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il fankazzista romano Stefano Ricucci

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vincent

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May 17, 2005, 3:48:42 AM5/17/05
to
il fankazzista romano Stefano Ricucci

Venerdì scorso ha comunicato alla Consob il raggiungimento del 9,646% del
capitale di Rcs.

Ricucci è ora il terzo azionista singolo del gruppo del Corriere della Sera,
mentre da tempo è anche il primo fuori dal Patto.

Sapeste quanto sono contento!!

Ma non per il fatto che non si sappia (e non si vuole sapere) da dove
arrivino i capitali di Ricucci e nemmeno per questa era di nebbie fitte con
capitali dall'estero che l'hanno fatta franca ritornando per essere
investito nel mercato immobiliare drogando prezzi e affitti.

Nemmeno sono contento per l'immagine che diamo del nostro paese, con un gli
imprenditori che un giorno si' e l'altro pure chiedono agevolazioni al
governo cosi' da potersene andare impunemente ad aprire fabbriche all'estero.
E la Borsa Nazionale dove la fanno da padroni scarpai, magliari e muratorini
(capiscimi amme').

No. Sono contento, per il fatto che questo Stefano Ricucci, malgrado i soldi
he gli girano per le mani, malgrado il Jet Set, l'Anna Falchi di giornata,
la barca e la Costa Smeralda, quando per necessita' o dovere d'informazione
viene ripreso dai fotografi, nella sua fotografia, in ogni ora del giorno o
della notte, non riesca mai a cancellare quella sua faccia da coatto.


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(@ @)
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Aldo Vincent Il Gelataio di Teheran
gela...@hotmail.com


NEWS DALL'IRAN
http://www.ciaoteheran.com


LA VITA E' UNA CASSATA
http://guide.supereva.it/satira

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vincent

unread,
May 17, 2005, 9:03:23 AM5/17/05
to
Ricucci

Ricevo e frwrd:

Vuoi sapere dove pesca i soldi il fankazzista e perchè comperare casa è
diventato un incubo più che un sogno? Leggi l'articolo.

( Ricucci è uno dei pupilli di Fazio che con i tuoi soldi difende
l'italianità delle banche... )

15 Maggio 2005 18:32 MILANO

Il contenuto di questo articolo esprime esclusivamente il pensiero dell'
autore e non necessariamente rappresenta la linea editoriale di Wall Street
Italia, che rimane autonoma e indipendente.

(WSI) - Fino a due anni fa erano (più o meno) emeriti sconosciuti. Oggi sono
l´ombelico della finanza italiana: fanno girare centinaia di milioni di
azioni in Borsa, si scambiano case e palazzi come figurine Panini, sono
l´ago della bilancia nel capitale di quotidiani e grandi banche. Un
eterogeneo gruppo di immobiliaristi tra i 35 e i 45 anni, da Stefano Ricucci
a Danilo Coppola fino a Giuseppe Statuto (per citare i più illustri) ha
chiassosamente invaso il mondo ovattato che fu di Enrico Cuccia. Il loro
segreto? Semplice: quel "carburante" che manca a tante dinastie
imprenditoriali di casa nostra, i soldi. Ne hanno tanti - molti prestati
dalle banche di cui sono soci - e li moltiplicano con apparente facilità.

Il loro patrimonio - calcolando solo quello autocertificato dai tre "big" -
è salito dagli 1,6 miliardi di fine 2001 ai 5,6 del 2005. Periodo in cui il
mattone italiano è cresciuto del 27%. Come hanno fatto? A sentir loro grazie
al fiuto per gli affari. Non sbagliano un colpo, assicurano. Né con gli
immobili - grazie a un mercato che con i tassi bassi vola sfidando la
logica - né in Borsa. Dove all´insegna del mordi e fuggi hanno guadagnato
decine di milioni. Tanto che oggi l´indebitamento dichiarato sarebbe "solo"
di 290 milioni per Statuto, 280 per Coppola e 689 per Ricucci.

Cifre da prendere però con il beneficio d´inventario. Genesi e valore delle
loro fortune, infatti, sono affidati all´agiografia ufficiale. Storie di
imprenditoria fai-da-te alla Ricucci (primo affare a 19 anni su un terreno
della madre, oggi uomo da 1,8 miliardi) o di piccoli imperi familiari
ereditati e fatti fruttare. Ma la realtà è nascosta quasi sempre dietro
finanziarie nei paradisi fiscali. In via di tardivo trasloco - a miliardi
già accumulati - verso la madre patria.

Le radici di queste ricchezze, insomma, affondano nelle sabbie mobili. La
loro lievitazione, invece, ha qualche spiegazione: oltre ai blitz in Borsa
pesa il boom del portafoglio immobiliare. Un po´ si tratta di acquisti,
spesso resi possibili dal rapporto non proprio ortodosso - tra finanziamenti
facili e acrobatici leasing - che li lega al mondo bancario. Poi c´è
l´attività di trading. Una specie di gioco delle tre tavolette, con gli
stessi edifici che passano di mano in mano in tempi stretti moltiplicando
strada facendo il valore. Un valzer di "scambi" - simile a quel festival di
plusvalenze che ha drogato i bilanci della Serie A - di gran moda anche tra
i nuovi "palazzinari". Che lungo questa catena di Sant´Antonio hanno
costruito parte dell´ascesa stellare dei loro patrimoni.

Un caso scuola sono gli 887 immobili ex Enel. Ceduti da Scaroni a Deutsche
Bank e Cdc a maggio 2004 per 1,4 miliardi con 200 milioni di plusvalenza.
Cinque mesi più tardi Luigi Zunino, uno degli immobiliaristi più esperti a
Milano, ne acquista 28 per 223 milioni. Nove finiscono subito a Coppola per
259 milioni. Zunino guadagna 80 milioni (+46%) in 90 giorni con la quotata
Risanamento. E arrotonda il tutto girando a Coppola dalle casseforti
personali altri immobili Enel per 100 milioni. Hanno venduto a troppo poco
Enel e Db o ha speso troppo Coppola? Tutti comunque hanno fatto laute
plusvalenze e Coppola ha "rimpolpato" un po´ il patrimonio di Ipi, quotata
in Borsa.

Stessi protagonisti, altro carosello di guadagni facili. Zunino compra Ipi
da Fiat nel 2003 a 4,7 euro per azione. Due anni dopo Coppola gliene offre 7
(+50%). Ma l´asse tra i due manda in onda un vortice di affari incrociati.
Zunino cede parte dell´area Porta Vittoria a Milano a Coppola per 118
milioni. In tutto ricava dai terreni acquistati due anni prima da Fs 80
milioni di plusvalenze (+110%). Bel colpo, ma non il solo. La Ipi rileva
dall´ex azionista Zunino per 15 milioni la Frala, padrona di un immobile in
Corso Magenta a Milano e di 87 milioni di debiti contratti per acquistarlo
poche settimane prima. Coppola si rifà a Roma dove vende a Zunino qualche
centinaio di milioni di immobili con 70-75 milioni di guadagno.

Un tourbillon d´affari da far venire il mal di testa. Con una costante:
soldi veri che entrano in tasca e patrimoni (con debiti annessi) che si
gonfiano a dismisura. Statuto - forse il più "industriale" nella new wave
del mattone - lo fa ad esempio con un edificio rilevato da Bonifaci in zona
San Marco a Milano e venduto con grandi guadagni dopo rapida
ristrutturazione. Poi offre 230 milioni a Modus (Pirelli Re e Morgan
Stanley) per un palazzo in piazza San Babila a Milano che Modus aveva
comprato due anni prima da Toro. Allora Modus aveva rilevato per la stessa
cifra non solo San Babila ma anche altri cinque immobili di grandissimo
pregio.

Ricucci stesso, che pure ha preso più gusto a giocare in Borsa che sul
mattone, ha costruito parte della sua fortuna su queste operazioni. L´ultima
è una sintesi mirabile dell´evanescenza del valore immobiliare e del
conflitto d´interessi (che in questo caso non riguarda Ricucci) tra
immobiliaristi e banche. A fine 2004 Magiste ha rilevato un edificio in
Piazza Durante a Milano che vanta un´odissea da manuale: iniziata nel ´99
quando la lussemburghese Rovema lo rileva per 20 milioni, con un
finanziamento Fineco Leasing (Bipop) che due settimane dopo lo valuta già il
doppio.

Intanto la stessa Rovema ha firmato un contratto per l´affitto a Bipop a 5,5
milioni l´anno per 18 anni. Riassunto: Rovema paga a Bipop 2,5 milioni
l´anno per il leasing ma incassa dalla banca il doppio per la locazione. Per
l´intera operazione d´acquisto versa 40 milioni a Fineco ma ne incassa da
Bipop 90. Non solo. Bipop paga una ristrutturazione da 40 milioni. Eseguita
da società dell´ex azionista della banca Mauro Ardesi. Che secondo le
ipotesi dei magistrati di Brescia nel 2002 sarebbe stato anche l´azionista
Rovema. Circostanza oggi apparentemente accertata: Magiste ha rilevato la
Rovema a luglio 2004 proprio da Ardesi.

Dove si fermerà questa giostra di soldi facili? Il timore è che vada in
replica lo spettacolo degli anni 80 e 90. Scoppiata la bolla, a pagare il
conto finale dei crac immobiliari sono stati allora banche e risparmiatori.
Qualche segnale preoccupante, dicono gli osservatori, c´è già: tra anomale
fiammate del settore in Borsa e il debutto dei fondi immobiliari aperti al
retail. «Sono strumenti seri e fiscalmente agevolati ma con controlli sui
valori dei beni apportati ridotti - spiega Luca Dondi, dell´Osservatorio
immobiliare Nomisma - E c´è il rischio che a fianco dei tanti operatori seri
arrivi qualcuno a rifilare brutte sorprese al mercato».

I controllori dovrebbero essere le società di certificazione, incaricate di
dare un valore a immobili e terreni. Molte di queste, però, sono le stesse
che in questi anni hanno avallato senza batter ciglio (a suon di salatissime
perizie) questo via-vai del mattone senza logica di prezzo. Un biglietto da
visita che non tranquillizza i risparmiatori.

Mattoni e azioni. Tramontati i raider degli anni 80-90, in strategica
ritirata le grandi famiglie, Piazza Affari si è affidata negli ultimi mesi
ai giovani rampantissimi immobiliaristi di casa nostra per regalare qualche
sussulto ai vecchi salotti di Piazza Affari. E loro - Rcs docet - non hanno
deluso le attese. Foraggiati a piene mani dalle banche di cui sono
azionisti, i tre "big" del settore - Stefano Ricucci, Danilo Coppola e
Giuseppe Statuto - hanno investito sul listino in tempi relativamente brevi
2,1 miliardi di euro. Una cifra che vale la metà del loro patrimonio e che
li ha messi in prima linea su tutte e tre le partite più calde della
primavera finanziaria: Bnl, Antonveneta e Rcs. In due di questo casi (Bnl e
Rcs) schierati accanto a un "decano" del mattone come Francesco Gaetano
Caltagirone, che forte di 1,4 miliardi di liquidità non ha avuto necessità
di affidarsi a pegni o prestiti per puntare sulla Borsa. E in tutte le
occasioni (salvo l´enigma Ricucci in Rcs) sul fronte di quelle banche con
cui, come azionisti o clienti d´oro, hanno intrecciato le loro fortune e i
reciproci interessi negli ultimi anni.

La contiguità tra i nuovi palazzinari e un certo mondo
imprenditorial-bancario è fotografata nitidamente dalla relazione della
Consob sul "concerto" in Antonveneta. Popolare Lodi ha bisogno di alleati
cui affidare l´onere della scalata? Non c´è problema. Si prendono i mezzi
della banca (vale a dire i depositi dei clienti) e li si presta a
controparti di fiducia. Nelle settimane della scalata alla banca padovana -
spiega la Consob - l´esposizione di Fiorani con Coppola (entrato al 2% nella
banca) è aumentata da 75 a 450 milioni. Utilizzati nelle consuete vorticose
partite di giro per rastrellare azioni Antonveneta per la causa, incassare
plusvalenze, pagare degli immobili di Luigi Zunino (entrato a sua volta nel
capitale di Padova) e restare in parte nell´azionariato della banca.

I crediti di Lodi verso Ricucci - azionista all´1,77% di Lodi e rimasto
fuori dal concerto - sono saliti da 160 a 450 milioni. «Non li ho usati per
Antonveneta», ha detto il numero uno della Magiste. Ma visto quello che è
successo in Rcs si può forse capire dove siano andati a finire quei soldi.
Se la fotografia della Consob fosse estensibile a tutte le avventure
azionarie dei palazzinari emergenti, il loro ruolo sembrerebbe quello di
"prestanome" di lusso, teste di ponte da far sbarcare in azionariati
difficili, da remunerare a suon di plusvalenze oppure con prestiti e leasing
facili quando si tratta di fare affari immobiliari.

Negli ultimi tempi del resto non sono mancati né i guadagni in Borsa né la
possibilità di qualche lucroso blitz sul mattone. Quando Ricucci - un po´ la
stella polare degli immobiliaristi sul fronte azionario - ha iniziato la sua
carriera di raider in Borsa nel 2002 con il blitz in Capitalia («Ricucci
chi?», disse allora un non lungimirante Cesare Geronzi) ha speso 36 milioni
con le azioni costituite in pegno dalla Lodi (di cui all´epoca controllava
il 4,9%). Soldi ben investiti, visto che dall´avventura in Capitalia Ricucci
è uscito un anno dopo con 130 milioni di guadagni. L´appetito però vien
mangiando.

E Ricucci & C. hanno preso gusto alla roulette di Piazza Affari. In Bnl sono
entrati tutti, compresi Statuto e Coppola, nel 2003. Lasciando un po´
d´azioni in pegno a Fiorani (vicino al governatore Antonio Fazio, a sua
volta schierato con gli immobiliaristi anche sul fronte di via Veneto) e
aiutati da due altri nomi ricorrenti nell´intreccio banche-mattone: Bim (di
cui Coppola è azionista) e Meliorbanca (che ha tamponato le perdite
dell´ultimo bilancio grazie alla vendita della sede milanese al suo ex-socio
Ricucci). Lo stesso Coppola ha dato in pegno il 65% di Ipi a Bim. E per
finanziare la scalata agli ex immobili Fiat ha ceduto sei palazzi in leasing
per 210 milioni a Bipielle Leasing (Pop. Lodi) e Banca Italease, società
delle popolari. I nomi sui possessi dei pacchetti azionari, insomma, sono
quelli dei nuovi re del mattone.

Ma i soldi, e molto spesso anche gli interessi, sono quelli delle banche che
li tengono in quota. Forse con l´eccezione degli investimenti di Coppola
sulla Roma e di Ricucci sulla Lazio, in cui i due sono riusciti a coniugare
la fede calcistica con un´operazione di marketing con un´altra fetta del
mondo del credito (in quel caso Capitalia).

Resta il fatto che i blitz dei nuovi palazzinari, finora, hanno dato buoni
ritorni: a parte quelli "garantiti" in Antonveneta, Ricucci, Coppola e
Statuto hanno plusvalenze potenziali per 400 milioni complessivi anche sulle
loro quote in Bnl (300 ne ha quella vecchia volpe di Caltagirone). E
Ricucci - che in portafoglio, segno dei tempi, ha anche un po´ di titoli
Mediobanca - ha accumulato un bel po´ di guadagni anche sulla sua scalata al
"Corriere della Sera". Su cui nelle ultime sedute sarebbe stato affiancato
da Statuto.

L´avventura dei palazzinari del terzo millennio in Borsa, insomma, è
riuscita a coniugare l´utile - vale a dire gli interessi di un "retroterra"
finanziario di riferimento che si è infilato negli spazi lasciati liberi
dalla vecchia Mediobanca - con il dilettevole di laute plusvalenze. Buone da
monetizzare se (e quando) scoppierà la bolla immobiliare. Se non si sarà
riusciti per tempo a lasciare il cerino sul fronte del mattone in mano alla
Borsa, ai risparmiatori o a quelle stesse banche cui in fondo fino a oggi i
re del mattone hanno dato una bella mano.

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Aldo Vincent Il Gelataio di Teheran
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