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Se l’Occidente non vuole perdere credibilità, deve trattare Israele come Russia e Hamas

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pirex

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Oct 26, 2023, 3:36:55 PM10/26/23
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Esteri
Se l’Occidente non vuole perdere credibilità, deve trattare Israele come
Russia e Hamas

Se l’Occidente non vuole perdere la propria credibilità,
lo stesso comportamento che ha adottato con l’Ucraina deve adottarlo
su Gaza.
Altrimenti non risulterà mai più credibile.
Nessuno, nel sud del mondo, ascolterà più l’Occidente.
di Giulio Gambino

26 Ott. 2023 alle 09:33 - Aggiornato il 26 Ott. 2023 alle 11:06
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Le parole del presidente degli Stati Uniti Joe Biden immediatamente
successive all’attacco del 7 ottobre rivelano la complessità dinnanzi alla
quale Israele si trova.
L’offensiva di terra a Gaza sottopone gli israeliani al giudizio della
Storia.
L’azione militare che ne deriverà potrà infatti risultare decisiva per
sconfiggere definitivamente Hamas sul campo, ma potrebbe non essere
sufficiente a sradicare del tutto il terrorismo e l’ideologia che lo
anima.

Ce lo insegna innanzitutto, a proposito di storia, la sfortunata (per
usare un eufemismo) campagna militare Usa in Afghanistan cominciata nel
2001, determinatasi in seguito a una rapida e piuttosto impulsiva
decisione post-attacco dell’undici settembre.


Intanto Biden – che si è recato in visita in Israele nel giorno successivo
l’attacco all’ospedale di Gaza costato la vita a 500 persone (la cui
responsabilità e portata effettiva delle vittime sono ancora da
verificare) – ha garantito il sostegno di Washington a Netanyahu, ma ha
anche invitato quest’ultimo ad analizzare a fondo tutte le possibilità e a
ponderare le conseguenze di una eventuale, simile risposta letale contro
Gaza. A non ripetere, insomma, gli stessi errori compiuti dagli Usa dopo
l’attentato alle Torri Gemelle.

In realtà la risposta di Netanyahu, appellandosi al diritto
internazionale, è iniziata da un pezzo: a fronte delle 1.400 vittime
israeliane accertate, in poco più di due settimane la campagna a “bassa
tensione” di Israele (in attesa dell’invasione) ha causato la morte di
4.651 palestinesi, tra cui quasi 2.000 bambini.

Se il tema, dunque, è il diritto di Israele a difendersi, quest’ultimo
parrebbe ampiamente essere già stato colmato.

A meno che non si parli di ottenere una vendetta fine a se stessa, più che
una vera giustizia, e in quel caso ciò preluderebbe a una tragedia di
lungo termine, dalle dimensioni devastanti, tali per cui a Gaza rischia di
avvenire una pulizia etnica.

Del resto il diritto di Israele a difendersi non può non tenere conto del
fatto che le punizioni collettive, come il blocco di carburante, acqua,
cibo, elettricità, e il prendere di mira indiscriminatamente i civili
costituiscono crimini di guerra contro il diritto internazionale, come
emerge da un report di 44 pagine del Centro per i Diritti Costituzionali
americano.

Israele è da sempre il maggior beneficiario dell’assistenza finanziaria e
militare Usa, per un importo pari a 158 miliardi di dollari sin dalla
fondazione dello Stato ebraico nel 1948. La scorsa settimana un alto
funzionario del Dipartimento di Stato americano si è dimesso dal suo
incarico, citando la continua fornitura di armi letali da parte del
governo Usa a Israele.

Non a caso l’amministrazione degli Stati Uniti ha suggerito a Israele di
posticipare quanto più possibile l’invasione di terra, nella speranza di
“comprare” tempo prezioso per la negoziazione degli ostaggi e al fine di
permettere che nuovi e più sostanziosi aiuti umanitari possano essere
consegnati ai circa due milioni di palestinesi intrappolati e isolati
nella Striscia.

Mentre Usa e Qatar mediano, tanto sugli ostaggi quanto su una possibile
risoluzione, l’Europa sta a guardare (tanto per non sbagliare) senza
riuscire a elaborare una propria politica, strategia, mediazione. Ma il
coinvolgimento di Hezbollah in Libano, e quindi dell’Iran, insieme alle
immagini che giungono dalle piazze musulmane in diversi Paesi arabi a
favore della causa palestinese, riaccendono il dibattito sulla necessità
di indagare ulteriormente la soluzione dei due popoli – due Stati.
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Le due parti moderate – la democrazia sana di Israele da un lato e l’ala
progressista dei palestinesi dall’altro – potranno tornare a dialogare
nella speranza di emarginare le due correnti più estreme e radicali di
ambo le parti, entrambe tra l’altro rispettivamente detestate dagli
israeliani e dai palestinesi illuminati?

Vale infatti la pena di ricordare che in Terra santa, sullo sfondo di un
odio tra due fazioni estreme e radicali che vogliono solamente
distruggersi a vicenda, non c’è un buono e un cattivo. Non c’è giusto ma
solo sbagliato tra chi ha costantemente gettato benzina sul fuoco, e mai
domato le fiamme, di questo conflitto che va avanti da circa ottant’anni.

Un importante diplomatico italiano, sotto richiesta di anonimato, tempo fa
paragonò la guerra tra la Russia (una dittatura guidata da un tiranno
spietato) e l’Ucraina (uno fra i Paesi con il più alto tasso di corruzione
al mondo) a quella fra Camorra e ‘Ndrangheta, non per le loro similitudini
ma per evidenziarne le rispettive carenze democratiche nonostante i due
Paesi, in modo diverso e distante l’uno dall’altro, si richiamino alle
modalità e prassi consoni a una democrazia.

«È difficile oggi per gli Stati Uniti – conclude Marc Lynch, professore di
Scienze politiche e Affari internazionali alla George Washington
University – conciliare la tutela e la promozione del diritto
internazionale a difesa dell’Ucraina aggredita dalla Russia con una
noncurante insensibilità degli stessi principi a Gaza». Se gli Usa
vogliono essere l’arbitro del mondo, se davvero incarnano la “leadership
americana che tiene il mondo insieme”, allora la stessa durezza applicata
nei confronti delle atrocità russe in Ucraina e a quelle di Hamas in
Israele deve essere applicata a quelle commesse da Israele a Gaza.

Se l’Occidente non vuole perdere la propria credibilità, lo stesso
comportamento che ha adottato con l’Ucraina deve adottarlo su Gaza.
Altrimenti non risulterà mai più affidabile (e invero già traballa molto
la sua percezione, proprio per il suo proverbiale doppio standard).
Nessuno, nel sud del mondo, ascolterà più l’Occidente. Nessuno crederà più
alla favola dell’“Al-lupo, Al-lupo!”, chiamando in ballo la sicurezza e la
stabilità internazionale.

In Terra santa ci sono due popoli le cui legittime cause, israeliana e
palestinese, rivendicano il proprio sacrosanto diritto ad esistere. Oggi
l’Occidente, e in particolare l’Europa, paga il prezzo della propria
incapacità ad aver trovato, o tentato di trovare, una soluzione. Sono oggi
sufficientemente maturi i tempi perché questi due popoli possano convivere
fra loro?

Giulio Gambino, 1987. Fondatore e direttore di The Post Internazionale
(TPI.it)

<https://www.tpi.it/opinioni/occidente-perdita-credibilita-israele-hamas-202310261049904/>

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