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Intervista (mozzafiato) a Pasquale Panella: de mediocritas.

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Amos

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Mar 15, 2000, 3:00:00 AM3/15/00
to
E' con tanti auguri....che lancio questa (da alcuni già conosciuta)
'tremenda' intervista al funambolico autore dei testi dell'ultimo Lucio: nel
senso che consiglio vivamente agli insonni, ai malati di cuore ed ai
semplici di cuore...di lasciare perdere, di non leggerla, di passare oltre.
Posso invero proporre la lettura del 'cantattore' (non c'è errore) Pasquale
Panella agli uomini di provata capacità digestiva e a coloro che si muovono
sempre ai confini di questo turpe mondo dello spettacolo, lontano cioè da
quella mediocrità di cui si narra qui sotto.

Marco "Amos" Sicco.


Intervista tratta da "Lucio Battisti - Al di là del mito"
Alfonso Amodio, Mauro Ronconi ARCANAeditrice, 1999, Padova. Pagg. 133 - 146


INTERVISTA
A
PASQUALE
PANELLA


L'incontro con Battisti è stato casuale oppure un desiderio dello stesso di
seguire un percorso musicale e sonoro predeterminato? Cosa vi siete detti
all'inizio della collaborazione?

PP Niente, niente, lui non sapeva che cosa gli sarebbe capitato e basta.
Non sapeva nulla di quello che gli sarebbe capitato, assolutamente nulla.


La tua autonomia artistica in questo progetto?

PP Direi pericolosamente più che totale. Guarda, una cosa è avere la
libertà di fare quello che ti pare, un’altra cosa la libertà di fare pure
quello che pare all’altro o che non pare o che non sa.

E convinzione generale che il vostro era un rapporto abbastanza atipico,
ovvero il tuo era uno scrivere quasi su commissione...

PP No, assolutamente.

Questo è quello che la critica specializzata ha sempre detto...

PP Non mi pare che l’abbiamo detto, sono considerazioni personali,
figurati, non sapevano né lui né i discografici, nessuno sapeva che cosa
sarebbe successo, che cosa si sarebbe fatto. Brodo mio.

Ma tu conoscevi il contesto musicale in cui andavano a finire le tue
liriche?

PP A me non è mai importato nulla della musica. La considero, essendo
purtroppo delle canzoni, un incidente da adoperare, da sopportare. Vedi,
quando licenzio un testo, praticamente è come, se gli dicessi “Vai, vai puoi
andare, speriamo che ti rovinino il meno possibile”. Ovviamente non posso
che affermare un valore assoluto del testo che viene poi relativizzato dalla
musica. La musica relativizza, relativizza proprio nel senso della
relazione: mette in relazione il testo avulso o assurdo, crea le relazioni
tra il testo e crea la possibilità di ascoltarlo, crea il principio dell’
ascolto, è un principio di ascolto. Crea l’equivoco di essere, da parte del
pubblico, di poter permettersi il lusso di ascoltare. Perché permettersi il
lusso? Perché la canzone tu te la prendi inaspettatamente, mentre invece un
libro te lo cerchi o la poesia, o un testo, te lo cerchi; la canzone in
fondo attraverso la mediazione della musica ti consente di dare quella
presunta finta libertà di credere che la parola si attenga alla natura,
ossia, tu te la possa vedere davanti come un albero, come le foglie, come la
frutta. Capita perché è naturale, spontaneo che fruttifichi oppure fiorisca.
Perché la canzone te la prendi inaspettatamente, non la cerchi, accendi la
radio, mentre la poesia te la cerchi. Ecco, su questo equivoco si fonda il
principio di mediocrità della canzone cioè nel fatto che è mediocre e
stupida come la natura, perché la natura è stupida: ha delle ricorrenze
idiote: a primavera fiorisce, poi più avanti fruttifica, è idiota, ripete
sempre le stesse cose, e la canzone imita la stupidità della natura. Difatti
vedi le ricorrenze: Disco per l’Estate, Sanremo... ricorrono in date precise
come la natura, imitano la natura e tu naturalmente te le trovi davanti così
come di notte ti attraversa un riccio inaspettatamente, mica hai
appuntamento con il riccio. Sai che proverai quel piccolo brivido, o
piacere, oppure timore, oppure repulsione nel caso che tu lo schiacciassi e
scendessi a vedere, così com’è. Tu te la trovi davanti, è un accidente che
capita sempre secondo un calcolo delle probabilità di tipo assolutamente
naturale.

Perché ti hanno sempre considerato una specie di sovversivo della parola? Un
destabilizzatore della canzone?

PP Perché entravo in salotto con i piedi sporchi, nel loro salottino
normale, mediocre. Entravo e gli scombinavo la tranquillità, la famiglia. Le
canzoni si sa, si ricordano perché durante quell’ascolto noi ci incontriamo,
ma per quell’ascolto che ci separò, mai. Ecco, la canzone è quella cosa
narcotica, tranquillizzante, calmante, familiare. Quando per famiglia si
intende la famiglia di Gava, di Fanfani. La canzone italiana è quello. Vuoi
conoscere gli autori delle canzoni italiane, vuoi sapere chi sono? Di
Gava-Fanfani.

La famosa canzone democristiana...

PP Esatto, la canzone italiana è democristiana.

Sai, quello che è stato additato come un aspetto negativo, è che le vostre
canzoni non si potevano cantare, non c’erano emozioni in quanto era tutto
antiemozionale...

PP Le emozioni erano già date, quindi.

Altra critica è che l’ermetismo di Panella giocasse sull’ignoranza del
pubblico.

PP Giocare con l’ignoranza lo trovo un bell’esercizio. Non ci trovo niente
di male nel giocare con le teste, come se fossero palle, questa cosa va
bene, va bene giocare e che uno si prenda le proprie responsabilità: se uno
è imbecille, anche la palla di per sé è idiota, infatti vedi il calcolo. La
palla è sempre presa a calci perché è idiota, è rotonda, rotola; l’
imbecillità è così perché è una rotondità. L’imbecillità è rotonda come una
palla: quella rotondità che presume di essere l’assoluto, lo sferico, come
nel calcio. In realtà nel calcio la palla è il mediocre, cioè questa cosa
che come la tocchi cammina, per pura inerzia, perché è mediocre, la
solleciti e si sposta. I giocatori, in fondo, che cosa fanno? La spostano
dalle sue direzioni, dalle direzioni che prenderebbe per inerzia e la
forzano nella rete, questo è stupendo, cioè i calciatori prendono a calci il
pubblico, quando prendono a calci le sue mediocrità, ecco qual'è, in fondo,
la mediocrità degli avversari.
La mediocrità dell’avversario è presumere di poter vincere... Allora l’altro
cosa fa? Quella mediocrità te la sposta nella sua porta e cerca di batterti.
Com’era l’altra domanda?


Che le canzoni non si potevano cantare.

PP Quando cominciai pensai tra me e me che era il momento di dare una voce
alla lingua, una voce a una lingua cantata assolu-tamente deficiente, cioè
mancante di tutto, salvo che di questa aurea di mediocrità di tipo
familiare. Per il resto mancava di tutto, cioè aveva tutto in seno a questa
famiglia democratico cristiana di ‘Italietta’ e mancava di tutto il resto, e
allora mi proposi di togliere le mie parole, non la canzone, le mie parole,
dalla bocca dei pianisti di piano bar e dalla bocca degli aziendalisti di
città.
Questi tipi che con la chitarrella sul pullman, andando a fare i deficienti
a Chianciano Terme, cantassero le mie canzoni, per favore no! La vera
canzone è incantabile! Il vero canto lo puoi ambire, lo puoi vagheggiare, ma
non cantare; il vero canto, salvo che tu non sia lacerato, non sia in
pericolo di morte, non sia al limite della vita: allora sì, puoi cantare. Se
sei Omero puoi cantare, se sei un lettore di Omero, leggi Omero, non canti,
per favore non cantare. Il pubblico ascolti, è così, cosa si canta in gita?
Tutto ciò che può essere cantato in gita non è canto, è passatempo. È
chilometraggio, è attesa di scendere e andare a farsi le acque, attesa di
scendere a urinare. È questo, non un canto.

E la volontà di eliminare i testi dalle note di copertina?

PP L’errore fu che Battisti le cantò. Se non le cantava noi volevamo
fermarci a Le cose che pensano, fine. Parliamoci chiaro, la buona verità è
che io detti quei testi a Battisti con la speranza che li rifiutasse,
purtroppo non li rifiutò. È la verità, giuro che è la verità.

È più facile scrivere versi per una canzone oppure semplicemente versi?

PP È più stupido scriverli per una canzone, non c’entra la facilità,
parliamoci chiaro. Chi scrive, o perlomeno io che scrivo, trova molto facile
scrivere e questo è offensivo per chi magari trova molto più faticoso
battere i chiodi, però scrivere deve essere facile. Scrivere per le canzoni
è più noioso, quindi in questo senso è più faticoso, è più noioso, più
stupido, perché la canzone ha per esempio dei rigor mortis metrici, dei
rigori di morte metrica assolutamente ridicoli. La canzone se parte in 4/4 è
inevitabile che quel 4/4 ritorni modularmente. Io a Battisti gli preparavo
delle trappole metriche che lui probabilmente nemmeno stava lì a calcolare
mentre stava a cantare. Infatti quegli inciampi di cui parlano vengono da
quelle trappole messe ad arte. Ma la canzone, essendo modulare, avendo un
tempo da rispettare, un tempo che inevitabilmente deve essere ripetuto
metricamente, è assolutamente basica, assolutamente minima, mediocre. La
metrica per canzone è una metrica cantilenante.

Perché la metodologia di lavoro è stata completamente diversa da DON
GIOVANNI in poi, ovvero, di solito si scrive prima la musica e poi ci si
adatta il testo...

PP Sì.

Ma da DON GIOVANNI in poi è successo l’esatto contrario.

PP In DON GIOVANNI ho adattato le parole alle parole, perché io
musicalmente avverto, prendo la griglia, cercando di dimentica-re la
melodia, prendo la partitura ritmica e su quella cerco di adattare teoriche
parole alle parole, che però possono essere pronunciate nel rispetto di
quella partitura, quindi è molto meno paradossale di quanto si creda quello
che prima ho detto, cioè applicare le parole alla parole, molto meno
paradossale, perché esiste una parola di tipo espressivo, una grande cupola
espressiva che poi deve essere applicata a un piccolo condominio ritmico, e
quelle che saranno le parole definitive, devolute al canto.

1l disco più laborioso che avete fatto, quello cha ha richiesto più fatica
da parte di Pasquale Panella?

PP No, nessuno, erano tutti monotonamente possibili.

La tua collaborazione con Battisti era terminata con HEGEL oppure c’era in
progetto almeno un altro capitolo?

PP No, la mia collaborazione, ti garantisco, terminò con Le cose che
pensano. Ogni disco che facevo pensavo che fosse l’ultimo, mi pronunciavo
pure in tal senso e addirittura, come succede in certe gags televisive mi
esprimevo dicendo: “Questo è l’ultimo”. La cosa veniva interpretata come il
progetto per il prossimo, cioè se io per esempio dicevo “È l’ultimo disco”,
mi si diceva “Ah! Che è, il titolo del prossimo?”. O come quando ti dicono
“Sei qui, cosa ci canti?”. “Me ne vado”. “Come? Non andartene. ". “Ma è il
titolo”, queste cose miserabili insomma.

Quali dischi porterebbe sulla classica isola deserta Pasquale Panella?

PP I dischi volanti.

Intendevo canzoni per nutrire lo spirito.

PP Mah, se proprio fossi obbligato ad andare su un’isola deserta con la
pistola alla nuca, perché ci manderei chi me lo chiede su un’isola deserta,
ce lo manderei con i dischi del grande, unico cantante italiano, Sergio
Bruni.
È l’unico che sa cosa vuoi dire far capire come tutto sia inconcepibile. Per
esempio, pur avendo delle canzoni molto semplici come Il mare che inizia con
una battuta piuttosto perentoria, perché inizia con “Dalla bianca e lucente
scogliera”. È l’unico che prima di quella “D” ci mette una serie vocalica da
far paura. È pre-testuale! Conosce il pre-testo, più che il testo, tutto
quanto viene prima, come quando io dico non sono poeta, sono pre-poeta,
vengo prima del poetico; il poetico che cosa sarebbe, perché vengo prima?
Perché il poetico è quando il pubblico sente due parole messe in rima e
dice: “Oh, hai fatto una poesia”. Io non sono quello, io sono pre-poetico,
prima di sistemarla in versi, di tipografarla, di rimarla, perché sia
passabile, perché sia affabile, perché sia cantabile, io vengo prima di
concludere l’affare con me stesso, prima di mettermi sulla carta e di
confrontarmi con la carta. Prima di dare alla carta qualcosa di concepibile,
comprensibile, plausibile, amabile, tranquillizzante, mediocre. La poesia,
quando la scrivi, è mediocre; prima no, quando la scrivi è mediocre. Il
poeta che si cerca la rima, la rimetta, è mediocre; il poeta che cincischia
con le metriche, le più azzardate anche, le più scapestrate, è mediocre;
scende a patti con il falegname, con il manovale, ossia con i suoi colpi di
martello, che lui non può permettersi e allora ricorre a quei preziosismi
ridicolamente ‘ritic’, che non sono poi né l’incudine nè il martello, questo
è, quindi sono pre-poetico.

E allora la definizione del concetto ‘canzone’ quale potrebbe essere?

PP Per me, e quindi solo per me, e quindi secondo me, ossia in me, solo per
me la canzone è la voce dell’intimità, cioè tutto quanto tu diresti nell’
intimità, tua nell’intimità più profonda, l’intimità più scabrosa, l’
intimità più cocente, l’intimità più amorosa, l’in-timità più... l’intimità
più languente. Quella per me è canzone. Per gli altri è tutta la maldicenza
su quell’intimità, quella è canzone. Il pettegolezzo su quell’intimità è
canzone. Fuori di me, ossia nella canzone propriamente data, propriamente
nota. Per me , invece, la canzone è l’intimo, sono le parole dette a un
orecchio solo, io l’ho sempre detto, pure in un pezzo di Pappalardo, il
pubblico dei dischi è uno solo, sei solo tu, e cominciai ad avere dei coiti
con l’orecchio della spettatrice. Questo è canzone, è fornicare con l’
orecchio della spettatrice, sapendo benissimo che ci hai già fornicato.

E quei quattro minuti in cui nasce e muore la creatività, il senso supremo
della canzone di cui tu hai sempre sottolineato l’importanza?

PP Devo essere spagnolesco, devo essere incredibile, non credibile, devo
essere non credibile, ma sono quei quattro minuti in cui tu veramente nasci
e muori e ne hai la sensazione. Scrivere quella cosa, in quel momento lì,
nel momento in cui la inizi a scrivere, sai che stai nascendo poi sai che
stai vivendo, poi la finisci e sai che sei morto. Ed è vero, è talmente vero
quanto può sembrare ipocrita e incredibile dirlo; è tanto vero quanto può
sembrare ipocrita e falso, è tanto vero quanto può sembrare falso. Tanto
vero quanto può sembrare falso. Tanto pare falso, tanto è vero. Lascio
questa condanna a chi leggerà o ascolterà.

E la parola come mezzo evocativo...

PP La parola non evoca, la parola non evoca nulla, ecco perché la storia
delle ‘emozioni’.

L’ho fatto per vedere se eri coerente, sapevo giù la risposta.

PP Io non parlo di emozioni, io sono l’emozione, questo è il punto. Non
esiste parlare di emozioni, è ridicolo, ma ti rendi conto, il pubblico ti
chiede “Parlami di emozioni?!” Ma che, sei un commerciante? In cosa tratti?
Tratto in emozioni, ti parlo di emozioni. Io sono l’emozione. Un’altra cosa
che detesto è la speranza. Quando dico che una canzone è nascere e poi
morire, una canzone, quello che scrivi, un romanzo , qualsiasi cosa, per me
è nascere e poi morire. Io non posso dire cosa significa la mia canzone,
perché dovrei? La canzone significa me, la mia vita, la mia morte, non posso
dire cosa significa, sarebbe di cattivo gusto, non parlerei con rispetto,
perché parlerei da morto, ma dire che cosa significhi una canzone, chiunque
è capace di risponderti: Sai, parla di questo e quest’altro”, cioè ti dicono
c’è speranza; è questo l’errore, io non parlo di speranza, io sono la
speranza, questo è un pezzo mio, capito? Io non parlo di emozioni io sono
emozioni o sono zero. O sono l’emozione o sono niente, non parla l’emozione:
io sono la speranza o sono niente, non parlo della speranza né la do; non c’
è la speranza, ci sono io, ma la speranza no.

Secondo te Battisti è stato un’artista coraggioso in questa linea di
demarcazione netta con il suo passato?

PP Guarda, a tutti, al passato, al presente di allora, ai discografici, ai
commercianti, al pubblico, conveniva che io esistessi, a tutti. lo sono
stato persino la loro convenienza, conveniva a tutti. Conveniva a tutti che
io facessi i miei comodi, meglio di così non potevo vivere, facevo i miei
comodi con la convenienza di tutti, era l’unica cosa, è stato il mio piacere
di andare a stuprare il commercio, ho violentato il commercio, loro moglie,
l’ho violentato nel senso che è ovvio: ovvero che un detto mito della
canzone a un certo punto non poteva comunque che essere in relazione con il
commercio. Quel commercio l’ho violentato da turco in Italia.

Un turco romano.

PP E ho fatto i miei comodi tra le cosce del commercio, senza nemmeno
provocare, senza nemmeno entrare in un sospetto di punibilità, perché loro
credevano che gli fosse conveniente tutto questo, perché era giusto quello
che gli serviva per richiamare un passato, per tenere vivo il presente. Loro
non assistevano che come voyeur ai miei accoppiamenti.


Da qualche parte ho letto una frase: “La creatività deve andare di pari
passo con la libertà di accrescere l’arte, se si oltrepassa questo confine
la si perde, gli obblighi la soffocano”, come la commenti?

PP Sono tutti astratti. Arte e libertà hanno poco a che spartire. L’arte
non esiste, esistono dei tentativi, delle espressioni ,deì referenti
oggettivi, sculture, quadri, pagine. Non esiste l’arte così come non esiste
la libertà, è assurdo che uno pensi questo. Questa è una frase che va a
soddisfazione di quelle ambizioni mediocri di una persona mediocre che
vorrebbe che tu risolvessi i suoi problemi teorici parlando di arte e
libertà, accoppiandole, come se due astratti, due fumi, potessero
accoppiarsi; questo dà molto il senso dell’impotenza di chi pensa cose del
genere, perché praticamente si vagheggia l’accoppiamento di due non esseri:
l’arte e la libertà.
Le nuvole e il vento possono accoppiarsi e sono abbastanza evanescenti,
insomma sono uno soffio e l’altro vapore; ecco, arte e libertà lo sono
ancora meno, è un accoppiamento nel segno dell’impotenza di consumarlo. Arte
e libertà è una consumazione del fatto.

Uno dei più grandi scrittori dì canzoni pop contemporanei, Paddy Mc Aloon ha
scritto: “Le parole sono treni sui quali allontanare ciò che in realtà non
ha nome”, cosa ne pensi?

PP Questa purtroppo è una definizione molto impressionistica da una parte e
promozionale dall’altra. Quando entra la figura del treno nelle metafore
siamo sempre nell’impressionismo un po’ dozzinale: i treni e la notte, i
treni... Anche io li ho citati i treni, distraendoli dalla loro presunzione
impressionistica, ne ho fatti dei treni con i binari ribaltabili (La metro,
I ritorni, ecc.), ma credo che uno che faccia canzoni, probabilmente per
giustificare i propri guadagni, non possa che dire una cosa del genere. E
molto prevedibile, giustifica bene i guadagni della persona che l’ha
pronunciata, nello stesso tempo timida e modesta. Insomma non vuole far
conoscere il proprio conto in banca questo qui, parliamoci chiaro.

In chiusura, torniamo a Battisti, una definizione ultimativa del vostro
rapporto.

PP Con Lucio ho fatto incontrare, ‘piovere dal cielo’, la voce con la
lingua. Ho insinuato il dubbio che fosse un genere a sé. Questo vale per
tutte le canzoni, perché, ricordati, le canzoni non hanno nulla a che vedere
nè con la musica né con la poesia.

Fabrizio Miletto

unread,
Mar 15, 2000, 3:00:00 AM3/15/00
to
> Ma tu conoscevi il contesto musicale in cui andavano a finire le tue
> liriche?
> PP A me non è mai importato nulla della musica. La considero, essendo
> purtroppo delle canzoni, un incidente da adoperare, da sopportare. Vedi,
> quando licenzio un testo, praticamente è come, se gli dicessi “Vai, vai
puoi
> andare, speriamo che ti rovinino il meno possibile”.

Ecco, da queste parole bisognerebbe detestare Panella.
Poi ascolto i suoi testi e mi ricredo.
Questo artista è ben superiore a quest'uomo.

> Ovviamente non posso
> che affermare un valore assoluto del testo che viene poi relativizzato
dalla
> musica. La musica relativizza, relativizza proprio nel senso della
> relazione: mette in relazione il testo avulso o assurdo, crea le relazioni
> tra il testo e crea la possibilità di ascoltarlo, crea il principio dell’
> ascolto, è un principio di ascolto.

Qui tenta di salvarsi in extremis.
Non so se ci riesce.

> Crea l’equivoco di essere, da parte del
> pubblico, di poter permettersi il lusso di ascoltare. Perché permettersi
il
> lusso? Perché la canzone tu te la prendi inaspettatamente, mentre invece
un
> libro te lo cerchi o la poesia, o un testo, te lo cerchi; la canzone in
> fondo attraverso la mediazione della musica ti consente di dare quella
> presunta finta libertà di credere che la parola si attenga alla natura,
> ossia, tu te la possa vedere davanti come un albero, come le foglie, come
la
> frutta. Capita perché è naturale, spontaneo che fruttifichi oppure
fiorisca.
> Perché la canzone te la prendi inaspettatamente, non la cerchi, accendi la
> radio, mentre la poesia te la cerchi.

O non ha mai ascoltato una canzone di Lucio
(improbabile, visto almeno Don Giovanni),
oppure le ha ascoltate, e si nasconde
dietro il pretesto di non cercarle.

> Ecco, su questo equivoco si fonda il
> principio di mediocrità della canzone cioè nel fatto che è mediocre e
> stupida come la natura, perché la natura è stupida: ha delle ricorrenze
> idiote: a primavera fiorisce, poi più avanti fruttifica, è idiota, ripete
> sempre le stesse cose, e la canzone imita la stupidità della natura.

Mai mi sarei aspettato queste banalità da un Panella.

> Perché ti hanno sempre considerato una specie di sovversivo della parola?
Un
> destabilizzatore della canzone?
> PP Perché entravo in salotto con i piedi sporchi, nel loro salottino
> normale, mediocre.

I salotti che allora compravano i bianchi e che ora leggono il Foglio:
della serie "sputare nel piatto dove si mangia".

> Ecco, la canzone è quella cosa
> narcotica, tranquillizzante, calmante, familiare. Quando per famiglia si
> intende la famiglia di Gava, di Fanfani. La canzone italiana è quello.
Vuoi
> conoscere gli autori delle canzoni italiane, vuoi sapere chi sono? Di
> Gava-Fanfani.

Altri florilegi di banalità.
Irriconoscibile, davvero.

> Che le canzoni non si potevano cantare.

> Questi tipi che con la chitarrella sul pullman, andando a fare i


deficienti
> a Chianciano Terme, cantassero le mie canzoni, per favore no! La vera
> canzone è incantabile! Il vero canto lo puoi ambire, lo puoi vagheggiare,
ma
> non cantare; il vero canto, salvo che tu non sia lacerato, non sia in
> pericolo di morte, non sia al limite della vita: allora sì, puoi cantare.
Se
> sei Omero puoi cantare, se sei un lettore di Omero, leggi Omero, non
canti,
> per favore non cantare. Il pubblico ascolti, è così, cosa si canta in
gita?
> Tutto ciò che può essere cantato in gita non è canto, è passatempo. È
> chilometraggio, è attesa di scendere e andare a farsi le acque, attesa di
> scendere a urinare. È questo, non un canto.

si parte dal disprezzo della plebe
per arrivare a considerazioni
che non si possono che condividere.
Qui torna a piacermi.

> E la volontà di eliminare i testi dalle note di copertina?
> PP L’errore fu che Battisti le cantò. Se non le cantava noi volevamo
> fermarci a Le cose che pensano, fine. Parliamoci chiaro, la buona verità è
> che io detti quei testi a Battisti con la speranza che li rifiutasse,
> purtroppo non li rifiutò. È la verità, giuro che è la verità.

Andiamo Pasquale, se Lucio non avesse cantato i tuoi testi
Amos si sarebbe mai scomodato per trascriverti?

> È più facile scrivere versi per una canzone oppure semplicemente versi?
> PP È più stupido scriverli per una canzone, non c’entra la facilità,
> parliamoci chiaro.

La terza banalità in poche righe.
Bravissimo.

> Chi scrive, o perlomeno io che scrivo, trova molto facile
> scrivere e questo è offensivo per chi magari trova molto più faticoso
> battere i chiodi, però scrivere deve essere facile. Scrivere per le
canzoni
> è più noioso, quindi in questo senso è più faticoso, è più noioso, più
> stupido, perché la canzone ha per esempio dei rigor mortis metrici, dei
> rigori di morte metrica assolutamente ridicoli. La canzone se parte in 4/4
è
> inevitabile che quel 4/4 ritorni modularmente. Io a Battisti gli preparavo
> delle trappole metriche che lui probabilmente nemmeno stava lì a calcolare
> mentre stava a cantare. Infatti quegli inciampi di cui parlano vengono da
> quelle trappole messe ad arte. Ma la canzone, essendo modulare, avendo un
> tempo da rispettare, un tempo che inevitabilmente deve essere ripetuto
> metricamente, è assolutamente basica, assolutamente minima, mediocre. La
> metrica per canzone è una metrica cantilenante.

Mediocre è chi non riesce ad uscire dalla monotonia della forma canzone.
Lucio ci è riuscito ben prima di conoscerti.
Fare vanto delle "trappole" è veramente puerile,
anche perché Lucio è riuscito a trasfigurarle
come solo lui sapeva fare.

>
> Ma da DON GIOVANNI in poi è successo l’esatto contrario.
>
> PP In DON GIOVANNI ho adattato le parole alle parole, perché io
> musicalmente avverto, prendo la griglia, cercando di dimentica-re la
> melodia, prendo la partitura ritmica e su quella cerco di adattare
teoriche
> parole alle parole, che però possono essere pronunciate nel rispetto di
> quella partitura, quindi è molto meno paradossale di quanto si creda
quello
> che prima ho detto, cioè applicare le parole alla parole, molto meno
> paradossale, perché esiste una parola di tipo espressivo, una grande
cupola
> espressiva che poi deve essere applicata a un piccolo condominio ritmico,
e
> quelle che saranno le parole definitive, devolute al canto.

Qui siamo all'oltraggio di persona che non si può più difendere.

> Intendevo canzoni per nutrire lo spirito.
>
> PP Mah, se proprio fossi obbligato ad andare su un’isola deserta con la
> pistola alla nuca, perché ci manderei chi me lo chiede su un’isola
deserta,
> ce lo manderei con i dischi del grande, unico cantante italiano, Sergio
> Bruni.

[taglio]


>. Io non sono quello, io sono pre-poetico,
> prima di sistemarla in versi, di tipografarla, di rimarla, perché sia
> passabile, perché sia affabile, perché sia cantabile, io vengo prima di
> concludere l’affare con me stesso, prima di mettermi sulla carta e di
> confrontarmi con la carta. Prima di dare alla carta qualcosa di
concepibile,
> comprensibile, plausibile, amabile, tranquillizzante, mediocre. La poesia,
> quando la scrivi, è mediocre; prima no, quando la scrivi è mediocre. Il
> poeta che si cerca la rima, la rimetta, è mediocre; il poeta che
cincischia
> con le metriche, le più azzardate anche, le più scapestrate, è mediocre;
> scende a patti con il falegname, con il manovale, ossia con i suoi colpi
di
> martello, che lui non può permettersi e allora ricorre a quei preziosismi
> ridicolamente ‘ritic’, che non sono poi né l’incudine nè il martello,
questo
> è, quindi sono pre-poetico.

Qui Panella torna Panella, e si riscatta.

> Secondo te Battisti è stato un’artista coraggioso in questa linea di
> demarcazione netta con il suo passato?
>
> PP Guarda, a tutti, al passato, al presente di allora, ai discografici,
ai
> commercianti, al pubblico, conveniva che io esistessi, a tutti. lo sono
> stato persino la loro convenienza, conveniva a tutti. Conveniva a tutti
che
> io facessi i miei comodi, meglio di così non potevo vivere, facevo i miei
> comodi con la convenienza di tutti, era l’unica cosa, è stato il mio
piacere
> di andare a stuprare il commercio, ho violentato il commercio, loro
moglie,
> l’ho violentato nel senso che è ovvio: ovvero che un detto mito della
> canzone a un certo punto non poteva comunque che essere in relazione con
il
> commercio. Quel commercio l’ho violentato da turco in Italia.

Ma quel commercio l'ha violentato tutto da solo?

> Un turco romano.
>
> PP E ho fatto i miei comodi tra le cosce del commercio, senza nemmeno
> provocare, senza nemmeno entrare in un sospetto di punibilità, perché loro
> credevano che gli fosse conveniente tutto questo, perché era giusto quello
> che gli serviva per richiamare un passato, per tenere vivo il presente.
Loro
> non assistevano che come voyeur ai miei accoppiamenti.

Qui torna sincero e si smaschera.
Dopo emette parecchia aria fritta,
ma ci piace così.


.
> PP Con Lucio ho fatto incontrare, ‘piovere dal cielo’, la voce con la
> lingua. Ho insinuato il dubbio che fosse un genere a sé. Questo vale per
> tutte le canzoni, perché, ricordati, le canzoni non hanno nulla a che
vedere
> nè con la musica né con la poesia.

Conclude così, anfibio come sempre.

Grazie Amos, è stato molto istruttivo!

Ciao, Fabrizio

Amos

unread,
Mar 16, 2000, 3:00:00 AM3/16/00
to
Fabrizio Miletto ha scritto nel messaggio <

>Andiamo Pasquale, se Lucio non avesse cantato i tuoi testi
>Amos si sarebbe mai scomodato per trascriverti?

Devo ammettere che Panella l'ho scoperto attraverso tre diverse vie,
indipendenti l'una dall'altra:
Malamore di Carella, Le cose che pensano, e Serenata di MInghi (oltre infine
a Blu):
io preferisco di gran lunga il binomio con Lucio (ma anche con Carella č
grande),
anche perchč io sono innamorato specialmente della voce di LB,
e tutto questo ha sicuramente favorito, come tu dici, il mio interesse per
la prosa di Pasquale,
comunque non escludo che avrei potuto riscontrare la sintonia che sento
anche attraverso altri canali.


>Mediocre č chi non riesce ad uscire dalla monotonia della forma canzone.
>Lucio ci č riuscito ben prima di conoscerti.
>Fare vanto delle "trappole" č veramente puerile,
>anche perché Lucio č riuscito a trasfigurarle


>come solo lui sapeva fare.

non sono del tutto in disaccordo con queste ultime osservazioni, perchč in
effetti mi sembra di notare che LB sguazzava con entusiasmo all'interno di
quelle trappole, e che egli stesso stendeva melodie ed armonie assai
imprevedibili e non scontate.


>Qui siamo all'oltraggio di persona che non si puň piů difendere.

non capisco come fai a sostenere una cosa simile: qui P. sta solo esponendo
il suo modo di comporre i testi


>Conclude cosě, anfibio come sempre.
>Grazie Amos, č stato molto istruttivo!

Grazie a te per l'attenzione: io sto solo cercando di chiarire il piů
possibile ciň che veramente č,
del resto.....lo scopriremo solo vivendo :-)

Amos

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