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(letture) Operazione mato grosso, casino' di Nizza, pizza connection.

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massivan

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Sep 29, 2021, 4:41:44 PM9/29/21
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da "I Siciliani nuovi", marzo 1994

Per quanto riguarda il denaro da riciclare in provenienza dall'Italia,
(v.nostro rapporto 10.6.91), il medesimo apparterrebbe al clan di Silvio
BERLUSCONI.

Gia' si dispone del codice di chiamata (per il trasferimento di denaro
dell'Italia): dovranno unicamente designare una persona di fiducia di
tale gruppo.

Il nome di Berlusconi non deve impressionare piu' di quel tanto poiché
anni fa, segnatamente ai tempi della Pizza Connection, lo stesso era
fortemente indiziato di essere il capolinea dei soldi riciclati.
All'epoca si interessava dell'indagine l'allora giudice Di Maggio, che
era stato anche in Ticino per conferire con l'ex procuratore pubblico
on. Dick Marty».

Il rapporto della polizia cantonale di Bellinzona, graziosa cittadina
del Canton Ticino, è datato 13 settembre 1991, e intitolato:

«aggiornamento Operazioni "ATLANTIDA" e "MATO GROSSO"». Risulta inviato
al comandante della polizia cantonale Mauro Dell'Ambrogio, al
Procuratore Pubblico di Lugano Carla Del Ponte e a quello di Bellinzona,
Jacques Ducry. A firmarlo sono il comandante della sezione "Informazioni
droga" del Canton Ticino Daniele Corazzini e il comandante della polizia
di Bellinzona, Silvano Sulmoni.

Questo delicatissimo documento e' allegato agli atti dell'inchiesta
"Mato Grosso", ferma da diversi mesi alla procura di Lugano. A parlare
per primi del presunto coinvolgimento di Silvio Berlusconi
nell'inchiesta "Mato Grosso", furono i giornalisti del quotidiano
svizzero "L'Altranotizia", che pubblicarono una serie di servizi tra
novembre e dicembre dello scorso anno.

Partendo da quella notizia, abbiamo rintracciato il rapporto della
polizia di Bellinzona, con il suo sconcertante contenuto: Silvio
Berlusconi - o meglio «il clan Berlusconi», come scrivono le autorita'
svizzere - sospettato di essere coinvolto in una grossa operazione di
riciclaggio.

O addirittura, come si legge nel documento, gia' messo sotto inchiesta
in passato per la "Pizza Connection", una gigantesca indagine sugli
affari di grandi boss della mafia turca e siciliana, che intrattenevano
rapporti da un lato con i salotti buoni della finanza svizzera, e
dall'altro con il capo della P2 Licio Gelli (vedi "Avvenimenti"
del 19 gennaio 1994).

"Avvenimenti" aveva gia' documentato, nelle scorse settimane, i rapporti
di antichissima data tra il gruppo Berlusconi, e la Fi.Mo., una
finanziaria svizzera specializzata nella gestione di capitali "sporchi",
e coinvolta nelle indagini sul "cartel" di Medellin; e quei rapporti
erano stati confermati dalle dichiarazioni di Gianmauro Borsano,
presidente del Torino Calcio, ai magistrati che indagano sull'affare
Lentini.

Ma prima di deciderci a scrivere di questa seconda vicenda, riguardante
un candidato al governo dell'Italia, e quindi obbligato a particolari
doti di trasparenza, siamo andati per molte settimane a caccia di
conferme o smentite alle notizie contenute nel rapporto del 13 settembre
1991, firmato da due alti funzionari di polizia e regolarmente inviato a
tutte le autorita' inquirenti.

Abbiamo raccolto tanto le conferme quanto le smentite. Ma prima di
tirare conclusioni, bisogna raccontare una storia. L'incredibile storia
di un finanziere, di un poliziotto, e di una citta' invisibile. La
mattina del 12 giugno 1991 pioveva sul Ticino e sul nord Italia. Il
finanziere ispano-brasiliano Juan Ripoll Mari compose, da Torino, il
numero di un ufficio di trasporti di Chiasso, al confine italo-svizzero.
All'altro capo del filo rispose, in spagnolo, un uomo che saluto'
cordialmente Ripoll Mari. I due si diedero appuntamento per qualche ora
dopo, nell'ufficio di Chiasso.

L'uomo di Chiasso, che Ripoll Mari conosceva come un trasportatore di
pochi scrupoli, era in realta' un agente della polizia cantonale
specializzato in operazioni "undercover", sotto copertura. Dal suo
lavoro erano scaturite molte operazioni contro il grande riciclaggio del
denaro sporco in Svizzera: dalla "Green Ice" alla "Octopus", fino alla
"Lebanon Connection".

A Juan Ripoll Mari, il poliziotto si era presentato come proprietario di
una agenzia di trasporti specializzata nel far passare illegalmente alla
dogana italo-elvetica merci di ogni genere. L'agente infiltrato aveva
mostrato con legittimo orgoglio a Ripoll Mari i suoi furgoncini con
doppio fondo, e i suoi ragazzi pronti a rischiare la galera ad ogni
passaggio di frontiera in cambio di un ottimo stipendio.

Ripoll Mari aveva voluto incontrare molte volte il trasportatore
ticinese prima di affidargli il lavoro. Alla fine aveva deciso di
fidarsi, e i due erano persino diventati amici. La fiducia era molto
importante in quel lavoro, perché non era un lavoro qualunque.
Ufficialmente Ripoll Mari era un grande esportatore di prodotti
dal Sud America: succhi di frutta, blocchi di granito, shampoo vegetale,
aragoste, frigoriferi.

Possedeva una enorme villa a Rio de Janeiro, proprio sotto il Corcovado.
Ed era un amico personale di Leonida Brizola, potente e chiacchierato
governatore dello Stato di Rio. Ripoll Mari, invece, era molto più che
chiacchierato. Da molti mesi poliziotti di vari paesi lo tenevano
d'occhio. Lo consideravano non un trafficante qualsiasi, ma un grande
esperto in tecniche di riciclaggio del denaro sporco.

A lui, secondo le polizie di mezza Europa, si rivolgevano tutti coloro -
imprenditori, mafiosi, politici e narcotrafficanti che avevano necessità
di far uscire dai loro paesi grosse quantità di denaro di provenienza
oscura: dall'evasione fiscale, alle tangenti, fino alla vendita
di droga.

L'opera di infiltrazione, affidata nel dicembre del 1990 allo
specialista della polizia svizzera, procedeva bene. Una sera, a Lugano,
Ripoll Mari aveva parlato all'amico ticinese di un progetto gigantesco:
la costruzione di una intera città, 3000 chilometri a nord di Rio de
Janeiro, nel Mato Grosso.

La citta', aveva raccontato Ripoll Mari, si sarebbe chiamata Nova
Atlantida, e sarebbe stata edificata interamente con i soldi "sporchi"
di una sorta di "consorzio" tra politici brasiliani e soci europei che
avevano bisogno di esportare e investire denaro di provenienza non
confessabile. 3-400 milioni di dollari, per cominciare.

«Il tuo compito - aveva spiegato Ripoll Mari all'agente infiltrato -
sara' quello di trasportare i soldi da Spagna, Francia e Italia in
Svizzera, e di versarli su un conto corrente aperto a Lugano». Il
poliziotto non aveva fatto domande, perche' la discrezione era una delle
qualità che Ripoll Mari apprezzava maggiormente.

Ma quella stessa notte, nell'albergo in cui era alloggiato, aveva
incontrato un suo collega, e gli aveva riferito parola per parola il
discorso di Ripoll Mari. L'operazione era così iniziata ufficialmente.
Era stato un funzionario della polizia svizzera a decidere che si
sarebbe chiamata, in codice, "operazione Mato Grosso".

Ripoll Mari arrivo' a Chiasso intorno alle undici del mattino, e aveva
appena finito di piovere. Si infilo' in un palazzo al numero 45 di Carso
S.Gottardo. L'agente "undercover" gli ando' incontro sulle scale, si
salutarono con una robusta stretta di mano. Rimasero a parlare per
diverse ore, con una sola breve pausa per il pranzo, in un ristorante
poco lontano.

Ripoll Mari annuncio' all'amico che l'operazione stava per partire.
Pazientemente, gli spiego' quali sarebbero stati i codici da utilizzare
per mettersi in contatto con i soci del "consorzio" che in Francia,
Spagna e Italia gli avrebbero fornito il denaro da portare in Svizzera.
Ogni volta,

il trasportatore avrebbe dovuto telefonare a un numero che Ripoll Mari
gli avrebbe comunicato, e pronunciare il suo nome accompagnato dalla
data del giorno in corso. Le istruzioni, cambiavano leggermente da Paese
in Paese. Ai francesi, l'amico di Ripoll Mari avrebbe dovuto dare il suo
nome seguito da giorno, mese e anno. Agli spagnoli il nome e poi l'anno,
il mese e il giorno; agli italiani, infine, giorno, mese, anno e nome.

Ogni volta, gli avrebbero fornito in cambio un indirizzo a cui avrebbe
dovuto recarsi per prelevare il denaro. Poche decine di milioni
all'inizio, per "rodare" la struttura. Poi somme sempre più grosse.
In quella occasione, Ripoll fornì a quello che considerava un suo fidato
collaboratore soltanto i numeri di telefono da contattare in Spagna. Da
laggiù dovevano arrivare, secondo il finanziere brasiliano, circa 100
milioni di dollari. Un controllo, qualche giorno dopo, avrebbe appurato
che quei numeri erano in uso a persone che gravitavano negli ambienti
dell'Eta,

l'organizzazione indipendentista basca. Ma il poliziotto dovette
sforzarsi di non tradire l'emozione quando Ripoll, al ristorante, gli
fece il nome dei componenti italiani del "consorzio": «In Italia -
spiegò Ripoll all'amico - dovrai andare dagli uomini del clan Berlusconi».

E piu' precisamente, aggiunse, dagli uomini di Torino del clan
Berlusconi. Proprio nel capoluogo piemontese, infatti, sarebbe avvenuto
il passaggio del denaro. Nel 1991 Silvio Berlusconi non era ancora un
potenziale leader politico, ma le sue tre reti televisive erano gia'
molto seguite in Svizzera, e l'agente si rendeva conto che quel nome
dava all'inchiesta uno spessore tutto particolare.

Ma lui, da poliziotto, non poteva farci niente. Ma di che razza
di denaro si trattava? Questo l'infiltrato non poteva chiederlo senza
allarmare Ripoll, e infatti non lo fece. Gli bastava sapere che la
commissione che gli sarebbe spettata, su ogni trasporto, era dell'8 per
cento. Il riciclaggio di denaro - in questo a furia di fare l'infiltrato
era ormai un esperto - ha un suo tariffario: il 30 per cento al
"corriere" se si tratta di denaro falso; l'1,5 o il 2 per cento se il
denaro è pulito, ma per qualche ragione il proprietario vuole
trasferirlo da un paese all'altro senza pubblicità.

L'8 per cento e' invece la commissione abitualmente fissata per il
trasporto di denaro sporco: ossia proveniente da traffico di droga,
armi, sequestri di persona; ma forse anche da tangenti, o evasione
fiscale. Denaro "nero" in generale, insomma.

Il finto trasportatore e Ripoll Mari si lasciarono nel tardo pomeriggio.
Ripoll era soddisfatto, l'agente piuttosto eccitato, perché il momento
dell'azione si avvicinava. La mattina dopo, contattò un colonnello della
Guardia di Finanza italiana. L'alto ufficiale lavorava all'ufficio "I",
una sorta di servizio informazioni delle fiamme gialle, che negli
ambienti di polizia e' conosciuto come il "servizio oscuro".

Se il trasporto dei soldi del "clan Berlusconi" da Torino a Lugano fosse
stato intercettato alla dogana di Chiasso, l'intera operazione "Mato
Grosso" sarebbe saltata. Il poliziotto voleva che i colleghi italiani
lasciassero passare il carico senza problemi, come già altre volte era
accaduto.

Il permesso fu concesso, ma a quel punto qualcosa si blocco': gelosie
tra poliziotti, ma soprattutto la presenza di agenti corrotti nel
traffico organizzato da Ripoll Mari, porto' prima a un rallentamento, e
poi al blocco dell'inchiesta. Tutte le carte finirono nell'archivio
della Procura di Lugano, dove "Avvenimenti" le ha rintracciate.

Fin qui la storia dell'operazione "Mato Grosso". Ma il rapporto del 13
settembre 1991 fornisce un'altra fragorosa indicazione: «Il nome di
Berlusconi non deve impressionare più di quel tanto - vi si legge -
poiche' anni fa, segnatamente ai tempi della Pizza Connection, lo stesso
era fortemente indiziato di essere il capolinea dei soldi riciclati.».

Mai in precedenza il nome di Berlusconi era stato affiancato alle
indagini sul gigantesco riciclaggio di narcodollari tra il Sud America,
l'Italia e la Svizzera, conclusasi con due processi - a Lugano e a Roma
- e con una raffica di condanne. Ma c'e' anche da aggiungere che il
rapporto svizzero indica la Pizza Connection soltanto come riferimento
temporale.

E che, oltretutto, gli inquirenti svizzeri tendono a definire come
"Pizza Connection" tutte le indagini sul riciclaggio che riguardino
l'Italia. Fissati questi punti fermi, abbiamo lavorato sulla traccia
offerta dal rapporto della polizia di Bellinzona. Verificando che qui, a
differenza che nella "operazione Mato Grosso", i contorni del presunto
coinvolgimento di Berlusconi sono più sfumati e incerti.

Nel rapporto vengono fatti i nomi di due magistrati «interessati» alle
indagini, l'italiano Francesco Di Maggio, e lo svizzero Dick Marty. Un
funzionario della polizia elvetica, che chiameremo convenzionalmente
A.B., ha detto ad "Avvenimenti": «Nel 1989 Di Maggio stava lavorando
insieme a un colonnello della Guardia di Finanza a una inchiesta sul
casino' di Nizza, ed era inciampato su due nomi illustri, quelli di
Silvio Berlusconi e di un suo amico, ex campione di motonautica, Renato
Della Valle (socio di Berlusconi in "Telepiu'").

La Guardia di Finanza aveva intercettato delle telefonate tra Della
Valle e un certo Macolin, un torinese, in cui si parlava anche di
Berlusconi. Senza informare la magistratura, un corpo di polizia
italiano mise sotto controllo anche i telefoni di Silvio Berlusconi.

Successivamente Di Maggio venne in Svizzera per interrogare un ticinese
che già in passato aveva collaborato con le forze di polizia e che
conosce bene gli ambienti finanziari elvetici e italiani».

L'incontro tra Di Maggio e il collaboratore della giustizia si svolse a
Chiasso, alla presenza di Dick Marty, e fu redatto anche un verbale.
Dick Marty, che ha smesso la toga e oggi fa il deputato al parlamento
svizzero, dice di aver collaborato spesso con l'amico e collega Di Maggio.

«Ma non ricordo questa occasione - aggiunge - e in ogni caso non potrei
parlarne in ossequio al principio della segretezza delle indagini».
Anche Di Maggio - uno dei grandi esperti dell'intreccio tra mafia e alta
finanza milanese - ha smesso di fare l'inquirente e oggi e'
vicedirettore degli istituti di prevenzione e pena. Ricorda l'indagine,
partita dalle intercettazioni sulle utenze di Macolin, e conferma
l'episodio del viaggio in Svizzera: «Interrogammo un testimone a Chiasso
- racconta - e mettemmo a verbale le sue dichiarazioni, che poi
confluirono in una indagine sui casinò».

Di Maggio, pero', smentisce che siano state messe a verbale circostanze
riguardanti Berlusconi. Anche il sostituto procuratore di Roma Aurelio
Galasso, che condusse il troncone italiano dell'inchiesta sulla Pizza
Connection, esclude che il nome di Silvio Berlusconi sia mai finito tra
quello delle persone indagate.

Ricorda pero' che, nel corso di quelle indagini, la Criminalpol di
Milano gli inviò un rapporto in cui si parlava di Silvio Berlusconi e
dei suoi rapporti con Vittorio Mangano, un boss della mafia palermitana
trasferitosi a Milano a metà degli anni '70 ed entrato in contatto con
un gruppo di "colletti bianchi", imprenditori e finanzieri milanesi
particolarmente spregiudicati.

Mangano, che a Milano faceva la bella vita e soggiornava al lussuoso
hotel "Duca di York", rischiava il foglio di via della Questura, a causa
dei suoi precedenti penali e della mancanza di un lavoro che ne
giustificasse la permanenza in Lombardia. Ma trovo' occupazione,
fortunatamente, proprio ad Arcore, come stalliere della scuderia del
cavalier Berlusconi.

Il licenziamento arrivo' solo nel 1980, pochi giorni prima dell'arresto
per traffico di stupefacenti e altri reati. Vecchie e nuove storie, che
si intrecciano attorno all'uomo più discusso - nel bene e nel male - del
momento. Una vecchia storia - la Pizza Connection - un po' vaga e
nebulosa, e una nuova - il "Mato Grosso" - che ha contorni più netti, ma
che si e' fermata su un binario morto proprio nel momento decisivo.

Ma non e' detto che l'inchiesta sui capitali illegali in viaggio tra
Europa e Brasile non possa riaprirsi da un momento all'altro. A Ginevra,
proprio in queste settimane, la polizia cantonale ha ripreso l'indagine
dal punto in cui era stata abbandonata. E nei giorni scorsi il
presidente del tribunale di Rio de Janeiro, Antonio Carlos Amorin, e'
venuto a Roma per incontrare alcuni colleghi italiani e lanciare un
allarme: «il problema principale che abbiamo in questo momento non è il
traffico di droga - ha spiegato Amorin - ma quello di denaro.

Dall'Italia sta giungendo un flusso ininterrotto di denaro sporco. Viene
dalla mafia, dalla grande criminalita' e dalla finanza illegale. Decine
e decine di miliardi di dollari che non transitano attraverso i canali
ufficiali e di cui non si ha traccia presso la Banca Centrale del Brasile.

Arriva nel nostro paese in mille modi, come la droga». L'interesse di
questi misteriosi esportatori di denaro, secondo Amorin, «e' chiaramente
politico. Si finanzia un partito politico, o suoi esponenti, per averne
un ritorno economico quando questi uomini saranno al potere. Piu' o meno
quello che e' accaduto da voi. Sono convinto che per capire la nostra
tangentopoli bisogna prima capire quali sono stati i personaggi
principali e i sistemi occulti della vostra».

Paolo Fusi, Michele Gambino.

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