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Fare i genitori ai genitori

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Nightwisher

unread,
Sep 29, 2007, 11:20:24 AM9/29/07
to
Ciao a tutti, dopo un po' di assenza per cause di forza maggiore.
Vorrei parlare della questione "fare i genitori ai propri genitori".
E' un sentimento comune secondo voi? Sto riflettendo che la una grossa
fetta dei miei amici più cari si sono trovati, vuoi per divorzi o
altre sciagure, a "fare i genitori ai propri genitori", sobbarcandosi
sulle spalle magari un fratello più piccolo, placando le crisi di
mancanza di autostima di un genitore divorziato piuttosto che i deliri
di un genitore con problemi, mettiamo, di salute mentale. Questo
magari già a 15 anni, e così via. Mi sono convinto che questo genere
di esperienze facciano sì maturare, ma possano anche lasciare una
volontà di affetto che gli altri non capiscono, superiore. Magari
anche un maggiore idealismo. Fatto sta che le persone "genitori dei
genitori" riesco a riconoscerle, e a beneficiare della loro grande
umanità. Del loro idealismo di principi ma anche del loro pragmatismo
nell'affrontare la quotidianità. Io sono in grado di apprezzarle,
eppure per molti sono indifferenti. Magari non sono abbastanza "fighi"
con i principi che hanno duramente dovuto imparare dalla vita? Oppure
perché non hanno potuto parcheggiarsi all'Università fino a 27 anni
uscendo tutte le sere e i weekend, magari senza avere nemmeno fatto il
minimo lavoro? A volte penso che queste situazioni siano un po' tabù,
e la gente spesso nemmeno si cura di approfondire le situazioni
personali di ognuno: ma come fanno? Sembra che per loro la sofferenza
non sia mai esistita: è così? Ma come si fa a non commuoversi in certe
situazioni? Sì, è uno sfogo, ma non di una mia situazione: riguarda
persone a cui voglio bene (cosa rara di questi tempi?). Domanda
ulteriore: la psicologia tratta di questi casi di genitori ai
genitori? E' un fatto positivo e che fa maturare o negativo che ti
tirerà sfighe e snobbaggini altrui per tutta la vita?
Grazie e scusate per le polemiche (ma ci volevano proprio stavolta!)

MrAlfa - Fernando Bellizzi

unread,
Sep 29, 2007, 1:59:34 PM9/29/07
to
Il Sat, 29 Sep 2007 08:20:24 -0700, Nightwisher
<ciarame...@gmail.com> hai scritto:

>Ciao a tutti, dopo un po' di assenza per cause di forza maggiore.
>Vorrei parlare della questione "fare i genitori ai propri genitori".

E' cosa molto frequente, specialmente nelle famiglie dove i genitori
sono tossicodipendenti.

>magari già a 15 anni, e così via. Mi sono convinto che questo genere
>di esperienze facciano sì maturare, ma possano anche lasciare una
>volontà di affetto che gli altri non capiscono, superiore. Magari

Io sono cresciuto abbastanza presto, essendo morat mia madre quando
avevo 11 anni.
Anche io sono stato responsabilizzato abbastanza presto perchè
comunque il genitore superstite uno era e non poteva sdoppiarsi più di
tanto (malgrado si fosse triplicato per quella - comune - reazione che
il genitore solo tende a fare per 5 invece che per due).
Io a 12 anni ho imparato a cucinare dato che - per necessità - mi ero
rotto di mangiare a pranzo la fettina fredda cucinata - amorevolmente
- alle 6 del mattino prima che andasse al lavoro: un giorno ho deciso
che potevo riscaldarmela, poi - evoluzione della specie - ho anche
realizzato che se potevo scaldarla, potevo anche cuocerla.

>anche un maggiore idealismo. Fatto sta che le persone "genitori dei
>genitori" riesco a riconoscerle, e a beneficiare della loro grande
>umanità. Del loro idealismo di principi ma anche del loro pragmatismo
>nell'affrontare la quotidianità. Io sono in grado di apprezzarle,

COme si dice, chi fa da sè, fa per tre! :)

>Sembra che per loro la sofferenza non sia mai esistita: è così?

Tieni presente che un conto è leggere una cosa, ed un conto è viverla.
E' difficile calarsi nell'esperienza altrui se non la si è vissuta,
però allo stesso tempo è possibile proprio perchè non avendola vissuta
di persona gli stati emotivi non modificano l'esperienza.

> Ma come si fa a non commuoversi in certe situazioni?

Aspetta: non tutti vanno mendicando commozione dall'altro. Si possono
anche ricevere complimenti!!! :)))))))))))))))))))

>>ulteriore: la psicologia tratta di questi casi di genitori ai
>genitori?

Si.

>E' un fatto positivo e che fa maturare o negativo che ti
>tirerà sfighe e snobbaggini altrui per tutta la vita?

Non è una formula matematica, per cui 2+2=4.
E il fatto che dallo psicologo arrivino i "casi problematici" non vuol
dire che "tutti" siano problematici: i non problematici non vanno
dallo psicologo.
Non è solo un elemento che determina la problematicità, ma possono
essere tanti.

>Grazie e scusate per le polemiche (ma ci volevano proprio stavolta!)

Spero che l'oggetto della polemica non sia nessuno di coloro che qui
scrivono, e che tu sia, eventualemtne, consapevole di ciò! :)
--
Fernando Bellizzi
"Nulla è vero o falso, ma è il pensarlo che lo rende tale" [Sheakespeare]
"L'uomo dice che il tempo passa; il tempo dice che l'uomo passa"

Brixina

unread,
Sep 29, 2007, 3:35:55 PM9/29/07
to
Nightwisher wrote:
> Ciao a tutti, dopo un po' di assenza per cause di forza maggiore.
> Vorrei parlare della questione "fare i genitori ai propri
> genitori". E' un sentimento comune secondo voi?

A volte ti ci trovi dentro senza rendertene conto. Nel senso che
può arrivare una richiesta di aiuto dagli stessi genitori, alla quale
non sai dire di no.
A me è successo tra l'infanzia e la primissima adolescenza.
Mia madre chiedeva il mio aiuto, sotto diversi punti di vista,
e io glielo davo.
Il guaio è che io avevo bisogno di rassicurazioni che invece non avevo..
e non è che mi abbia fatto bene tutto questo e il bello è che
me ne sono resa conto quasi 20 anni dopo..


--
Fermati Piero, fermati adesso
lascia che il vento ti passi un po' addosso
dei morti in battaglia ti porti la voce
chi diede la vita ebbe in cambio una croce (F.De Andrè)


Vincenzo Del Piano

unread,
Sep 29, 2007, 5:07:44 PM9/29/07
to

"Nightwisher" <ciarame...@gmail.com> ha scritto nel messaggio
news:1191079224.3...@d55g2000hsg.googlegroups.com...

> [cut] Mi sono convinto che questo genere


> di esperienze facciano sì maturare, ma possano anche lasciare una
> volontà di affetto che gli altri non capiscono, superiore. Magari

> anche un maggiore idealismo. [cut]


> E' un fatto positivo e che fa maturare o negativo che ti
> tirerà sfighe e snobbaggini altrui per tutta la vita?

Tu sembri certo che l'aver dovuto fare da genitore a un genitore comporti
"buone cose".
Io non sarei tanto ottimimista: imho, se una persona ha dovuto fare da
genitore a un genitore, vuol dire che *è stata costretta* a crescere in
fretta; e (imho?) quando uno è costretto a qualcosa, non si sa se ciò
produrrà maggiori capacità, oppure genererà rancori e quella sensazione per
la quale "il mondo è in debito" con lui.
E si tratta di una sensazione potenzialmente *distorcente* ogni relazione
interpersonale ... che può riempirsi di "richieste di risarcimento".
E' peraltro possibile che accada ciò che dici tu (nè ho motivo di dubitarne
*in assoluto*): "crescere in fretta" (e verificare di saperci fare) può
significare potenziamento dell'autostima e delle capacità di autonomia; può
comportare fiducia nelle proprie capacità organizzative; può promuovere
spirito di iniziativa ... e "persino" creatività!

Messa così la cosa ... la risposta degli altri dipende da *come appare* la
persona cresciuta in fretta che ha fatto da genitore a un genitore: imho, se
appare "collaborativa" (per maturità e capacità di relazione) ... chi
avrebbe motivo di lagnarsene, o di provare risentimento? o spocchia?
Se invece (... come è possibile ...) appare egocentrica, o rivendicativa, o
"decisionista"/(autoritaria) ... le riserve altrui su quel modo d'essere
possono apparire a loro volta giustificate.
I M H O ...


> Sì, è uno sfogo, ma non di una mia situazione: riguarda
> persone a cui voglio bene (cosa rara di questi tempi?).

Per fortuna, non è proprio "fuori moda" voler bene a qualcuno! :-)))
E, se si vuol bene a una persona matura (e pure precocemente! :-)) ...
chissenefregherebbe anche di una eventuale moda!


> Domanda ulteriore:
> la psicologia tratta di questi casi di genitori ai genitori?

Certo: pur non dandone questa definizione/descrizione che ne dai tu, ne
tratta ogni volta che pone interesse sui processi evolutivi.
E (in alcuni casi ...) pone attenzione anche alla possibilità che la vicenda
produca una "sensazione di onnipotenza" che non sarebbe male-in-sè, ma può
"rendere complicata" la serena (e necessaria) accettazione dei *ruoli*, che
passa (essa accettazione) anche attraverso l'esperienza della *dipendenza*.
Essere stati sia pur costretti alla autonomia e alla indipendenza e alla
autosufficienza, può (solo può!) "far mancare" l'esperienza del <<non mi
basto>>: ed è -imho- un'esperienza *necessaria*.

...
Infine ... :-))) ... c'è una circostanza curiosa al riguardo del <<fare il
genitore a un genitore>>.
Per quanto possa apparire paradossale, IMHO, ci si trova *tutti* a <<fare da
genitore a un genitore>>, anzi ... al genitore dell'altro sesso!
Ciò avviene (imho *ordinariamente*) per via della dinamica edipica, nel
periodo in cui essa dinamica è nella fase nella quale -essendo stati visti
vani tutti gli sforzi di seduzione condotti con le proprie iniziative ...-
ci si rassegna ad imparare <<come si fa>> emulando il genitore dello stesso
sesso ... del quale *si sa* che ce la fa, ad accaparrarsi le attenzioni del
suo-coniuge!
Ora ... se -per es. "io"- avessi voluto emulare mio padre (per fregargli
mamma! :-))) ... avrei potuto conoscere di lui le *modalità paterne* che
egli esprimeva nei miei confronti (e non certo quelle maritali, che
esprimeva nei confronti di sua-moglie!): emulando lui, sarei finito con
proporre nei confronti di mia mamma atteggiamenti *da padre* ... e (pur con
un intento seduttivo ... sigh!) sarei finito con <<fare il padre a mamma
mia>>.


> Grazie e scusate per le polemiche
> (ma ci volevano proprio stavolta!)

... non ho capito qual sia "la polemica" :-))
Comunque ... ciao!
--
Vincenzo

MrAlfa - Fernando Bellizzi

unread,
Sep 30, 2007, 4:04:38 AM9/30/07
to
Il Sat, 29 Sep 2007 23:07:44 +0200, "Vincenzo Del Piano"
<vinc...@hyle.it> hai scritto:


>Io non sarei tanto ottimimista: imho, se una persona ha dovuto fare da
>genitore a un genitore, vuol dire che *è stata costretta* a crescere in
>fretta; e (imho?) quando uno è costretto a qualcosa, non si sa se ciò
>produrrà maggiori capacità, oppure genererà rancori e quella sensazione per
>la quale "il mondo è in debito" con lui.

E tutte e due no? :)
Il fatto che uno sia costretto però secondo me ha molto dell'ideale.
Anche quando nasciamo siamo costretti ad uscire dal grembo materno, ma
è necessario. Tutti siamo stati costretti ad andare a scuola, e penso
che ogni giorno molti si sentono costretti ad andare al lavoro, etc
etc.

>E si tratta di una sensazione potenzialmente *distorcente* ogni relazione
>interpersonale ... che può riempirsi di "richieste di risarcimento".

Questo perchè c'è la rabbia sull'ipotetica ingiustizia subita. Ma
questo succede anche a quei fratelli maggiori che si sentono
rimpiazzati dal fratello\i più piccoli.

Io mi ricordo che a scuola (5a elementare), essendo da poco deceduta
mia madre, provavo quel senso di inadeguatezza e di vergogna nei
confronti degli altri bambini, ed ovviamente scoppiavo a piangere ogni
volta che si nominavano in qualche modo le mamme: fu un drammone aver
perso la mamma a marzo e tornare a scuola mentre fervevano i
preparativi del lavoretto per la festa della mamma! Ricordo che alzai
la manina e chiesi alla maestra "ma che lo faccio a fare?"
Ricordo che la poverina uscì dalla classe e tornò con la suora e si
misero entrambe a dirmi che potevo comunque farlo per lei. Alla fine
si arrivò al compromesso che avrei potuto portarlo alla nonna.

La sensazione di disagio venne anche mitigata da altre situazioni
simili alla mia che finora non avevo compreso: c'era un altro bambino
che aveva perso la mamma, solo che il papà si era risposato. E scoprì
che altri bambini non avevano la mamma e non avevano il papà.

Alle medie fu duretta, però in effetti, ora che ci penso tendevo a
legare con altri che avevano situazioni simili alla mia, anche se di
classi diverse.

Poi "fortunatamente" alle superiori su 22 in classe, qualcosa tipo 14
avevamo una situazione famigliare anomala, tra mezzi orfani e genitori
divorziati, e diciamo figli di ragazze madri: questo contribuì a
mitigare il senso di disagio.

[Ora mi fermo che se no l'autoanalisi diventa troppo personale]

>E' peraltro possibile che accada ciò che dici tu (nè ho motivo di dubitarne
>*in assoluto*): "crescere in fretta" (e verificare di saperci fare) può
>significare potenziamento dell'autostima e delle capacità di autonomia; può
>comportare fiducia nelle proprie capacità organizzative; può promuovere
>spirito di iniziativa ... e "persino" creatività!

Questo, però, secondo me dipende molto da chi sta vicino, quindi da
chi ti sta educando o da chi ti stai facendo educare.

Io bambino, se vengo al mondo tabula rasa senza software e memoria
precaricata, tendo a generalizzare ed a normalizzare la mia
esperienza, e comunque bene o male cerco di farmene una ragione.

Il fatto di diventare un "bambino responsabile" vuol dire che comunque
si ha la capacità di farlo e che, bene o male, ci si adatta alla
situazione

>Messa così la cosa ... la risposta degli altri dipende da *come appare* la
>persona cresciuta in fretta che ha fatto da genitore a un genitore: imho, se
>appare "collaborativa" (per maturità e capacità di relazione) ... chi
>avrebbe motivo di lagnarsene, o di provare risentimento? o spocchia?
>Se invece (... come è possibile ...) appare egocentrica, o rivendicativa, o
>"decisionista"/(autoritaria) ... le riserve altrui su quel modo d'essere
>possono apparire a loro volta giustificate.
>I M H O ...

Beh, sull'autorità, io ricordo qualche conflitto con quel pover'uomo
che ha dovuto crescermi: quando le due autorità si scontrano e vince -
ovviamente - il più grande. La cosa che più mi dava fastidio è
l'essere stato considerato *grande* fino al momento in cui venivi
retrocesso al grado di *piccolo*, senza un comprensibile motivo.
Comprensibile allora agli occhi di un bambino, oggi agirei
diversamente.

>Certo: pur non dandone questa definizione/descrizione che ne dai tu, ne
>tratta ogni volta che pone interesse sui processi evolutivi.
>E (in alcuni casi ...) pone attenzione anche alla possibilità che la vicenda
>produca una "sensazione di onnipotenza" che non sarebbe male-in-sè, ma può
>"rendere complicata" la serena (e necessaria) accettazione dei *ruoli*, che
>passa (essa accettazione) anche attraverso l'esperienza della *dipendenza*.

Ed anche questa cosa mi è familiare! :)
E per fare l'esperienza di *dipendenza* devo avere molta fiducia nella
capacità di presenza dell'altro.

Vincenzo Del Piano

unread,
Sep 30, 2007, 9:18:24 AM9/30/07
to

"MrAlfa - Fernando Bellizzi" <azteca...@alice.it> ha scritto nel
messaggio news:d2muf3l4do7ev0vae...@4ax.com...

> Il Sat, 29 Sep 2007 23:07:44 +0200, "Vincenzo Del Piano"
> <vinc...@hyle.it> hai scritto:
>
>
> >Io non sarei tanto ottimimista: imho, se una persona ha dovuto fare da
> >genitore a un genitore, vuol dire che *è stata costretta* a crescere in
> >fretta; e (imho?) quando uno è costretto a qualcosa, non si sa se ciò
> >produrrà maggiori capacità, oppure genererà rancori e quella sensazione
> >per la quale "il mondo è in debito" con lui.
>
> E tutte e due no? :)

Certamente SI' ! :-))
Per non generare questo *equivoco* avevo precisato che non escludo *in
assoluto* che l'epilogo di una storia difficile comporti "buone cose", e
l'acquisizione di capacità specifiche.
Infatti, dicevo:


> >E' peraltro possibile che accada ciò che dici tu (nè ho motivo di
> >dubitarne *in assoluto*): "crescere in fretta" (e verificare di saperci
> >fare) può significare potenziamento dell'autostima e delle capacità di
> >autonomia; può comportare fiducia nelle proprie capacità organizzative;
> >può promuovere spirito di iniziativa ... e "persino" creatività!

> Il fatto di diventare un "bambino responsabile" vuol dire che comunque


> si ha la capacità di farlo e che, bene o male, ci si adatta alla
> situazione

Certamente! :-)


> La cosa che più mi dava fastidio è
> l'essere stato considerato *grande* fino al momento in cui venivi
> retrocesso al grado di *piccolo*, senza un comprensibile motivo.

Faccio un po' di auto-analisi anch'io :-))) ... e (mi) ricordo che -dopo
essere stato trattato da *autonomo e indipendente* nella famiglia del nonno
(dove stetti fino ai sei anni ...)- mi infastidiva moltissimo il "dover"
dare conto anche di cinque minuti passati fuori casa, e di qualsiasi cosa
intraprendessi.
Molto "auto-analiticamente" :-))) ... credo che questo fastidio nascondesse
"il disconoscimento" che volevo operare/(*ostentare*) nei confronti di
quegli sconosciuti (mio padre e mia madre...) che avevano fatto irruzione
nella mia vita; e me l'avevano sconvolta completamente!
Tutto sommato ... pur non avendo avuta alcuna carenza di cure parentali
(vista la straordinaria disponibilità e capacità dei nonni!) ... "ero stato
costretto" a crescere in fretta anch'io: la improvvisa (e sgradita)
"decrescita" mal mi si adattava ...
E ... "il resto" della mia vita è stato tutto un <<non mi serve niente;
grazie!>> :-)
[Ciò, con buona pace di chi non crede al fatto che si sia psichicamente
determinati ... e che ciò che ci succede ci condiziona *per sempre e per
forza*.]


> >una "sensazione di onnipotenza" che non sarebbe male-in-sè, ma può
> >"rendere complicata" la serena (e necessaria) accettazione dei *ruoli*,
> >che passa (essa accettazione) anche attraverso l'esperienza della
> >*dipendenza*.
>
> Ed anche questa cosa mi è familiare! :)
> E per fare l'esperienza di *dipendenza* devo avere molta fiducia nella
> capacità di presenza dell'altro.

... :-))) ... pensa un po' che *a me*, la "presenza dell'altro" è sempre
motivo di attenzione.
Ci sto attento, *sia* per apprezzarla (ed esserne davvero grato), *sia* per
salvaguardare quello "essere cresciuto" ... che mi fa premettere
psichicamente, ma *ben-consciamente* che -caso mai dovesse succedere
qualcosa di molesto- <<non mi serve niente; GRAZIE!>>


Ciao, Fernando! :-)
--
Vincenzo

Joneleth

unread,
Oct 1, 2007, 5:28:52 AM10/1/07
to
On 29 Set, 17:20, Nightwisher <ciaramellama...@gmail.com> wrote:
> Ciao a tutti, dopo un po' di assenza per cause di forza maggiore.
> Vorrei parlare della questione "fare i genitori ai propri genitori".
> E' un sentimento comune secondo voi? (...)

> E' un fatto positivo e che fa maturare o negativo che ti
> tirerà sfighe e snobbaggini altrui per tutta la vita?

Io, prima di tutto farei una semplice considerazione:
oggi più di ieri serve essere "preparati" alla vita, che richiede
sempre più nozioni, sempre più social skills, sempre più cultura
e sempre più spirito d'iniziativa.
oggi una persona non ha più come un tempo una vita scandita da un
percorso e dei ritmi ben precisi, ma tutto si puo' formare o
sgretolare in un attimo e la vita di una persona puo' cambiare
radicalmente da un giorno all'altro.
Per questo servirebbero genitori più responsabili e maturi oggi che
non in passato, servirebbero, ma purtroppo cosi' non è e molta gente
NON dovrebbe fare figli.
Detto questo, direi che in genere chi deve maturare troppo presto e
velocemente porta dei segni per tutta la vita, alcuni positivi altri
negativi.
Perde sicuramente in spensieratezza, felicità, fà più fatica a
conformarsi e ad essere accettatto dal "branco" (cioè gli altri),
tende ad isolarsi e a crearsi un mondo suo perchè è meno tollerante
delle tendenze infantili altrui, diventa disilluso, pragmatico e
spesso, anche se non sempre, tendenzialmente triste e/o malinconico.
Puo' perdere anche in autostima, ma questo non è detto.
Guadagna invece in maturità, in spirito critico e diventa più saggio e
diventa tendenzialmente introverso e introspettivo.
A volte come dici diventa "idealista" nel senso che non vuole che agli
altri succeda quello che è successo a lui e si adopera perchè questo
avvenga, ma altre volte diventa semplicemente cinico e rancoroso,
prendendo il mondo e la vita come una semplice lotta per la
sopravvivenza e subordinando tutto al motto: mors tua vita mea.
In ogni caso, soffrire psicologicamente inaridisce, questa è una
costante di cui bisogna tenere conto.
Quanto più si protrae la sofferenza, tanto più la persona perde in
capacità di pathos nei confronti degli altri.
Capacità che non si puo' più recuperare e si puo' solo "rimpiazzare"
con una forte capacità razionale e logica, quando c'è.

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