatore
> ricostruirà l'immagine di una parabola. Entrambi gli osservatori,
> anche quello sul treno.
E dici di aver visto il filmato con la pallina che cade dal carrello in
moto?
>> Cioè, se il tale sul treno lascia cadere la pallina
>> nel momento in cui la sua mano sfiora il palo con la
>> scritta "Stazione di Eboli", questa pallina cade ai
>> piedi del palo?
>
> Nel vuoto (nel senso detto) sì.
Se secondo te cade ai piedi del palo, beh, non ci sono 'punti di vista'
o 'ricostruzioni retiniche' che tengano. Hai torto. <--- quello è un
punto.
> E non c'è contraddizione con il "no" precedente: là si parlava di
> traiettorie "viste", qui di traiettoria effettiva.
Putroppo la traiettoria effettiva che ti immagini è quella sbagliata.
La pallina cade x metri più avanti del palo, nella direzione di corsa
del treno, dove x è la distanza che si percorre alla velocità costante
di 80 km/h nel tempo necessario alla palla per coprire con moto
uniformemente accelerato la distanza mano-terreno. Per dire, se lasci
la pallina a un'altrezza di due metri e mezzo, questa toccherà terra
dopo circa 0,7 secondi, per cui toccherà terra a quindici metri di
distanza del palo [1].
Capirai che è diventa difficile dire che è una questione di punti di
vista.
O no?
> Con un treno ideale "in corsa nel vuoto" la pallina cade
> perpendicolare ai piedi del palo (con l'impercettibile e trascurabile
> spostamento parabolico dovuto al moto terrestre).
> Qui è il punto.
Direi che sì, è proprio qui il punto.
Non è possibile discutere oltre senza aver chiarito questo.
saluti,
Peltio
[1] Ho fatto i conti a mano e a spanne. Spero di non aver scritto
castronerie, anche perchè si tratta di calcoli da seconda superiore e
sarebbe imbarazzante sbagliarli dopo aver sostenuto così direttamente
che ti sbagli :-)))
P.S.
Sulla precisazione di cui prima.
> In realtà parliamo di caduta dei gravi nel vuoto solo in modo
> approssimato. Nel vuoto assoluto e totale (laddove mancassero anche
> campi gravitazionali) nessun corpo cade ma rimane fermo. Parlando però
> di vuoto pneumatico quale quello (approssimato in alta percentuale)
> che si ottiene sperimentalmente, è lecito dire che il grave cade nel
> vuoto (così inteso), e che tutti i gravi cadono nel vuoto (così
> inteso) alla stessa velocità.
> Fatta questa precisazione,
Beh facciamola del tutto la precisazione.
Se ho un treno e una pallina, il vuoto assoluto e totale non c'è, ma è
'intorno' a treno e pallina e il treno finirebbe con l'attrarre la
pallina, quantomeno gravitazionalmente. Quindi la pallina si muoverebbe
:-).
Sul fatto che nel vuoto in assenza di gravi nessun corpo cada ma
rimanga fermo avrei da dire: fermo rispetto a cosa? Se Galileo non è
stato ancora confutato direi anche che il corpo permane nel suo stato
di moto (quindi o fermo (diciamo rispetto alle stelle fisse, per
cercare un ideale sistema di riferimento?) o in moto rettilineo
uniforme, quindi non necessariamente fermo).
E sul fatto che i corpi nel vuoto cadono con la stessa velocità direi
che forse intendevi accelerazione.
Così, se proprio dobbiamo dedicarci alla tetratricotomia.
> (la traiettoria) si può calcolare con precisione. E,
> credimi, per un osservatore è
> una retta, mentre per l'altro una parabola.
> (...) sul treno si vedrebbe la pallina cadere lungo
> la verticale.
> Ossia se faccio cadere la pallina giusto a fianco
> della cornice del
> finestrino la vedro scendere - di moto uniformemente
> accelerato -
> costeggiando tale bordo rettilineo. Nessuna parabola, > nessuna 'curva',
> solo un movimento rettilineo.
Per l'osservatore sul treno e in una situazione con attrito
trascurabile e fino a una certa velocità sì. Oltre no: la percezione
della parabola, oltre una certa velocità, è data dal moto del treno in
avanti mentre la pallina cade (a meno che l'osservatore non fissi
esclusivamente la pallina). Poi certo, si calcola con precisione a
partire dall'uno o dall'altro riferimento. Ma il problema centrale che
io pongo non è quale traiettoria veda o ricostruisca l'uno o l'altro
osservatore, bensì qual è la traiettoria effettiva.
Parlando di traiettoria reale, Einstein nel brano citato dice
(letteralmente) che "non esiste una traiettoria in sé" (ma una
traiettoria per un osservatore, un'altra per l'altro). In base ad un
presupposto fenomenista mutuatogli da Mach (o da una certa lettura di
Mach, peraltro in seguito da lui respinta), Einstein ritenne di poter
identificare e ridurre la traiettoria reale alle traiettorie
risultanti al calcolo dei diversi osservatori, come se non vi fosse
una traiettoria reale ma solo traiettorie osservate o come se lo
stesso grave cadesse assurdamente con due o con mille traiettorie
differenti a seconda delle traiettorie risultanti all'osservatore. Io
non crederei ad una cosa del genere nemmeno se me la dicesse il Padre
Eterno in persona, perché il senso logico si rifiuta a ciò. La
traiettoria è una e una sola, a prescindere da come essa possa
apparire o risultare all'uno o all'altro osservatore, anche
calcolante. Non possono esservi due traiettorie, è logicamente
impossibile.
> E dici di aver visto il filmato con la pallina che
> cade dal carrello in
> moto?
Ho visto il filmato, ma va pur considerato che in esso la situazione
non è di vuoto pneumatico quale quella espressamente immaginata da
Einstein per l'osservatore del treno. Comunque (al minuto 2.09) io ho
visto una perpendicolare per la pallina in caduta. Ma il commentatore
giustamente mi dice che non è perpendicolare perché in realtà la
pallina va in avanti, e me lo mostra ralenti. Ma anche al rallentatore
io (al minuto 3.09) continuo a vedere una perpendicolare. A questo
punto il commentatore, che ha capito che io sono ciuccio, mi mostra
(al minuto 3.17) a rallentatore una traiettoria della pallina
parabolica e spostata in avanti... ricostruita e disegnata con una
linea. Ovvero: mi fa vedere, mi disegna quella parabola che io non
vedo (oltretutto mi domando perché la parabola ricostruita nel disegno
è stata disegnata convessa e non concava, ma non andiamo sul
difficile).
Più in generale, poiché parlando di "vedere" si intende per lo più una
ricostruzione mentale (in quanto la traiettoria in vari casi a una
data velocità non si vede), forse sarebbe meglio tagliare la testa al
toro e non parlare di ciò che un osservatore vede o non vede, o di ciò
che ricostruisce mentalmente, per parlare della traiettoria reale.
> Se secondo te cade ai piedi del palo, beh, non ci
> sono 'punti di vista'
> o 'ricostruzioni retiniche' che tengano. Hai torto.
> (...) Putroppo la traiettoria effettiva che ti
> immagini è quella sbagliata.
> La pallina cade x metri più avanti del palo
Ma nel vuoto? Dicevo che "con un treno ideale in corsa nel vuoto la
pallina cade perpendicolare ai piedi del palo. Qui è il punto".
Ribadisco che è stato Einstein a dire: "io sto al finestrino di un
vagone ferroviario e prescindendo dalla resistenza dell'aria, vedo
discendere la pietra in linea retta" (Relatività, Boringhieri, 1967,
p. 50). Einstein non dice affatto che nel vuoto la pallina cade in
avanti, dice che cade perpendicolare e basta. Dobbiamo sempre
specificare se parliamo di una situazione con o senza attrito,
altrimenti non si capisce più niente.
> Sul fatto che nel vuoto in assenza di gravi nessun
> corpo cada ma
> rimanga fermo avrei da dire: fermo rispetto a cosa? Se > Galileo non è
> stato ancora confutato direi anche che il corpo
> permane nel suo stato
> di moto (quindi o fermo (diciamo rispetto alle stelle fisse, per
> cercare un ideale sistema di riferimento?) o in moto rettilineo
> uniforme, quindi non necessariamente fermo).
Intendevo un corpo immobile (diciamo pure fermo rispetto alle stelle
fisse): e un corpo in questo senso immobile nel vuoto assoluto rimane
immobile e non cade. Certo, se un corpo è già in moto allora nel vuoto
assoluto continua a rimanere in moto. In questo senso moto e quiete
sono per Galileo la stessa cosa: per l'appunto, "un corpo rimane nel
proprio stato di quiete o di moto rettilineo uniforme fino a che..."
etc.
Con un saluto
mdp
A Stefano D
> Con occhio da debbuger forse ho capito da dove ha
> origine il tuo bias
> mentale.
> Ma per esserne sicuro, ho bisogno di una conferma.
> (...) tu affermi che:
> - un esperimento di caduta di pallina in un vagone
> chiuso
> - un esperimento di caduta in un vagone aperto (es.
> senza pareti e
> senza tetto, solo una passerella che si muove)
> PORTANO A RISULTATI DIVERSI ?
> (...) Consideralo come il test determinante per la
> diagnosi.
Trovo molto divertente l'idea di essere psichiatrizzato come un caso
clinico su cui effettuare una diagnosi!
Scherzi a parte, si potrebbe anche illustrare in questo modo (vagone
aperto / vagone chiuso) ma non è necessario. È sufficiente il vagone
chiuso, purché la pietra sia lasciata cadere (come nell'esempio di
Einstein) dal finestrino all'esterno del vagone. Del resto, nel
momento stesso in cui Einstein dice di non voler considerare l'attrito
immediatamente con ciò stesso trasforma il sistema aperto in sistema
chiuso.
Ma in linea generale certo, le risultanze sono diverse in un sistema
aperto e in uno chiuso: Galileo mostra che nella stiva della nave in
moto uniforme (sistema chiuso) la goccia cade perpendicolare, mentre
en plein air il grave cade dalla torre in lieve perpendicolare in
avanti.
Nurax:
> E' un mese che ci frantumi i cosidetti con la storia
> che (...)
Io non "scasso" voi più di quanto voi non scassate me. Dopo il mio
primo intervento, mi sono sempre e solo limitato a rispondere ad
alcuni, e solo ad alcuni, dei numerosi interventi che spesso mi
chiamavano espressamente in causa anche con domande esplicite.
> E' come se tu
> avessi detto: vedo una balena ma è un nave. Ma pensi
> prima di scrivere?
Certo, vedi una balena, ma è una nave. Vedi una retta, ma è una
parabola (esperimento galileiano della torre), oppure viceversa.
Rileggiti (o leggiti per la prima volta) il Dialogo sopra i due
massimi sistemi del mondo di Galileo (in Opere, Utet, II, p. 217,
180-181) e prenditela con lui.
Galileo fa dire a Simplicio: «come, se ella (pietra) si muove
trasversalmente, la veggo io muoversi rettamente e
perpendicolarmente?». La risposta di Galileo è: tu vedi una retta, ma
non devi credere a quello che vedi; infatti «quando la torre si
muovesse insieme con la Terra, ed il sasso la radesse, il moto del
sasso sarebbe trasversale, e non perpendicolare». E intende: vedi una
cosa, ma è un'altra. Vedi una balena, ma è una nave. Nella
fattispecie, quello che vedi è una caduta perpendicolare ma, poiché la
Terra e l'atmosfera si muovono con la torre, in realtà il moto del
sasso è parabolico. Il caso discusso da Galileo è diverso da quello
qui discusso, ma il principio (differenza fra ciò che si vede e ciò
che è) è esattamente lo stesso.
> Non tentare di svicolare il ragionamento con il
> treno di Einstein, per ora lasciamolo da parte e
> concentriamoci su questo
> esperimento.
No. E non svicolo affatto. Sto all'esempio di Einstein perché è di
quello che si sta parlando.