Giorgio Pastore ha scritto:
> Sì. Un'onda e.m. è il risultato di una sovrapposizione di fotoni
> *reali*, non virtuali.
[...]
> Infatti. Ogni macchietta bianca corisponde all'arrivo di un fotone
> reale sul rivelatore.
[...]
> Sì. E il filmato corrisponde a fotoni reali che arrivano uno per
> volta.
Vorrei fare qualche commento, ma prima debbo mettere dei numeri.
Conoscete il mio pallino: la fisica senza numeri non si fa: si fanno
solo chiacchiere.
Purtroppo quel filmato porta scarsi dati numerici, quindi debbo fare
stime a occhio. Non potranno essere precise, ma spero non siano
neppure troppo sballate :-)
Intanto faccio notare che nell'esperimento è stata usata una
"intensified CCD camera", che è un aggeggio piuttosto complicato.
Non c'è solo la sorgente e il rivelatore di fotoni: in mezzo c'è uno
schermo fotosensibile, che dai fotoni produce fotoelettroni,
ovviamente con rendimento quantico <1, che lì non è indicato.
So però che non è <<1, ma almeno 0.5. Quindi non me ne curo: lo assumo
1 e so di non sbagliare molto.
Gli elettroni sono instradati in microcanali dove vengono
"moltiplicati" per emissione secondaria. Anche della moltiplicazione
ottenibile non so, ma con un singolo stadio sarà <10.
Gli elettroni colpiscono uno schermo fluorescente, e finalmente i
fotoni prodotti vanno a una CCD.
Da quello che ho trovato sulle intensified CCD cameras, vedo che il
numero di fotoni prodotti per ogni fotone assorbito è tale da
garantire un segnale sopra il rumore in ogni celletta del CCD.
Due parole sul CCD: si tratta di un mosaico di un gran numero di
cellette, di dimensioni attorno alla decina di micron, da cui i fotoni
in arrivo espellono elettroni.
La superficie di un CCD può essere anche parecchio grande (con
conseguente crescita del costo di produzione).
Sono in uso corrente, almeno da 30 anni, nei grandi telescopi, al
posto delle lastre fotografiche.
Quello dell'esperimento ritego sia piuttosto piccolo: azzardo 1 cm^2.
Se ogni celletta ha lato 10 micron, si ha un totale di un milione di
pixel.
Si può certamente fare di molto meglio: i cellulari anche non di prima
classe hanno fotocamere di decine di megapixel.
C'è però un tradeoff tra numero di pixel e velocità di ripresa: pochi
pixel = esposizioni più brevi e viceversa.
La carica positiva così generata rimane nella celletta perché è
confinata da una barriera di potenziale elettrostatico.
Questo fino alla fine dell'esposizione. A quel punto un ingegnoso
sistema di controllo del potenziale fa scorrere le singole cariche
fino ad arrivare su un lato del quadrato e poi lungo il lato, fino
(credo) a un ADC che fornisce il valore numerico della carica
depositata in ciascuna celletta.
Le macchioline bianche del filmato sono la riproduzione analogica delle
singole cariche.
Ora qualche numero.
La dimensione del CCD l'ho già data: lato b = 1 cm.
Numero di fotoni in arrivo: qui vado al buio.
Posso assumere meglio l'intensità I (W/m^2) della radiazione incidente.
So che per il Sole abbiamo circa 1 kW/m^2; certamente sarà stata usata
una sorgente più debole, ma per ora dobbiamo lasciare in sospeso
questo dato.
Ora parliamo un po' di come si generano le frange, secondo la normale
ottica ondulatoria.
Da quello che si vede alla fne, la zona dove arrivano i fotoni (frange
a parte) è grosso modo circolare e riempie tutto il CCD.
La forma circolare ci dice che l'interferenza non è prodotta da due
fenditure ma da due forellini.
Ciascun forellino (raggio a) produce sul rivelatore una figura di
diffrazione, formata da una zona centrale luminosa, delimitata da un
anello oscuro e poi con attorno altri anelli di luminosità più debole.
Assumo che la zona centrale riempia il rivelatore, ossia che abbia
raggio b/2.
La teoria della diffrazione ci dice che a meno di un fattore numerico
non molto diverso da 1 si avrà
b/2 = DL/a
essendo D la distanza tra i forellini e il rivelatore, L la l. d'onda.
Anche qui debbo assumere un valore ad arbitrio: D = 1 m.
Quanto a L prendo 5x10^(-7) m (centro del visibile) e trovo
a = 2DL/b = 2*5x10^(-7)/0.01 = 10^(-4) m = 0.1 mm
che è ragionevole.
Dunque ciascuno dei due forellini produce una macchia luminosa di
raggio 0.5 cm.
Le due macchie hanno i centri non coincidenti, ma tra loro distanti
quanto i centri dei forellini: diciamo d questa distanza incognita.
Il fatto che i centri non coincidano fa sì che le onde provenienti dai
due fori arrivino in uno stesso punto con fasi diverse: al centro
saranno in fase, poi lo saranno di nuovo in un punto che dista dal
centro in modo che la differenza dei cammini dai forellini sia L.
Evito il calcolo, che dà
f = DL/d.
Possiamo stimare f dalla figura: ho contato 13 frange, quindi f = b/13
e
d = DL/f = 13*D*L/b = 13*a/2 = 0.65 mm,
anche questo ragionevole.
Calcoliamo ora quanti fotoni per unità di tempo passano attraverso i
forellini.
Visto che l'apparato ha lunghezza L, per non avere più di un fotone
presente in ogni istante il numero totale di fotoni per unità di tempo
dovrà essere
n < c/L = 3x10^8 s^(-1).
prendiamo
n = 10^8 s^(-1).
Questo è il numero di fotoni per unità di tempo che attraversano i due
forellini, di area totale 2*pi*a^2. Il numero N di fotoni incidenti
per unità di tempo e di area sarà
N = n/(2*pi*a^2) = 10^8/(6*10^(-8)) = 2x10^15 fotoni s^(-1) m^(-2).
In termini di energia, assumendo per i fotoni un'energia media di 3 eV
(centro del visibile) avremo
I = (2x10^15)*(5x10^(-19)) = 10^(-3) J s^(-1) m^(-2) = 1 mW/m^2,
pari alla luce del Sole attenuata per un fattore 10^6.
I tempi di esposizione del singolo fotogramma sono dati tra 0.025 e 6
ms, ossia tra 2,5x10^3 e 6x10^5 fotoni su tutti i 10^6 pixel, per un
totale di 240 ms, pari a 2.4x10^7 fotoni in totale: 24 per ciascun
pixel.
Ora dovrei affrontare la parte più squisitamente fisica, ossia: in che
modo qusto esperimento mostra il carattere corpuscolare della
radiazione?
Ma ho già scritto molto, quindi rimando il seguito a domani (forse).
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Elio Fabri