Il 23/09/20 21:26, Massimo Soricetti ha scritto:
> Non si è veramente adulti finché non si vedono chiaramente i limiti e le mancanze dei propri genitori?
E i pregi :-)
Per non vederli troppo quando non ci sono più che è come seppellirsi
insieme :-)
Oppure si può essere adulti sani ed equilibrati anche mantenendo quella
fede nell'infallibilità genitoriale che si aveva in loro da bambini?
No, serve un equilibrio. Se la "normalita" o la giusta adultitudine è
avere un senso di realtà adeguato, direi che c'è una visione oggettiva
dell' adulto-genitore. Insomma bisogna farci pace. E se non si può
perchè gli errori sono troppi (capita) o non si riesce ad elaborare i
rancori, scegliere la strada degli ammortizzatori. La distanza è un'
opzione abbastanza "sana".
Se no resta pur sempre l'analisi..Trovando "chi" nel bailamme da circo
che c'è là fuori.
> Per me il passaggio di vedere i loro difetti (e di capire che li pativo sulla mia pelle tutti i giorni) è stato importante: non mi sarei mai dato da fare, altrimenti, per farmi strada nella vita in prima persona. Ma quanto c'è di mio personale, in questo passaggio, e quanto di universale?
E', imho piuttosto universale, dicono gli antropologi. In tutte le etnie
esiste un rito di passaggio dall' adolescente all' adulto. Che ti
mettano in una capanna sudatoria o ti sbattano alla catena di montaggio.
In questo caso è un rito socialmente mediato (pure sindacalmente! :-D )
ma non meno rito.
Comunque, per quel che vedo io se non ci fai pace, la distanza è il modo
più attivato, più giustificato/bile e che chiede meno scontro.
Per strano che sembri vale anche per socialità molto chiuse e
regolamentate. Metti il tizio che vive al paesello sul gennargentu e si
trova educato, limitato, condizionato da tutto un contesto di regole non
scritte, contesto del quale il padre fa parte, spesso pure come vittima.
O ci fa pace o se ne va.