Carlo Studente ha scritto:
> Ho sentito dire da un prof di fisica teorica, ma potrei ricordare
> male, che la prima pubblicazione della rel. generale (1915?)
> contenesse un errore che poi Einstein corresse (forse con l'aiuto di
> un amico matematico?).
>
> Vorrei sapere, senza entrare nei dettagli tecnici, di che tipo di
> errore si trattava (equazione sbagliata? ipotesi sbagliata? errore
> insignificante o che minava tutto? ...)
Non è facile risponderti, per due ragioni.
La prima è che è impossibile senza dire qualcosa di tecnico, almeno
nominare gli enti fisici e matematici che entrano in ballo.
La seconda è che la storia in sé è assai intricata, anche se si svolge
in un breve lasso di tempo.
Farò il possibile, semplificamdo un po' e per es. lasciando da parte
Hilbert, che è una parte della complicazione.
Per i dettagli storici mi baso sul libro di Pais "Sottile è il
signore" (Boringhieri) che in certi punti non è un capolavoro di
chiarezza, ma riporta un sacco di notizie e una ricchissima
bibliografia, su tutta l'opera di Einstein.
E' vero che la prima equazione della RG (lasciando da parte vari
tentativi durati anni) inviata per la pubblicazione l'11/11/1915
conteneva un errore, se applicata a una porzione di spazio-tempo
contenente materia (su questo mi spiego meglio fra poco).
Era però corretta se applicata a uno spazio-tempo vuoto. Questo è
molto importante, perché E. la mise subito alla prova sullo
spazio-tempo attorno al Sole (vuoto se trascuriamo i pianeti, che
hanno masse trascurabili rispetto al Sole).
Trovò una soluzione approssimata, che gli permise di studiare due
problemi, che sono due delle cosiddette "prove classiche" della RG:
1) la precessione del perielio dei pianeti, in particolare Mercurio
2) la deflessione gravitazionale della luce.
La terza prova classica (il redshift gravitazionale) l'aveva già
prevista e calcolata in precedeza, in quanto è possibile dedurla con
la semplice applicazione del principio di equivalenza.
Debbo soffermarmi un po' su Mercurio, perché è il solo effetto di RG
che era già noto agli astronomi, senza che nessuno sapesse darne
spiegazione.
Che tornasse dai calcoli con ottima approssimazione, senca che la
teoria contenesse parametri arbitrari, diede ad E. la prova cheera
sulla strada giusta.
Il che era vero nel senso che aveva trovato le eq. valide nello
spazio-tempo vuoto; ma lui credeva che le sue eq. avessero validità
anche in presenza di materia.
Il 16/1/1916 E, lesse all'Academia Prussiana delle scinza una
comunicazione di Karl Schwarzschild, dove era data la soluzione esatta
delle eq. di E. per il caso statico con una massa puntiforme: quello
che E. aveva risolto in modo approssimato.
E. rimase stupefatto, perché non si aspettava che una soluzione così
semplice esistesse.
Schw. faceva parte dell'esercito tedesco al fronte russo, dove sarebbe
morto l'11 maggio (non per eventi bellici, ma per una malattia
autoimmune).
Ora qualche "dettaglio tecnico".
Le eq. come E. ls scrive l'11 novembre sono
R = k T
dove k è una costante (più precisamente, 8pi G/c^2), T è il tensore
energia-impulso, che dipende dalle proprietà fisiche della materia
presente.
Qui chiarisco che con "materia" intendo qualunque cosa che possegga
energia e impulso, quindi anche per es. un campo e.m.
Il "tensore" ovviamente non è un numero; essendo di rango 2 simmetrico
consta di 10 componenti indipendenti, che variano (si trasformano) a
seconda del sistema di coordinate usate. Le 10 componenti sono in
generale funzioni delle coordinate.
Di più: la conservazione dell'energia e dell'impulso si esprime con
l'annullamento della divergenza di T; non vado oltre sui dettagli per
il secondo membro.
Quanto al primo membro, R sta per il "tensore di Ricci" un ente
geometrico che si ricava (non dico come) dalla struttura dello
spazio-tempo, tutta definita dal "tensore metrico" g.
Anche R è di rango 2 simmetrico, quindi con 10 componenti
indipendenti.
Qual è il problema? È che di regola il tensore di Ricci non ha
divergenza nulla.
In questo senso quell'equazione è sbagliata: è accettabile solo in uno
spazio-tempo vuoto.
Inoltre la legge di conservazione per impulso-energia non *segue*
dalla teoria; al contrario bisogna imporla in modo indipendente.
Anche questo non è un problema per uno spazio-tempo vuoto: se T=0,
ovvviamente anche la divergenza è nulla!
Il 25-11 E. fa un passo avanti: impone che T abbia divergenza nulla, e
ne deduce che il primo membro non può essere R.
Scopre che tutto torna se al posto di R si scrive
R - Tr(R)*g/2
dove Tr significa traccia.
L'equazione che ne deriva
R - Tr(R)*g/2 = kT (*)
è quella giusta, ma è difettosa l'interpretazione. Infatti per
arrivare alla (*) deve usare un sistema di coordinate tale che
det(g)=1. quindi la scelta del sistema di ccordinate non è
arbitraria.
Tutto dipende dal fatto che fino a quel punto E, non era ancora venuto
a conoscenza di una fondamentale identità, che era stata scoperta e
riscoperta dai matematici del settore, ma è nota ormai universalmente
come "identità di Bianchi".
(Curiosità: a Pisa esiste una via Luigi Bianchi, ma credo che davvero
pochi dei pisani sappiano chi era costui :-) )
Da questa identità, che non riporto, e che vale automaticamente per
qualsiasi spazio-tempo dotato di matrica (ossia di Riemann) segue
direttamente che il primo membro della (*) ha divergenza nulla, per
qualsiasi spazio-tempo e in qualunque sistema di coordinate.
Ne segue che se si scrive la (*) come eq. base della RG, la divergenza
di T è necessariamente nulla: la conservazione di energia-impulso è
conseguenza delle eq. di Einstein.
Aggiungo che ormai da tempo il primo membro delle (*) ha preso il nome
di "tensore di Einstein" e viene indicato con G.
Quindi le eq. della RG si riassumono in
G = k T.
Semplice, no?
Ripeto che finché si resta in uno spazio-tempo vuoto di materia tutto
ciò non ha importanza, e la prima eq. di E. va bene.
Ma se uno vuole studiare l'interno di una stella, il collasso
gravitazionale, o problemi cosmologici, è necessario usare la (*).
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Elio Fabri