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Gli Ogm da propaganda

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sergio

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Jul 28, 2003, 10:23:53 AM7/28/03
to
Gli Ogm da propaganda
Ambasciatori Usa (Mel Sembler), economisti forzisti (Brunetta), biologi
della domenica e coltivatori di redazione: un profluvio di pareri
«autorevoli» per costringerci a ingurgitare prodotti geneticamente
modificati. Il tutto con la scusa di «aiutare i poveri»
FRANCO CARLINI
Pregasi leggere con attenzione, cercando di indovinare chi sia l'autore
delle seguenti frasi, pubblicate giovedì 24 luglio su il Sole-24 Ore, a
pagina 5: «L'Italia, un paese di grande tradizione in campo della ricerca
e delle scoperte scientifiche, la patria di Leonardo, Galileo, Marconi e
Fermi, sta rapidamente diventando il fanalino di coda dell'Europa per
quanto riguarda la biotecnologia». E ancora: «la decisione di distruggere
i campi di mais in Piemonte è stata presa sulla base di meno dello 0,5% o
di presenza accidentale di Ogm e il restante 99,5% di isterismo politico.
E' necessario che questo gioco finisca nell'interesse più autentico
dell'Italia». La grammatica incerta segnala che a scrivere queste frasi
non è Leonardo Vingiani, presidente di Assobiotech, che sarà un lobbista
per contro delle aziende italiane, ma almeno la lingua la conosce. Il
brillante polemista si chiama invece Mel Sembler e di mestiere fa
l'ambasciatore degli Stati Uniti in Italia. E' lui a intimarci di
smetterla di giocare, abbandonando le nostre latine isterie. Lui, che può
vantare addirittura una laurea di primo livello in scienze e che per il
resto della sua vita ha costruito un impero di supermercati e realizzato
la più micidiale catena di centri di riabilitazione dalla droga (Straight)
al cui confronto San Patrignano è un covo di anarchici libertari. La
pesante intrusione nella politica, nella giustizia e nell'opinione
pubblica italiana è dunque in linea con il personaggio e meriterebbe lo
stesso grado di indignazione che il presidente del consiglio ha riservato
al deputato europeo Martin Schulz. E tuttavia le questioni sono ben più
serie di quanto l'ambasciatore faccia intendere.

Cerchiamo dunque di mettere ordine.

1. La scarsa popolarità tra i consumatori dei prodotti geneticamente
modificati (Ogm) deriva solo in parte dai timori irrazionali per i danni
alla salute. Questi effettivamente non si sono finora manifestati e si
spera che non esistano del tutto. Il 21 luglio una apposita commissione di
24 studiosi, istituita tempo fa dal governo inglese ha rilasciato il suo
rapporto finale di 300 pagine, basato sull'esame comparato di 600
pubblicazioni scientifiche, e sul tema della sicurezza alimentare è
piuttosto tranquillizzante; il rapporto non può essere inteso come un via
libera, perché la prudenza è doverosa, ma nemmeno come un semaforo rosso,
secondo il consigliere scientifico del governo, David King
(www.gmsciencedebate.org.uk/report/default.htm).

L'altro motivo per non comprare Ogm è che non portano con sé un
significativo beneficio (nutritivo, gustativo). Potendo scegliere, dunque,
perché acquistare pomodori genetici? O banane modificate? Proprio mentre
cresce la passione e persino la moda del biologico, la sollecitazione a
ingerire cibi manipolati è drammaticamente in controtendenza e assai
irrazionale.

Del resto le aziende dell'agribusiness non hanno mai considerato i
consumatori come i loro clienti, perché loro vendono semi ai coltivatori,
non i panini alle famiglie. A tutt'oggi comunque, come segnala il
settimanale inglese The Economist, i raccolti di Ogm rappresentano solo il
5 per cento del totale mondiale, con una vistosa prevalenza
dell'agricoltura americana, seguita a distanza da Argentina, Canada e
Cina. A conti fatti, tuttavia, anche per i coltivatori i benefici non sono
stati particolarmente significativi: il principale vantaggio sta in una
maggiore facilità di gestione dei campi, con risparmi indiretti, ma solo
in pochi casi si traduce in un aumento dei raccolti. Sempre secondo i dati
riferiti dall'Economist, il guadagno aggiuntivo totale per gli agricoltori
americani è stato di 1,5 miliardi di dollari nel 2001, ovvero abbastanza
piccolo, ma oggi esso rischia di essere divorato dai costi aggiuntivi
derivanti dalle recenti regole europee sulla etichettatura e la
tracciabilità.In sostanza le aziende americane e i loro portavoce come
l'ambasciatore Sembler si trovano oggi di fronte a un mercato di
consumatori finali poco interessati al loro prodotto e a costi crescenti.
E questo spiega la particolare aggressività della loro polemica e delle
loro lamentazioni.

2. Secondo molti critici (e noi tra questi) gli Ogm sono sconsigliati
perché potrebbero dare luogo a nuove erbacce o a nuovi insetti super
resistenti. Come noto di tante ricerche Ogm due solo hanno generato dei
prodotti collaudati: piante che sopportano dosi massicce di diserbanti e
piante che producono esse stesse delle tossine contro gli insetti
malefici. Il timore fondato è che la natura selezioni essa stessa nuove
erbacce (superweed) che richiederebbero alte dosi di nuovi prodotti
chimici, o nuovi parassiti. La cosa finora non si è verificata, ma sarebbe
un vero miracolo se ciò non avvenisse: tutti gli insetti sono sottoposti a
mutazioni genetiche casuali e tra le milionate di mutazioni prima o poi
emerge quella che favorisce la resistenza. Nel nuovo ambiente i portatori
del gene mutato saranno favoriti, faranno più figli e diventeranno
dominanti; a quel punto le Monsanto di turno dovranno darsi da fare per
inventare altre manipolazioni, proprio come succede con gli antibiotici,
che continuamente vengono potenziati per sconfiggere i nuovi ceppi
resistenti. E' un futuro auspicabile? Difficile sostenerlo, e in ogni caso
è un futuro molto costoso, altro che benefici rivoluzionari e seconda
rivoluzione verde.

Per evitare che i «resistenti» soppiantino i «naturali», anche in America
si prescrive che a fianco dei campi Ogm sia presente un 20 per cento di
campi non trattati, ma nelle settimane scorse l'autorevole rivista Nature
ha spiegato che pochissimi agricoltori lo fanno e che le autorità non sono
particolarmente impegnate nel chiedere il rispetto della norma. L'Unione
Europea che proprio di questo sta discutendo dovrebbe trarre qualche
lezione da tale esperienza negativa, magari accogliendo la posizione ben
più rigida e rigorosa del ministro italiano dell'agricoltura.

3. Un terzo aspetto di pericolosità sta nella diffusione dei geni
modificati anche alle piante naturali, eventualmente soppiantandole e
riducendo la biodiversità. Il rapporto inglese è piuttosto chiaro,
sostenendo che la questione più importante è proprio questa, sollecitando
maggiori ricerche sulla biodiversità, sull'ecologia del suolo, sulla
allergenicità e sul flusso di geni verso piante non-Gm. Ogni specie deve
essere esaminata accuratamente caso per caso, dice il professor King.

I fanatici delle biotecnologie (come per esempio l'economista Renato
Brunetta, per l'occasione trasformatosi in biologo molecolare, Il Sole-24
Ore, 25 luglio, pagina 8) sostengono che in realtà la natura-natura non è
mai esistita e che tutto quello di naturale che ci circonda è il risultato
di una lunga storia di manipolazione dei geni, fatta dall'evoluzione
stessa o da noi umani e contadini che nel tempo abbiamo selezionato le
piante e gli animali per noi più utili, fino a soppiantare fiori, grani e
sementi selvatici. Ciò è ovviamente vero, ma oggi, e citiamo sempre il
Brunetta, possiamo fare in maniera mirata, precisa e controllata,
scientifica insomma, quello che la natura e i contadini facevano
grossolanamente. Proprio qui sta l'equivoco scientifico che gli
Agrobiotech cercano di generare; in realtà l'evoluzione lavora a caso, fa
esperimenti su miliardi di piante, crea eventualmente dei mostri o
semplicemente degli individui non adatti all'ambiente e si prende tutto il
tempo per scegliere, campo per campo, foresta per foresta. Trattandosi di
esperimenti sparpagliati e singoli (ma condotti infinite volte) il rischio
che una soluzione genetica pericolosa si propaghi è alla fine
statisticamente nullo e infatti la vita sul pianeta Terra continua a
fiorire, malgrado i cambiamenti del suolo, del clima e gli interventi
degli umani. Esattamente il contrario avviene secondo la metodologia
applaudita dai Brunetta di turno: in laboratorio si fanno tutte le prove
(almeno si spera), poi le si fanno in alcuni campi all'aria aperta, e
infine, ottenuta qualche conferma di non pericolosità e di redditività,
scatta il marketing: tutto il cotone sia transgenico, tutta la soia idem e
se i cocciuti consumatori chiedono le etichette si ricorra al Wto (la
minaccia è stata fatta). Quello che cambia è la scala spaziale e temporale
dell'esperimento: se la natura fa in tempo a correggere gli errori, Wall
Street non aspetta ed esige risultati immediati e globali.

Questo rischio, tra l'altro, non deriva solo dagli Ogm, ma è in genere
associato a tutte le monoculture. Non per caso sono state create e
sparpagliate per il mondo diverse banche di semi, da quelle del riso a
quella delle patate, che conservano gelosamente tutte le varianti prodotte
dall'evoluzione nelle diverse parti del mondo. E' a queste preziose banche
che si è fatto ricorso per aiutare la ripresa dell'agricoltura afgana,
riportando in patria i semi originali, adatti a quelle certe colline e
terreni, e in quegli archivi, non ancora pienamente studiati, giace la
soluzione a molti di quei problemi di fame, produzione aumentata e
maggiore resistenza che vengono citati dagli ambasciatori della Monsanto
come i benefici degli Ogm a favore dei più poveri tra i poveri del mondo.


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questo articolo e` stato inviato via web dal servizio gratuito
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