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Due domande sul determinismo di Laplace

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multi...@gmail.com

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Jan 11, 2014, 5:44:50 PM1/11/14
to

Riflettendo di recente sul "saggio filosofico sulla probabilit�" di Laplace, mi sono riletto pi� attentamente il celebre passo che narra del celebre ipotesi del Demone onnisciente derivata dalla concezione deterministica del Fisico e Matematico francese:




"Un'intelligenza che per un dato istante conoscesse tutte le forze da cui la natura � anima e la situazione rispettiva degli esseri che la compongo, se d'altra parte fosse cos� vasta da sottoporre questi dati all'analisi, abbraccerebbe in un'unica e medesima formula i movimenti dei pi� gradi corpi dell'universo e quelli del pi� lieve atomo; niente sarebbe incerto per essa, e l'avvenire, come il passato, sarebbe presente ai suoi occhi".




Premetto che non intendo parlare qui della questione della possibilit� del determinismo nell'ambito della Meccanica Quantistica, quel che mi pare chiaro � che non � pi� possibile affermare solamente in base ad argomenti a priori l'impossibilit� di eventi casuali non in senso epistemico (cio� casuali dal punto di vista di osservatori aventi limiti conoscitivi, magari anche insuperabili del tutto nella pratica) ma in senso ontologico.




La prima questione che mi sono posto � quel "come il passato": secondo Laplace questo demone, data la perfetta conoscenza delle leggi fisiche e le posizioni e caratteristiche delle entit� dell'universo in un solo istante, esso potrebbe non solo prevedere ogni istante futuro, ma anche ricostruire ogni istante passato. Ma questa possibilit� (per quanto soltanto teorica) � ancora ammissibile con le conoscenze fisiche attuali?, anche se mettiamo da parte la MQ e ci limitiamo a considerare il mondo macroscopico? Leggo nella pagina di wikipedia inglese sul demone di Laplace:






"According to chemical engineer Robert Ulanowicz, in his 1986 book Growth and Development, Laplace's demon met its end with early 19th century developments of the concepts of irreversibility, entropy, and the second law of thermodynamics. In other words, Laplace's demon was based on the premise of reversibility and classical mechanics; however, Ulanowicz points out that many thermodynamic processes are irreversible, so that if thermodynamic quantities are taken to be purely physical then no such demon is possible as one could not reconstruct past positions and momenta from the current state. Maximum entropy thermodynamics takes a very different view, considering thermodynamic variables to have a statistical basis which can be kept separate from the microscopic physics.[4]"


In sostanza, sembra che si possa dire che anche la non possibilit� di ricostruzione del passato nella termodinamica sia dovuto a limitazioni della conoscenza di tutti i dati necessari sulle caratteristiche fisiche dello stato nell'istante scelto, o non � cos�?













Un'altra domanda che mi chiedo � l'utilizzo di discorsi sul caso in biologia, soprattutto ad opera di Jacques Monod nel suo "Il caso e la necessit�", da quello che ho compreso mi pare che pure in quel caso si parla di mutazioni casuali nel senso di una causalit� solamente dal punto di vista di osservatori che non conoscono tutti i dati delle caratteristiche dei soggetti studiati, o sbaglio? Perch� allora in quel caso neanche qui si dovrebbe parlare di casualit� in senso ontologico e peraltro sarebbe perlomeno fuorviante affermare frasi come "Da un punto di vista scientifico la vita non era obbligata a sorgere sulla Terra" oppure frasi come "Se si riavvolgesse il film della vita sulla Terra e se lo si facesse ricominciare da capo dieci volte, si vedrebbero dieci storie tutte diverse, molte magari con gli homo sapiens assenti" si dovrebbe perlomeno precisare che si tratta di frasi analoghe a "Non era necessario che l'ultimo lancio di questo dado facesse sei" ma non per questo si dovrebbe dire che il lancio di un dado � un processo in cui sorgono "effetti senza causa" oppure "effetti di volta in volta diversi da cause uguali" (paradossalmente si potrebbe far notare che per un ipotetico dio di un mondo laplaciano basterebbe agire solo per posizionare ogni entit� iniziale nell'istante iniziale dell'universo e per il resto potrebbe andarsene via e tuttavia ogni evento in quell'universo, fin dal pi� piccolo spostamento di un granello di sabbia alla comparsa dell'uomo, sarebbe stato progettato da questo dio, insomma un universo con o senza un dio come autore sarebbero del tutto identici). Volevo perci� sapere se anche nelle scienze biologiche di fatto � confutato o meno un determinismo laplaciano e come � utilizzato il concetto di caso e gli argomenti ad esso relativi.

Ciao.

Paolo Russo

unread,
Jan 13, 2014, 1:48:17 PM1/13/14
to
[multi...@gmail.com:]
> Premetto che non intendo parlare qui della questione della possibilità
> del determinismo nell'ambito della Meccanica Quantistica, [...]

Temo che questa intenzione possa creare problemi. :-)

> La prima questione che mi sono posto è quel "come il passato": secondo
> Laplace questo demone, data la perfetta conoscenza delle leggi fisiche
> e le posizioni e caratteristiche delle entità dell'universo in un solo
> istante, esso potrebbe non solo prevedere ogni istante futuro, ma
> anche ricostruire ogni istante passato. Ma questa possibilità (per
> quanto soltanto teorica) è ancora ammissibile con le conoscenze
> fisiche attuali?, anche se mettiamo da parte la MQ e ci limitiamo a
> considerare il mondo macroscopico?

Premesso che "conoscenze fisiche attuali" e "mettiamo da parte
la MQ" stanno assai male insieme nella stessa frase e rendono
la risposta problematica e probabilmente alquanto priva di
valore, direi che tale risposta e` si'. In particolare,
l'irreversibilita` dell'entropia non c'entra nulla con
l'estrapolabilita` del passato se non buttiamo la meccanica
quantistica nel calderone. Il fatto che uno stato passato
sia irriproducibile non implica che sia inconoscibile.

Se invece consideriamo anche la MQ, premesso che il passato
risulta non estrapolabile dal presente cosi' come e`
possibile conoscerlo atraverso una qualunque serie di misure
per quanto numerose e precise, la questione se sia
estrapolabile da un diavoletto che conosce lo stato
quantistico presente dell'intero universo senza bisogno di
misurare niente non ha risposta all'interno della MQ stessa:
dipende da quale interpretazione adotti.
Esistono interpretazioni deterministiche (Everett, Bohm
sono i primi nomi che mi sovvengono) dove il passato e`
teoricamente estrapolabile dallo stato presente (che pero`
rimane operativamente inconoscibile).

> Un'altra domanda che mi chiedo è l'utilizzo di discorsi sul caso in
> biologia, soprattutto ad opera di Jacques Monod nel suo "Il caso e la
> necessità", da quello che ho compreso mi pare che pure in quel caso si
> parla di mutazioni casuali nel senso di una causalità solamente dal
> punto di vista di osservatori che non conoscono tutti i dati delle
> caratteristiche dei soggetti studiati, o sbaglio?

Anche qui dipende se vuoi considerare la MQ o no.
La vedo duretta pensare seriamente (ad esempio) a una mutazione
prodotta da un raggio cosmico senza tirare in ballo la
casualita` nella MQ.

Ciao
Paolo Russo

Giorgio Bibbiani

unread,
Jan 12, 2014, 1:24:41 PM1/12/14
to
multi...@gmail.com wrote:
...
> Un'altra domanda che mi chiedo � l'utilizzo di discorsi sul caso in
> biologia, soprattutto ad opera di Jacques Monod nel suo "Il caso e la
> necessit�", da quello che ho compreso mi pare che pure in quel caso
> si parla di mutazioni casuali nel senso di una causalit� solamente
> dal punto di vista di osservatori che non conoscono tutti i dati
> delle caratteristiche dei soggetti studiati, o sbaglio?

Sbagli, le mutazioni in generale sono casuali in senso oggettivo,
indipendentemente o meno dalla presenza di "osservatori"
(ovviamente, in condizioni sperimentali opportune, e' anche
possibile realizzare mutazioni ad hoc).

> Perch� allora
> in quel caso neanche qui si dovrebbe parlare di casualit� in senso
> ontologico e peraltro sarebbe perlomeno fuorviante affermare frasi
> come "Da un punto di vista scientifico la vita non era obbligata a
> sorgere sulla Terra" oppure frasi come "Se si riavvolgesse il film
> della vita sulla Terra e se lo si facesse ricominciare da capo dieci
> volte, si vedrebbero dieci storie tutte diverse, molte magari con gli
> homo sapiens assenti"

Mi sembrano affermazioni *idealmente* corrette, a parte il
fatto che non ha senso pensare di poter "riavvolgere il
film della vita sulla Terra".

...
> Volevo perci� sapere
> se anche nelle scienze biologiche di fatto � confutato o meno un
> determinismo laplaciano

Certamente.

> e come � utilizzato il concetto di caso e gli argomenti ad esso relativi.

Domanda troppo generale (comunque sarebbe meglio
rivolgerla ai biologi...)

Ciao
--
Giorgio Bibbiani

marcofuics

unread,
Jan 15, 2014, 5:02:15 AM1/15/14
to
Una evoluzione deterministica � perfettamente prolungabile sia verso tempi futuri che passati.
Se le condizioni di "totale predicibilit�" sono soddisfatte allora il mondo � "� la Laplace"

Bisogna vedere fino a che punto la realt� � formalizzabile come eq.ni differenziali "ordinate" (A) e fino a che punto un bagaglio di infinite condizioni iniziali e/o al contorno pu� essere computato (B).


Parlando della (B) mi riferisco al fatto che sarebbe necessario considerare le condizioni su tutte le possibili "variabili" dinamiche e/o energetiche dell'intero universo... in questo vedo 2 limiti:


uno � dato dalla loro quantit� (molto pi� di un infinito Aleph1, molto molto superiore... se come penso tutta <l'informazione> [cio� la capacit� di riprodurre le regole della sua evoluzione e quindi esso stesso] dell'universo � praticamente frattale, cio� esso si ripete in se' stesso.




L'altro limite � dovuto al fatto che siamo noi a stabilire "quali sono i fenomeni" (ma qui andiamo troppo sul filosofico e sarebbe troppo lunga la faccenda) : taglio corto dicendo che ogni singolo fenomeno che un "fisico" o un osservatore sta studiando pu� essere al contempo 1 oppure un milione di altri fenomeni... il fenomeno non esiste in s� ma esiste solo nell'accezzione che ne abbiamo noi di esso sulla base delle nostre mappe ontologiche.


Per accettare un modello deterministico bisognerebbe escludere la MQ, ma bisognerebbe anche escludere alcune sol.ni di cosmologia di relativit� generale e alcune tipologie di "limite caotico".


Detto questo, un universo perfettamente deterministico ha da soddisfare molte pretese e molte condizioni... per� � anche vero che non � vero che "TUTTO PUO' SUCCEDERE"... cio� l'aleatoriet� del "futuro" � solo in quel che possiamo attribuire al dettaglio.

Per� stando alla teoria del caos (e stando anche alla teoria largamente accettata riguardo la formazione delle galassie) basta un granello di polvere per creare una stella!

Aleph

unread,
Jan 16, 2014, 4:50:06 AM1/16/14
to
Il giorno sabato 11 gennaio 2014 23:44:50 UTC+1, multi...@gmail.com ha scritto:

...

> Ma questa possibilit� (per quanto soltanto teorica) � ancora ammissibile con le conoscenze fisiche attuali?, anche se mettiamo da parte la MQ e ci limitiamo a considerare il mondo macroscopico?




La domanda mi pare mal posta, poich� non vedo come sia possibile considerare una cesura netta tra la fenomenologia del mondo macroscopico e quella del mondo microscopico, visto che in tanti aspetti, salvo in prima approssimazione quelli meccanici o termodinamici (nel senso della termodinamica classica), il primo � potentemente influenzato dalle leggi che governano il secondo (vedi ad esempio la connessione tra cosmologia e fisica delle particelle).

> Leggo nella pagina di wikipedia inglese sul demone di Laplace:




> "According to chemical engineer Robert Ulanowicz, in his 1986 book Growth and Development, Laplace's demon met its end with early 19th century developments of the concepts of irreversibility, entropy, and the second law of thermodynamics. In other words, Laplace's demon was based on the premise of reversibility and classical mechanics; however, Ulanowicz points out that many thermodynamic processes are irreversible, so that if thermodynamic quantities are taken to be purely physical then no such demon is possible as one could not reconstruct past positions and momenta from the current state.
...


Il demone di Laplace ha incontrato la sua fine quando si � evidenziata in via di principio l'impossibilit� di poter determinare lo stato di un sistema con un livello arbitrariamente alto di precisione.


> In sostanza, sembra che si possa dire che anche la non possibiliti� di ricostruzione del passato nella termodinamica sia dovuto a limitazioni della conoscenza di tutti i dati necessari sulle caratteristiche fisiche dello stato nell'istante scelto, o non � cos�


No, a mio parere non � cos�, anche se ti limiti a considerare, in maniera non consistente, soltanto le leggi fisiche classiche: ad esempio la legge del calore di Fourier non � invariante per inversione temporale.
>



> Un'altra domanda che mi chiedo � l'utilizzo di discorsi sul caso in biologia, soprattutto ad opera di Jacques Monod nel suo "Il caso e la necessiti�", da quello che ho compreso mi pare che pure in quel caso si parla di mutazioni casuali nel senso di una causaliti� solamente dal punto di vista di osservatori che non conoscono tutti i dati delle caratteristiche dei soggetti studiati, o sbaglio?

Ti hanno gi� risposto negativamente a questa domanda e io concordo in pieno con la risposta che ti � stata data.


Il punto centrale � che la biologia (in particolare le teorie dell'evoluzione) sono perfettamente coerenti con lo stato dell'arte della conoscenza delle leggi fondamentali della fisica, quando afferma che lo sviluppo della vita per come si � realizzato, come fatto storico, nel nostro pianeta (homo sapiens inclusi) � da intendersi come un fenomeno ontologicamente casuale e non necessario.


Ricordo che propendi per la visione misticheggiante e parascientifica propria dello "Intelligent Design", ma nella scienza moderna purtroppo (per te) non vi sono sponde utili per sostenere tale visione.

Saluti,
Aleph

Omega

unread,
Jan 16, 2014, 3:52:11 AM1/16/14
to
multi...@gmail.com
>
> Riflettendo di recente sul "saggio filosofico sulla probabilit�" di
> Laplace, mi sono riletto pi� attentamente il celebre passo che narra
> del celebre ipotesi del Demone onnisciente derivata dalla concezione
> deterministica del Fisico e Matematico francese:

La concezione deterministica, come tu stesso hai osservato,� stata messa
da parte dal un progresso immane della scienza dopo Laplace.
Progresso che ha introdotto il Caso come deus ex machina in biologia e
non solo in biologia, anche senza citare la MQ.
Il Caso.
Entit� *indefinibile per definizione* (nota l'ossimoro in cui il Caso
giace per sua natura, dichiarandosi cio� da s� contaddittorio).

Dunque il Caso � un'entit� per cos� dire, metafisica, ancorch�
contraddittoria.
E introdotta da personaggi che vedevano e vedono la metafisica come il
fumo negli occhi. Altro paradosso dunque: personaggi che accettano il
Caso come una volta si accettava la cosiddetta "volont� di Dio".

Io, pur sapendo di sollevare le ire di alcuni, sostengo invece che il
determinismo � assoluto e necessario (e che l'irreversibilit� di alcuni
fenomeni non c'entra per niente: anche una pallottola in fronte �
irreversibile, ma � indubbiamente "deterministica", se non vado errato :))

Quale � l'ingrediente che Laplace non ha sottolineato specificamente a
suo tempo, ma che invece ritengo ovviamente sottinteso, anche se neanche
lontanamente lo si considera nella nostra scientificissima era?
Considera il passo quotato da te qui sotto:


> "Un'intelligenza che per un dato istante conoscesse tutte le forze da
> cui la natura � anima e la situazione rispettiva degli esseri che la
> compongo, se d'altra parte fosse cos� vasta da sottoporre questi dati
> all'analisi, abbraccerebbe in un'unica e medesima formula i movimenti
> dei pi� gradi corpi dell'universo e quelli del pi� lieve atomo;
> niente sarebbe incerto per essa, e l'avvenire, come il passato,
> sarebbe presente ai suoi occhi".

Laplace dice chiaramente "tutte le forze". Dunque c'� dentro tutto ci�
che esiste in natura, non solo le forze del manuale di fisica.
Bene, la forza fondamentale che si manifesta in natura, ma ovviamente
non misurabile, � quella legata al principio d'identit�, vale a dire
all'assoluta autonomia, in termini di esistenza, degli enti - parlo per
ora di quelli elementari tuttora sconosciuti e verosimilmente non
conoscibili se /realmente/ elementari.
Che cosa significa "autonomia"?
Che tali enti esistono come entit� passive? Se fossero entit� passive
dovremmo innescare un percorso a ritroso all'infinito per (non) trovare
ci� che le muove, o magari per dover introdurre un qualche motore primo
ancor pi� metafisico del dio Caso.

� dunque necessario che tali enti siano autonomi non solo nel senso del
principio d'identit�, ma nel senso di essere *autonomamente attivi*.
Che cosa significa *autonomamente attivi*?
Significa *indipendenza comportamentale* prima ancora di contrattare con
il contesto i propri autonomi comportamenti. (In metafora, come pesci
che nuotano per conto loro ma devono fare i conti con gli altri pesci
dell'oceano.)
Ebbene, il meccanicismo come interpretato dai critici di Laplace era
solo questa attivit� "contrattuale" di superficie, attivit� che � invece
solo costituita da /effetti/ di comportamenti autonomi degli enti di cui
sopra.

Detto in modo grezzo ma credo abbastanza chiaro: gli enti in questione
sono dotati per loro natura di "potere decisionale" non solo in termini
di decisione davanti ad alternative ambientali, ma soprattutto in
termini del proporsi come autonomamente attivi nel loro contesto - che �
la loro realt� esistenziale, cio� il loro comportamento necessario
comnnesso al loro stesso esistere per quello che sono.(*)

(*) ci� che ho detto per gli enti elementari vale per ogni ente
esistente che non sia un semplice agglomerato di enti elementari (cio�
di fatto privo di identit�).

Bene, se si mette nel conto dell'idea di Laplace anche questa autonomia
attiva degli enti, allora non c'� dubbio: Laplace ha ragione.
E se si tiene conto di tale propriet� degli enti non c'� alcun bisogno
del dio Caso, che finisce per essere una pezza su una realt� che mi
sembra evidente: che sull'autonomia esistenziale e comportamentale degli
enti elementari non si pu� e non si potr� mai, evidentemente, fare alcun
conto. Lo potrebbe fare per� - attenzione - �Un'intelligenza che per un
dato istante conoscesse tutte le forze da cui la natura � anima e la
situazione rispettiva degli esseri che la compongono ...� Laplace lo ha
detto chiaro, e non alludeva di sicuro a qualche laboratorio di fisica
particolarmente attrezzato.
Intelligere non � misurare, altrimenti Laplace avrebbe usato
'laboratorio' e non 'intelligenza'.

Tale "autonomia comportamentaqle" � per definizione imprevedibile per
una ragione ovvia: appunto per la sua totale autonomia, condizionata s�
dal contesto, ma non generata dal contesto come � idea tanto diffusa
quanto contraddittoria.

Un saluto
Omega

multi...@gmail.com

unread,
Jan 17, 2014, 6:27:15 AM1/17/14
to
Il giorno gioved� 16 gennaio 2014 10:50:06 UTC+1, Aleph ha scritto:
>
>
>

> Il demone di Laplace ha incontrato la sua fine quando si � evidenziata in via di principio l'impossibilit� di poter determinare lo stato di un sistema con un livello arbitrariamente alto di precisione.
>
>
>

Impossibilit� che dunque, che da quanto ho capito � anche teorica, non pratica, dovuta a limitazioni delle capacit� umane...



>


> > Un'altra domanda che mi chiedo � l'utilizzo di discorsi sul caso in biologia, soprattutto ad opera di Jacques Monod nel suo "Il caso e la necessiti�", da quello che ho compreso mi pare che pure in quel caso si parla di mutazioni casuali nel senso di una causaliti� solamente dal punto di vista di osservatori che non conoscono tutti i dati delle caratteristiche dei soggetti studiati, o sbaglio?
>
>
>
> Ti hanno gi� risposto negativamente a questa domanda e io concordo in pieno con la risposta che ti � stata data.
>
>
>
>
>


> Il punto centrale � che la biologia (in particolare le teorie dell'evoluzione) sono perfettamente coerenti con lo stato dell'arte della conoscenza delle leggi fondamentali della fisica, quando afferma che lo sviluppo della vita per come si � realizzato, come fatto storico, nel nostro pianeta (homo sapiens inclusi) � da intendersi come un fenomeno ontologicamente casuale e non necessario.
>
>


Dunque, se ho ben capito si pu� affermare che ci sono fatti storici dell'evoluzione che sono casuali nel senso che sono "effetti senza causa", ovvero che � accaduto l'evento biologico Y ma poteva accadere anche l'evento Z anche se lo stato precedente era sempre X in entrambi i casi?

>
>
>

> Ricordo che propendi per la visione misticheggiante e parascientifica propria dello "Intelligent Design", ma nella scienza moderna purtroppo (per te) non vi sono sponde utili per sostenere tale visione.
>
>
>
> Saluti,
>
> Aleph






Ti sbagli, in passato avevo solo considerato una ipotesi simile che vagamente mi sembrava simile alla pseudoscienza dell'intelligent design ma, dato che io faccio tesoro dell'onest� con se stessi e del motto socratico di seguire le prove e le argomentazioni da qualunque parte mi facciano arrivare (anche se non mi piacciono, anche se vanno contro abitudini, convenzioni, dogmi e simili) adesso propendo per un antiriduzionismo che presuppone un materialismo metodologico ma non un materialismo ontologico e dove dunque concetti finalistici sono necessari per conoscere informazioni che con linguaggi utilizzanti concetti esclusivamente fisici e biologici non finalistici sarebbero sarebbero perdute inevitabilmente, avevo gi� aperto un thread che lo spiega bene qui:

https://groups.google.com/forum/#!searchin/it.scienza.chimica/processi$20biologici/it.scienza.chimica/QWk2ZC_dnCU/b8OCxn5fCZcJ

"Per� bisogna dire che se si intendono i concetti di "finalit�" e
"intenzioni" non come riferiti al processo evolutivo ma come riferiti
agli organismi singoli penso che si debba dire che essi abbiano certi
comportamenti "in vista" di un certo fine"Perch� essi d'autunno si
trasferiscono verso il sud?" Se si risponde "Perch� hanno un
particolare tipo di geni nel Dna" sembra che perdiamo di vista
un'informazione che pu� darci solo una risposta che intende il
"Perch�" della domanda come un "A quale fine?" ovvero una risposta del
tipo "Essi vanno nelle regioni pi� a sud *per il fine* di trovare un
clima a loro pi� confortevole e pi� quantit� di cibo". Il tutto
ovviamente presuppone mutazioni casuali e una storia evolutiva ma
anche una caratteristica che precede questi eventi, cio� una loro
tendenza intenzionale a preferire un clima e una certa quantit� di
cibo che li faccia sopravvivere."













Per la cronaca, bisognerebbe notare che Laplace era il celebre ateo che rispondendo a Napoleone sul perch� avesse messo assente Dio nel suo sistema cosmologico lo scienziato rispose che non aveva bisogno di questa ipotesi. Insomma i fautori del disegno intelligente, pensando a un universo determinato totalmente da Dio in realt� si avvicinano molto a una visione pseudoscientifica atea in quanto mentre la scienza � anche ammettere che la conoscenza umana ha dei limiti (quelle scoperte ad esempio dal principio di indeterminazione della MQ e la contingenza della storia evolutiva passata e futura) mentre la religione sarebbe non una "spiegazione" ma una "fede" un "dare fiducia" a qualcosa che la scienza non pu� per i propri limiti scoprire, queste visioni ritengono di spacciare per "scienza" qualcosa che nulla "spiega". Si potrebbe in un certo senso paragonare il disegno intelligente alle teorie pseudoscientifiche sui fenomeni paranormali. Di fatto gli sciamani dei popoli "primitivi" possiamo dire che non hanno teorie "paranormali" e non sbagliano perch� non usano un metodo scientifico sperimentale (non importa quante volte la danza della pioggia non funziona, importa quella volta che funziona) mentre quelli che propongono tali teorie paranormali s�. Insomma, la scienza non � che una delle tante attivit� umane che cercano di migliorare la vita dell'uomo, se uno � contento con la scienza che cerca di prevedere i fenomeni buon per lui, se preferisce usare altri metodi e se gli danno felicit� allora funzionano per quello scopo allora sono buoni anche questi, ma se non usano il metodo scientifico non si chiamano scientifici, ma non vuol dire che sono "sbagliati" in quanto rendono comunque migliore la vita di certi uomini (mica detto poi che le tecnologie di oggi assicurano la felicit�).

Ciao.

Persio

unread,
Jan 19, 2014, 5:02:08 PM1/19/14
to
Il 11/01/2014 23:44, multi...@gmail.com ha scritto:
> "Un'intelligenza che per un dato istante conoscesse tutte le forze da cui la natura � anima
> e la situazione rispettiva degli esseri che la compongo, se d'altra parte fosse cos� vasta da sottoporre
> questi dati all'analisi, abbraccerebbe in un'unica e medesima formula i movimenti dei pi� gradi corpi
> dell'universo e quelli del pi� lieve atomo; niente sarebbe incerto per essa, e l'avvenire, come il passato,
> sarebbe presente ai suoi occhi".

Se un contesto nel quale � possibile prevedere l'effetto di una certa
azione si pu� definire deterministico allora la realt� fisica � senza
dubbio deterministica.

Dal pi� semplice gesto, come grattarsi il naso, all'azione pi�
complessa, come inviare una sonda su Marte, ogni aspetto della realt�
attesta che di un'azione, o di un complesso di azioni, � possibile
predeterminare gli effetti. Questo � talmente evidente e palesemente
vero che probabilmente � difficile averne piena coscienza, come per la
proverbiale trave nell'occhio.

Come � anche evidente che l'imponderabilit� di certe azioni non deriva
dalla impossibilit� di predeterminarne gli effetti per certe qualit� del
contesto quanto piuttosto dalla non conoscenza di certi fattori che ne
fanno parte.

Ad esempio, se un tale seduto su una panchina del parco decide di girare
la pagina del libro che sta leggendo � senz'altro nelle condizioni di
chi conta di poter predeterminare l'effetto del girare pagina, cio�
poter leggere le pagine seguenti. Ma poniamo che l'effetto desiderato
gli sia precluso da un meteorite che lo incenerisce prima che abbia modo
di ottenerlo. E' probabile che il giorno appresso i giornali titolino
di uno sventurato vittima dell'imponderabilit� del Caso.

Ma questo ovviamente non � vero, perch� se quel tale avesse conosciuto
esattamente la traiettoria di quel frammento di roccia spaziale, che
magari da molti millenni orbita nel sistema solare, avrebbe potuto
prederminare il suo punto di caduta, e magari avrebbe cambiato panchina.

Lo stesso si pu� dire di ogni evento che normalmente viene attribuito al
Caso, che sempre nasconde un deficit di conoscenza. Nell'esempio ci�
che ha reso indeterminabile l'effetto dell'azione � stato un deficit di
conoscenza del soggetto, e allo stesso deficit si potrebbe attribuire
qualsiasi altro evento che, bench� predeterminato a sua volta da eventi
precedenti, non � stato possibile prevedere.

Ma poniamo che il lettore incenerito dal meteorite fosse stato il
diavoletto di Laplace: per definizione esso possiede la perfetta
conoscenza di ogni evento o fenomeno del Mondo, dunque avrebbe previsto
la caduta del meteorite, o il terremoto, o l'infarto, o la pallottola
vagante, o la caduta del ramo, o l'errore di stampa che ha lasciato la
pagina bianca, o qualsiasi altro degli eventi che, per quanto
improbabili, avrebbero potuto precludergli di ottenere l'effetto voluto
del leggere oltre.

Tuttavia sorgono due problemi insormontabili che si oppongono
all'esistenza del diavoletto:

1. la sua mente dovrebbe contenere la copia esatta dell'intero
esistente poich�, come � evidente, non pu� contenere l'originale. A meno
che il diavoletto non sia l'Essere, tutto ci� che esiste, la copia nella
mente del diavoletto non sarebbe comunque identica all'intero Essere, ne
sarebbe una copia appunto, per definizione non coincidente esattamente
con quella.

2. se il diavoletto fa parte dell'Essere, e non si vede come potrebbe
godersi la lettura di un libro sulla panchina se cos� non fosse, esso
dovrebbe conoscere esattamente anche se stesso.

Nel primo caso il diavoletto dovrebbe contemporaneamente essere e non
essere l'intero esistente; nel secondo caso dovrebbe conteporaneamente
essere contenitore e contenuto di se stesso. Poich� il principio di non
contraddizione regge tutta la logica risulta, per logica, che il
diavoletto di Laplace non pu� esistere.

Ma questo non confuta l'ipotesi deterministica, semplicemente significa
che in un contesto deterministico tutto � predeterminato ma nulla �
"esattamente" predeterminabile.

Dunque � possibile avere una conoscenza sufficientemente precisa delle
variabili che influiscono in un certo contesto, tanto da ottenere
l'effetto voluto anche da azioni complesse come l'inviare una sonda su
Marte, ma � impossibile avere la certezza assoluta che l'effetto voluto
sia raggiunto.

Questa condizione richiama i rapporti tra meccanica classica e meccanica
quantistica: la prima, pur con la sua approssimazione, consente la
precisione necessaria per descrivere certi fenomeni e realizzare certi
obiettivi, ma quanto pi� ci si avvicina alla necessit� di determinare
esattamente lo stato del contesto tanto pi� risulta evidente la
impossibilit� di ottenerlo. E questo discende esattamente dall'ipotesi
deterministica.

multi...@gmail.com

unread,
Jan 17, 2014, 6:37:36 AM1/17/14
to
Il giorno gioved� 16 gennaio 2014 10:50:06 UTC+1, Aleph ha scritto:
>
> Saluti,
>
> Aleph



Consiglio inoltre per Aleph la seguente lettura di un importante testo di Ernst Mayr che mostra quanto equivoco � il termine "teleologia" che spesso viene frainteso, pensando erroneamente che "se c'� una teleologia allora c'� sempre una mente" (ragionamento errato che in passato anch'io avevo sostenuto in quanto credevo fosse ovvio):

http://evolution.freehostia.com/wp-content/uploads/2007/07/mayr_1974_teleological_and_teleonomic.rtf







"Teleological language is frequently used in biology in order to make statements about the functions of organs, about physiological processes, and about the behavior and actions of species and individuals. Such language is characterized by the use of the words 'function', 'purpose', and 'goal', as well as by statements that something exists or is done 'in order to'. Typical statements of this sort are 'It is one of the functions of the kidneys to eliminate the end products of protein metabolism', or 'Birds migrate to warm climates in order to escape the low temperatures and food shortages of winter'. In spite of the long-standing misgivings of physical scientists, philosophers, and logicians, many biologists have continued to insist not only that such teleological statements are objective and free of metaphysical content, but also that they express something important which is lost when teleological language is eliminated from such statements."

Importante � anche il seguente passaggio che mostra che la teleologia come era intesa da Aristotele � oggi scientificamente legittima:








"No other ancient philosopher has been as badly misunderstood and mishandled by posterity as Aristotle. His interests were primarily those of a biologist and his philosophy is bound to be misunderstood of this fact is ignored. Neither Aritotle nor most of the other ancient philosophers made a sharp distinction between the living world and the inanimate. They saw something like life or soul even in the inorganic world. If one can discern purposiveness and goal direction in the world of organisms, why not consider the order of the Kosmos-as-a-whole also as due to final causes, i.e. as due to built-in teleology? As Ayala (1970) said quite rightly, Aristotle's "error was not that he used teleological explanations in biology, but that he extended the concept of teleology to the non-living world." Unfortunately, it was this latter teleology which was first encountered during the scientific revolution of the 16th and 17th centuries (and at that in the badly distorted interpretations of the scholastics). This is one of the reasons for the violent rejection of Aristotle by Bacon, Descartes and their followers."

Ciao.

Soviet_Mario

unread,
Jan 20, 2014, 10:52:07 AM1/20/14
to
Il 17/01/2014 12.37, multi...@gmail.com ha scritto:
> Il giorno giovedᅵ 16 gennaio 2014 10:50:06 UTC+1, Aleph ha scritto:
>>
>> Saluti,
>>
>> Aleph
>
>
>


> Consiglio inoltre per Aleph la seguente lettura di un importante testo di Ernst Mayr che mostra quanto equivoco ᅵ il termine "teleologia" che spesso viene frainteso, pensando erroneamente che "se c'ᅵ una teleologia allora c'ᅵ sempre una mente" (ragionamento errato che in passato anch'io avevo sostenuto in quanto credevo fosse ovvio):
>
> http://evolution.freehostia.com/wp-content/uploads/2007/07/mayr_1974_teleological_and_teleonomic.rtf
>
>
>
>
>
>
>


> "Teleological language is frequently used in biology in order to make statements about the functions of organs, about physiological processes, and about the behavior and actions of species and individuals. Such language is characterized by the use of the words 'function', 'purpose', and 'goal', as well as by statements that something exists or is done 'in order to'.
> Typical statements of this sort are 'It is one of the functions of the kidneys to eliminate the end products of protein metabolism',

fin qui sono d'accordo nella sostanza, anche se molto piᅵ
tollerante "nella forma", per il fatto che il linguaggio non
supporta alternative non finalistiche altrettanto snelle

> or 'Birds migrate to warm climates in order to escape the low temperatures and food shortages of winter'.

questo esempio invece mi pare mal scelto. La strategia degli
uccelli non ᅵ interamente riconducibile a mero istinto ed
automatismo, per quanto certamente un condizionamento
esiste. Migrare ᅵ una scelta funzionale piᅵ o meno "libera",
e in caso di persistere di condizioni climatiche anomale e
favorevoli ... i migratori restano piᅵ a lungo (o al
contrario, partono prima). E se trovano tappe ostili a volte
cambiano le rotte. Ridurre animali superiori a meri automi
programmati mi sembra eccessivo insomma.


> In spite of the long-standing misgivings of physical scientists, philosophers, and logicians, many biologists have continued to insist not only that such teleological statements are objective

forse perchᅵ talvolta lo sono anche (e non si trova di
altrettanto sintetico)


> and free of metaphysical content, but also that they express something important which is lost when teleological language is eliminated from such statements."

detto questo, riconosco che c'ᅵ sicuramente del vero nel
discorso in toto.

>
> Importante ᅵ anche il seguente passaggio che mostra che la teleologia come era intesa da Aristotele ᅵ oggi scientificamente legittima:
>
>
>
>
>
>
>
>






> "No other ancient philosopher has been as badly misunderstood and mishandled by posterity as Aristotle. His interests were primarily those of a biologist and his philosophy is bound to be misunderstood of this fact is ignored. Neither Aritotle nor most of the other ancient philosophers made a sharp distinction between the living world and the inanimate. They saw something like life or soul even in the inorganic world. If one can discern purposiveness and goal direction in the world of organisms, why not consider the order of the Kosmos-as-a-whole also as due to final causes, i.e. as due to built-in teleology? As Ayala (1970) said quite rightly, Aristotle's "error was not that he used teleological explanations in biology, but that he extended the concept of teleology to the non-living world." Unfortunately, it was this latter teleology which was first encountered during the scientific revolution of the 16th and 17th centuries (and at that in the badly distorted interpretations of t
he scholastics). This is one of the reasons for the violent rejection of Aristotle by Bacon, Descartes and their followers."
>
> Ciao.
>


--
1) Resistere, resistere, resistere.
2) Se tutti pagano le tasse, le tasse le pagano tutti
Soviet_Mario - (aka Gatto_Vizzato)

Elio Fabri

unread,
Jan 20, 2014, 3:55:16 PM1/20/14
to
persio ha scritto:
> Tuttavia sorgono due problemi insormontabili che si oppongono
> all'esistenza del diavoletto:
>
> 1. la sua mente dovrebbe contenere la copia esatta dell'intero
> esistente poich�, come � evidente, non può contenere l'originale. A
> meno che il diavoletto non sia l'Essere, tutto ci� che esiste, la
> copia nella mente del diavoletto non sarebbe comunque identica
> all'intero Essere, ne sarebbe una copia appunto, per definizione non
> coincidente esattamente con quella.
>
> 2. se il diavoletto fa parte dell'Essere, e non si vede come potrebbe
> godersi la lettura di un libro sulla panchina se cos� non fosse, esso
> dovrebbe conoscere esattamente anche se stesso.
>
> Nel primo caso il diavoletto dovrebbe contemporaneamente essere e non
> essere l'intero esistente; nel secondo caso dovrebbe conteporaneamente
> essere contenitore e contenuto di se stesso. Poich� il principio di
> non contraddizione regge tutta la logica risulta, per logica, che il
> diavoletto di Laplace non pu� esistere.
La lettura di questo brano mi ha irresistibilmente rimandato a Don
Ferrante, il quale con argomentazioni simili dimostr� che la peste non
esiste ... e si sa come and� a finire.

Solo che il personaggio di Manzoni viveva agli inizi del '600; quello
che mi riesce incredibile � che ci sia qualcuno che pensa di
argomentare nello stesso modo 400 anni dopo :-(


--
Elio Fabri

Persio

unread,
Jan 20, 2014, 5:51:45 PM1/20/14
to
Il 20/01/2014 21:55, Elio Fabri ha scritto:
> persio ha scritto:
>> Tuttavia sorgono due problemi insormontabili che si oppongono
>> all'esistenza del diavoletto:
>>
>> 1. la sua mente dovrebbe contenere la copia esatta dell'intero
>> esistente poiché, come è evidente, non può contenere l'originale. A
>> meno che il diavoletto non sia l'Essere, tutto ciò che esiste, la
>> copia nella mente del diavoletto non sarebbe comunque identica
>> all'intero Essere, ne sarebbe una copia appunto, per definizione non
>> coincidente esattamente con quella.
>>
>> 2. se il diavoletto fa parte dell'Essere, e non si vede come potrebbe
>> godersi la lettura di un libro sulla panchina se così non fosse, esso
>> dovrebbe conoscere esattamente anche se stesso.
>>
>> Nel primo caso il diavoletto dovrebbe contemporaneamente essere e non
>> essere l'intero esistente; nel secondo caso dovrebbe conteporaneamente
>> essere contenitore e contenuto di se stesso. Poiché© il principio di
>> non contraddizione regge tutta la logica risulta, per logica, che il
>> diavoletto di Laplace non può esistere.
> La lettura di questo brano mi ha irresistibilmente rimandato a Don
> Ferrante, il quale con argomentazioni simili dimostrò che la peste non
> esiste ... e si sa come andò a finire.
>
> Solo che il personaggio di Manzoni viveva agli inizi del '600; quello
> che mi riesce incredibile è che ci sia qualcuno che pensa di
> argomentare nello stesso modo 400 anni dopo :-(
>

E' anche vero che con lo stesso metodo argomentativo si sarebbe potuto
dimostrare a qualcuno, convinto che la peste fosse un castigo divino,
che invece la malattia è dovuta ad un agente patogeno invisibile.
Ma c'è di peggio del distorcere l'argomentazione logica per affermare i
propri pregiudizi come fa don Ferrante: si può non applicarla del tutto.
Ad esempio si può non applicarla alle risultanze sperimentali, in tal
modo consentendo che entità metafisiche come il dio Caso circolino
indisturbate nel pensiero scientifico.


Loris Dalla Rosa

unread,
Jan 25, 2014, 11:06:53 AM1/25/14
to

"Elio Fabri" <elio....@tiscali.it> ha scritto nel messaggio
news:bk5hc3...@mid.individual.net...
> persio ha scritto:
>> Tuttavia sorgono due problemi insormontabili che si oppongono
>> all'esistenza del diavoletto:
>>
>> 1. la sua mente dovrebbe contenere la copia esatta dell'intero
>> esistente poiché, come è evidente, non può contenere l'originale. A
>> meno che il diavoletto non sia l'Essere, tutto ciò che esiste, la
>> copia nella mente del diavoletto non sarebbe comunque identica
>> all'intero Essere, ne sarebbe una copia appunto, per definizione non
>> coincidente esattamente con quella.
>>
>> 2. se il diavoletto fa parte dell'Essere, e non si vede come potrebbe
>> godersi la lettura di un libro sulla panchina se così non fosse, esso
>> dovrebbe conoscere esattamente anche se stesso.
>>
>> Nel primo caso il diavoletto dovrebbe contemporaneamente essere e non
>> essere l'intero esistente; nel secondo caso dovrebbe conteporaneamente
>> essere contenitore e contenuto di se stesso. Poiché© il principio di
>> non contraddizione regge tutta la logica risulta, per logica, che il
>> diavoletto di Laplace non può esistere.

> La lettura di questo brano mi ha irresistibilmente rimandato a Don
> Ferrante, il quale con argomentazioni simili dimostrò che la peste non
> esiste ... e si sa come andò a finire.
>
> Solo che il personaggio di Manzoni viveva agli inizi del '600; quello
> che mi riesce incredibile è che ci sia qualcuno che pensa di
> argomentare nello stesso modo 400 anni dopo :-(

Scusatemi l'intromissione, del tutto occasionale, in questo ng. Il fatto e'
che trovo divertente questo rabbuffo all'argomentazione di "persio":
rimprovero un po' ingeneroso ma tutto sommato bonario. Nello stesso spirito
osservo quanto segue, ad uso del fisico che abbia la pazienza e la voglia di
distrarsi un attimo con un divertissement di logica, un paradosso logico cui
rimanda l'argomentazione (per quanto non ineccepibile) di "persio", con
maggiore forza analogica rispetto al don Ferrante manzoniano. Di
quest'ultimo, o meglio del suo ragionamento solo in apparenza rigorosamente
aristotelico, si puo' dire che Manzoni ha buon gioco... nel prendersi gioco,
essendo tale ragionamento fallace proprio dal punto di vista aristotelico
(piu' difficile pensare che Manzoni non conoscesse la logica di Aristotele,
piuttosto che pensare che si diverstisse a giocare sporco con essa,
incorrendo egli stesso, e consapevolmente, nella fallacia dell'uomo di
paglia). Ma lasciamo perdere Manzoni. Piuttosto: l'argomento di "persio"
richiama quasi immediatamente il seguente paradosso logico (del resto
escogitato proprio da un fisico), che riporto ampiamente in calce, nella
esposizione che ne fa Odifreddi (***). Non voglio fare torto
all'intelligenza di nessuno, dilungandomi troppo nell'evidenziare che esso
e' interpretabile proprio come confutazione forte di quella famosa
affermazione di Laplace sul determinismo assoluto: per prendersi gioco di
quel metafisico e contraddittorio diavoletto non occorre neppure che nasca
un nuovo Manzoni; basta la logica di Odifreddi, in questo contesto
rigorosamente aristotelica.
Grazie dell'eventuale attenzione e un saluto a tutti,
Loris

(***) <<Nel 1969 il filosofo Robert Nozick ha divulgato il cosiddetto
paradosso di Newcomb, che prende il nome dal fisico che l'ha scoperto.
Supponiamo di partecipare ad un gioco in cui ci sono due buste chiuse: nella
prima c'e' un milione, e nella seconda o non c'e' niente o c'e' un miliardo.
Il gioco consiste nello scegliere o entrambe le buste, o solo la seconda. La
decisione su che cosa ci debba essere nella seconda busta viene presa da un
veggente, che ci mette il miliardo se e solo se prevede che noi prenderemo
soltanto quella.
Che cosa conviene fare razionalmente? La risposta dipende dal tipo di
strategia che si decide di seguire. Il paradosso nasce dal fatto che ci sono
due strategie, entrambe perfettamente razionali all'apparenza, che
suggeriscono di tenere comportamenti opposti.
Nel primo caso si puo' seguire il principio di utilita', che suggerisce il
comportamento che produce il maggior utile. Questo e' appunto il caso della
scelta della sola seconda busta. Poiche' infatti il veggente prevede
esattamente il comportamento, se si prendono entrambe le buste si
guadagnera' un milione, mentre se si prende solo la seconda si guadagna un
miliardo.
Nel secondo caso si puo' invece seguire il principio di dominanza, che
suggerisce il comportamento consistentemente migliore. E' il caso della
scelta di entrambe le buste: se infatti il veggente non ha messo niente
nella seconda busta, prendendo solo quella non si ottiene niente, mentre
prendendole entrambe si ottiene un milione; se invece il veggente ha messo
il miliardo nella seconda busta, prendendo solo quella si ottiene un
miliardo, mentre prendendole entrambe si ottiene un milione in piu'.
I due ragionamenti si basano su assunzioni diverse. Il primo accetta l'ipotesi
che il veggente preveda il futuro, e dunque che la nostra decisione di
prendere o no entrambe le buste determini retroattivamente la sua scelta di
mettere o no il miliardo. Il secondo ragionamento si basa invece sul fatto
che il contenuto delle buste e' ormai stato fissato sulla base delle
previsioni del veggente, e quindi non puo' essere influenzato dalla nostra
decisione di prendere o no entrambe le buste.
Poiche' la contraddizione rimane comunque, per risolverla sembrano possibili
tre sole strade: o uno dei due princi'pi non e' razionale, o il gioco stesso
e' impossibile. E si possono effettivamente trovare argomenti a favore di
ciascuna delle tre possibilita':
1) Il principio di utilita' riduce l'Homo sapiens all'Homo economicus, e
sembra quindi piu' animalesco che razionale. Il mercato e', infatti, la
continuazione della lotta per la sopravvivenza con altri mezzi. E l'economia
e' una riformulazione della legge della giungla con gli stessi fini.
2) Il principio di dominanza, benche' sia uno degli assunti fondamentali
della teoria dei giochi, porta a conclusioni analogamente paradossali anche
nel dilemma del prigioniero, dalla cui analisi Newcomb ha fra l'altro
ricavato il suo paradosso. Anch'esso puo' quindi essere guardato con
sospetto.
3) Dire infine che il gioco e' impossibile, significa semplicemente negare
la preveggenza. Il che e' in accordo con una visione non deterministica (o
almeno non calcolabile) del mondo, che lasci spazio al libero arbitrio.
A scanso di equivoci, e' comunque bene notare che non e' necessaria un'assunzione
di preveggenza totale. Basta che il veggente sappia prevedere il futuro con
probabilita' di poco superiore al 50 per cento, perche' il paradosso
continui a valere. Pensare che la soluzione del paradosso stia nel fatto che
il gioco e' impossibile, significa allora sostenere che e' impossibile
prevedere il futuro non solo con certezza, ma anche con una probabilita' di
poco superiore al 50 per cento.
Per smorzare gli entusiasmi, possiamo pero' anche dire che, supponendo che
il veggente possa sbagliare previsione, nessun comportamento e' dominante
(benche' si possa anche dire il contrario, in base al ragionamento
precedente). Se infatti la previsione e' stata corretta, prendendo solo la
seconda busta si ottiene un miliardo e prendendole entrambe si ottiene un
milione. Se invece la previsione e' stata sbagliata, prendendo solo la
seconda busta non si ottiene niente e prendendole entrambe si
ottiene un milione. Nel primo caso e' dunque meglio prendere solo la seconda
busta, mentre nel secondo caso conviene prenderle entrambe.
Il paradosso di Newcomb mostra che se i principi di utilita' e dominanza
sono corretti, come pensa appunto la teoria dei giochi, la preveggenza e'
impossibile. Possiamo comunque chiederci se, in ogni caso, sarebbe
necessariamente utile od auspicabile saper prevedere il futuro. La risposta
e', sorprendentemente, negativa.
Consideriamo infatti la cosiddetta corsa del coniglio, variazione sul tema
del film Gioventu' bruciata: due auto si dirigono a tutta velocita' una
contro l'altra, e vince il guidatore che vira per ultimo (chi vira per primo
e', appunto, un «coniglio»). In questo «gioco» non si puo' applicare il
principio di dominanza: se l'altro guidatore non vira, e' infatti meglio
virare comunque; mentre se l'altro vira, e' meglio non virare. Si puo' pero'
applicare un principio piu' debole, di dominanza rispetto al rischio, che
richiede di seguire il comportamento migliore quando l'altro fa il peggio.
Poiche' il peggio che l'altro possa fare e' di non virare, e' meglio non
rischiare e virare: se non lo si fa, nel caso peggiore ci si schianta
sicuramente.
Ora supponiamo, pero', che uno dei due sia preveggente e l'altro lo sappia.
Questi puo' allora sfruttare la situazione, e decidere di non virare a
nessun costo. Poiche' l'altro lo prevede, e' costretto a virare, se non
vuole schiantarsi. In altre parole, la preveggenza puo' essere svantaggiosa.
Il che puo' essere un buon motivo per evitare, anzitutto, di affannarsi nel
passatempo preferito di politici e fattucchiere: la previsione del futuro.
Inoltre, la conclusione precedente puo' forse spiegare l'umano istinto di
comportarsi in modo da sfidare Dio stesso: il quale, sembra, la preveggenza
c'e' l'ha di natura.>> (P.G. Odifreddi, "C'era una volta il paradosso -
Storie di illusioni e verita' rovesciate", Einaudi 2001)



Persio

unread,
Jan 28, 2014, 5:12:52 PM1/28/14
to
Il 25/01/2014 17:06, Loris Dalla Rosa ha scritto:

Provo a risponderti, sempre che il moderatore nel frattempo non ha
impugnato la ramazza per cacciare la torma di "filosofi" calata a
disturbare la serenità del NG di Fisica.

Mi sembra, "loris", che si parli di cose diverse. L'impossibile
diavoletto di Laplace, infatti, saprebbe esattamente quale scelta
verrebbe fatta; il giocatore dunque non avrebbe proprio nessuna libertà
di scelta. Ciò non toglie che il egli possa essere soggettivamente
convinto di poter liberamente scegliere la sua strategia.

L'ipotesi di Laplace è molto più forte ed esclusiva di quella su cui è
disegnato l'ambiente in cui è si svolge il paradosso.

"persio"

Elio Fabri

unread,
Jan 30, 2014, 3:57:47 PM1/30/14
to
Loris Dalla Rosa ha scritto:
> Piuttosto: l'argomento di "persio" richiama quasi immediatamente il
> seguente paradosso logico (del resto escogitato proprio da un fisico),
> che riporto ampiamente in calce, nella esposizione che ne fa Odifreddi
> (***).
> ...
> per prendersi gioco di quel metafisico e contraddittorio diavoletto
> non occorre neppure che nasca un nuovo Manzoni; basta la logica di
> Odifreddi, in questo contesto rigorosamente aristotelica.
> ...
Premetto che non riesco ad appassionarmi a questo tipo di giochi, e
faccio perfino fatica a seguirli.
Ma comunque mi pare che la "logica" non sia affatto ineccepibile.

> ...
> Poiche' la contraddizione rimane comunque, per risolverla sembrano
> possibili tre sole strade: o uno dei due princi'pi non e' razionale, o
> il gioco stesso e' impossibile.
Ecco già il difetto logico: esiste infatti una quarta strada: che
l'esposizione del paradosso contenga qualche errore.
Ed è proprio quello che penso.

Ma prima un'obiezione più filosofica.
> 3) Dire infine che il gioco e' impossibile, significa semplicemente
> negare la preveggenza.
Nelle ipotesi del "vostro" gioco, se si parla di preveggenza si deve
intendere che questa possa essere un fenomeno fisico, che può
empiricamente realizzarsi o no.
Non importa esaminare quali altre implicazioni potrebbe avere sul resto
del mondo fisico l'esistenza di esseri dotati di questa capacità.
Mi preme invece sottolineare che la loro esistenza, o l'opposto, sono
fatti *empirici*, e non accetto che si possa decidere per l'una o per
l'altra alternativa sulla base di un puro ragionamento.
Se in base a un qualche ragionamento a me sembrasse di poter arrivare
a una simile conclusione, ne concluderei solo in un modo: nel mio
ragionamento ho infilato (senza accorgermene) un presupposto erroneo o
contraddittorio.
Insomma, ho fatto un ragionamento *sbagliato*.

Mentre scrivevo quanto sopra, ho cercato "Newcomb's paradox" in
wikipedia (inglese, of course).
C'è un articolo bello lungo, dove si esaminano diverse varianti,
diverse opinioni... Ma soprattutto, fin dall'inizio si può leggere:
"Whether the problem is actually a paradox is disputed."
Come volevasi dimostrare :-)


--
Elio Fabri

Persio

unread,
Jan 30, 2014, 6:35:32 PM1/30/14
to
Il 30/01/2014 21:57, Elio Fabri ha scritto:

> Mentre scrivevo quanto sopra, ho cercato "Newcomb's paradox" in
> wikipedia (inglese, of course).
> C'è un articolo bello lungo, dove si esaminano diverse varianti,
> diverse opinioni... Ma soprattutto, fin dall'inizio si può leggere:
> "Whether the problem is actually a paradox is disputed."
> Come volevasi dimostrare :-)

E' Odifreddi a fare casino, e "loris" appresso, estendendo
arbitrariamente il campo del presunto paradosso.

Probabilmente Newcomb voleva solo mettere alla frusta certe norme della
teoria dei giochi.

Loris Dalla Rosa

unread,
Jan 31, 2014, 8:10:02 AM1/31/14
to

"Elio Fabri" <elio....@tiscali.it> ha scritto nel messaggio
news:bkvsvo...@mid.individual.net...

>> ...
>> per prendersi gioco di quel metafisico e contraddittorio diavoletto
>> non occorre neppure che nasca un nuovo Manzoni; basta la logica di
>> Odifreddi, in questo contesto rigorosamente aristotelica.
>> ...

> Premetto che non riesco ad appassionarmi a questo tipo di giochi, e
> faccio perfino fatica a seguirli.

Va bene, ne prendo atto. Devo allora ringraziarti per la pazienza di avermi
almeno letto.
Se ne hai altrettanta (o forse un po' di piu')... ho appena inviato una
risposta a Persio, in cui chiarisco piu' ampiamente natura e termini della
questione. Ma non pretendo. Piuttosto mi preme ribadire anche a te (non so,
non ho appurato se fai parte della moderazione di questo gruppo) che se
queste "incursioni" filosofiche in questo ng di fisica non interessano per
nulla o addirittura risultano fastidiose, basta dirlo e io invitero' i miei
rarissimi interlocutori:-) a trasferire la discussione su icfm, il ng di
filosofia che e' il mio di provenienza.

> Ma comunque mi pare che la "logica" non sia affatto ineccepibile.
>
>> ...
>> Poiche' la contraddizione rimane comunque, per risolverla sembrano
>> possibili tre sole strade: o uno dei due princi'pi non e' razionale, o
>> il gioco stesso e' impossibile.

> Ecco già il difetto logico: esiste infatti una quarta strada: che
> l'esposizione del paradosso contenga qualche errore.
> Ed è proprio quello che penso.

Non e' escluso, ma quale errore? Bisognerebbe trovarlo, perche' il fatto che
il gioco sia impossibile non implica certo che cio' sia dovuto ad un errore
logico. Abbiamo una vasta gamma di "giochi impossibili", cioe' di paradossi
logici, matematici, semantici... che non presentano alcun errore logico.
Personalmente penso che quello di Newcomb, nell'interpretazione datane da
Odifreddi, sia uno di questi. Pero' se tu individui un errore logico (non
un'impasse della logica, che non equiparabile ad un errore logico) io,
che sono un cultore di paradossi, ti saro' grato se me lo segnali.

> Ma prima un'obiezione più filosofica.
>> 3) Dire infine che il gioco e' impossibile, significa semplicemente
>> negare la preveggenza.

> Nelle ipotesi del "vostro" gioco, se si parla di preveggenza si deve
> intendere che questa possa essere un fenomeno fisico, che può
> empiricamente realizzarsi o no.
> Non importa esaminare quali altre implicazioni potrebbe avere sul resto
> del mondo fisico l'esistenza di esseri dotati di questa capacità.
> Mi preme invece sottolineare che la loro esistenza, o l'opposto, sono
> fatti *empirici*, e non accetto che si possa decidere per l'una o per
> l'altra alternativa sulla base di un puro ragionamento.
> Se in base a un qualche ragionamento a me sembrasse di poter arrivare
> a una simile conclusione, ne concluderei solo in un modo: nel mio
> ragionamento ho infilato (senza accorgermene) un presupposto erroneo o
> contraddittorio.
> Insomma, ho fatto un ragionamento *sbagliato*.

Non vorrei abusare troppo della tua pazienza ripetendo tutto quello che ho
gia' detto a Persio.
Mi limito a dire che non stenterei a concordare con te, qualora mi dicessi
che sono i fatti empirici il punto sia di partenza che di arrivo di un
ragionamento che pretenda di avere un valore scientifico. Ti faccio tuttavia
notare che l'inosservanza di questo, che dovrebbe essere il principio
basilare del sapere scientifico, e' proprio il "vizio" che affligge
l'ipotesi del determinismo assoluto di Laplace e contro il quale si appunta
la mia critica, prendendo spunto dall'arcinota citazione riportata da
"multivac85". Ovviamente non e' in discussione l'esistenza o meno di
metafisici diavoletti o spiritelli vari, che sono solo finzioni in funzione
discorsiva, ma l'ipotesi di Laplace, che egli sa bene essere ipotesi
praticamente irrealizzabile, ma che tuttavia, come idealita' di ipotesi,
ritiene sostenibile logicamente. Di tale ipotesi il fisico si libera
abbastanza facilmente dimostrandone l'impossibilita' pratica, ma dal punto
di vista logico? No, non e' sostenibile neppure come ipotesi puramente
logica. Dimostrare questo si puo' fare solo con l'esercizio della logica
pura ed e' cio' che ho cercato di fare. Del resto neppure questo puro
esercizio di logica e' del tutto estraneo al sapere scientifico. Un'ipotesi,
ma molto piu' in generale una teoria scientifica, puo' apparire priva di
contraddizioni interne e tuttavia essere falsificata dal riscontro empirico,
che e' l'ultima istanza della sua validita'. Ma se tale teoria presenta
contraddizioni logiche al suo interno, allora e' falsificata logicamente,
senza necessita' di un riscontro empirico.
Ti ringrazio della chiacchierata e ti saluto,
Loris

Loris Dalla Rosa

unread,
Jan 31, 2014, 8:06:36 AM1/31/14
to

"Persio" <persio...@gmail.com> ha scritto nel messaggio
news:lc9a4i$1qd$1...@dont-email.me...
> Il 25/01/2014 17:06, Loris Dalla Rosa ha scritto:
>
> Provo a risponderti, sempre che il moderatore nel frattempo non ha
> impugnato la ramazza per cacciare la torma di "filosofi" calata a
> disturbare la serenità del NG di Fisica.

Speriamo di no. Comunque, se questa "estensione" logico-filosofica, di una
questione impostata sotto il profilo esclusivamente fisico, ai fisici desse
tanto fastidio, speriamo che il moderatore sia cosi' cortese da avvertirci
pubblicamente. Nel qual caso potremmo spostare l'eventuale prosieguo della
discussione su it.cultura.filosofia.moderato.
Premetto che la questione, dal punto di vista del fisico, in questo 3D mi
pare esaurientemente risolta (in particolare con il post di Aleph del 16
c.m. delle 10:50); questa nostra, Persio, e' appunto un' "estensione", una
generalizzazione logico-filosofica della questione: generalizzazione che,
del resto, sembra essere autorizzata dalla stessa citazione di Laplace,
riportata da multivac85 e che per comodita' ripeto in calce (*). Da essa
appare chiaro che Laplace considera la successione degli stati dell'universo
come una catena causale assolutamente determinata, di cui *ogni* corpo (dal
piu' grande ammasso stellare all' "atomo piu' leggero") costituisce un
anello causale/effettuale. Da questa concezione meccanicistica ottocentesca
di un determinismo assoluto, l'ipotesi di un ideale sapere assoluto cui
nulla del passato e del futuro sarebbe celato a quell' "intelligenza"
calcolatrice superiore, che conoscesse in un determinato istante "tutte le
forze di cui è animata la natura e la situazione rispettiva degli esseri che
la compongono". Traspare un forte ottimismo
illuministico dalle parole di Laplace, che pero' non regge ne' dal punto di
vista della fisica, ne' da quello della logica; come cerco, per questo
secondo aspetto, di chiarire di
seguito.

> Mi sembra, "loris", che si parli di cose diverse. L'impossibile
> diavoletto di Laplace, infatti, saprebbe esattamente quale scelta verrebbe
> fatta; il giocatore dunque non avrebbe proprio nessuna libertà di scelta.

Eppure l'argomentazione con cui cerchi di dimostrare l'impossibilita' logica
dell'esistenza del "diavoletto" e' *anche* la dimostrazione che questa tua
conclusione e' illecita. Mi spiego, sotto due punti di vista.

1) Anzitutto mi spiego "in metafora", cioe' secondo la metafora del presunto
"diavoletto" di Laplace. Ritengo che la tua dimostrazione
dell'impossibilita' logica della sua esistenza sia corretta; se la riformuli
in linguaggio puramente logico-formale, ti accorgerai che non si tratta
altro che di una variante del paradosso russelliano dell'insieme di tutti
gli insiemi (se non ne sei convinto magari chiarifico per esteso). Considera
allora che cosa possa significare la "preveggenza" del "diavoletto".
Significa che esso ha una *descrizione* completa (di tipo deterministico)
della *totalita'* degli eventi passati e futuri. In particolare ha una
descrizione completa di quell'agente, anch'esso
appartenente alla catena causale, capace di scegliere retroagendo
causalmente su di
essa con decisioni apparentemente libere. *Apparentemente* libere, perche'
di tale agente il "diavoletto" avra' una descrizione in termini
chimico-fisici, cioe' descrittivi del cervello come di un sistema cui
afferiscono dei segnali chimico-fisici, che li elabora producendo dei
segnali chimico-fisici efferenti: tale descrizione sara' certamente di tipo
deterministico. Pero' in essa si nasconde una contraddizione (piu'
precisamente, nel linguaggio del filosofo, un' "aporia" logica): tale
descrizione, per esserlo *oggettivamente* della totalita' degli eventi
dell'universo (interconnessi deterministicamente) non deve appartenere alla
totalita' degli eventi, mentre invece essa stessa non puo' che essere *un*
evento particolare dell'universo, che interferisce, sia come effetto che
come a sua volta causa, con la catena causale. A questo punto forse un
fisico rabbrividisce:-)); un po' meno il logico, che si accorge, con la
messa in luce del risvolto ineliminabilmente pragmatico del sapere, di
trovarsi di fronte ad un'altra variazione del principale paradosso logico di
Russell. Ecco allora il "merito" del paradosso di Newcomb
(nell'interpretazione datane da Odifreddi): quello di recuperare
(nell'immaginaria figura del preveggente che si prende gioco del giocatore
delle due scatole) quell'aspetto pratico imprescindibile della conoscenza,
con un rompicapo un po' divertente e certo piu' complicato di quelli della
Settimana Enigmistica. Tale paradosso puo' concludersi solo (ritengo) con lo
stallo di *ogni* prassi decisionale, compresa quella del preveggente: il
gioco risulta impossibile e questo stallo, oltre a lasciare aperta la
possibilita' che la liberta' dell'auto-determinazione non sia affatto
un'illusione, e' a sua volta lo scacco matto al determinismo assoluto
sognato da Laplace.

2) Mi spiego "fuor di metafora" (e spero piu' brevemente). Laplace, che tra
le sue poche qualita' umane aveva almeno quella di essere ateo:-), in
realta' non parla di "diavoletti", ma ipotizza un' "intelligenza" per nulla
metafisica, dalla capacita' di calcolo talmente potente che sa benissimo
essere umanamente impossibile, ma che idealizza ipotizzandola (quasi in una
specie di esperimento mentale) come logicamante possibile. Il fatto e' che
tale "intelligenza" e' impossibile non solo dal punto di vista pratico, ma
anche da quello logico, per l'argomentazione che ho gia' svolto sopra. Del
resto non occorre affatto ipotizzare un'intelligenza superiore, per
comprendere una banalita' come questa: ogni incremento della conoscenza e'
incremento della potenza di chi la detiene e che lo mette in condizione di
ampliare i suo grado di liberta' di intervento su eventi che, in base al
grado di conoscenza precedente, erano da considerarsi fatalisticamente
inevitabili. "Scientia est potentia", sentenziava Francis Bacon, il filosofo
e proto-epistemologo della scienza empirica: un motto che Laplace pare
avesse dimenticato, perdendosi nel sogno ottocentesco di un determinismo
assoluto che approda solo alla singolarita' logica di un paradosso. Lo
riassumo con un esempio e piu' terra-terra, senza scomodare Russell? Se,
per l'ipotesi di un ideale progresso delle scienza medica, questa fosse in
grado di predirmi (magari dall'analisi del mio DNA) che con *assoluta*
certezza io, a 101 anni, moriro' per breve ma penosissima malattia, beh,
cio' *sicuramente* non avverra', perche' a 100 anni mi gettero' da un ottavo
piano. Una
fanta-scienza, piu' vasta di quella fanta-medicina, sarebbe in grado di
prevedere con assoluta certezza anche questo? Bene, ma questo contraddice
all'ipotesi di partenza e la questione si ripropone negli stessi termini, in
un regresso all'infinito, per cui l'ipotesi stessa e' confutata come ipotesi
per assurdo.

> Ciò non toglie che il egli possa essere soggettivamente convinto di poter
> liberamente scegliere la sua strategia.

Dopo tutto quello che ho detto, capirai che questa affermazione non mi
convince. In un sistema assolutamente deterministico, anche l'illusione di
essere liberi e' *necessariamente* determinata. Ma come puo' allora
considerarsi illusorio cio' che e' una necessita' sia effettuale che causale
della catena deterministica? In poche parole il punto e' questo: in un
sistema assolutamente deterministico perde senso lo stesso concetto di
causa/effetto (almeno quello ottocentesco di Laplace), perche' i due termini
della coppia diventano logicamente intercambiabili, tanto che l'effetto B di
una causa A costituisce un nesso la cui ferrea necessita' marginalizza come
secondario il rapporto di successione temporale tra A e B, cosicche' e' lo
stesso dire che B e' causa di A.
Un saluto e scusa la lunghezza,
Loris

----------------
(*) "Dobbiamo dunque considerare lo stato presente dell'universo come
effetto del suo stato anteriore e come causa del suo stato futuro.
Un'intelligenza che, per un dato istante, conoscesse tutte le forze di cui è
animata la natura e la situazione rispettiva degli esseri che la compongono,
se per di più fosse abbastanza profonda per sottomettere questi dati
all'analisi, abbraccerebbe nella stessa formula i movimenti dei più grandi
corpi dell'universo e dell'atomo più leggero: nulla sarebbe incerto per essa
e l'avvenire, come il passato, sarebbe presente ai suoi occhi." (Laplace,
1814)

Q22

unread,
Jan 31, 2014, 11:06:36 AM1/31/14
to
Elio Fabri <elio....@tiscali.it> ha scritto:

> persio ha scritto:
> > ...

> La lettura di questo brano mi ha irresistibilmente rimandato a Don
> Ferrante, il quale con argomentazioni simili dimostrò che la peste non
> esiste ... e si sa come andò a finire.
>
> Solo che il personaggio di Manzoni viveva agli inizi del '600; quello
> che mi riesce incredibile è che ci sia qualcuno che pensa di
> argomentare nello stesso modo 400 anni dopo :-(

Tu pensa che il principio di non contraddizione ha circa 2500 anni.
Forse è per questo che trovo tante contraddizioni nelle tue risposte?
Vero: tu non argomenti come 2500 anni fa. E cioè vaff... anche il principio
di non contraddizione, dico bene? :) Del resto una cometa che orbita qui
dentro ha affermato due volte che la fisica se ne frega della logica.
Ha ragione: durante le mie brevi visite ho dovuto sempre prenderne atto.
(Stavolta la visita non è stata breve perché qualcuna delle mie domande ha
causato un'onda di marea che ha fatto sentire insicuri molti naviganti :))

Appello finale:
Persio, non badarci, continua a usare la logica :)
Qualcuno qui non si accorge che quella di don Ferrante la sta usando lui,
ma anche quella di personaggi peggiori di quel romanzo. Il qualcuno non lo
ho nominato per discrezione, ossia è Innominato :))
--

Omega

unread,
Jan 31, 2014, 6:31:40 PM1/31/14
to
Loris Dalla Rosa
> "Persio"
>> Loris Dalla Rosa
>>
>> Provo a risponderti, sempre che il moderatore nel frattempo non ha
>> impugnato la ramazza per cacciare la torma di "filosofi" calata a
>> disturbare la serenità del NG di Fisica.

Che sia un NG di fisica ok, ma che qui siano tutti fisici ne dubito,
altrimenti almeno la definizione di fisica, di energia, di tempo e di
alcune altre cosette qualcuno me le saprebbe dare. Ma transeat.

Io ho già detto qualcosa in questo thread, mettendo in gioco,fra le cose
di cui l'"intelligenza" potrebbe tenere conto, l'"autonomia
esistenziale" o "libertà" degli enti che, come la "volontà" fra noi,
rende in apparenza imprevedibile il futuro pur essendo integralmente
noto il presente. Ma di questo dirò poi.

Qui ora accenno alla questione dei paradossi.
Più che il paradosso di Russell mi vien fatto di ricordare la questione
del punto fisso (molto cara a J. L. Borges: Del rigore della Scienza in
Storia universale dell'infamia), ricordato anche da Odifreddi nel suo
libro - Un matematico legge Borges. Più precisamente, a parte i teoremi
del punto fisso noti anche ai fisici quantistici, quindi qui dentro a
tutti (i teoremi di Banach, di Brower, di Poincaré ecc.), mi pare che
sia la mappa di Royce a essere più vicina al problema-universo di
Laplace come comunemente inteso, ossia il problema della ricorsione
all'infinito. La mappa di Royce, come ricordi di sicuro, è la mappa
dell'Inghilterra tracciata in un luogo dell'Inghiltera (un punto sulla
mappa): tale mappa deve contenere anche quel punto, entro il quale c'è
la mappa dell'Inghilterra e così via all'infinito.
Lo stesso potrebbe essere se l'"intelligenza" di Laplace fosse
considerata localizzata, in Inghilterra o a Scanzorosciate o a Canicattì
non importa.
Ma non mi risulta che Laplace abbia posto una simile limitazione.
Non ha posto neppure la limitazione dell'affascinante libro inesistente
citato da Borges [la mappa 1 a 1 dell'impero - (Suárez Miranda, Viajes
de varones prudentes, libro IV, cap. XIV, Lérida, 1658) - libro appunto
inesistente.]

No, quell'"intelligenza" è l'"impero" stesso, vale a dire l'universo,
con tutti gli enti di ogni specie esistenti in esso con la loro libertà
o autonomia esistenziale.
Cioè l'"intelligenza" non ha "dentro" di sé la mappa dell'universo, e
neppure è essa stessa una mappa alla Suárez Miranda, ma è proprio
l'universo.

Dunque la prova della validità dell'ipotesi di Laplace è che *nella
realtà* l'"intelligenza universo" tiene conto immancabilmente e
ineccepibilmente del passato, essendolo stato, e del presente essendolo,
e su tale conoscenza (che è il suo essere stato ciò che è stato e essere
ciò che è) costruisce il futuro in assoluta ineccepibilità, non
trascurando neppure ciò che è ineffabile come la realtà degli enti in
quanto autonomi e liberi (persino volenti) nel presente.(*)

(*) qui non entro nella questione del tempo, per non riaprire dolorose
ferite :) Dunque qui lo do per scontato come fanno tutti, Laplace incluso.

Laplace non era uno sprovveduto - basti pensare anche solo alla sua
trasformata, un pilastro matematico delle tecniche più attuali - per
ritenere che non abbia fatto riflessioni di questo genere, immaginando
rappresentazioni e mappe che sono logicamente paradossali in modo troppo
evidente. (Da notare che la sua trasformata ha proprio la natura di un
cambiamento di dominio, di una "contrazione" con trasformazione delle
operazioni stesse, e quindi è nel medesimo territorio logico del
problema delle mappe. Perciò non credo all'ingenuità di un meccanicismo
banale in Laplace.)

Ciò che egli descrive nel passo che hai citato qui sotto dice
semplicemente che quell'intelligenza non è e non può essere altro che
l'Universo. «L'universo (che altri chiama la Biblioteca ...)» come
direbbe il grande bibliotecario cieco.

Omaggi
Omega

Loris Dalla Rosa

unread,
Feb 1, 2014, 8:21:05 PM2/1/14
to

"Omega" <om...@NOyahoo.it> ha scritto nel messaggio
news:unWGu.19533$Th2....@tornado.fastwebnet.it...

> Loris Dalla Rosa
>> "Persio"
>>> Loris Dalla Rosa

> Qui ora accenno alla questione dei paradossi.
> Più che il paradosso di Russell mi vien fatto di ricordare la questione
> del punto fisso (molto cara a J. L. Borges: Del rigore della Scienza in
> Storia universale dell'infamia), ricordato anche da Odifreddi nel suo
> libro - Un matematico legge Borges. Più precisamente, a parte i teoremi
> del punto fisso noti anche ai fisici quantistici, quindi qui dentro a
> tutti (i teoremi di Banach, di Brower, di Poincaré ecc.), mi pare che sia
> la mappa di Royce a essere più vicina al problema-universo di Laplace come
> comunemente inteso, ossia il problema della ricorsione all'infinito. La
> mappa di Royce, come ricordi di sicuro, è la mappa dell'Inghilterra
> tracciata in un luogo dell'Inghiltera (un punto sulla mappa): tale mappa
> deve contenere anche quel punto, entro il quale c'è la mappa
> dell'Inghilterra e così via all'infinito.
> Lo stesso potrebbe essere se l'"intelligenza" di Laplace fosse considerata
> localizzata, in Inghilterra o a Scanzorosciate o a Canicattì non importa.
> Ma non mi risulta che Laplace abbia posto una simile limitazione.

Infatti, alla questione non inerisce alcun problema di localizzazione ed e'
questo il motivo per cui ho evitato di trattarla ricorrendo alla mappa di
Royce, che solo in apparenza sembrerebbe piu' appropriata al caso e che
potrebbe tirare in ballo, inopinatamente, il teorema del punto fisso di
Banach-Caccioppoli. L' "intelligenza" ipotizzata da Laplace non ha a che
fare con spazi metrici e mappature, se non, volendo, per un primo e
provvisorio approccio (maggiormente intuitivo) all'antinomia pura che ne
deriva e che e' quella di Russell, alla quale non e' certo applicabile il
teorema del punto fisso.

> Non ha posto neppure la limitazione dell'affascinante libro inesistente
> citato da Borges [la mappa 1 a 1 dell'impero - (Suárez Miranda, Viajes de
> varones prudentes, libro IV, cap. XIV, Lérida, 1658) - libro appunto
> inesistente.]
>
> No, quell'"intelligenza" è l'"impero" stesso, vale a dire l'universo, con
> tutti gli enti di ogni specie esistenti in esso con la loro libertà o
> autonomia esistenziale.
> Cioè l'"intelligenza" non ha "dentro" di sé la mappa dell'universo, e
> neppure è essa stessa una mappa alla Suárez Miranda, ma è proprio
> l'universo.

Ecco, la mappa borgesiana in scala 1:1 dell'impero. Una mappa impossibile,
perche' coincide con il territorio (o il territorio coincide con la mappa).
La questione diviene meramente nominalistica. Ma non e' questo che intendeva
Laplace, che non ne faceva una questione nominalistica.

> Dunque la prova della validità dell'ipotesi di Laplace è che *nella
> realtà* l'"intelligenza universo" tiene conto immancabilmente e
> ineccepibilmente del passato, essendolo stato, e del presente essendolo, e
> su tale conoscenza (che è il suo essere stato ciò che è stato e essere ciò
> che è) costruisce il futuro in assoluta ineccepibilità, non trascurando
> neppure ciò che è ineffabile come la realtà degli enti in quanto autonomi
> e liberi (persino volenti) nel presente.(*)

Mmmm..., penso che non dovresti attribuire a Laplace quella che e' una tua
pseudo-soluzione. Dico "pseudo-soluzione", perche' parlare di "intelligenza
universo" significa attribuire, del tutto gratuitamente, all'universo
facolta' tipicamente umane. In realta' con tale espressione esprimi solo una
tua opinione: che l'universo e' razionale (e anche di questo si potrebbe
dubitare); ma, se e' razionale, di *quale* razionalita' si tratta? La
"razionalita'" dell'universo e' quella deterministica di Laplace? O e'
quella della funzione d'onda di Schroedinger? E' quella del big-bang o
quella della nebulosa primitiva Kant-Laplace?...

> Laplace non era uno sprovveduto - basti pensare anche solo alla sua
> trasformata, un pilastro matematico delle tecniche più attuali - per
> ritenere che non abbia fatto riflessioni di questo genere, immaginando
> rappresentazioni e mappe che sono logicamente paradossali in modo troppo
> evidente. (Da notare che la sua trasformata ha proprio la natura di un
> cambiamento di dominio, di una "contrazione" con trasformazione delle
> operazioni stesse, e quindi è nel medesimo territorio logico del problema
> delle mappe. Perciò non credo all'ingenuità di un meccanicismo banale in
> Laplace.)

Caro Omega, non mi riterrai cosi' sprovveduto da considerare Laplace uno
sprovveduto?:-)
Non nego certo i suoi contributi circa la meccanica celeste ne', in
particolare, quelli allo sviluppo della teoria della probabilita'. Guarda
caso, la citazione da cui siamo partiti (e alla quale sarebbe bene
attenersi) e' tratta dal "Saggio filosofico sulle probabilita'" del 1814. In
esso tratta di problemi relativi all'applicazione del calcolo probabilistico
(appunto) nello studio dei fenomeni naturali. Il ricorso a tali criteri
probabilistici era in netto contrasto con la concezione rigidamente
deterministica dominante ai suoi tempi. E' per questo che, a un certo punto,
per risolvere il contrasto se ne vien fuori con quelle affermazioni
riportate nella citazione. Spesso succede che i filosofi vengono accusati di
mettere il becco in questioni scientifiche di cui non sono competenti; ecco
un esempio al contrario: di uno scienziato che sconfino' in questioni
filosofiche da cui faceva bene a tenersi alla larga.
Un saluto,
Loris


Giorgio Pastore

unread,
Feb 3, 2014, 2:50:11 AM2/3/14
to
On 2/2/14 2:21 AM, Loris Dalla Rosa wrote:
...
> Non nego certo i suoi contributi circa la meccanica celeste ne', in
> particolare, quelli allo sviluppo della teoria della probabilita'.
> Guarda caso, la citazione da cui siamo partiti (e alla quale sarebbe
> bene attenersi) e' tratta dal "Saggio filosofico sulle probabilita'" del
> 1814.
....
> Il ricorso
> a tali criteri probabilistici era in netto contrasto con la concezione
> rigidamente deterministica dominante ai suoi tempi. E' per questo che, a
> un certo punto, per risolvere il contrasto se ne vien fuori con quelle
> affermazioni riportate nella citazione. Spesso succede che i filosofi
> vengono accusati di mettere il becco in questioni scientifiche di cui
> non sono competenti; ecco un esempio al contrario: di uno scienziato che
> sconfino' in questioni filosofiche da cui faceva bene a tenersi alla larga.
...

Mi sembra che fai un torto a Laplace e alla prospettiva storica
mettendola in questo modo. Le critiche che si possono fate all' "Essai",
e ce ne sono, non mi sembra che possano essere di questo tipo.

Intanto va detto che l' Essai e' un trattato di alta divulgazione sulla
teoria delle probabilita'. Per alta intendo che si rivolge a chi e' in
grado, ai primi dell' '800 di comprendere gli sviluppi della scienza
dell' epoca. Uno dei destinatari dell' Esai e', esplicitamente, la
comunita' dei filosofi in senso stretto. Qui pero' vale la pena di fare
due osservazioni.

La prima e' che il divorzio apparente tra filosofia e scienza e' un
processo lungo. Ai primi dell' '800 Scienza e' ancora Filosofia Naturale
e non c'e' la settorializzazione estrema della cultura moderna. Per
intenderci, un saggio come quello di Snow sulle due culture sarebbe
apparso incomprensibile.

La seconda e' che Laplace forniva ai filosofi uno strumento tecnico
(il calcolo delle probabilita'), molto piu' affinato rispetto allo
stadio in cui lo aveva lasciato Pascal, come base per un corretto
ragionamento inferenziale.

Da questo punto di vista la questione del determinismo riportata da L.
nell' introduzione e' stata da un lato sopravalutata e dall' atro
estrapolata dal contesto storico in cui e' stata scritta.

L. introduce il discorso sul determinsmo completo sulla base della
conoscenza che aveva della fisica (praticamente cincidente con la
meccanica) del suo tempo. Non aveva modo di dubitare, sulla base del
successo della teria newtoniana, che la descrizione fondamentale fosse
deterministica (nel senso con cui sono deterministiche le soluzioni di
equazioni differenziali) e che quello che impediva di poter fare
previsioni su tutto fosse solo questione di ignoranza (della
configurazione iniziale e delle leggi di forza).

Sulla base delle conoscenze in suo possesso non era una posizione
particolarmente sopra le righe. Peraltro, e gran parte del saggio serve
a portare esempi, Laplace aveva evidenza *proprio dall' analisi di
problemi astronomici* che i ragionamenti probabilistici erano essenziali
per tener in giusto conto tutta una serie di incertezze e ignoranze
sulla situazione iniziale.

Come motivazione per un approccio probabilistico, l' idea del demone
onnsiciente nonera peregrina. E neanche uno sconfinamento in questioni
filosofiche.

Dove laplace sconfina e' altrove. Non nell filosofia, dove piuttosto ha
buon gioco di certe posizioni fideistiche di Pascal.
Sconfina piuttosto nella parte di "applicazioni pratiche" del calcolo
delle probabilita'. Ce' tutta una parte in cui, discute l' applicazione
del calcolo alle decisioni nei tribunali o nelle assemblee. Li', a parte
osservazioni di buon senso, c'e' poco che possa essere giustificato in
modo rigoroso. Assomiglia peraltro ai molti sconfinamenti, anche in
epoca recente, di ragionamenti nati in un ambito scientifico ben preciso
e poi applicati con audaci (e spesso ingiustificate) estrapolazioni al
di fuori del campo originario.
Esempi di questo tipo ce ne sono tanti, dalle considerazioni sull' eta'
del' universo di Kelvin (cannate alla grande per ignoranza dell'
esistenza dell' energia nucleare), alle applicazioni funanboliche della
teoria delle catastrofi di Thom alla sociologia delle rivolte nelle carceri.

Sono casi in cui tecnici di un settore, cercano di estendere alcuni
strumenti al di la' del campo originario in cui sono ben fondati. Sono
tentativi interessanti e spesso riescono non dal punto di vista
strettamente tecnico, ma come fertilizzazione di un altro settore con
delle idee qualitative utili per lo meno per descrivere. Ma non vanno
sopravvalutati. E questo , secondo me, e' lo spirito in cui vanno intesi
diversi passaggi dell' Essai. E anche in cui dovrebbero essere intesi
altri sconfinamenti. Il vero punto e' se le idee "aliene" risultano poi
di utilita' per promuovere il dibattito e il progresso in una
disciplina. In alcuni casi succede e in altri no.

Giorgio

Omega

unread,
Feb 3, 2014, 11:45:22 AM2/3/14
to
Loris Dalla Rosa
> "Omega"
>> Loris Dalla Rosa
>>> "Persio"
>>>> Loris Dalla Rosa
>
>> ...
>
> ...
>
>> Non ha posto neppure la limitazione dell'affascinante libro
>> inesistente citato da Borges [la mappa 1 a 1 dell'impero - (Suárez
>> Miranda, Viajes de varones prudentes, libro IV, cap. XIV, Lérida,
>> 1658) - libro appunto inesistente.]
>>
>> No, quell'"intelligenza" è l'"impero" stesso, vale a dire
>> l'universo, con tutti gli enti di ogni specie esistenti in esso con
>> la loro libertà o autonomia esistenziale. Cioè l'"intelligenza" non
>> ha "dentro" di sé la mappa dell'universo, e neppure è essa stessa
>> una mappa alla Suárez Miranda, ma è proprio l'universo.
>
> Ecco, la mappa borgesiana in scala 1:1 dell'impero. Una mappa
> impossibile, perche' coincide con il territorio (o il territorio
> coincide con la mappa). La questione diviene meramente nominalistica.
> Ma non e' questo che intendeva Laplace, che non ne faceva una
> questione nominalistica.

La mappa di Borges, se non ricordo male, non era l'impero, come invece
io sto dicendo, ma qualcosa di "steso sull'impero", mappa di cui, dice
infatti, esistono ancora frammenti qua e là. Quindi tale mappa è "altro"
dall'impero, e semmai vi appartiene come "prodotto" dell'impero, di
qualche suo matto (non ne mancano mai).

>> Dunque la prova della validità dell'ipotesi di Laplace è che
>> *nella realtà* l'"intelligenza universo" tiene conto
>> immancabilmente e ineccepibilmente del passato, essendolo stato, e
>> del presente essendolo, e su tale conoscenza (che è il suo essere
>> stato ciò che è stato e essere ciò che è) costruisce il futuro in
>> assoluta ineccepibilità, non trascurando neppure ciò che è
>> ineffabile come la realtà degli enti in quanto autonomi e liberi
>> (persino volenti) nel presente.(*)
>
> Mmmm..., penso che non dovresti attribuire a Laplace quella che e'
> una tua pseudo-soluzione. Dico "pseudo-soluzione", perche' parlare di
> "intelligenza universo" significa attribuire, del tutto
> gratuitamente, all'universo facolta' tipicamente umane.

Categoricamente: no. :)
*Intelligenza universo* non è "intelligenza _dell_'universo", cosa
ben diversa che si presterebbe alla tua osservazione.
Intelligenza universo è l'essere quello che è dell'universo, il suo
funzionare così come funziona e basta. Questo suo essere quello che è e
funzionare come sa funzionare non è sovrastrutturale, ma i filosofi
direbbero che è *essenza*.
L'universo, in quanto ineccepibilmente funzionante secondo le leggi
fisiche - non certo solo quelle che noi abbiamo scoperto o crediamo che
valgano per l'universo intero, - è "intelligente" nel senso che non
sbaglia (e non può sbagliare) nessuna mossa sulla schacchiera che esso
stesso è. Diceva Cartesio che, fatto salvo il miracolo della creazione,
il mondo si sarebbe fatto da sé col tempo così come lo vediamo oggi
(scusa, è a memoria). E ovviamente aveva ragione (anche se nessuno ha
osservato che questa è la prima dichiarazione relativa all'evoluzione
che, per quanto ne so, si ricordi nella storia).

A parte questo, la mia domanda è: l'universo sbaglia o può sbagliare? La
risposta è che non ha alcun senso pensarlo: funziona come funziona,
ineccepibilmente, e se è vera la questione del tempo, l'universo
realizza il presente su un passato infinitamente vicino e realizzerà un
futuro infinitamente vicino (passato e futuro così infinitamente vicini
da coincidere con il presente, a dispetto dei contraddittori concetti di
limite e di infinitesimo).
L'universo è ineccepibilmente intelligente perché qualunque mossa noi (o
chi altro) facciamo sulla sua scacchiera, la sua risposta è quella
ineccepibilmente giusta (perché la nostra mossa *era già* la sua mossa).
Noi, come tutto, siamo parte integrante della sua mossa presente.

In questo senso io comprendo il "meccanicismo" di Laplace, non come
banale meccanica come intesa dalla fisica, dalla tecnica e dalla
tecnologia, ma come ineccepibile, perfetto legame fra i due infinitesimi
che stanno accanto al presente (ammesso e non concesso che ci siano).
Possiamo dunque dire che l'universo sbaglia? No, assurdo, impensabile,
privo di ogni senso. Sbaglierebbe rispetto a che cosa? All'intelligenza
delle formiche che abitano questo pianeta)? Figuriamoci!
Dunque non sbaglia e non può sbagliare essendo quello che è e non
potendo essere altro da quello che è.
Perciò dico che è la realtà più *intelligente* che si possa pensare.

E non credo che Laplace, le cui lodi tu stesso stai tessendo, pensasse a
un'intelligenza meno "totale" di questa. Non parla neanche di Dio, non
tanto per non scandalizzare gli atei del ventunesimo secolo :), ma
semmai perché pensava a un 'Deus sive Natura' alla Spinoza (la cui idea
discende, a mio parere, direttamente dalla dichiarazione di Cartesio di
cui sopra).
E questa è la mia interpretazione, non un'altra.

> In realta' con tale espressione esprimi solo una tua opinione: che
> l'universo e' razionale (e anche di questo si potrebbe dubitare); ma,
> se e' razionale, di *quale* razionalita' si tratta? La "razionalita'"
> dell'universo e' quella deterministica di Laplace? O e' quella della
> funzione d'onda di Schroedinger? E' quella del big-bang o quella
> della nebulosa primitiva Kant-Laplace?...

Vedi sopra, niente di così umano troppo umano, e penso che neppure
Laplace pensasse a una "razionalità", e tantomeno simile alla nostra -
sulla quale permettimi di nutrire qualche perplessità, visto che stiamo
fottendo il mondo - e ne siamo *tutti* responsabili. E il mondo,
l'universo, nella sua "logica" ineccepibile, fa quello che sa fare,
reagisce ineccepibilmente al fottimento, e ci fotte (nella sua per così
dire, matematica assoluta e priva di indecidibilità). Chiamalo
non-intelligente! :)

>> ... non credo all'ingenuità di un meccanicismo banale in Laplace.)
>
> Caro Omega, non mi riterrai cosi' sprovveduto da considerare Laplace
> uno sprovveduto?:-)

Lo stai dicendo qui sotto, che è uno sprovveduto, con la tua
considerazione sulle invasioni di campo. Lo stai dicendo in stile isf
(per non far nomi) :))

> Non nego certo i suoi contributi circa la meccanica celeste ne', in
> particolare, quelli allo sviluppo della teoria della probabilita'.
> Guarda caso, la citazione da cui siamo partiti (e alla quale sarebbe
> bene attenersi) e' tratta dal "Saggio filosofico sulle probabilita'"
> del 1814. In esso tratta di problemi relativi all'applicazione del
> calcolo probabilistico (appunto) nello studio dei fenomeni naturali.
> Il ricorso a tali criteri probabilistici era in netto contrasto con
> la concezione rigidamente deterministica dominante ai suoi tempi. E'
> per questo che, a un certo punto, per risolvere il contrasto se ne
> vien fuori con quelle affermazioni riportate nella citazione.

Se è vero che il caso interviene in alcuni fenomeni, tale caso prima di
tutto è un'astrazione nostra che applichiamo quando siamo in difficoltà
con certi fenomeni (banalmente: nella fisica dei gas non puoi scrivere
un'equazione per ogni molecola, anche se probabilmente avremmo delle
sorprese se potessimo farlo; ma l'universo in quanto tale "sa"
esattamente cosa fa ogni molecola, essendola). Se il caso fosse reale
nell'universo (ma ovviamente non ci credo), esso sarebbe
*dell*'universo, ossia un *suo* comportamento, non qualcosa al di fuori
o al di sopra di esso. (Perciò dico che l'idea di caso è metafisica in
senso banale, come la intendiamo noi.)

Dunque Laplace in questo non si contraddice affatto, perché
l'"intelligenza" di cui parla potrebbe forse ignorare il caso? No,
parimenti non potrebbe ignorare la realtà dell'autonomia degli enti, di
cui ho già parlato, e che è quella che renderebbe del tutto impensabile
un meccanicismo banale relativamente al futuro. Tale "intelligenza" non
vede ma *include* (*é*) il pensiero e le decisioni degli enti nella loro
libertà, quindi neppure da questa parte può sbagliare le sue mosse.

Spesso succede che i filosofi
> vengono accusati di mettere il becco in questioni scientifiche di cui
> non sono competenti; ecco un esempio al contrario: di uno scienziato
> che sconfino' in questioni filosofiche da cui faceva bene a tenersi
> alla larga.

Qui lo dicono anche di Heisenberg, e sto aspettando che me lo dimostrino.

Questa osservazione comunque la sento troppo spesso, e mi chiedo sempre
che senso abbia al di là dei gerghi specialistici e della tendenza umana
alla parrocchia.
Un serio studioso, di qualunque disciplina o visuale sul mondo, che non
si ponga domande meta-disciplinari fino alla logica e alla filosofia,
che non si chieda cioè il senso dei propri stessi riferimenti
disciplinari, insomma che non eserciti la critica, io non riesco neanche
a pensarlo. E non riesco a pensare uno, la cui disciplina d'elezione è
la filosofia, che non si chieda come funziona il mondo intorno a lui.
Aristotele se lo è chiesto, anche se ha dato risposte che oggi fanno
sorridere anche l'ultimo degli studentelli di fisica (quando non
riflettono abbastanza).

Detto questo, chiudo con una nota: uno, non essendo un credente, su
che basi affermerebbe l'inesistenza di Dio, non appartenendo egli
alla parrocchia a cui Dio appartiene (religiosi, teologi, credenti in
genere)? Gli si potrebbe chiedere: allora di che stai parlando, alla
luce dell'osservazione scritta qui sopra sulle presunte illecite
invasioni di campo?

Che è in sostanza un'osservazione sull'impenetrabilità delle conoscenze.

Alla quale non credo neanche per sbaglio, non credendo affatto che la
mente umana sia fatta per compartimenti, tantomeno stagni.

> Un saluto, Loris

Ricambio il saluto
Omega

Paolo Russo

unread,
Feb 3, 2014, 2:26:24 PM2/3/14
to
[Loris Dalla Rosa:]
> Di tale ipotesi il fisico si libera
> abbastanza facilmente dimostrandone l'impossibilita' pratica, ma dal
> punto di vista logico? No, non e' sostenibile neppure come ipotesi
> puramente logica. Dimostrare questo si puo' fare solo con l'esercizio
> della logica pura ed e' cio' che ho cercato di fare.

Fallendo, e non poteva essere altrimenti.
Conosco bene quel paradosso, anche se non ne conoscevo il
nome (grazie per l'informazione). La soluzione e` semplice:
il presupposto che il contenuto delle buste sia indipendente
dalla decisione di quali aprire (e quindi dalla struttura
della mente che decide quali aprire) e` ragionevole solo
nell'ipotesi che chi riempie le buste, nel momento in cui lo
fa, non sappia nulla della mente in questione. Tale assunto
e` banalmente incompatibile sia con la preveggenza che - a
ben vedere - anche solo con una semplice conoscenza di lunga
data tra esseri umani. Tutto qui. Uno che insistesse a
ragionare in quel modo e ad aprire entrambe le buste
troverebbe vuota quella da un miliardo e probabilmente
concluderebbe soddisfatto (erroneamente) d'aver fatto bene ad
aprire anche quella da un milione perche' altrimenti sarebbe
rimasto a mani vuote; peggio per lui, errore suo: chi pensa
sbagliato ottiene quel che merita.
Non vedo che importanza abbia che la preveggenza sia
incompatibile con i postulati della teoria dei giochi: sono
solo postulati matematici, che uno decide di adottare quando
e` il caso, mica verita` assolute. Se e` per quello, anche il
gioco del Lotto, dal punto di vista dello Stato che lo
gestisce, garantisce un guadagno certo, garantito dal calcolo
delle probabilita` e quindi dalla matematica, ma se arrivasse
un veggente e sbancasse lo Stato nessuno penserebbe male
della matematica in se', che rimarrebbe di per se' corretta.

Tuttavia il problema vero del tuo tentativo di dimostrare
impossibile la preveggenza (o il diavoletto onnisciente, o
qualsiasi altro fenomeno ipotizzabile) su basi puramente
logiche sta molto piu' a monte, come Elio Fabri ha spiegato:
nessuna dimostrazione del genere ha la benche' minima
speranza di essere corretta. La logica puo` individuare
contraddizioni, ma nessun fenomeno e` di per se'
contraddittorio perche' di per se' non appartiene al mondo
della logica ma a quello delle osservazioni empiriche. La
logica entra in scena quando si cerca di generalizzarlo e
formalizzarlo creando una visione del mondo che spieghi i
fenomeni. Se uno si spiega un fenomeno usando una teoria
contraddittoria, vuol dire solo che deve cambiare teoria
appena ne trova una migliore (il che nella pratica non e`
detto che accada, ma sarebbe un discorso lungo).

Faccio un esempio di fantasia, un po' assurdo. Supponiamo che
accada regolarmente (magari in un ipotetico universo
parallelo con leggi fisiche diverse dalle nostre) che
mettendo due mele in un cappello inizialmente vuoto, poi
altre due, infine rovesciando il cappello ne cadano fuori
cinque. Immaginiamo che la riproducibilita` consenta di
escludere i trucchi. Un filosofo potrebbe dire "Impossibile!
E` una violazione delle leggi dell'aritmetica, quindi della
matematica, quindi della logica! Non puo` succedere!". Un
fisico potrebbe dire "Curioso. Il numero di mele non si
conserva nel tempo, forse neanche la massa. Vediamo se si
puo` generalizzare..." e poi si butterebbe a fare esperimenti
con grandi numeri di mele, pere, sassi, cappelli, sacchetti e
scatole, e probabilmente anche bilance.
La differenza tra i due e` che il filosofo adotta un gran
numero di postulati senza rendersene conto e giudica
impossibile quel che e` incompatibile con essi; il fisico sa
che e` sbagliato farlo, che se succede qualcosa che e` in
conflitto con un postulato allora va abbandonato il postulato
(e sa che nella storia della fisica e` successo spesso); non
e` detto che vada buttato via, magari si puo` modificarlo un
po`. Ma in nessun caso si puo` negare un fenomeno empirico su
basi puramente logiche; si puo` al piu' sostenere che sia
poco probabile in quanto incompatibile con (i postulati di)
una certa teoria fisica che sembra funzionare benissimo e che
quindi occorrano prove molto forti della sua esistenza prima
di buttarsi a modificare quei postulati. Ma soprattutto, il
fisico invece che dire "e` impossibile" dice "e`
incompatibile con il tal postulato": il fisico SA quali
postulati sta adottando e perche', spesso purtroppo il
filosofo no.

Premesso che non sono un fisico, se qualcuno mi dice "secondo
me se si realizza un apparato elettromagnetico fatto cosi' e
cosi' si puo` produrre energia dal nulla" io gli rispondo
"No. Nel campo della teoria dell'elettromagnetismo e`
dimostrabile che l'energia si conserva. Se sei partito da
quella stessa teoria per arrivare a quella conclusione, hai
sicuramente un errore da qualche parte. Il che non implica
che l'apparato non funzioni, ma solo che non c'e` nessun
motivo di aspettarsi che funzioni (dato che il ragionamento
alla base dell'aspettativa e` sbagliato) e quindi ti
consiglierei di non perderci tempo."
Se invece qualcuno mi dice "ho costruito un apparato
elettromagnetico e ho constatato che produce energia dal
nulla" gli rispondo "mi sembra molto improbabile. Come ne hai
verificato il funzionamento? Posso esaminare l'apparato?"
C'e` una differenza importante tra i due casi: una
costruzione teorica nel primo caso, un presunto fenomeno nel
secondo.

Mi potresti obiettare che la storia della filosofia abbonda
di dimostrazioni logiche di caratteristiche fisiche della
realta`, ad esempio quella dell'esistenza degli atomi. Il
problema e` che sono tutte sbagliate, compresa quella degli
atomi. Ricordo che all'epoca del liceo lessi avidamente tutto
il libro di testo di filosofia e fui alquanto deluso di non
trovarvi una sola dimostrazione corretta.

Ciao
Paolo Russo

Loris Dalla Rosa

unread,
Feb 4, 2014, 10:55:13 AM2/4/14
to

"Giorgio Pastore" <pas...@units.it> ha scritto nel messaggio
news:lcnhnh$7rf$1...@speranza.aioe.org...
Certo, storicamente corretto. In una prospettiva storica la mia critica puo'
sembrare ingenerosa, come ancor piu' lo sarebbe se tirassi in ballo le
fondamentali acquisizioni scientifiche della fisica novecentesca, che
segnano il tramonto definitivo della visione meccanicistica di quella
ottocentesca (in questa prospettiva storica sarebbe ingenerosa anche
qualsiasi critica
alla fisica aristotelica). Tuttavia la mia critica non apparirebbe
ingenerosa, se essa fosse riconducibile, come credo, entro i termini
accessibili anche a Laplace di un
contenzioso storicamente determinato. Tale contenzioso e' quello della
critica all' "esprit de système", critica che prende l'avvio gia' nella
seconda metà del '600 e che acquista via via vigore durante tutto il secolo
successivo, in particolare con la contrapposizione tra "cartesiani" e
"newtoniani", i quali ultimi contestamo ai primi una mentalita' scientifica
troppo "immaginativa" e incline a disconoscere la realta' pur di conservare
un tessuto sistematico che desse una esplicazione completa di tutte le cose.
Quello che e' in discussione, in tale contenzioso, non e' il meccanicismo
della fisica di quei tempi, ma il "determinismo assoluto", intendendo con
questa espressione l'*estensione* di quel principio, che doveva rimanere
principio direttivo *esclusivamente* della fisica, a *tutte* le altre
scienze naturali, compresa la biologia, la psicologia, la sociologia... Tale
estensione si attua a partire dalla meta' del secolo XVIII e va ben oltre
l'opera di Laplace. Di tale clima culturale vorrei dare idea con almeno
questa citazione:
<<Le ipotesi di tali fisici [cartesiani], sono destinate a farci penetrare
nella natura dell'estensione, del movimento e di tutti i corpi; sono opera
di gente che per lo piu' osserva poco o che sdegna anche di istruirsi con le
osservazioni che altri hanno fatte. Ho sentito dire che uno di questi
fisici, felicitandosi di avere un principio che rendeva ragione di tutti i
fenomeni della chimica, oso' comunicare le sue idee ad un abile chimico.
Questi che aveva avuto la compiacenza di ascoltarlo, gli disse che gli
avrebbe fatto presente una sola difficolta', che cioe' i fatti erano diversi
da come egli supponeva. Ebbene, riprese il fisico, insegnatemeli affinche'
li spieghi. Questa risposta svela perfettamente il carattere di un uomo che
trascura di istruirsi nei fatti perche' crede di avere la ragione di tutti i
fenomeni, quali che possano essere. Non ci sono che delle ipotesi vaghe che
possano dare una fiducia cosi' mal fondata.>> (Condillac)
Non voglio farla troppo lunga e torno alla questione in oggetto, con questa
domanda: il Laplace di quella citazione (perche' *questa*, e *solo* questa,
e' oggetto della
mia critica) e' interpretabile come uomo che "...crede di avere la ragione
di tutti i fenomeni, quali che possano essere", come accusa genericamente
Condillac? Io penso di si': quella citazione (che non a caso e' divenuta
quasi un motto tra i sostenitori del determinismo, perfino ad uso discorsivo
di qualche epigono dei nostri giorni) costituisce uno sconfinamento oltre il
meccanicismo della fisica, nel determinismo assoluto, che pretende di
spiegare *tutto* con quel principio della fisica. E' vero quello che dici:
"Ai primi dell' '800 Scienza e' ancora Filosofia Naturale" e non c'e' certo
una dicotomia tra le "due culture" di cui si va dicendo oggi. Tuttavia anche
allora una dicotomia c'era: se non era tra scienza e filosofia, lo era tra
la Filosofia Naturale e quella parte della filosofia che e' chiamata
Metafisica. E' mia opinione che la sua ipotesi di quell' "intelligenza", di
cui alla citazione(*), sia uno sconfinamento nella metafisica (correggendo
cosi' la mia espressione precedente). Opinione mia, come del resto lo e'
stata di Poincare' (ed e' un peccato, accidenti!, che mi sia affannato a
cercare il testo
in cui ne parla, senza riuscirci). Che poi, una volta caratterizzata come
ipotesi metafisica, cio' costituisca una contraddizione sia metodologica che
ontologica del materialismo deterministico... questo si dimostra con una
logica che e' nota a noi come era nota tanto a Laplace quanto ad
Aristotele.
Scusami se taglio il resto, che pure sarebbe da commentare. D'altra parte
l'essenziale e' gia' qui e, quando la discussione e' interessante, sono
sempre troppo lungo e forse anche prolisso.
Un saluto,
Loris

-------------------

Persio

unread,
Feb 4, 2014, 10:54:15 AM2/4/14
to
Innanzitutto complimenti per l'esposizione: chiara e completa.

Mi pare che tutti, compreso Russel, conveniamo nell'escludere che in un
contesto assolutamente deterministico sia possibile una perfetta
conoscenza del passato tale da implicare la perfetta conoscenza del futuro.
Poi spiegherò perché insisto nel qualificare la conoscenza come "perfetta".

I termini della dimostrazione sono stati a mio parere sufficientemente
chiariti e ben esposti, tanto che non è necessario tornarci sopra.

Il malinteso nasce dalla differente interpretazione data alla
dimostrazione: a tuo avviso essa contraddice la possibilità che possa
esistere un contesto deterministico; a mio avviso invece essa non la
contraddice affatto: si limita ad escludere che in un tale contesto
possa esistere la capacità di conoscere esattamente il passato e di
prevedere esattamente il futuro.

In altri termini la dimostrazione sulla quale abbiamo convenuto esclude
l'esistenza dell'intelligenza onnisciente di Laplace (il "diavoletto"
che si arroga una facoltà che spetterebbe in via esclusiva all'essere
fuori contesto per eccellenza) ma non esclude affatto la possibilità che
possa esistere un contesto in cui ogni cosa è assolutamente necessaria e
predeterminata.

Ciò che si ricava è semmai la descrizione di una proprietà abbastanza
sorprendente e controintuitiva di un tale contesto: pur essendo in esso
ogni cosa assolutamente predeterminata nulla in esso è assolutamente
predeterminabile.

In un certo senso la dimostrazione di cui si tratta non solo non confuta
la Teoria del Determinismo ma la rafforza.

Da qui si può andare oltre, perché ciò di cui abbiamo negato l'esistenza
è la "assoluta conoscenza", non abbiamo affatto negato la parziale o
approssimativa conoscenza del contesto che consente di prevedere in modo
parziale e approssimativo il futuro conoscendo in modo parziale e
approssivamente il passato.

Decaduto in questo ambito limitato il "diavoletto" indossa il camice
dello scienziato e con luciferina determinazione inizia la scalata alla
vetta impossibile.

Scesi dal reame astratto della logica e posti i piedi a terra , tenuto
conto di cosa lassù abbiamo visto, si può procedere a riscontrare
empiricamente la Teoria del Determinismo nell'ambito che ci è concesso
conoscere.

Ad esempio, con qualche passaggio logico, si dovrebbe arrivare a
presumere che se il Mondo fosse un contesto deterministico in esso non
sarebbe possibile alcun confronto o misura, né alcuna conoscenza,
definibile come assolutamente esatta;
si dovrebbe riconoscere che in un tale contesto non può esservi alcuna
assoluta separazione o vuoto tra le cose; che ogni teoria o processo
logico non può che fornire risultati approssimati o probabilistici,
salvo che alla loro base non si pongano verità assiomatiche che
consentano di superare arbitrariamente questo limite.

Vi sarebbero molte altre cose sulle quali riflettere ma preferisco non
confondere troppo il quadro. Quello che posso dire dal mio modesto
punto di vista è che finora nell'ambito dell'esperienza e in quello
della teoria non ho trovato nulla che contraddica la Teoria del
Determinismo; ne ho trovate molte che invece la confermano.

Ciao.

Il 31/01/2014 14:06, Loris Dalla Rosa ha scritto:

CUT

Loris Dalla Rosa

unread,
Feb 4, 2014, 7:33:51 PM2/4/14
to

"Paolo Russo" <pao...@libero.it> ha scritto nel messaggio
news:lcoqgm$kf5$1...@dont-email.me...

> [Loris Dalla Rosa:]
>> Di tale ipotesi il fisico si libera
>> abbastanza facilmente dimostrandone l'impossibilita' pratica, ma dal
>> punto di vista logico? No, non e' sostenibile neppure come ipotesi
>> puramente logica. Dimostrare questo si puo' fare solo con l'esercizio
>> della logica pura ed e' cio' che ho cercato di fare.

> Fallendo, e non poteva essere altrimenti.
> Conosco bene quel paradosso, anche se non ne conoscevo il
> nome (grazie per l'informazione). La soluzione e` semplice:
> il presupposto che il contenuto delle buste sia indipendente
> dalla decisione di quali aprire (e quindi dalla struttura
> della mente che decide quali aprire) e` ragionevole solo
> nell'ipotesi che chi riempie le buste, nel momento in cui lo
> fa, non sappia nulla della mente in questione. Tale assunto
> e` banalmente incompatibile sia con la preveggenza che - a
> ben vedere - anche solo con una semplice conoscenza di lunga
> data tra esseri umani. Tutto qui.

Toh, una "soluzione" esattamente opposta alla mia!:-). Cosi', pero', tra il
paradosso e la citazione di Laplace (*) non c'e' alcuna attinenza. Invece si
puo' rendere il paradosso funzionale alla citazione, forzando un corno del
dilemma, cioe' supponendo che *sicuramente* il preveggente non sia un
imbroglione (cioe', per la precisione, facendolo forzare a Laplace, con la
sua ipotesi di un'intelligenza onnisciente). Il dilemma e' tutto nella mente
del soggetto (che non e' onnisciente) cui spetta la scelta e il veggente,
che conosce perfettamente lo stato di quella mente, agisce retroattivamente
(sarebbe piu' preciso dire che "ha gia' agito" retroattivamente) qualunque
sia la scelta del soggetto. Ma cosi' si attua un doppio vincolo
condizionale/causale: il soggetto e' pre-determinato nel senso che non puo'
fare altra scelta che quella prevista dal veggente; ma il veggente e' a sua
volta pre-determinato a disporre le buste dalla scelta del soggetto che egli
stesso ha previsto. Ma che la scelta del soggetto sia condizionata dall'
"intelligenza" del veggente, che a sua volta e' condizionato dall'
"ignoranza" del soggetto, costituisce una contraddizione.
"Re intellecta in verbis simus faciles!", e lo faccio con la semplice
conclusione da trarne: per quel doppio vincolo, l'ipotesi di una
"onniscienza" a la Laplace e' una bufala.

> Tuttavia il problema vero del tuo tentativo di dimostrare
> impossibile la preveggenza (o il diavoletto onnisciente, o
> qualsiasi altro fenomeno ipotizzabile) su basi puramente
> logiche sta molto piu' a monte, come Elio Fabri ha spiegato:
> nessuna dimostrazione del genere ha la benche' minima
> speranza di essere corretta. La logica puo` individuare
> contraddizioni, ma nessun fenomeno e` di per se'
> contraddittorio perche' di per se' non appartiene al mondo
> della logica ma a quello delle osservazioni empiriche. La
> logica entra in scena quando si cerca di generalizzarlo e
> formalizzarlo creando una visione del mondo che spieghi i
> fenomeni. Se uno si spiega un fenomeno usando una teoria
> contraddittoria, vuol dire solo che deve cambiare teoria
> appena ne trova una migliore (il che nella pratica non e`
> detto che accada, ma sarebbe un discorso lungo).

"Nessun fenomeno di per se' e' contraddittorio", affermi. Concordo, ma sei
sicuro che cio' non implichi che qualsiasi affermazione contraddittoria non
puo' riferirsi ad alcun *fatto* reale empiricamente osservabile? Sarebbe un
bel principio logico, non credi? O dobbiamo prendere sul serio come almeno
possibili anche fatti di esperienza indiretta, testimonianze indirette non
piu' accertabili; chesso', per esempio il fatto che un tale di due pesci
riusci' a farne piu' di 5000, contraddicendo le leggi dell'aritmetica?
Comunque si', sarebbe un discorso molto lungo che coinvolge le complesse
problematiche epistemologiche della scienza empirica. Pero' interessante e,
se vuoi possiamo riparlarne tra qualche giorno, dopo il mio ritorno da un
week-end londinese. Qui mi limito a qualche osservazione (breve, vista
l'ora) a quanto segue.
Ok, il fisico sa quali postulati sta usando. Sono sicuro che sa anche che l'
"incompatibilita'" non e' un concetto che riguarda esclusivamente la
relazione tra un certo postulato e il dato empirico (cosa che riguarda solo
la "periferia" di una teoria scientifica, per dirla con Quine), ma anche la
coerenza dell'insieme di postulati assunti da una determinata teoria. Se in
un insieme di postulati si scopre che uno ne contraddice un altro, i casi
sono due:
-o ce li teniamo lo stesso e allora... beh, che "P AND non-P" non occorre
essere un fisico per sapere che il valore di verita' e' il Falso e penso che
anche un fisico possa sapere che una legge logica afferma, fin dalla
Scolastica, che "ex falso sequitur quodlibet", ovvero "non-P --> (P --> Q)";
-oppure, e sono sicuro che questo e' il caso anche del fisico, preferiamo
abbandonare o ristrutturare alle radici e *a priori* la teoria. In questo
caso anche il fisico, che sicuramente sa quali postulati sta usando, diviene
consapevole anche del fatto che li sta usando avendo preliminarmente assunto
un principio puramente logico noto fin dall'antichita', e che si chiama
principio di non contraddizione.
Mi fermo qui, con un saluto,
Loris

----------------------
(*) "Dobbiamo dunque considerare lo stato presente dell'universo come
effetto del suo stato anteriore e come causa del suo stato futuro.
Un'intelligenza che, per un dato istante, conoscesse tutte le forze di cui č
animata la natura e la situazione rispettiva degli esseri che la compongono,
se per di piů fosse abbastanza profonda per sottomettere questi dati
all'analisi, abbraccerebbe nella stessa formula i movimenti dei piů grandi
corpi dell'universo e dell'atomo piů leggero: nulla sarebbe incerto per essa
e l'avvenire, come il passato, sarebbe presente ai suoi occhi." (Laplace,
1814)

Omega

unread,
Feb 5, 2014, 4:59:30 PM2/5/14
to
Paolo Russo
> [Loris Dalla Rosa:]
>> ...
>
> ...
> ... La logica puo` individuare
> contraddizioni, ma nessun fenomeno e` di per se'
> contraddittorio perche' di per se' non appartiene al mondo
> della logica ma a quello delle osservazioni empiriche.

Osservazione logicamente ma proprio anche empiricamente errata.

Perché?
Semplice, perché un fenomeno viene definito come tale grazie a un
processo, semplificando, di almeno due livelli proprio logici:
- quello dell'individuazione (che porta alla descrizione/definizione del
fenomeno, attività evidentemente logica [*]),
- poi quello dell'interpretazione. E l'interpretazione vuole un altro
livello di logica - o più d'uno, implicando la scelta fra teorie -
rispetto a quello della descrizione.

Entrambe, individuazione e interpretazione, non hanno solo bisogno del
principio di non contraddizione, come giustamente osserva Loris, ma
hanno bisogno appunto di una o più teorie, che a loro volta risalgono
ciascuna al medesimo processo (individuazione e interpretazione).

Per comprendere che questa è la dinamica del processo, basti pensare
alla logica della strumentazione, che ne è l'imitazione meccanizzata:
non c'è strumento che non si fondi sul riconoscimento di una specifica
grandezza (quindi individuazione), e poi su una teoria specifica della
grandezza che si intende misurare (interpretazione). Teoria che anzi
definisce un intero ambito entro cui tale grandezza è definita.

[*] in che consiste l'individuazione? Consiste nell'isolare, all'interno
di un insieme di stimoli sensori/strumentali, un profilo *dotato di
senso*, che è già un'interpretazione preliminare o di primo livello,
trattandosi di una scelta in un certo database. Lo studio proprio
scientifico delle modalità di funzionamento del sensorio lo conferma
ampiamente.
Tu pensa di osservare il cielo, e quindi di ricevere una molteplicità di
stimoli "di luminanza e crominanza" :) Dentro a tale molteplicità di
stimoli, almeno quanti ne consente la risoluzione della tua vista, ce ne
sono alcuni che richiamano la tua attenzione, perché si muovono, e
allora dici "si tratta di un volatile" - per poi comprendere da altri
segni, a loro volta specificamente individuati, che si tratta di un
piccione.
A parte la cacca di piccione (segno inequivocabile per l'individuazione
entro il database mnemonico :), ciò che tu hai fatto è stato *isolare*
o *circoscrivere* dentro ai "pixel" del cielo dei pixel più scuri e in
movimento, e in particolare un movimento che ti ha fatto definire prima
e classificare poi l'oggetto, classificazione che è interpretazione del
dato identificato.
Come hai deciso che è un volatile? Perché un oggetto che si muove in
cielo, ossia 'vola' (muove le ali ecc.) è appunto un volatile, cioè
appartiene a un certo database della tua memoria. E questa appartenenza
(anzi la formazione stessa del database)è una teoria, apparentemente
semplice quanto vuoi ma è una teoria.
Quel riconoscimento - lo sai di sicuro - ha impegnato per poco o tanto
tempo l'intera tua capacità intellettiva, e non solo per evitare la
cacca di piccione :)
E il fatto che per te sia stato "spontaneo" riconoscerlo (in realtà è
soprattutto culturale), tuttavia riconoscerlo è stato un processo di
notevole complessità. E la scienza non può ignorarlo di sicuro, perché
sa bene quanti errori possono essere commessi nell'individuazione prima
e nell'interpretazione poi: quei pixel scuri e in movimento potevano
essere un problema della tua retina o dei tuoi occhiali o ... della tua
immaginazione.

E tutto ciò assai a monte della formalizzazione di cui hai parlato, che,
se è chiarito il fenomeno e il suo significato, quella è operazione solo
formalmente logica. La fase precedente, cioè di misura (individuazione e
interpretazione), è invece logica non soltanto formalmente. Se fosse
"empirica" nel senso di cui hai detto,(**) allora non consentirebbe
errori, invece si vedono anche i dischi volanti e altro, non solo la
tangibilissima cacca di piccione :)

(**) cioè acritico, affermando in sostanza che 'empirico' si riferisce
im-mediatamente ai cosiddetti "fatti", il che è grossolanamente falso. I
"fatti" vanno individuati e interpretati, e questo lo fa la persona
proprio con la sua logica, consapevole o no; e se può anche affidare le
due fasi al software, per esempio in certi veicoli, che individuano
sagome, interpretano il loro significato mediante un database e
correggono la rotta di conseguenza, vuol solo dire che è stata
trasferita al software proprio una logica, non qualcos'altro.

Come si possa parlare di "osservazioni empiriche" come "fatti" che non
hanno bisogno di logica proprio anche solo per essere definite'fatti',
io non sono in grado di capirlo: nel mio database una simile idea non
compare :)

--

Giorgio Pastore

unread,
Feb 5, 2014, 6:30:18 PM2/5/14
to
On 2/4/14 4:55 PM, Loris Dalla Rosa wrote:
....
> Non voglio farla troppo lunga e torno alla questione in oggetto, con questa
> domanda: il Laplace di quella citazione (perche' *questa*, e *solo* questa,
> e' oggetto della
> mia critica) e' interpretabile come uomo che "...crede di avere la ragione
> di tutti i fenomeni, quali che possano essere", come accusa genericamente
> Condillac? Io penso di si': quella citazione (che non a caso e' divenuta
> quasi un motto tra i sostenitori del determinismo, perfino ad uso
> discorsivo
> di qualche epigono dei nostri giorni) costituisce uno sconfinamento
> oltre il
> meccanicismo della fisica, nel determinismo assoluto, che pretende di
> spiegare *tutto* con quel principio della fisica.
....

Io credo che ci sia un errore di prospettiva in ogni caso. Certamente
Laplace aveva piena coscienza (e chi se non lui ?) della potenza
predittiva della meccanica newtoniana in ambito astronomico. E aveva
altrettanto chiara la struttura causale/deterministica delle leggi della
meccanica newtoniana.

Tuttavia non sono cosi' sicuro che Laplace avrebbe sottoscritto
incondizionatamente un programma riduzionistico totale. Penso che la
frase da te citata, che L. aveva scritto nella introduzione di un libro
sulle probabilita', e non in un trattato di metafisica, servisse, molto
piu' prosaicamente e pragmaticamente a sottolineare la distanza
insormontabile tra conoscenza umana possibile, necessariamente finita ed
imprecisa, da quella idealmente necessaria per poter utilizzare l'
apparato predittivo della meccanica come noto a L.

Che poi la frase sia stata usata come bandiera del determinismo penso
sia piu' un problema di chi l' ha usata che dell' autore. Nel trattato
non mi sembra che Laplace tragga nessuna delle conclusioni che ci si
potrebbe aspettare da un alfiere del riduzionismo meccanicista o del
determinismo assoluto.

Giorgio

Persio

unread,
Feb 6, 2014, 5:33:50 PM2/6/14
to
Ho lasciato in sospeso la questione del paradosso di Newcombe/Odifreddi
che mi avevi sottoposto.

Riassumo schematicamente i termini della questione:

Al giocatore, che ovviamente spera di guadagnare il più che sia
possibile, vengono poste davanti due scatole(*) e gli vengono consegnati
dei fogli con le istruzioni.

Nel primo foglio c'è scritto:
"Regole del gioco: in tutte e due le scatole è contenuto un premio in
denaro. Le scelte consentite sono: o entrambe le scatole o solo la
scatola n.2. La scatola n.1 contiene mille euro; la scatola n.2 può
contenere o un euro o un milione di euro.".

Ragionamento del giocatore: "Non c'è dubbio che sia più razionale
scegliere entrambe le scatole, visto che insieme contengono, poco o
tanto, più denaro di quanto possa essere contenuto nella sola scatola n.2".

Nel secondo foglio delle istruzioni c'è scritto:
"il contenuto della scatola n.2 è stato deciso da un veggente capace di
prevedere il futuro.
Il criterio seguito dal veggente nella scelta del contenuto è il
seguente: se ha previsto che il giocatore avrebbe scelto entrambe le
scatole nella scatola n.2 ha messo solo un euro; se ha previsto che il
giocatore avrebbe scelto solo la scatola n.2 vi ha messo un milione di
euro."

Scelta n.1. "Non credo affatto che quel ciarlatano sappia prevedere il
futuro, dunque vale il ragionamento precedente: conviene scegliere
entrambe le scatole.".
Scelta n.2. "Se il veggente ha previsto esattamente la mia scelta essa
non può essere diversa da quella che farò. Dunque mi conviene scegliere
solo la scatola n.2 che, di conseguenza, sicuramente conterrà un milione".

Come si vede la scelta n.2 è razionale se, e solo se, è razionale
credere nella capacità del veggente di prevedere il futuro. In caso
contrario la scelta più razionale è ovviamente la n.1.

Il paradosso si verifica solo se vengono ritenute razionali entrambe le
premesse: che il veggente non ha la capacità di prevedere il futuro; che
il veggente ha la capacità di prevedere il futuro. In caso contrario, a
mio parere, non c'è alcun paradosso.

Tra l'altro si tratta di premesse in evidente contraddizione tra loro,
reciprocamente escludentesi dunque.

Il 31/01/2014 14:06, Loris Dalla Rosa ha scritto:
>Ecco allora il "merito" del paradosso di Newcomb
> (nell'interpretazione datane da Odifreddi): quello di recuperare
> (nell'immaginaria figura del preveggente che si prende gioco del giocatore
> delle due scatole) quell'aspetto pratico imprescindibile della conoscenza,
> con un rompicapo un po' divertente e certo piu' complicato di quelli della
> Settimana Enigmistica. Tale paradosso puo' concludersi solo (ritengo)
> con lo
> stallo di *ogni* prassi decisionale, compresa quella del preveggente: il
> gioco risulta impossibile e questo stallo, oltre a lasciare aperta la
> possibilita' che la liberta' dell'auto-determinazione non sia affatto
> un'illusione, e' a sua volta lo scacco matto al determinismo assoluto
> sognato da Laplace.

Non credo che la teoria del determinismo assoluto sia confutabile. E' un
assioma, come lo è l'esistenza del Caso. Si tratta di vedere quale
risponda meglio alla verifica sperimentale.

(*) preferisco le scatole alle buste: mi ricordano un popolare gioco
televisivo.

Paolo Russo

unread,
Feb 16, 2014, 6:48:25 AM2/16/14
to
Rispondo con clamoroso ritardo perche' purtroppo il tempo
realmente libero ultimamente e` sempre meno... ma tanto non
credo che avro` motivo di effettuare ulteriori interventi in
questo thread.

[Loris Dalla Rosa:]
> Toh, una "soluzione" esattamente opposta alla mia!:-). Cosi', pero',
> tra il paradosso e la citazione di Laplace (*) non c'e' alcuna
> attinenza. Invece si puo' rendere il paradosso funzionale alla
> citazione, forzando un corno del dilemma, cioe' supponendo che
> *sicuramente* il preveggente non sia un imbroglione (cioe', per la
> precisione, facendolo forzare a Laplace, con la sua ipotesi di
> un'intelligenza onnisciente).

Ma lo davo gia` per scontato.

> Ma che la scelta del soggetto sia condizionata dall'
> "intelligenza" del veggente, che a sua volta e' condizionato dall'
> "ignoranza" del soggetto, costituisce una contraddizione.

Io direi che la scelta del soggetto e` correlata, piu' che
condizionata, all'"intelligenza" del veggente, ma questo e`
solo un dettaglio. L'"ignoranza" del soggetto e` temporanea:
prima o poi il soggetto decide ed e` questa decisione finale
che il veggente vede. Neanche un computer "sa"
(letteralmente: non e` presente nella sua memoria in una
forma rapidamente utilizzabile) che risultato sta per
ottenere un secondo prima di arrivare alla fine dei calcoli,
eppure e` prevedibile. Non c'e` nessuna contraddizione.

> "Nessun fenomeno di per se' e' contraddittorio", affermi. Concordo, ma
> sei sicuro che cio' non implichi che qualsiasi affermazione
> contraddittoria non puo' riferirsi ad alcun *fatto* reale
> empiricamente osservabile? Sarebbe un bel principio logico, non credi?

Questo in genere e` il punto di una discussione in cui
comincio a chiedermi perche' ho risposto a qualcuno che viene
da it.cultura.filosofia nonostante gli abbondanti e
validissimi esempi che ho avuto in passato indichino
chiaramente che con l'interlocutore filosofico medio nessun
dialogo e` possibile. Qualunque tentativo in tal senso porta
a discussioni faticosissime di centinaia di kB in cui il
numero dei punti di disaccordo o anche di semplice
incomprensione reciproca aumenta con il tempo anziche'
diminuire: ogni argomento teso a chiarire un'incomprensione
sembra aprirne altre due. Un matematico direbbe che la serie
dei post non converge. Giusto per fare un esempio minore, non
riesco neanche a immaginare cosa possa aver scritto per
ingenerare il sospetto che stessi ipotizzando un imbroglio da
parte del veggente come soluzione del paradosso. Sembra che,
oltre un certo grado di differenza di mentalita`, la
comprensione reciproca risulti troppo ardua per essere di una
qualche utilita`.
In genere a quel punto mi rispondo che non ho mai realmente
avuto l'intenzione di discutere con quel tipo di
interlocutore (e soprattutto di discuterci di filosofia), ma
solo di rendere noto il mio punto di vista a eventuali altri
lettori del thread dalla forma mentis non filosofica. Nel
caso in esame, volevo solo informare della soluzione del
paradosso chi di isf poteva esserne interessato. Gia` che
c'ero ho tentato di sottolineare il punto base di Elio Fabri,
e questo e` stato un mio errore: tale chiarimento non poteva
che essere del tutto superfluo per gli "scientifici" e del
tutto vano per i "filosofici".

Quindi in genere questo e` il punto in cui penso o dico: quel
che volevo scrivere l'ho scritto, il mio target l'avra`
capito, tante grazie per l'interessantissima discussione e
arrivederci alla prossima. E in genere mi concedo un'ultima
replica che ha solo lo scopo di chiarire (e solo al mio
target, in realta`) che non me ne vado perche' sono senza
argomenti ma perche' ne ho anche troppi, e` il tempo libero
che e` poco e come ho detto la serie non converge.

Dunque, riquoto:

> "Nessun fenomeno di per se' e' contraddittorio", affermi. Concordo, ma
> sei sicuro che cio' non implichi che qualsiasi affermazione
> contraddittoria non puo' riferirsi ad alcun *fatto* reale
> empiricamente osservabile? Sarebbe un bel principio logico, non credi?

Certo uno puo` dire "qui domani piovera` sempre, pero` non
piovera` mai". Se e` per quello puo` anche dire "il verde e`
orizzontale" o anche "I rinoceronti ogni tanto fhygto
gmitmim". Ci sono molti modi di scrivere frasi invalide.
Solo che faccio davvero fatica a immaginare cosa possa
entrarci tutto questo con cio` di cui si stava discutendo.
Tra "scientifici" si va a buon senso: se uno vede una
contraddizione la fa notare, l'interlocutore riformula il suo
pensiero correggendosi e la contraddizione muore li'. Se si
sta discutendo di un fenomeno, e` ovvio che se una frase e`
contraddittoria il problema sta nella frase, non nel fenomeno
in se', e le frasi si correggono. E` o dovrebbe essere
altrettanto ovvio che se un'affermazione e` contraddittoria
vuol dire che quell'affermazione non si limita a descrivere
un fenomeno ma va oltre, pontificandoci su piu' del lecito.

Ora, francamente, non solo non colgo assolutamente nessuna
contraddizione interna nel paradosso in esame, ma non vedo
neppure che margine di riformulabilita` possa esserci. La
descrizione del paradosso e` quasi minimale. Le probabilita`
di cui parla sono in linea di principio osservabili come
frequenze empiriche, essendo osservabile quel che il soggetto
trova nelle buste; il paradosso enuncia a parole una serie di
disequazioni tra probabilita` base e condizionate di eventi
arbitrari e il sistema di disequazioni ammette banalmente
soluzione.
L'unico punto in cui il testo del paradosso va apparentemente
al di la` dell'osservazione di un presunto fenomeno e` quello
in cui presume che la correlazione osservata sia dovuta a
un'implicazione che va in una direzione ben precisa, tra le
tante possibili a priori: si parte insomma dal presupposto
che il veggente veda la scelta futura del soggetto
(preveggenza) anziche', per esempio, influenzarla (tramite
ipnosi telepatica, sempre per esempio). Tuttavia anche questo
assunto e` in linea di principio abbastanza verificabile in
termini di correlazioni misurabili con eventi esterni a
quelli descritti.

Detto altrimenti: il paradosso sembra davvero un'esposizione
piuttosto ragionevole di un presunto fenomeno. Prevedo che
chi pensa il contrario non riuscira` a dimostrarlo. Non solo,
ma continuerebbe a non esserci contraddizione nemmeno se le
buste del paradosso fossero trasparenti - anche se in tal
caso pochissimi soggetti troverebbero mai piena la busta piu'
preziosa, forse solo io e pochi altri. :-)

Certo, potrebbe essere diverso. Per esempio, l'ipotesi che
esista un veggente che, in qualsiasi luogo io mi trovi e in
qualunque momento di mia scelta, sia in grado di dirmi con un
anticipo di un minuto, per telefono, se usciro` o no dalla
stanza in cui mi trovo senza che ci sia niente nella zona in
grado di bloccarmi o spingermi fuori in tempo utile, e`
abbastanza assurda da poter essere forse considerata
addirittura contraddittoria, non internamente ma con un po'
di postulati ragionevoli sulle capacita` di base degli esseri
umani, specie di quelli a cui piace fare i bastian contrari.
Questa e` da molti considerata la dimostrazione
dell'impossibilita` della preveggenza "assoluta" da parte di
un essere che interagisce con quel che dovrebbe prevedere, e
continua a non escludere forme di preveggenza meno assolute
(come nel film "Next", per intenderci).
Tuttavia non stavamo parlando di questo, mi sembra. Non si e`
mai preteso tanto dal veggente del paradosso in questione,
ne' pretendo dal diavoletto onnisciente di Laplace che sia
tenuto a rivelarci quel che stiamo per fare o anche solo che
viva in quello stesso continuum che per ipotesi conosce cosi'
bene.

> O dobbiamo prendere sul serio come almeno possibili anche fatti di
> esperienza indiretta, testimonianze indirette non piu' accertabili;
> chesso', per esempio il fatto che un tale di due pesci riusci' a farne
> piu' di 5000, contraddicendo le leggi dell'aritmetica?

c.v.d. :-|

Per non frammentare ulteriormente il thread rispondo qui
brevemente anche a Omega.

[Omega:]
>> contraddizioni, ma nessun fenomeno e` di per se'
>> contraddittorio perche' di per se' non appartiene al mondo
>> della logica ma a quello delle osservazioni empiriche.
>
> Osservazione logicamente ma proprio anche empiricamente errata.
>
> Perché?
> Semplice, perché un fenomeno viene definito come tale grazie a un
> processo, semplificando, di almeno due livelli proprio logici:
> - quello dell'individuazione (che porta alla descrizione/definizione
> del fenomeno, attività evidentemente logica [*]),
> - poi quello dell'interpretazione. E l'interpretazione vuole un altro
> livello di logica - o più d'uno, implicando la scelta fra teorie -
> rispetto a quello della descrizione.

Conosco persone che non concordano affatto (ci ho discusso
proprio di questo), ma per quanto mi riguarda sono
sostanzialmente d'accordo, eccetto forse su un dettaglio
minore: non vedo una sostanziale differenza tra
individuazione e interpretazione, ma lasciamo stare che il
discorso sarebbe lungo. In sostanza su questo punto con me
sfondi una porta aperta, solo che e` la porta sbagliata: non
si stava parlando di questo.
Uno dei problemi con gli interlocutori di tipo filosofico e`
che tendono a essere refrattari al contesto. Intendono ogni
parola alla lettera, in tutto il suo ventaglio (spesso
amplissimo) di possibili sfumature di significato, e amano
saltare da una sfumatura all'altra. Del resto, molte
dimostrazioni erronee nella filosofia classica si reggono
proprio sulla vaghezza del senso delle parole, quindi temo
che sia un'abitudine difficile da sradicare.
Nel caso in esame, detto in soldoni: non si stava parlando di
logica in quel senso li'. Nessuno si e` sognato di pensare
che si potesse risolvere il paradosso di Newcomb ipotizzando
che i presunti testimoni avessero visto male o riconosciuto
male quel che vedevano o avessero contato male i soldi nelle
buste, men che meno che i nostri concetti di soldi, buste e
persone si rivelassero clamorosamente inadeguati a
giustificare la percezione. Questa logica banale, di base,
che io chiamerei "elaborazione di informazioni" piu' che
"logica" perche' e` molto piu' euristica che
rigorosa/deduttiva (ma tu chiamala come vuoi, basta capirsi),
la dava per scontata Newcomb, la do` per scontata io, credevo
la dessero per scontata tutti i partecipanti al thread e
credevo fosse chiaro che non si stava assolutamente parlando
di quel tipo di "logica" li', che per inciso non si presta
affatto alla ricerca di contraddizioni, perche' e`
intrinsecamente non rigorosa. Sul tipo di cui si stava
parlando mi sono gia` espresso.

Ciao
Paolo Russo

Loris Dalla Rosa

unread,
Feb 19, 2014, 4:12:48 PM2/19/14
to

"Paolo Russo" <pao...@libero.it> ha scritto nel messaggio
news:ldq8ie$c52$1...@dont-email.me...
> Rispondo con clamoroso ritardo perche' purtroppo il tempo
> realmente libero ultimamente e` sempre meno... ma tanto non
> credo che avro` motivo di effettuare ulteriori interventi in
> questo thread.

Non ti preoccupare, saro' molto breve e cerchero' di fornire il meno
possibile spunti per ulteriori interventi.

> [Loris Dalla Rosa:]
>> Toh, una "soluzione" esattamente opposta alla mia!:-). Cosi', pero',
>> tra il paradosso e la citazione di Laplace (*) non c'e' alcuna
>> attinenza. Invece si puo' rendere il paradosso funzionale alla
>> citazione, forzando un corno del dilemma, cioe' supponendo che
>> *sicuramente* il preveggente non sia un imbroglione (cioe', per la
>> precisione, facendolo forzare a Laplace, con la sua ipotesi di
>> un'intelligenza onnisciente).
>
> Ma lo davo gia` per scontato.
>
>> Ma che la scelta del soggetto sia condizionata dall'
>> "intelligenza" del veggente, che a sua volta e' condizionato dall'
>> "ignoranza" del soggetto, costituisce una contraddizione.

> Io direi che la scelta del soggetto e` correlata, piu' che
> condizionata, all'"intelligenza" del veggente, ma questo e`
> solo un dettaglio. L'"ignoranza" del soggetto e` temporanea:
> prima o poi il soggetto decide ed e` questa decisione finale
> che il veggente vede.

Che la scelta del soggetto (A) sia correlata (come preferisci dire) all'
"intelligenza" del veggente (B), dice una doppia implicazione logica:
A<==>B, per cui A e' determinato da B quanto B lo e' da A. *Qui* c'e' la
contraddizione, che e' una contraddizione *pragmatica*, che rende il gioco
illusorio. Ma non insisto oltre e vedi il breve seguito.

>> "Nessun fenomeno di per se' e' contraddittorio", affermi. Concordo, ma
>> sei sicuro che cio' non implichi che qualsiasi affermazione
>> contraddittoria non puo' riferirsi ad alcun *fatto* reale
>> empiricamente osservabile? Sarebbe un bel principio logico, non credi?

> Questo in genere e` il punto di una discussione in cui
> comincio a chiedermi perche' ho risposto a qualcuno che viene
> da it.cultura.filosofia nonostante gli abbondanti e
> validissimi esempi che ho avuto in passato indichino
> chiaramente che con l'interlocutore filosofico medio nessun
> dialogo e` possibile. Qualunque tentativo in tal senso porta
> a discussioni faticosissime di centinaia di kB in cui il
> numero dei punti di disaccordo o anche di semplice
> incomprensione reciproca aumenta con il tempo anziche'
> diminuire: ogni argomento teso a chiarire un'incomprensione
> sembra aprirne altre due. Un matematico direbbe che la serie
> dei post non converge. Giusto per fare un esempio minore, non
> riesco neanche a immaginare cosa possa aver scritto per
> ingenerare il sospetto che stessi ipotizzando un imbroglio da
> parte del veggente come soluzione del paradosso. Sembra che,
> oltre un certo grado di differenza di mentalita`, la
> comprensione reciproca risulti troppo ardua per essere di una
> qualche utilita`. [...]

Ci metti fin troppo a dirmi che la questione non ti interessa:-). Io l'avevo
detto che basta dirlo: non mi fa problema che questioni epistemologiche qui
dentro non facciano problema... Io ho trattato il paradosso in *una* sua
interpretazione, ampiamente illustrata nel mio primo intervento con la lunga
citazione da Odifreddi e che metterebbe in discussione (se dessi a me stesso
l'opportunita' di sviluppare fino in fondo la questione) lo statuto
ontologico della "possibilita'". Ma mi rendo conto che quest'ultima
espressione puo' tanto piu' interessare l'epistemologo quanto meno il
fisico. Poco male. Mi riservo di rispondere brevemente a Omega, circa una
sua affermazione che, come vedo, anche tu contesti, e poi tolgo il disturbo,
ringraziando anticipatatmente per la breve ospitalita' in questo ng.
Un cordiale saluto,
Loris

Loris Dalla Rosa

unread,
Feb 19, 2014, 4:46:35 PM2/19/14
to

"Omega" <om...@NOyahoo.it> ha scritto nel messaggio
news:6vyIu.20432$Th2....@tornado.fastwebnet.it...
> Paolo Russo
>> [Loris Dalla Rosa:]
>>> ...
>>
>> ...
>> ... La logica puo` individuare
>> contraddizioni, ma nessun fenomeno e` di per se'
>> contraddittorio perche' di per se' non appartiene al mondo
>> della logica ma a quello delle osservazioni empiriche.

> Osservazione logicamente ma proprio anche empiricamente errata.

Non direi. Tutto dipende da quel "di per se'" nell'espressione di Paolo
Russo.
"Fenomeno", etimologicamente il participio sostantivato di "fàinomai"
(mostrarsi, apparire), e' appunto tutto cio' che si mostra, oggetto della
sensibilita': come tale, cioe' "di per se'", non e' contraddittorio come non
lo e' qualunque dato di fatto.
Fenomeni sono anche gli oggetti impossibili, come p.e. questo:
http://it.wikipedia.org/wiki/File:Penrose_triangle.svg
oppure il classico bastone dritto che nell'acqua appare spezzato.
"Di per se'" non sono fenomeni contraddittorii: la contraddizione subentra
come momento logico successivo, in un giudizio sotto cui il dato di fatto e'
erroneamente assunto. Nel triangolo impossibile, per esempio, l'errore
consiste nel considerarlo un fenomeno *oggettivo*, quando e' spiegabile
senza contraddizione come fenomeno *psicologico*, secondo leggi della
psicologia della percezione. Ma e' ampiamente dimostrato che tutto questo
non interessa i fisici, per cui ti invito, se vuoi continuare questa
discussione, a riportarla nel nostro ng di filosofia. Da questo mi sono gia'
congedato.
Un saluto,
Loris

Omega

unread,
Feb 19, 2014, 12:59:34 PM2/19/14
to
Paolo Russo
> ...
>
> Per non frammentare ulteriormente il thread rispondo qui
> brevemente anche a Omega.
>
> [Omega:]
>>> contraddizioni, ma nessun fenomeno e` di per se'
>>> contraddittorio perche' di per se' non appartiene al mondo
>>> della logica ma a quello delle osservazioni empiriche.
>>
>> Osservazione logicamente ma proprio anche empiricamente errata.
>>
>> Perché?
>> Semplice, perché un fenomeno viene definito come tale grazie a un
>> processo, semplificando, di almeno due livelli proprio logici:
>> - quello dell'individuazione (che porta alla descrizione/definizione
>> del fenomeno, attività evidentemente logica [*]),
>> - poi quello dell'interpretazione. E l'interpretazione vuole un altro
>> livello di logica - o più d'uno, implicando la scelta fra teorie -
>> rispetto a quello della descrizione.
>
> Conosco persone che non concordano affatto (ci ho discusso
> proprio di questo), ma per quanto mi riguarda sono
> sostanzialmente d'accordo, eccetto forse su un dettaglio
> minore: non vedo una sostanziale differenza tra
> individuazione e interpretazione,

In realtà il meccanismo è molto più complesso, perciò ho detto
"semplificando".
Considera che il sensorio si limita a raccogliere dei "campi" di stimoli
su cui, da sé, esso esegue solo delle medie (di luminosità, di pressione
sonora ecc.), quindi non individua proprio niente. Dopo questo
grossolano filtraggio che serve al processo detto di 'accomodamento' dei
sensori (e che oggi troviamo in ogni buona fotocamera e microfono),
finalmente quel "campo" di stimoli viene sottoposto a più fini filtraggi
di forma e di movimento, che cominciano a delimitare dei profili e
quindi a orientarte l'attenzione del soggetto. E così via in un processo
di grande complessità che solo a metà strada porta all'individuazione e
solo alla fine, scelte le teorie opportune (o spesso arbitrarie e ancora
spesso pregiudizi), arriva all'interpretazione.
Se tu avessi lavorato un po' all'elettronica/ottica del riconoscimento
anche solo di immagini sapresti queste cose (tanto per dire anche quanto
io sono "filosofo"). Certo che è la psicologia la base di queste logiche
e di queste tecnologie! ed è proprio in questo senso che la psicologia è
una scienza.

> ma lasciamo stare che il
> discorso sarebbe lungo. In sostanza su questo punto con me
> sfondi una porta aperta, solo che e` la porta sbagliata: non
> si stava parlando di questo.

Allora non dovevi introdurre il tema con quella battuta. A quella io ho
risposto, dato che l'hai proposta come argomento, e anzi come una specie
di legge universale alla Kant (sarai mica un filosofo? :))

> Uno dei problemi con gli interlocutori di tipo filosofico e`
> che tendono a essere refrattari al contesto. Intendono ogni
> parola alla lettera, in tutto il suo ventaglio (spesso
> amplissimo) di possibili sfumature di significato, e amano
> saltare da una sfumatura all'altra. Del resto, molte
> dimostrazioni erronee nella filosofia classica si reggono
> proprio sulla vaghezza del senso delle parole, quindi temo
> che sia un'abitudine difficile da sradicare.

Questo sì è davvero fuori tema: sono opinioni gratuite nel tentativo di
confermare la solita tiritera che i filosofi (a parte che io, come
dicevo, sono solo un tecnologo, ma di quelli bravi) sono dispersivi e
inconcludenti, mentre gli scienziati, azz! che senso della realtà, della
concretezza, del rigore, della concentrazione sul tema ecc. ecc.
Una vecchia pubblicità di Carosello diceva "Cala, Trinchetto!" :))

> Nel caso in esame, detto in soldoni: non si stava parlando di
> logica in quel senso li'. Nessuno si e` sognato di pensare
> che si potesse risolvere il paradosso di Newcomb ipotizzando
> che i presunti testimoni avessero visto male o riconosciuto
> male quel che vedevano o avessero contato male i soldi nelle
> buste, men che meno che i nostri concetti di soldi, buste e
> persone si rivelassero clamorosamente inadeguati a
> giustificare la percezione. Questa logica banale, di base,
> che io chiamerei "elaborazione di informazioni" piu' che
> "logica" perche' e` molto piu' euristica che
> rigorosa/deduttiva (ma tu chiamala come vuoi, basta capirsi),
> la dava per scontata Newcomb, la do` per scontata io, credevo
> la dessero per scontata tutti i partecipanti al thread e
> credevo fosse chiaro che non si stava assolutamente parlando
> di quel tipo di "logica" li', che per inciso non si presta
> affatto alla ricerca di contraddizioni, perche' e`
> intrinsecamente non rigorosa. Sul tipo di cui si stava
> parlando mi sono gia` espresso.

Tutto un discorso di nuovo fuori tema: io ho risposto a quello che *tu*
hai scritto nelle quattro righe citate e che è lì da leggere, senza
svolazzi interpretativi o evasioni dal tema da parte mia.

Se sono intervenuto sulla tua affermazione non lo ho fatto in vista del
topic (lì ci penserà Loris), ma perché *quella* tua affermazione
kantianamente perentoria è ***sbagliata***: i fenomeni non appartengono
affatto "al mondo delle osservazioni empiriche" ma sono quello che sono,
e le osservazioni empiriche - con i vincoli che ho descritto di
individuazione e interpretazione - cercano solo di /descriverli/. E fra
descrivere ed appartenere c'è un abisso (non di logica ma di semplice
buon senso), perché una descrizione può essere anche completamente
sbagliata, mentre i fenomeni sono quello che sono. E la scienza lo sa
benissimo !!!

Ecco perché tutto il tuo discorso che ho quotato qui sopra non c'entra
niente.

A uscire dal tema mi pare sia tu con queste costanti esternazioni della
tua manichea distizione fra "scienziati" e "filosofi". E 'manichea' è
una definizione molto generosa.

Hai parlato *tu* molto più di altre cose che non del topic. E la parte
che vorrebbe essere in risposta a me, ripeto, non c'entra niente.

Un saluto
Omega

Omega

unread,
Feb 20, 2014, 12:21:39 PM2/20/14
to
Ti risponderò anche lì, ripetendo quanto sotto.
Ma mi permetto di insistere: fra fenomeno - che è quello che è e non può
essere altro, e accade anche se nessuno sta a guardare - e osservazione
empirica del fenomeno, c'è un abisso, come ho spiegato in risposta a
Paolo russo.

Osservazione empirica è la rappresentazione che ci facciamo nella nostra
mente del fenomeno, e che può essere sbagliata. Fenomeno, e proprio nel
senso che tu precisi, è invece ciò che accade - e accadendo si mostra -
ed è oggetto di tale osservazione.
Non c'è modo di confonderli se non facendo l'ipotesi (errata) che vi sia
una corrispondenza 1/1 fra il fenomeno - il mostrarsi - e la sua
rappresentazione da parte dell'osservatore (inclusi gli strumenti).

Il mostrarsi da parte dell'evento o oggetto, come tu dici per giuste
ragioni etimologiche, implica che tale mostrarsi è coerente con l'evento
o oggetto, dato che _non_ dipende dall'osservatore. Rimane dunque altro
dall'osservatore, che invece può ricevere male, distorcere, interpretare
sotto le più diverse teorie ecc.
Di qui la mia netta distinzione fra fenomeno e osservazione empirica
dello stesso. A questo riguardo ho anche fatto un lungo discorso sulla
teoria psicologica del processo di osservazione. (*)

(*) la psicologia per quel verso è scientifica, dato che su tale teoria
si progettano anche i missili cosiddetti intelligenti, che decidono una
rotta individuando e riconoscendo i riferimenti. E se la scienza
psicologica non interessa la fisica, come ho già detto in altra
occasione, mi è termodinamicamente indifferente, cioè non mi fa né caldo
né freddo :))

Un saluto
Omega

Elio Fabri

unread,
Feb 21, 2014, 3:32:13 PM2/21/14
to
"Loris Dalla Rosa" ha scritto:
> Io l'avevo detto che basta dirlo: non mi fa problema che questioni
> epistemologiche qui dentro non facciano problema...
Ti rispondo ancora, solo perché non trovo molto appropriate certe cose
che scrivi.
Intanto, non è che le questioni epistemologiche ecc.: è che probab. a
non pochi (a me di certo) riesce ostico un certo modo d'impostarle.
Potrebbe essere una difficoltà di comunicazione, ma forse non è solo
questo...

> ... lo statuto ontologico della "possibilita'". Ma mi rendo conto
> che quest'ultima espressione puo' tanto piu' interessare
> l'epistemologo quanto meno il fisico.
Ecco un esempio: io non so neppure che cosa significa l'espressione
che hai usato.

> e poi tolgo il disturbo, ringraziando anticipatatmente per la breve
> ospitalita' in questo ng.
Queste espressioni le trovo fuori posto, se posso dirlo.
I newsgroups sono aree del tutto aperte, in cui chiunque può scrivere
quello che crede, magari restando entro una certa area tematica,
vagamente definita dal titolo e più precisamente dal mnifesto del
gruppo.
Non c'è da ringraziare nessuno né da parlare di ospitalità.
Tra l'altro questo è un NG moderato, e nel manifesto, apparso pochi
giorni fa, puoi leggere:
> Saranno pertanto ammessi messaggi riguardanti:
> - La storia, i fondamenti, i metodi e la filosofia della fisica.
> ...
Era quindi del tutto ovvio che i moderatori non avessero alcuna
obiezione verso i tuoi posts.
Se hai sentito una scarsa ricettività, potresti anche chiederti se sia
tutta e solo colpa dei fisici (come sembri pensare). Le cause
potrebbero essere più complesse...
--
Elio Fabri

Elio Fabri

unread,
Feb 21, 2014, 3:39:03 PM2/21/14
to
"Loris Dalla Rosa" ha scritto:
> Fenomeni sono anche gli oggetti impossibili, come p.e. questo:
> http://it.wikipedia.org/wiki/File:Penrose_triangle.svg
> oppure il classico bastone dritto che nell'acqua appare spezzato.

> "Di per se'" non sono fenomeni contraddittorii: la contraddizione
> subentra come momento logico successivo, in un giudizio sotto cui il
> dato di fatto e' erroneamente assunto. Nel triangolo impossibile,
> per esempio, l'errore consiste nel considerarlo un fenomeno
> *oggettivo*, quando e' spiegabile senza contraddizione come fenomeno
> *psicologico*, secondo leggi della psicologia della percezione. Ma
> e' ampiamente dimostrato che tutto questo non interessa i fisici,
> per cui ti invito, se vuoi continuare questa discussione, a
> riportarla nel nostro ng di filosofia. Da questo mi sono gia'
> congedato.
E qui secondo me sbagli.
Non è che "tutto questo" non interessi i fisici; è che (almeno per
quanto mi riguarda) non mi riesce di seguirti nel modo come imposti il
problema.
Per es. nel mettere insieme due esempi che tra loro hanno la stessa
relazione che i cavoli e la merenda :-)

Il "triangolo impossibile" *non è* (a mio giudizio) un fenomeno: è
solo un disegno, e naturalmente quando si tracciano dei segni (a
matita, a penna, col computer) su un foglio di carta si può produrre
qualsiasi cosa, che non può essere chiamata un "oggetto", se non nel
senso banale che si tratta appunto di un foglio di carta variamente
sporcato.
Il problema sta nella possibilità o meno che quel disegno /rappresenti/
(secondo convenzioni stabilite da secoli nel nostro mondo) qualcosa di
"reale" nel mondo fisico.
Non può, e non c'è niente di paradossale o contraddittorio: è solo un
*disegno sbagliato*. O se vogliamo, la contraddizione sta qui: che
parti diverse del disegno impiegano regole tra loro incompatibili (per
questo il disegno è sbagliato).
E naturalmente è intrigante, perché se se ne guarda solo una parte
non ha niente di sbagliato, e quindi crea imbarazzo nello sforzo
d'interpretarlo nel suo insieme.
Ovviamente conosci i molti disegni di Escher costruiti allo stesso
scopo: per es. il famosissimo "Relatività" (che per inciso con la
relatività di Einstein ha in comune soltanto il nome), oppure "Salita
e discesa", "Cascata".
Tra l'altro non tirerei neppure in ballo presunte "leggi della
psicologia della percezione": si tratta infatti di leggi /culturali/,
nel senso che conseguono dalla nostra educazione a determinate
convenzioni rappresentative, che non sono sempre esistite né esistono
per tutti gli esseri umani. Sono un prodotto storico di una ben
precisa civiltà.

Il "bastone spezzato" è tutt'altra cosa: è un fenomeno fisico *reale*,
prodotto com'è noto dalla rifrazione, e l'errore percettivo sta solo
nell'accettazione troppo "ingenua" di ciò che il sistema visivo
propone.
Dove sarebbe la contraddizione? Io non la vedo in nessun momento.
Di inganni percettivi (non illusioni ottiche, che sono un'altra cosa)
è pieno il mondo, e non mi sembra ci sia da farci tanta filosofia.
Appena un pochino, se vogliamo chiamarla filosofia: il semplice
ammonimento che non si può prendere troppo banalmente per buono tutto
ciò che i sensi e la successiva elaborazione cerebrale ci propongono.

Per questo (e concludo) forse faresti bene a domandarti se il presunto
scarso interesse dei fisici per l'epistemologia sia tutto colpa dei
fisici, o se per es. la frequentazione di questo NG non ti potrebbe
aiutare a ripensare al modo di porsi davanti a certi problemi,
evitando la supposizione (che a me sembra di cogliere nelle tue
parole) che la nostra sia una deficienza, rispetto a una maggiore
profondità da parte tua o di altri "filosofi".
Filosofi, sia detto per inciso, tra i quali non mi sento di annoverare
il tuo interlocutore che si fa chiamare "Omega": a mio parere costui è
solo un chiacchierone ignorante quanto presuntuoso, e per questo l'ho
da tempo tagliato fuori dai post che accetto nel NG.
--
Elio Fabri

Massimo 456b

unread,
Feb 22, 2014, 7:55:05 AM2/22/14
to

"Elio Fabri"

> Per questo (e concludo) forse faresti bene a domandarti se il presunto
> scarso interesse dei fisici per l'epistemologia sia tutto colpa dei
> fisici, o se per es. la frequentazione di questo NG non ti potrebbe
> aiutare a ripensare al modo di porsi davanti a certi problemi,
> evitando la supposizione (che a me sembra di cogliere nelle tue
> parole) che la nostra sia una deficienza, rispetto a una maggiore
> profondità da parte tua o di altri "filosofi".

per esempio tu hai fatto spallucce quando
ho introdotto la logica quantistica mentre
tale logica è nella prefazione del libro
di Valter Moretti.
Poi hai glissato alla grande sul problema
delle vibrazioni quando lo studio delle
quasiparticelle chiamate fononi è una delle
ultime frontiere della fisica e della tecnologia.
Insomma, non sarà che hai delle pregiudiziali
su chi viene da icfm?
Allora io sono un bambino di otto anni.
<<Professore mi spiega come mai
E=mc^2 quando in un mondo che rifiuta
la geometria euclidea i quadrati non
esistono in quanto cade il V postulato
di Euclide>> ?

ciao
Massimo

Omega

unread,
Feb 22, 2014, 3:03:20 PM2/22/14
to
Elio Fabri
> "Loris Dalla Rosa"
> > Fenomeni sono anche gli oggetti impossibili, come p.e. questo:
> > http://it.wikipedia.org/wiki/File:Penrose_triangle.svg
> > oppure il classico bastone dritto che nell'acqua appare spezzato.
>
> > "Di per se'" non sono fenomeni contraddittorii: la contraddizione
> > subentra come momento logico successivo, in un giudizio sotto cui il
> > dato di fatto e' erroneamente assunto. Nel triangolo impossibile,
> > per esempio, l'errore consiste nel considerarlo un fenomeno
> > *oggettivo*, quando e' spiegabile senza contraddizione come fenomeno
> > *psicologico*, secondo leggi della psicologia della percezione. Ma
> > e' ampiamente dimostrato che tutto questo non interessa i fisici,
> > per cui ti invito, se vuoi continuare questa discussione, a
> > riportarla nel nostro ng di filosofia. Da questo mi sono gia'
> > congedato.
> ...
>
> Il "triangolo impossibile" *non è* (a mio giudizio) un fenomeno: è
> solo un disegno, e naturalmente quando si tracciano dei segni (a
> matita, a penna, col computer) su un foglio di carta si può produrre
> qualsiasi cosa, che non può essere chiamata un "oggetto", se non nel
> senso banale che si tratta appunto di un foglio di carta variamente
> sporcato.

Nossignore. Loris ha spiegato bene, anche partendo dall'etimo, che cosa
significa 'fenomeno'. Non è qualcosa che accade, ma è ciò che si mostra
di qualcosa che accade, che è cosa ben diversa.
Se ne sta discutendo a fondo su icfm, perché la questione non è semplice
affatto.
Ma, a parte la discussione altrove, penso che anche per i fisici sia
chiaro che l'osservazione - da parte delle persone ma anche degli
strumenti - non è l'acquisizione diretta della realtà, che è
impossibile, ma solo di ciò che della realtà si mostra. Fra noi e la
realtà c'è una barriera insormontabile, perché la percezione (sensorio o
strumentazione) si limita a registrare dei segnali provenienti dalla
realtà. Ebbene, ciò che si mostra della (presunta) cosa osservata - non
la cosa osservata - noi possiamo chiamare 'fenomeno'.

La cosa osservata può non esserci, come può dimostrare un qualunque
setting di realtà virtuale, ma tutti i segnali della sua presunta
esistenza possono esserci, ossia c'è il fenomeno ma non c'è la cosa di
cui crediamo che quei segnali provengano, non esiste, è virtuale.
Proprio la realtà virtuale dimostra l'assunto, ossia l'assenza di un
legame indissolubile fra fenomeno e realtà. A noi è accessibile solo il
primo. Io dico, nel mio piccolo di chiacchierone ignorante e presuntuoso
[cit.], che il fenomeno è l'interfaccia fra noi e ciò (reale o no) che
si mostra in quel modo - con quei segnali (visivi ecc.)

Perciò, che sia su un pezzo di carta o in un sofisticato setting di
realtà virtuale, dove il triangolo di Möbius fosse proiettato in 3D, in
movimento, in un cielo pieno di stelle, per noi è un fenomeno.
Ma lo dimostra la tua stessa osservazione: tu, in base ai segnali
(visivi) che hai ricevuto, e non certo dal triangolo in sé o dal foglio
o dal tuo monitor, hai deciso che c'è alle spalle di tali segnali una
certa realtà. Dunque proprio per te era un fenomeno.


> Filosofi, sia detto per inciso, tra i quali non mi sento di annoverare
> il tuo interlocutore che si fa chiamare "Omega": a mio parere costui è
> solo un chiacchierone ignorante quanto presuntuoso, e per questo l'ho
> da tempo tagliato fuori dai post che accetto nel NG.

Costui, pur ignorante e presuntuoso nonché chiacchierone, non è un
filosofo e non ha mai affermato di esserlo. Lo dicono solo i fisici del
gruppo, che evidentemente si sbagliano.
Non devi credere a tutto quello che dicono i fisici :))

Con osservanza
Omega

Loris Dalla Rosa

unread,
Feb 23, 2014, 3:41:44 AM2/23/14
to
[Ti ho inviato una risposta senza rileggerla, vista anche l'ora, e adesso mi
accorgo che verso la fine presenta alcuni fastidiosissimi refusi
tipografici. Questa e' la stessa, ma piu' corretta]

"Elio Fabri" <elio....@tiscali.it> ha scritto nel messaggio
news:bmps9h...@mid.individual.net...
Va bene, rispondo a questo tuo post che qui mi fornisce due spunti, che mi
permettono di (cercare di) illustrare il modo di rapportarsi criticamente
del filosofo (ammesso e non concesso che cosi' possa auto-definirmi) a
questioni che possono interessare anche il fisico. Vediamo se questa
occasione produce un chiarimento, o se e' un'ulteriore prova di una
difficolta' di comunicazione.
Il primo spunto me lo fornisci con la tua affermazione: << Il "triangolo
impossibile" *non è* (a mio giudizio) un fenomeno>>. Ok, mi sembra di capire
che tu per "fenomeno" intenda, specificamente, "fenomeno fisico". In questo
senso hai perfettamente ragione. Pero' non so sei d'accordo che la chiarezza
di un discorso inizia dalla chiarezza delle definizioni dei termini che si
usano. Ecco, sollevo una questione di definizioni: non esiste una chiara
definizione di "fenomeno" specificamente "fisico", se non esiste una chiara
definizione di "fenomeno" in generale, di cui "fisico", "chimico" ecc. sono
appunto specificazioni. Per "fenomeno" si intende tutto ciò che è
suscettibile di percezione sensoriale; cosi' si intende nel lessico
filosofico, per etimologia e per lunga tradizione. Nel lessico generalmente
scientifico (intendendo la scienza empirica) "fenomeno" e' cio' che accade
ed e' suscettibile di studio secondo i metodi oggettivi propri di ciascuna
branca della scienza. Vengo allora all'esempio del "triangolo impossibile".
Beh, questo non puo' certo dirsi "solo un disegno":
http://it.wikipedia.org/wiki/File:ImpossibleTriangleEastPerth_edit_gobeirne.jpg
Naturalmente c'e' una spiegazione e qui si trova, nelle ultime tre immagini:
http://it.wikipedia.org/wiki/Triangolo_di_Penrose
Tuttavia il fatto che, se anche conosciamo benissimo la fonte dell'inganno,
guardandolo da una precisa prospettiva non possiamo sottrarci ad esso, cio'
costituisce un fenomeno secondo quella prima e piu' generale definizione di
"fenomeno". Certo studiarlo non e' compito della fisica, ma della psicologia
della percezione, secondo i metodi che le sono propri.

> Il problema sta nella possibilità o meno che quel disegno /rappresenti/
> (secondo convenzioni stabilite da secoli nel nostro mondo) qualcosa di
> "reale" nel mondo fisico.

Qui tu usi correttamente "reale", riferendoti al mondo fisico. Ma possiamo
definire "illusorie" le leggi della psicologia della percezione (e con esse,
per esempio, tutto il lavoro di Wertheimer o di Koehler sulla
Gestalttheorie)? Pero' scusami, sto mettendo troppa carne al fuoco
sollevando la questione di che cosa possa definirsi "reale".

> Non può, e non c'è niente di paradossale o contraddittorio: è solo un
> *disegno sbagliato*. O se vogliamo, la contraddizione sta qui: che
> parti diverse del disegno impiegano regole tra loro incompatibili (per
> questo il disegno è sbagliato).
> E naturalmente è intrigante, perché se se ne guarda solo una parte
> non ha niente di sbagliato, e quindi crea imbarazzo nello sforzo
> d'interpretarlo nel suo insieme.
> Ovviamente conosci i molti disegni di Escher costruiti allo stesso
> scopo: per es. il famosissimo "Relatività" (che per inciso con la
> relatività di Einstein ha in comune soltanto il nome), oppure "Salita
> e discesa", "Cascata".
> Tra l'altro non tirerei neppure in ballo presunte "leggi della
> psicologia della percezione": si tratta infatti di leggi /culturali/,
> nel senso che conseguono dalla nostra educazione a determinate
> convenzioni rappresentative, che non sono sempre esistite né esistono
> per tutti gli esseri umani. Sono un prodotto storico di una ben
> precisa civiltà.

Qui faccio solo un'annotazione: che le leggi della psicologia della
percezione siano solo leggi "culturali", nel senso che hai spiegato, e'
un'affermazione molto problematica. Proprio i lavori di Wetheimer smontano
(secondo me in modo convincente) questa tesi. Inoltre, la tua affermazione,
presa molto piu' in generale, sembra implicare (ma potrei sbagliare
attribuendoti questa intenzione) un certo relativismo culturale, che i
lavori del linguista Chomsky hanno in buona parte spazzato via. Ma anche qui
sto allargando troppo il discorso. Vengo subito al secondo spunto critico.

> Il "bastone spezzato" è tutt'altra cosa: è un fenomeno fisico *reale*,
> prodotto com'è noto dalla rifrazione, e l'errore percettivo sta solo
> nell'accettazione troppo "ingenua" di ciò che il sistema visivo
> propone.
> Dove sarebbe la contraddizione? Io non la vedo in nessun momento.
> Di inganni percettivi (non illusioni ottiche, che sono un'altra cosa)
> è pieno il mondo, e non mi sembra ci sia da farci tanta filosofia.
> Appena un pochino, se vogliamo chiamarla filosofia: il semplice
> ammonimento che non si può prendere troppo banalmente per buono tutto
> ciò che i sensi e la successiva elaborazione cerebrale ci propongono.

Certo, in questo che e' un esempio dalla lunga tradizione, risalente ai
filosofi stoici, la contraddizione e' tolta dalle leggi *fisiche* della
rifrazione della luce. Esso e' comunque un "fenomeno" nel senso della sua
definizione piu' astratta. Ma dov'e' la contraddizione? In effetti non e'
facile vederla, eppure puo' interessare anche il fisico, perche' anche qui
e' coinvolta una definizione, o meglio un concetto, che forse il fisico
assume inconsapevolmente come a-problematico: quello di "corpo rigido". Per
spiegarmi devo fare appello alle tue capacita "fenomenologiche", diciamo
cosi'; ti chiedo, cioe', di considerare il fenomeno nella *purezza* del suo
apparire, prescindendo quindi dal fenomeno in quanto specificamente
fisico. Che si tratti di un inganno dei sensi, infatti, ne erano convinti
anche gli antichi che non conoscevano le leggi della rifrazione della luce,
o anche un
bambino che non le abbia ancora studiate a scuola. Perche', allora, siamo
portati a pensare che un bastone semiimmerso nell'acqua, che e' dritto al
tatto e storto alla vista (qui e' la contraddizione), *in realta'* e' dritto
ed e' un'illusione che sia storto, e non viceversa? Perche' mai il senso del
tatto dovrebbe rivelare meglio le qualita' reali del bastone, di quanto non
lo faccia il senso della vista? La contraddizione si risolverebbe se
seguissimo il principio operazionistico di Bridgman:
http://it.wikipedia.org/wiki/Percy_Williams_Bridgman
Il principio, cioe', secondo il quale "operazioni differenti definiscono
concetti differenti". Nel caso in questione, diverse operazioni (percettive:
del guardare e del toccare) ci porterebbero a constatare che non tutte le
cose "tattilmente dritte" sono anche "visibilmente dritte", in tutte le
condizioni: il problema della realta' non sorgerebbe e la contraddizione
sarebbe tolta.
Con cio', pero', rendendo estremamente problematico il concetto di "corpo
rigido".
Forse l'esempio ti sembrera' tanto paradossale da sembrarti assurdo; allora
ti faccio un esempio piu' appropriato per i fisici: la relativita' della
lunghezza. Per i fisici classici se un vagone ferroviario ha una certa
lunghezza da fermo, ha la medesima lunghezza quando e' in moto. Cosi' pensa
anche il senso comune: la lunghezza del vagone e' una sua proprieta'
intrinseca ad esso, che "realmente" non cambia cambiando il metodo di
misura.
Misuriamo la lunghezza del vagone fermo, tenendo presente il principio
operazionista di Bridgman: la misura consistera' in un'applicazione del
metro campione x volte, da un capo all'altro del vagone. Non e' predicibile
a priori, se ci atteniamo all'operazionismo, che x sia la misura del vagone
anche quando e' in moto, perche' tale misura della lunghezza comporta un
nuovo tipo di misurazione: diversi osservatori a terra dovrebbero segnare al
suolo i punti su cui passano la fronte e il retro del vagone e solo allora
la
distanza, purche' segnata *simultaneamente* dagli osservatori, si potrebbe
misurare nel solito
modo. Cio' comporta, per l'operatore che misura, una determinazione di
simultaneita'. Cosi' la lunghezza, definita operazionalmente, sta per
proprieta' differenti, chiamate, se non sbaglio, "lunghezza statica" e
"lunghezza cinetica". Che l'una sia uguale all'altra non e' piu' certo a
priori di quanto lo sia che i bastoni tattilmente diritti lo siano sempre
anche visivamente. E infatti la teoria ristretta della relativita' nega
questa eguaglianza. Che fine ha fatto il concetto di "corpo rigido"?
Sperando di essermi espresso in modo comprensibile, un saluto,
Loris

Loris Dalla Rosa

unread,
Feb 22, 2014, 8:04:48 PM2/22/14
to

"Elio Fabri" <elio....@tiscali.it> ha scritto nel messaggio
news:bmps9h...@mid.individual.net...
> Il problema sta nella possibilità o meno che quel disegno /rappresenti/
> (secondo convenzioni stabilite da secoli nel nostro mondo) qualcosa di
> "reale" nel mondo fisico.

Qui tu usi correttamente "reale", riferendoti al mondo fisico. Ma possiamo
definire "illusorie" le leggi della psicologia della percezione (e con esse,
per esempio, tutto il lavoro di Wertheimer o di Koehler sulla
Gestalttheorie)? Pero' scusami, sto mettendo troppa carne al fuoco
sollevando la questione di che cosa possa definirsi "reale".

> Non può, e non c'è niente di paradossale o contraddittorio: è solo un
> *disegno sbagliato*. O se vogliamo, la contraddizione sta qui: che
> parti diverse del disegno impiegano regole tra loro incompatibili (per
> questo il disegno è sbagliato).
> E naturalmente è intrigante, perché se se ne guarda solo una parte
> non ha niente di sbagliato, e quindi crea imbarazzo nello sforzo
> d'interpretarlo nel suo insieme.
> Ovviamente conosci i molti disegni di Escher costruiti allo stesso
> scopo: per es. il famosissimo "Relatività" (che per inciso con la
> relatività di Einstein ha in comune soltanto il nome), oppure "Salita
> e discesa", "Cascata".
> Tra l'altro non tirerei neppure in ballo presunte "leggi della
> psicologia della percezione": si tratta infatti di leggi /culturali/,
> nel senso che conseguono dalla nostra educazione a determinate
> convenzioni rappresentative, che non sono sempre esistite né esistono
> per tutti gli esseri umani. Sono un prodotto storico di una ben
> precisa civiltà.

Qui faccio solo un'annotazione: che le leggi della psicologia della
percezione siano solo leggi "culturali", nel senso che hai spiegato, e'
un'affermazione molto problematica. Proprio i lavori di Wetheimer smontano
(secondo me in modo convincente)questa tesi. Inoltre, la tua affermazione,
presa molto piu' in generale, sembra implicare (ma potrei sbagliare
attribuendoti questa intenzione) un certo relativismo culturale, che i
lavori del linguista Chomsky hanno in buona parte spazzato via. Ma anche qui
sto allargando troppo il discorso. Vengo subito al secondo spunto critico.

> Il "bastone spezzato" è tutt'altra cosa: è un fenomeno fisico *reale*,
> prodotto com'è noto dalla rifrazione, e l'errore percettivo sta solo
> nell'accettazione troppo "ingenua" di ciò che il sistema visivo
> propone.
> Dove sarebbe la contraddizione? Io non la vedo in nessun momento.
> Di inganni percettivi (non illusioni ottiche, che sono un'altra cosa)
> è pieno il mondo, e non mi sembra ci sia da farci tanta filosofia.
> Appena un pochino, se vogliamo chiamarla filosofia: il semplice
> ammonimento che non si può prendere troppo banalmente per buono tutto
> ciò che i sensi e la successiva elaborazione cerebrale ci propongono.

Certo, in questo che e' un esempio dalla lunga tradizione, risalente ai
filosofi stoici, la contraddizione e' tolta dalle leggi *fisiche* della
rifrazione della luce. Esso e' comunque un "fenomeno" nel senso della sua
definizione piu' astratta. Ma dov'e' la contraddizione? In effetti non e'
facile vederla, eppure puo' interessare anche il fisico, perche' anche qui
vi e' coinvolta una definizione, o meglio un concetto, che forse il fisico
assume inconsapevolmente come a-problematico: quello di "corpo rigido". Per
spiegarmi devo fare appello alle tue capacita "fenomenologiche", diciamo
cosi'; ti chiedo, cioe', di considerare il fenomeno nella *purezza* del suo
apparire, prescindendo quindo dal fenomeno in quanto specificatamente
fisico. Che si tratti di un inganno dei sensi, infatti, ne erano convinti
anche gli antichi che non conoscevano le leggi di rifrazione, o anche un
bambino che non le abbia ancora studiate a scuola. Perche', allora, siamo
portati a pensare che un bastone semiimmerso nell'acqua, che e' dritto al
tatto e storto alla vista (qui e' la contraddizione), *in realta'* e' dritto
ed e' un'illusione che sia storto, e non viceversa? Perche' mai il senso del
tatto dovrebbe rivelare meglio le qualita' reali del bastone, di quanto non
lo faccia il senso della vista? La contraddizione si risolverebbe se
seguissimo il principio operazionistico di Bridgman:
http://it.wikipedia.org/wiki/Percy_Williams_Bridgman
Il princio, cioe', secondo il quale "operazioni differenti definiscono
concetti differenti". Nel caso in questione, diverse operazioni (percettive
del guardare e del toccare) ci poterebbero a constatare che non tutte le
cose "tattilmente dritte" sono anche "visibilmente dritte", in tutte le
condizioni: il problema della realta' non sorgerebbe e la contraddizione
sarebbe tolta.
Con cio', pero', rendendo estremamente problematico il concetto di "corpo
rigido".
Forse l'esempio ti sembrera' tanto paradossale da risultarti assurdo; allora
ti faccio un esempio piu' appropriato per i fisici: la relativita' della
lunghezza. Per i fisici classici se un vagone ferroviario ha una certa
lunghezza da fermo, ha la medesima lunghezza quando e' in moto. Cosi' pensa
anche il senso comune: la lunghezza del vagone e' una sua proprieta'
intrinseca, che "realmente"non cambia cambiando il metodo di misura.
Misuriamo la lunghezza del vagone fermo, tenendo presente il principio
operazionista di Bridgman: la misura consistera' in un'applicazione del
metro campione x volte, da un capo all'altro del vagone. Non e' predicibile
a priori, se ci atteniamo all'operazionismo, che x sia la misura del vagone
anche quando e' in moto, perche' tale misura della lunghezza comporta un
nuovo tipo di misurazione: diversi osservatori a terra dovrebbero segnare al
suolo i punti su cui passa la fronte e il retro del vagone e sollo allora la
distanza, purche' segnata *simultaneamente*, si potrebbe misurare nel solito
modo. Cio' comporta, per l'osservatore che misura, una determinazione di

Omega

unread,
Feb 24, 2014, 3:17:53 AM2/24/14
to
Loris Dalla Rosa
> "Elio Fabri"
>> "Loris Dalla Rosa"
>>> ...
>> ...
>
> ... Vengo
> allora all'esempio del "triangolo impossibile". Beh, questo non puo'
> certo dirsi "solo un disegno":
> http://it.wikipedia.org/wiki/File:ImpossibleTriangleEastPerth_edit_gobeirne.jpg

Il triangolo di Möbius (il matematico tedesco August Ferdinand Möbius;
un Möbius è guardacaso anche uno dei Fisici di Dürrenmatt !) è
un caso particolare del nastro di Möbius, che ha una precisa
rappresentazione matematica (in topologia è un esempio di superficie non
orientabile e rigata).
Si può realizzare in concreto, a parte l'illusione ottica che riporti?
Sembra di sì. Qui:
http://www.nauticoartiglio.lu.it/collezione/imgif/moebius.gif
ci sono le istruzioni per realizzarlo (il nastro, ma basta
"schiacciarlo" per ottenere il triangolo).

Un saluto
Omega

cometa_luminosa

unread,
Feb 28, 2014, 12:23:44 PM2/28/14
to
Il giorno lunedì 24 febbraio 2014 09:17:53 UTC+1, Omega ha scritto:

> Il triangolo di Möbius [...] è un caso particolare del nastro di Möbius
>
Ma neanche per idea.

Per esempio perche' il nastro di Möbius lo puoi realizzare fisicamente, mentre il triangolo di Möbius no (non in un mondo euclideo come il nostro per lo meno).

--
cometa_luminosa
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