Il 23/01/23 11:28, Giorgio Pastore ha scritto:
Non è che io stia appiattendo tutto sulla questione burocratica, sei tu
che vedi la burocrazia come un dente doloroso da togliere il prima
possibile e non pensarci più, mentre io cerco di mostrarti che, piaccia
o no, la burocrazia è parte integrante del nostro vivere in società ed è
necessario imparare ad accettarla come componente della quotidianità.
Mentre l'azione di verifica dell'identità può essere tutta
> l'azione (caso dell'identificazione da parte di un agenete di polizia) o
> una parte importante (caso della verifica dell' identità in un cocorso o
> un esame in cui il candidato sia ignoto a tutti i membri della
> commissione), nel caso in questione, rilevante in questo NG, la parte
> burocratica è stata già espletata i) al livello di iscrizione e ii) al
> momento in cui sia stata registrata una decisione ufficiale della scuola
> di accettare la corrispondenza tra le generalità anagrafiche e l'alias.
Ti piacerebbe...
Io ho fatto l'esempio del professore universitario, ma non è che col
professore scolastico cambi moltissimo. L'unica cosa che cambia è che è
molto meno probabile che l'alunno voglia falsificare l'identità.
Quando ti trovi con due o tre classi nuove, non ci credo che fin dal
primo giorno sei in grado di riconoscere tutti gli studenti e capire se
quando fai l'appello sta rispondendo realmente la persona che chiami.
Posso credere, questo sì, che comunque tu non chieda documenti. Ma non
perché non ce ne sia bisogno. Non li chiedi perché farlo sarebbe
scomodo, lungo, e alla fine chi se ne importa: scegli di fidarti e te ne
assumi la responsabilità. Così come, non di rado, il professore
universitario verbalizza senza guardare il libretto.
Alla fine, di solito, tutto funziona regolarmente anche se i controlli
"burocratici" sull'identità non si fanno. Ma funziona perché,
potenzialmente, quei controlli potrebbero essere fatti. Il solo rischio
di essere scoperti e subire conseguenze penali permette di dissuadere
eventuali truffatori.
Ma nel momento in cui tu vai a togliere quella possibilità, anche solo
teorica, nel momento in cui basta dire "sono transgender" per esimersi
dal dover mostrare la propria vera identità, si crea un problema.
> Pretendere che non sia possibile farlo invocando l'analogia con la
> declinazione delle generalità ad un agente di polizia è senza una base
> razionale.
>
La base razionale c'è.
Semmai potrai obiettare che, di fatto, è decisamente improbabile che
furti di identità avvengano in età scolastica. Ma quello è un altro
discorso.
> ....
>> Ma i contesti in cui si usano i soprannomi sono quelli in cui si vuole
>> essere considerati per ciò che si dice o si scrive, non per chi si è.
>> Questa è l'essenza del soprannome.
>
> Anche dei diminutivi. Hai da obiettare all' uso dei diminutivi nel caso
> della scuola di infanzia? E risalire dal diminutivo alle generalità
> anagrafiche può essere impossibile (come si chiama veramente la bambina
> Lina?).
>
La scuola dell'infanzia non è un diritto-dovere.
E' la scuola dell'obbligo che segna il vero ingresso del bambino nel
mondo della società, e non di rado è proprio in questa occasione che la
stessa Lina viene a sapere qual è il suo vero nome.
Dopo di che, la maestra, se vuole, la potrà continuare comunque a
chiamare Lina.
Ma il discorso "non deve interessarti il mio vero nome, tu chiamami xyz"
a scuola semplicemente non è applicabile. Può essere applicabile quando
fai un'ordinazione al bar, o quando prenoti un tavolo al ristorante. Non
a scuola.
>>
>> Viceversa, quando si è parte attiva in una società in quanto
>> cittadino, e si stanno assolvendo i propri doveri o usufruendo dei
>> propri diritti, allora l'identità diventa importante: se ti presenti
>> dal notaio per acquisire il patrimonio di cui hai diritto, è perché
>> sei l'erede, non perché hai detto cose belle e simpatiche. E' questo
>> il motivo per cui il notaio ti chiede il documento e io no. Lo stesso
>> vale quando vai a votare e presenti la tessera elettorale.
>>
>> La scuola è per molti la prima occasione di partecipazione alla società.
>
> Quindi stai sostenendo che la vita sociale è fatta solo da fiirme di
> contratti ed aaltri passi formali?
Innanzi tutto non ho affatto detto "solo". Ho detto "anche".
E poi non ho parlato di "vita sociale" ma di "società" cioè di
un'organizzazione strutturata, basata su diritti e doveri.
La vita sociale può essere anche semplicemente uscire con gli amici e
andare al cinema, e in quei contesti puoi farti chiamare come vuoi.
Visione un po' appiattente se
> riferita allaa vita scolastica. Ma non mi meraviglio della posizione. In
> altre epoche la cuola era equiparata ad una caserma. Evidentemente
> quell' impostazione ha lasciato il segno.
>
Non è che in quelle epoche ci fosse più burocrazia di quanta ce ne sia
adesso, anzi, semmai è il contrario: molto era lasciato all'arbitrio
dell'insegnante. L'idea che il voto del professore sia insindacabile
(un'idea che la burocrazia attuale, con le sue griglie di valutazione e
"scartoffie" varie, cerca di scardinare), risale proprio a quell'epoca.
Quindi il tuo tentativo di una reductio ad hitlerum è un po' debole.
>> non so quale sia la posizione di Gennaro, ma ti posso dire
>> tranquillamente la mia: secondo me il sesso propriamente detto, nella
>> specie umana, è immutabile. La cosiddetta "collocazione di genere",
>> invece, altro non è un insieme di stereotipi allo stato puro. Quindi
>> questa sì, è mutevole, ma talmente mutevole, vaga e indefinibile che
>> la stessa distinzione tra "cisgender" e "transgender" è priva di
>> senso. Se proprio dobbiamo dare delle etichette, possiamo benissimo
>> concludere che siamo tutti genderfluid non binary e buona notte.
>>
>> Ma ammesso che qualcuno non lo sia, spiegami che cosa caspita glie ne
>> dovrebbe fregare al professore, o al notaio o al fruttivendolo.
>
> Anche il color dei capelli è un fenotipo ben determinato (e peraltro
> riportato nella carta di identità). Posto che ci sia stata
> un'identificazione della persone, che gliene frega al professore o al
> notaio o al fruttivendolo se uno coi capelli neri si sente più a suo
> agio tagliandoli a zero o colorandoli di biondo, fucsia o altro?
Dei capelli? Direi assolutamente niente.
E altrettanto vale per la collocazione di genere.
Dell'identità di cittadino, invece, un bel po'. E' questo il punto. Alla
segreteria, tanto quanto alla portineria, che non può certo fare entrare
a scuola chiunque passi per strada, e al professore che non può fare
entrare alunni di altre classi. Ognuno ha la sua fetta di
responsabilità, e se pensi che tutta la questione burocratica
sull'identità sia risolta una volta per tutte dalla segreteria e non
riguarda il professore, ti illudi.
E
> infatti nessun contratto è stato mai annullato per difformità del colore
> dei capelli. La collocazione di genere non è molto diversa. Ma siccome
> va a toccare una sfera sensibile per molti, suscita maggiori reazioni.
> E prima che mi fai l'obiezione ovvia, stiamo parlando di qualcosa che
> non si fa con la stessa facilità del colorarsi i capelli ma che passa
> per procedure ufficiali codificate (e burocratizzate).
>
Non so quale sarebbe l'obiezione ovvia a cui ti riferisci, né a cosa ti
riferisci esattamente quando dici di una cosa che si possa fare o non
fare con facilità.
Se parli di operazioni di chirurgia plastica, sono possibili solo dopo i
18 anni.
Comunque non vedo che cosa c'entri la facilità.
> Per chiarire fino in fondo il mio pensiero, io non ho elementi per
> sostenere che le carriere alias siano o no una cosa buona. Però trovo
> scorretto che qualcosa che dove è stata implementata è passata per un
> analisi delle molte sfaccettature del problema per quanto riguarda le
> finalità della scuola, sia banalizzata ad un "occorre osservare le
> regole". Frase apparentemente oggettiva ma realmente ipocrita.
>
Rilevare possibili incoerenze con regole che di certo non sono campate
per aria è qualcosa che rientra nell'analisi delle molte sfaccettature
del problema.
> Quindi, se tu o Gennaro avete argomenti "contro", basati su motivi
> psico-pedagogici, sono disposto ad analizzarli, discutere e anche
> modificare il mio punto di vista. Se le motivazion sono di altro tipo,
> prendo atto della differenza di punti di vista e li rispetto, ma non
> posso accettare che siano vendute come verità assolute.
>
I motivi esposti sono di natura "burocratica", e la burocrazia non è
un'opinione, ma, al contrario, serve proprio a sgomberare il campo da
questioni di opinione.
Per quanto mi riguarda, ti posso anche dare, senza alcuna ipocrisia, dei
motivi psico-pedagogici. A mio parere, è fortemente diseducativo
abituare il bambino a confondere l'apparenza e le impressioni personali
con la realtà dei fatti. Non che è mettendoti le ali diventi un'aquila,
né a forza di strisciare per terra diventi un serpente, né facendo una
vaginoplastica diventi una donna, perché essere donna è qualcosa di
molto più complesso e profondo che avere qualcosa che sembri una vagina.
E se sei maschio ma ti piace giocare con le bambole, non vuol dire che
hai un'indole femminile e presto dovrai iniziare un percorso di
transizione di genere, ma vuol dire semplicemente che sei un maschio a
cui piace giocare con le bambole.