danilob ha scritto:
> Provo a rispondere. La "superficie" di una sfera dovrebbe essere
> bidimensionale, infatti ogni suo punto è descrivibile da una coppia
> di coordinate (es. latitudine e longitudine).
Infatti. E parte della difficoltà in cui vi dibattete è terminologica,
perché il termine "sfera" nella matematica "seria" ha un significato,
nel linguaggio comune (e purtroppo, temo, anche nella matematica e
nella fisica liceali) ne ha un altro.
La sfera dei matematici è la *superficie*; quando vogliono intendere
il solido, dicono "palla".
> Quello che invece non mi convince del paragone che avevo fatto, è
> che mentre per la superficie della sfera esiste il corrispondente
> solido, che è appunto la sfera, per il quale esiste un centro
(la *palla*).
Ma non c'è bisogno di pensare alla palla: la sfera (superficie) è
immersa in uno spazio 3D e in quello spazio ha un centro, che è il
punto equidistante da tutti i punti della superficie.
> per il nostro spazio tridimensionale non esiste un oggetto a quattro
> dimensioni per il quale esista un centro, perché le dimensioni
> spaziali si fermano a tre.
Infatti questo è l'equivoco in cui si può cadere facendo l'esempio
della sfera (superficie).
Perché noi siamo abitutati a pensarla immersa nello spazio 3D, e se
parliamo di una sfera 3D (si dice anche un'ipersfera) pensiamo
necessario che esista uno spazio 4D in cui immergerla.
Non c'è da meravigliarsi: nella storia della matematica si passa nella
prima metà dell'800 dal punto di vista diciamo ingenuo/concreto, di
cui non si era ancora liberato Gauss, che pure non pochi ritengono sia
stato il più grande matematico di tutti i tempi, alla visione astratta
di Riemann: il primo a concepire "superfici" curve con qualunque
numero di dimensioni, definite in sé, senza pensarle necessariamente
immerse in qualcos'altro.
Oggi si usa il termine "varietà" (manifold in inglese) e più
precisamente di varietà riemanniane, appunto in onore di Riemann.
(Poi ci sono tipi più generali di varietà, ma non occorre pensarci
qui.)
> Secondo la relatività bisognerebbe considerare lo spaziotempo, ma
> qui mi fermo, altrimenti il rapporto segnale-rumore di questo post
> va a zero...
Beh certo, quando si ragiona di cosmologia non si può fare a meno dello
spazio-tempo, però il problema come è nato non riguarda lo
spazio-tempo, ma le sue "sezioni" a t costante, che costituiscono lo
spazio.
Come saranno fatte queste sezioni? Che tipo di spazio (di varietà)
saranno?
Sono stati fatti vari modelli di Universo, che differiscono anche per
la struttura dello spazio:
- piatto, ossia euclideo, con estensione infinita
- a curvatura costante positiva, quindi appunto una S^3 (l'ipersfera
che dicevamo sopra)
- a curvatura costante negativa, uno spazio "iperbolico", di cui non
dico niente perché non è più considerato reale.
Chiaramente il problema di un centro si pone in modo diverso se lo
spazio è piatto o sferico, anche se in entrambi i casi il centro non
c'è.
Non c'è in uno spazio piatto, come non c'è in un piano, in cui tutti i
punti sono ovviamente equivalenti.
Non c'è per l'ipersfera, per le ragioni che abbiamo già visto.
Ma come si decide qual è il modello giusto? La risposta non è affatto
semplice e non provo a scriverla.
In ogni caso esistono osservazioni capaci di decidere. Però...
Però non bisogna dimenticare che le osservazioni sono sempre affette
da incertezze e quindi non possono dare una risposta certa e
definitiva.
Allo stato presente si dice che le osservazioni sono *compatibili* con
uno spazio piatto.
Ma sarebbero anche compatibili con una ipersfera di raggio
estremamente grande (e pure con uno spazio iperbolico...)
Dato che la geometria (euclidea) di uno spazio piatto è più semplice,
si adotta quella; ma non si può escludere che osservazioni più precise
in futuro ci obblighino a cambiare idea.
Anche la superficie della Terra è stata a lungo ritenuta piatta (non
da tutti, anzi l'idea che fosse sferica era coltivata, specialmente
negli ambienti scientifici) poi le prove della sfericità si
acculumarono, fino al viaggio di Magellano, che ne fece un giro
completo. Non lui, a dire il vero, che morì durante il viaggio (durato
tre anni) nelle Filippine,
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Elio Fabri