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Pintus, riciclaggio per indebitamento, sinistra e Italstrade

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Guglielmo Maria Euge Rinaldini

unread,
Nov 14, 2003, 2:42:53 PM11/14/03
to
Ho trovato questo sito con interessanti riferimenti per comprendere la
figura di Curio Pintus e il suo rapporto
con la ndrangheta e i servizi segreti.
Voglio solo dire che la Malvicini Angela non credo
affatto sia stata sua stretta collaboratrice dal momento
che l'ho appena conosciuta e non solo si è mostrata
soddisfatta della carcerazione del Pintus, ma soprattutto
mi ha chiesto se è vero o meno che lo stesso abbia
rapporti con i servizi.
Leggendo queste informazioni tra le righe ci si fa
anche una idea di come la sinistra italiana e
internazionale manda avanti per affari (puliti o
sporchi) questi soggetti.

http://www.terrelibere.it/africo2.htm

Antimafia

Africo
Sono partiti da piccoli paesi della provincia di Reggio Calabria ed hanno
conquistato in due decenni l'ateneo di Messina. Sullo sfondo, trafficanti di
morte e medici con la lupara. Criminalità organizzata ed alta borghesia.
Docenti vili e delinquenti di spessore internazionale.


Antonio Mazzeo

Nel giugno '98 era stato arrestato, il docente di gastroenterologia
dell'Università di Messina Giuseppe Longo, già componente del consiglio di
amministrazione dell'Ateneo e rappresentante della delegazione
amministrativa del Policlinico dal 1995 al 1998. L'arresto del
gastroenterologo, un passato nella Figc (la Federazione giovanile del
Partito Comunista) e nella Cgil-Scuola, assessore 'rosso' ai Lavori pubblici
del Comune di Mandanici poi transitato nelle file socialiste e in quelle del
Cipur-Università, era maturato nell'ambito dell'inchiesta sugli appalti
miliardari del Policlinico, che aveva particolarmente interessato la
Commissione parlamentare antimafia dopo l'esplosione del cosiddetto 'caso
Messina'. Due avvisi di garanzia con l'accusa di associazione mafiosa
venivano emessi contestualmente contro i medici calabresi Francesco
Stelitano e Alessandro Rosaniti, da anni operanti a Messina, con un passato
come dirigenti delle organizzazioni degli studenti fuorisede dell'Ateneo
peloritano.

"Sullo sfondo vi sono enormi interessi economici e la rilevanza
politico-clientelare dell'Università e del Policlinico" scrivevano i
magistrati nell'ordinanza di arresto di Longo. "L'Università - aggiungono i
magistrati messinesi - appare terreno fertile per la proliferazione e il
libero dispiegamento dell'intimidazione mafiosa. Dati processuali
inequivocabili dimostrano che l'indagine per l'omicidio Bottari è stata
ostacolata e influenzata dalla condotta palesemente omertosa di gran parte
dei docenti sentiti, da un sistematico depistaggio scientificamente attuato,
dalla comprovata violazione del segreto investigativo ad uso e consumo dei
singoli individui neppure coinvolti nell'indagine sull'omicidio (...).
Intimidazione mafiosa e convergenza di interessi per finalità di puro potere
si sono nella presente vicenda incontrate e via via sovrapposte fino a
confondersi e a divenire difficilmente distinguibili". Nello specifico,
"quale componente organico della cosca di Giuseppe Morabito di Africo" il
Longo era accusato di avere pilotato alcuni appalti del Policlinico e di
"avere condizionato, con la sua forza intimidatrice, la rielezione a Rettore
del prof. Diego Cuzzocrea" nelle consultazioni del 4 maggio '98.

La Procura individuava nel Longo colui che aveva commissionato l'attentato
ai danni dell'auto di proprietà dell'ex segretario del Rettorato Eugenio
Capodicasa, proprio alla vigilia delle elezioni di Ateneo. Si era aperto uno
scontro tra il Cuzzocrea e il Longo, e il gastroenterologo aveva deciso di
abbandonare il vecchio alleato per sostenere elettoralmente il prorettore
Giacomo Ferraù. Cuzzocrea e Longo avevano condiviso l'amore per i riti
esoterici: fratelli entrambi della 'Sicilia Normanna', la loggia massonica
'spuria' che aveva avuto tra i suoi affiliati il professore Matteo Bottari.
Ricucito il rapporto con il Cuzzocrea, Longo decise d'impegnarsi attivamente
per la sua rielezione in cambio della presidenza della gara d'appalto per i
lavori di ristrutturazione del reparto di Gastroenterologia, costo previsto
500 milioni. Da qui, secondo gli inquirenti, la possibilità di un
coinvolgimento del gastroenterologo nell'omicidio Bottari. Per il Pm Carmelo
Marino, il movente sarebbe duplice: un forte segnale intimidatorio nei
confronti del Cuzzocrea e, contestualmente, l'eliminazione di un concorrente
"alla direzione del Dipartimento che si sarebbe dovuto creare presso il
Policlinico, e che avrebbe accolto i servizi di Gastroenterologia (gestito
dal Longo), di Endoscopia digestiva (diretto da Matteo Bottari) e di
Biologia molecolare, diretto dal prof. Giovanni Raimondo"". Il dottor Marino
puntualizzava tuttavia come mancassero per Giuseppe Longo i "gravi indizi di
colpevolezza richiesti dal codice". Indizi che a 16 mesi dall'arresto non
sarebbero stati ancora individuati.

"Il dottor Longo , nelle mani di 'Tiradritto'"
Più corposi gli elementi raccolti dal Tribunale di Milano che nell'ottobre
del '98 spiccava un mandato di cattura nei confronti del Longo, contestando
il reato di associazione a delinquere finalizzata al traffico di
stupefacenti. Secondo l'accusa il prof. Longo avrebbe svolto a Milano tra il
1994 e il 1998, il ruolo di "mediatore" per l'acquisto di droga per conto
della 'ndrina dei Morabito. Nel capoluogo lombardo l'organizzazione
calabrese dei Morabito, dei Bruzzaniti e dei Palamara gestiva un vasto
traffico di stupefacenti in contatto con tre 'grossisti' turchi. "Proprio a
Milano si sussurra che il proseguo delle indagini sul traffico di droga,
potrebbe riservare sviluppi anche in relazione all'omicidio Bottari", annota
la Gazzetta del Sud. Con Longo viene arrestato anche lo studente che
frequenta la facoltà di Medicina all'Ateneo di Messina, Annunziato
Zavettieri, originario di Roghudi, già membro del consiglio di
amministrazione dell'Opera universitaria. Zavettieri è stato al vertice
dell'Asam, l'associazione dei fuori sede calabresi, più volte chiamata in
causa per fatti di violenze e intimidazioni contro docenti universitari. Lui
stesso, nel maggio 1988, insieme a Rocco Morabito e Bruno Criaco di Africo
Nuovo, era stato denunciato per alcune minacce profuse nel corso di un esame
ai danni del prof. Giovanni Nicosia, decente della facoltà di Magistero
dell'Università di Messina. Al processo di primo grado Zavettieri e Criaco
venivano condannati a un anno (pena sospesa e non menzione), mentre il
Morabito veniva assolto. In appello sarà applicata l'amnistia.

Nell'ordinanza del Tribunale di Milano il professore Longo viene definito
"il coordinatore delle attività dell'organizzazione criminale che farebbe
capo al boss latitante Giuseppe Morabito e la persona incaricata di tenere i
contatti con i fornitori esterni". Quanto a Zavettieri, il suo compito
sarebbe stato di tipo organizzativo: lo studente, secondo l'accusa, "sarebbe
stato il tramite operativo tra i capi dell'organizzazione al nord e i boss
in Calabria, ed avrebbe guidato le varie spedizioni di stupefacenti".

Agli atti dell'inchiesta venivano allegate dichiarazioni e rapporti di
polizia che testimonierebbero i legami tra Longo e i rappresentanti del
potente clan di Africo. "Ha instaurato con la cosca - scrivono i
magistrati - un rapporto di dare e avere nel quale si collocano, da una
parte la protezione e la carica intimidatrice che egli riceve dal gruppo
criminale, dall'altra i vantaggi che egli può procurare a questo attraverso
prestazioni sanitarie a soggetti che non possono usufruirne secondo i canali
normali, supporto per le attività, di studio e non, dei componenti della
cosca all'interno dell'Università nonché, verosimilmente, in relazione alle
cariche ricoperte negli organismi universitari, appoggio degli interessi dei
soggetti economici collegati alle cosche per operazioni coinvolgenti
l'Università e il Policlinico".

Il collaboratore Filippo Barreca ha raccontato come tra il 1983 e il 1985 il
Longo si fosse adoperato per farlo rimanere il più a lungo possibile presso
la Seconda Clinica medica del Policlinico di Messina in occasione di un
ricovero durante la detenzione nel carcere di Gazzi a Messina. In quel
periodo Longo prestava servizio presso quel reparto quale assistente
ordinario-aiuto. Giuseppe De Carlo, figlio dell'imprenditore Sebastiano De
Carlo, legato al boss Nino Saraceno di Archi (Reggio Calabria) e ucciso il
20 novembre 1986, facendo riferimento ai legami tra il gruppo Saraceno e i
Morabito, racconta che nella villa del padre, a Pellaro, veniva a ritirare
la droga "un medico di Messina che lavorava all'Università" e che poi
trasferiva la droga nella città dello Stretto. "Quel medico è lui" dice il
De Carlo indicando il Longo quando questi viene sequestrato da alcuni
malviventi a Motticella di Bruzzano il 22 febbraio del '91. Un rapimento
durato appena 100 ore, conclusosi con la 'provvidenziale' fuga del Longo da
un capanno dell'Aspromonte che avrebbe ospitato Cesare Casella.

"Sequestro anomalo" lo aveva definito la Criminalpol, forse uno 'sgarro' al
clan Morabito che con i Mollica, era coinvolto nella faida di Motticella di
Africo - oltre 50 omicidi nell'ultimo decennio - contro il gruppo dei
Palamara-Speranza-Scriva. Il luogo del 'rapimento' era l'azienda agricola
CPZ, di proprietà della moglie del Longo, Patrizia Zappia, sita in contrada
Mucci di Motticella. "Il dottor Longo, grazie alla moglie, era vicino al
genero di Giuseppe Morabito 'Tiradritto', tale Sculli, imprenditore edile
originario di Bruzzano" spiega ai magistrati di Reggio il collaboratore
Giacomo Lauro. "Di conseguenza, è evidente che Longo era protetto da
Giuseppe Morabito al punto tale che, quando fu sequestrato da 'cani
sciolti', fu dopo pochi giorni, rilasciato per l'autorevole e decisivo
intervento dello stesso Peppe Morabito, come io stesso posso testimoniare
essendo in quel periodo a Brancaleone". Gli fa eco Claudio Pansera, altro
collaboratore gi giustizia: "Quando Longo fu sequestrato, è stato il capo
della mia organizzazione Giuseppe Morabito a interessarsi personalmente per
la sua liberazione".

Due coincidenze significative: proprio alla vigilia del 'rapimento', si era
verificato l'omicidio di Domenico Romeo, il colono-guardiano dell'azienda
della signora Zappia, organico alla cosca capeggiata dal boss di Africo
Domenico Speranza; e presidente del collegio sindacale della CPZ S.r.l.,
amministrata da Longo, era Leo Morabito, nipote del patriarca di Africo,
Giuseppe 'Tiradritto'. Leo è il fratello di quel Rocco denunciato e assolto
a Messina per le minacce al prof. Nicosia, poi arrestato a Milano quale
"responsabile operativo del clan di Africo in riferimento al riciclaggio di
imponenti capitali del gruppo in alcuni istituti finanziari di Lugano".
Altro fratello dei Morabito, è Giovanni, l'individuo con cui il Longo
s'incontra a Villa San Giovanni, dopo una preoccupata telefonata, nei
'giorni caldi' che precedono la rielezione a Rettore di Diego Cuzzocrea.
"Respiriamo male professore....".

Con Giovanni Morabito il professore Longo s'incontra nuovamente l'11 maggio
1998. Il gastroenterologo raggiunge l'interlocutore nella sua abitazione di
Africo per un lungo colloquio. "Giovanni Morabito è soggetto di interesse
operativo per le forze dell'ordine fin dagli anni '70" scrivono i magistrati
messinesi nell'ordinanza di arresto del professor Longo. "Alcune informative
del 1971 e del 1975 lo indicano come appartenente alla cosca dei Bruzzaniti
e vicino a un movimento anarchico di Africo, asseritamente finanziato
dall'editore Giangiacomo Feltrinelli. Secondo una nota dei CC di Bianco del
27 maggio 1980 egli, privo di stabile occupazione, è tuttora inserito nella
cosca mafiosa facente capo a Giuseppe Morabito". Gli inquirenti aggiungono
che il nome di Giovanni Morabito insieme a quello di Rocco Morabito erano
comparsi in un'informativa di Pubblica Sicurezza (agosto 1982) relativa all'
indagine sul sequestro a scopo di estorsione di Felice Alberto Martelli.
"Insieme ai due Morabito, Longo è stato controllato l'8 gennaio 1982 in
località Due Ponti di Taurianova,. Nell'occasione l'indagato era in possesso
di una pistola con il colpo in canna".

La santa alleanza Africo-Barcellona
Quattro mesi dopo il misterioso sequestro-lampo il dottor Longo organizza un
banchetto ad Africo in un ristorante di proprietà di tale Stefano Sergi. E'
l'11 giugno del '91 e la Questura di Reggio Calabria predispone per
l'occasione un servizio di appostamento dai risultati imprevedibili: tra i
commensali compaiono tra gli altri, alcuni dei maggiori elementi del gotha
mafioso di Barcellona Pozzo di Gotto: i fratelli Giuseppe e Salvatore
Gullotti, con Antonino Ofria (deceduto in seguito ad un incidente stradale
nel marzo '93), Mario Calderone (già autista dell'avv. Santalco) e Mario
Milici, il trasportatore di carne in una ditta privata operante nel
mattatoio di Sant'Andrea, legato al Calderone, assassinato lo scorso 19
agosto nel Longano. Allo stesso tavolo, siedono i pregiudicati calabresi
Salvatore Favasulli e Rocco Morabito, il fratello di Leo e di Giovanni,
indicato dal collaboratore di giustizia Claudio Pansera, come affiliato alla
cosca di Giuseppe Morabito 'Tiradritto'. Fermati dagli agenti per essere
identificati, Longo si presenta come ex sequestrato e chiede che i
barcellonesi, "amici suoi", possano andare via. Ne segue un diverbio al
termine del quale il professore e Pippo Gullotti sono denunciati per
oltraggio e minacce a pubblico ufficiale.

Due anni dopo quel convivio, Rocco Morabito sarà arrestato a Messina, poi
condannato a 2 anni, per un'estorsione alla Sir S.r.l. - Società Italiana di
Ristorazione - ditta di proprietà di Giuseppina Greco, Antonio Mozzo e
Carmelo Ariosto, che da anni domina incontrastata l'appalto per le mense
nell'Università e nella Casa dello Studente di Messina, e che al tempo si
occupava del servizio mensa nel carcere di Locri. Per giustificare la sua
presenza a Messina, Morabito disse di dover accompagnare ad una "visita
medica presso il dottor Longo", nel suo studio al Policlinico, il "suo
compare Cordì" (personaggio successivamente tratto in arresto con l'accusa
di associazione mafiosa nell'ambito della cosiddetta operazione 'Zagara'
contro il cartello della 'ndrangheta realizzato da Giuseppe Morabito, le
famiglie Nirta e Papalia per la gestione del mercato internazionale di
stupefacenti). Coincidenza vuole che la Sir, secondo quanto pubblicato dal
settimanale Centonove, sia una delle due imprese aggiudicatrici di appalti
al Policlinico che per gli inquirenti di Messina hanno assunto un interesse
di tipo investigativo nell'ambito dell'infruttuosa inchiesta sul delitto
Bottari. In essa è risultato lavorare Rosario Bruzzaniti, cugino di Natale e
nipote di Leone Bruzzaniti, entrambi coindagati del dottor Longo per i
traffici di droga a Milano. L'altra impresa inutilmente attenzionata sarebbe
stata la 'Aedilimper', società di Barcellona di cui è titolare Giuseppe
Rugolo, cognato del boss Pippo Gullotti.

"Intrecci trentennali tra l'area barcellonese e quella reggina: legami di
lunga data ma evidentemente ancora saldi" scrive Antonello Mangano, su Città
d'Utopia del maggio '99. "La vicenda è rilevante anche perché conferma
l'ipotesi secondo cui l'insediamento criminale dell'Ateneo messinese nasce
negli anni della strategia della tensione, quando i rampolli della
'ndrangheta e gli ordinovisti barcellonesi si mascherano tra gli studenti
per stroncare sul nascere ogni tentativo di organizzazione degli studenti".
Coincidenza vuole che molti degli attentati e delle intimidazioni
verificatisi nell'Università di Messina nei primi anni Settanta, avevano
avuto come obiettivo l'inserimento di imprese di Africo vicine a don
Giovanni Stilo, nella gestione del servizio mensa degli studenti.

Venticinque anni più tardi le indagini delineano i contorni di un patto di
acciaio tra le cosche del Longano, organicamente inserite nella mafia
catanese del Santapaola, e la feroce 'ndrina di Africo, meta dei numerosi
viaggi in Calabria del superboss Totò Riina.
Grazie all'alleanza con Giuseppe Morabito 'Tiradritto', le cosche
barcellonesi hanno realizzato l'ennesimo salto di qualità, inserendosi ai
massimi vertici del traffico internazionale di stupefacenti ed armi, e del
riciclaggio dei patrimoni finanziari. Tiradritto non è uno dei tanti
capibastone delle famiglie di 'ndrangheta. Per la Procura distrettuale
antimafia di Reggio Calabria, è Giuseppe Morabito a presiedere la nuova
'sovrastruttura' criminale composta dai capi delle cosche più importanti,
denominata 'Cosa nuova', l'organismo decisionale avente il compito "di
tenere i rapporti con altre organizzazioni criminali nazionali ed
internazionali, con la massoneria e con le istituzioni, di gestire i più
rilevanti affari d'interesse per l'associazione e, comunque, di conseguire
profitti e vantaggi ingiusti".

I nuovi signori della droga
Negli anni Novanta i Morabito e i Mollica di Africo hanno assunto il ruolo
di leader nei traffici di stupefacenti tra il nord e il sud Italia. Grazie
ad una fitta rete di legami con i Nirta di San Luca, i Mazzaferro di Marina
di Gioiosa, i Pesce di Rosarno, i Mancuso di Limbadi, i Di Giovine Serraino,
i Libri e i Tegano di Reggio Calabria, in partnership con Cosa Nostra di
Gaetano Fidanzati e Gaetano Badalamenti, la 'ndrina di Africo ha coordinato
gli sbarchi nell'area dello Stretto di Messina di tonnellate di hashish
provenienti dal Marocco e dal Sud America, ha smistato ovunque ingenti
quantità di eroina e cocaina, ha aperto filiali del traffico in Veneto con
gli uomini della 'mafia del Brenta', in Puglia con la Sacra corona unita, in
Campania con la Camorra, in Lazio con la Banda della Magliana. In Lombardia,
novembre '93, Pasquale Mollica e Leo Talia sono stati protagonisti di un
vasto traffico di stupefacenti nascosti nella frutta e nel pesce surgelato,
che aveva come centro l'Ortomercato di Milano, a due passi dall'Autoparco
della mafia di via Salomone. I due esponenti del clan di Africo utilizzavano
come società di comodo la Sical Frut, già coinvolta in un'altra inchiesta
sui traffici di droga, controllata dalla moglie di Giuseppe Tommaseo,
esponente siciliano del clan Gallo, assassinato nel marzo '90.

Il clan di Pasquale Morabito ha esteso i suoi interessi anche in vaste aree
del Piemonte e della Liguria, cogestendo stupefacenti, totonero, bische
clandestine, usura, estorsioni. A Torino, l'affiliato Cesare Polifroni ha
avuto l'onore di ospitare un'avvenente signora colombiana, risultata poi
cugina di primo grado di Pablo Escobar, il leggendario capo del cartello di
Medellin. Con la Colombia i Morabito-Mollica hanno aperto un inesauribile
canale di rifornimento di coca, intermediari il narcos Julio Jimenez e l'ex
parroco di Brancaleone Franco Mondellini, importante esponente
internazionale dell'Ordine dei Cavalieri di Malta. Tra i maggiori
esponenenti al nord della 'ndrina di Africo, Giuseppe Mollica, in stretto
contatto con le famiglie catanesi e con i boss pugliesi Marino Pulito e
Salvatore Annacondia, con cui avrebbe gestito importanti traffici e
programmato alcuni omicidi, tra cui quello dell'avversario Pasquale
Palamara, anch'egli di Africo. Marino Pulito ha ammesso i suoi rapporti con
Licio Gelli, finalizzati al tentativo di aggiustare il processo in cui erano
imputati i suoi capi, i fratelli Modeo di Taranto, in cambio di un concreto
appoggio elettorale se l'ex venerabile si fosse candidato alle elezioni
politiche nei collegi del Mezzogiorno d'Italia.

Armi, esplosivo e speculazioni d'impresa
Le strategie finalizzate al controllo dei mercati internazionali di droga,
si sono immancabilmente intrecciate con vicende eversive riconducibili
all'oscura stagione delle stragi del biennio '92-'93. Nell'ottobre '93,
Vincenzo Carrozza, un imprenditore edile di Locri, ritenuto uno degli
esponenti di punta del clan Morabito, è stato arrestato nell'ambito
dell'inchiesta su un traffico di armi da guerra e di esplosivo proveniente
dalla ex Jugoslavia. Le armi erano giunte a Modena per essere utilizzate per
un attentato nella locride, presumibilmente contro alti obiettivi
istituzionali. Sei mesi più tardi gli inquirenti scoprivano che i Morabito e
i Di Giovine, per l'acquisto di partite di eroina dalla Siria e di hashish
dal Marocco, si erano rivolti al libanese Bou Kebal Gassan, fermato a Milano
nell'ambito dell'inchiesta sull'autobomba di via Palestro e indiziato di
traffico di materiale esplosivo.

E nel corso del processo per l'omicidio del giudice Antonino Scopelliti,
alcuni collaboratori di giustizia hanno fatto riferimento ad un summit
svoltosi i primi di agosto del 1991, proprio ad Africo tra i massimi vertici
della 'ndrangheta e alcuni boss di Cosa Nostra tra cui lo stesso Totò Riina,
in cui fu deciso l'omicidio eccellente. Secondo Domenico Farina, già
affiliato al clan Santapaola, "la riunione si teneva in una villetta dei
Mollica(..). Al suo interno io e Mimmo Condello di Archi trovammo i padroni
di casa, Domenico Alvaro, Peppe Morabito, Totò Riina e Pietro Aglieri".

E' comunque il reinvestimento di denaro in attività imprenditoriali e nella
scalata alle grandi società finanziarie la nuova frontiera criminale dei
Morabito di Africo. A Milano, due anni fa, gli inquirenti hanno elencato ben
26 società di proprietà della 'ndrina, per un valore di oltre 200 miliardi
di lire. Tra esse la Vela S.r.l., società che gestiva molti dei più
prestigiosi bar del capoluogo lombardo, tra i quali alcuni nel cuore della
galleria Vittorio Emanuele. L'indagine sul riciclaggio ha raggiunto alcune
società operanti in Lussemburgo di proprietà del finanziere Jean Faber, già
socio di quel Sergio Cusani, uno dei maggiori protagonisti della stagione di
Mani Pulite. Tra gli arresti eccellenti anche due dottori commercialisti,
padre e figlio, Enrico e Sebastiano Cilia. Enrico, nato a Patti, altri non è
che il genero di Michele Sindona, il banchiere-finanziere della mafia,
ucciso dalla mafia. E tra i beni sequestrati due noti alberghi intestati a
Bruno Talia, nativo di Africo.

Un altro Talia, Leo, è stato coinvolto insieme ad altri esponenti della
'ndrina del 'Tiradritto', nella cosiddetta operazione 'Hidros', scattata nel
maggio '96 e conclusasi qualche mese con pesanti condanne nel processo di
primo grado a Reggio Calabria. A curare le operazioni di riciclaggio del
clan calabrese, tra gli altri, il finanziere sardo-romano Curio Pintus,
titolare della Soliman Finance S.p.a., sede a Panama e filiale operativa a
Bologna. Oltre alla Soliman Finance, la Guardia di Finanza ha individuato,
sequestrandole, due note società finanziarie milanesi, la Assurance Cerdit
S.p.a. e la Fiduciaria Bank-nord S.p.a., più un'industria di bevande, La
Minerale di Vercelli. E che i contatti della cosca calabrese fossero di
altissimo livello internazionale, basterà menzionare che tra gli
insospettabili uomini d'affare arrestati con l'operazione 'Hidros',
comparivano Berthold Stratmann, broker accreditato presso la 'City' di
Londra per i rapporti tra banche del Sudamerica ed istituti di credito
tedeschi; Davide Dainese, amministratore dell'Assurance Credit S.p.a. e
Guido Dapoz, direttore della Banca Popolare dell'Alto Adige. Secondo il
colonnello Mario Venceslai , responsabile centrale del Gico della Guardia di
finanza, "tutti i colletti bianchi finiti nella rete sono legati a potenti
lobbies massoniche". Per ripulire il denaro sporco si simulava un grosso
debito con istituti di credito compiacenti. I 'debiti' per centinaia di
miliardi venivano contratti grazie alle garanzie costituite dal deposito di
'promissory notes' provenienti dal Banco de la Naciòn Argentina, un istituto
già 'incrociato' dagli inquirenti italiani in occasione dell'inchiesta sulla
Loggia P2 del Maestro Venerabile Licio Gelli.

"Il finanziere 007 a servizio delle 'ndrine'
Tra i personaggi finiti nel libro paga degli uomini di Africo, abbiamo visto
comparire il nome di Curio Pintus. Nato ad Oristano e residente a La Spezia,
Pintus è risultato titolare di numerose società finanziarie operanti a
Panama, in Argentina, Stati Uniti, Australia, Canada, Lussemburgo, Germania
e Francia. Di lui si parlò nei maggiori quotidiani sportivi, quando nel '91
tentò per conto di una società americana l'acquisto della Roma Calcio. "Per
l'occasione andai anche a pranzo con Giulio Andreotti" ammise il Pintus, che
dovette poi ritirare l'offerta per l'entrata in scena del
costruttore-editore Ciarrapico. Pintus fu poi coinvolto nella cosiddetta
'Operazione Forziere', l'inchiesta sulle operazioni di riciclaggio del clan
catanese di Nitto Santapaola. E di lui si è tornati a parlare in occasione
delle inchieste incrociatesi tra le Procure di Aosta e di La Spezia su
'Phoney Money' e le nuove centrali massoniche affaristiche sorte in Italia
dalle ceneri della P2. Uno dei principali indagati, il geometra di origini
calabresi Italo Nicotera "esperto in attività internazionali di brokeraggio"
, aveva infatti riferito ai magistrati di contatti con Curio Pintus e di
operazioni 'estero su estero' coordinate con la Soliman Finance.

Gli uomini del Gico della Guardia di finanza hanno affermato come "il Pintus
derivi il proprio potere soprattutto dalla sua appartenenza ai servizi
segreti e dalla conoscenza intima con personaggi politici di primaria
rilevanza nazionale, nonché, dall'attività professionale svolta, nell'alveo
di una società finanziaria multinazionale (la Soliman Finance) e/o gruppi
italiani di primaria importanza (il gruppo Grisone), attraverso transazioni
miliardarie sui mercati finanziari mondiali. Siffatte operazioni, realizzate
grazie alla particolare disponibilità di grosse banche, gli hanno consentito
di programmare rapporti di carattere economico-finanziario-imprenditoriale,
praticamente senza frontiere, anche con colossi pubblici nazionali grazie
alla compiacenza di primari personaggi all'interno degli stessi".

Secondo gli inquirenti, il sistema finanziario creato dal Pintus poteva
movimentare in varie banche internazionali circa 5.000 miliardi di lire e
"aveva elaborato (e in molti casi realizzato) un vero piano di acquisto di
aziende fallite o in piena attività della Lombardia e di altre regioni del
Nord". Il processo tenutosi a Reggio Calabria e conclusosi con la condanna
di Curio Pintus a quattro anni, ridotti a tre in appello ([1]), ha tuttavia
accertato solo un'operazione di riciclaggio realizzata dal finanziere per
conto del clan Talia di Africo. Secondo quanto si legge nel dispositivo di
sentenza del processo 'Hidros', il Talia ed Angela Malvicini, stretta
collaboratrice del finanziere sardo, avevano procurato a Pintus uno
strumento finanziario costituito da 'promissory notes', cambiali
internazionali da utilizzare sul mercato internazionale per "ottenere l'
apertura di linee di credito, mediante lo sconto di detti strumenti
finanziari al 45% del loro valore nominale".

Dopo aver acquisito il suddetto credito documentale, il Pintus iniziava una
attività rivolta ad ottenere gli avalli bancari, necessari per legittimare
il possesso e la spendita del documento; in tal senso, Curio Pintus, con l'
aiuto del socio collaboratore Renzo Bellavigna, inviava a Praga Rosario
Marano presso il direttore dell'istituto Girocredit Banka Praha di Praga,
Ivan Cima, il quale avallava le 'promissory notes', certificandone l'
autenticità e l'esigibilità. Successivamente, sempre su disposizione di
Curio Pintus, la Girocredit trasferiva le cambiali internazionali alla Banca
Popolare dell'Alto Adige, il cui direttore Guido Dapoz, "legato da tempo
alla Soliman Finance di Curio Pintus e dei suoi soci", avallava
ulteriormente le suddette cambiali. Guido Dapoz, a sua volta, trasferiva le
cambiali internazionali sulla Banca d'Austria, ove era acceso un conto
corrente intestato alla Soliman Finance, e presso cui la Deutsche Bank di
Francoforte accreditava la somma di 171 milioni di dollari Usa, pari al 45%
del valore nominale delle 'promissory notes'.

L' operazione fu resa possibile anche grazie Giovanni Palamara e Bruno
Criaco "legati al Talia da vincoli di parentela", come scrive il Tribunale
di Reggio Calabria. Nello specifico, i giudici imputano al Pintus la
realizzazione della cosiddetta "tecnica del riciclaggio per indebitamento",
grazie alla sostituzione e al trasferimento delle utilità finanziarie e del
denaro derivanti dal traffico di sostanze stupefacenti, con capitali "solo
nominalmente di provenienza lecita, poichè 'certificati' in esito alle
transazioni di cui sopra come frutto di operazioni internazionali che in
realtà celavano la movimentazione dei capitali illeciti" ([2]).

La scalata del clan di Africo all'Italstrade del Gruppo IRI
"Il potere di Pintus, posto al servizio dell'organizzazione di Talia - ha
segnalato sempre il Gico della Guardia di finanza - consente la penetrazione
economica a quest'ultima nella società del colosso IRI-Italstrade S.p.a.,
turbando una gara pubblica attraverso una pilotata decisione sulla cessione
della stessa società al sodalizio criminoso, maturata in seno ai vertici
aziendali, dimostratisi alquanto compiacenti". E' in seguito alle stesse
ammissioni di Pintus, che i magistrati aprono un'inchiesta per turbativa d'
asta contro il messinese Giuseppe D'Angiolino, ex presidente Italstrade poi
nominato direttore generale dell'Anas.

"Avevo tre trattative in corso per conto della Malvicini - ha raccontato il
finanziere Curio Pintus. "Una di queste riguardava l'acquisizione della
Italstrade. In quel momento, aprile-maggio 1993, l'IRI stava facendo un
repulisti della situazione complessiva del gruppo e aveva deciso di mettere
in liquidazione l'Italstrade. Ho avuto un incarico dalla Malvicini; io,
anche per il rapporto che c'era tra noi, le chiedevo chi lei rappresentasse.
Ho saputo dopo gli arresti che l'interessato all'acquisizione di Italstrade
era il gruppo Talia. Ho fatto tutta una serie di combinazioni e delle
offerte reali. L'allora Presidente dell'Italstrade mi dava la possibilità di
acquisire la società a determinate condizioni, con tangenti. L'operazione si
è interrotta con l'arresto del gruppo".

Prosegue il racconto di Pintus: "Italstrade aveva una società in Argentina
di proprietà al 100%, che eseguiva dei lavori di costruzione di strade;
questa società aveva un credito nei confronti dello Stato argentino di 50
miliardi. La transazione finanziaria si poneva in questi termini: io con due
banche (la City Bank di New York e la Chase Manhattan Bank di New York) ho
fatto un'offerta di acquisizione di 50 miliardi per l'acquisto di
Italstrade. In quel momento, come valore reale, Italstrade valeva 400
miliardi ma era in dismissione (...). Con D'Angiolino eravamo d'accordo che
avremmo fatto un'operazione di dismissione dell'Italstrade a prezzo
stracciato e che una parte sarebbe poi stata pagata a loro (D'Angiolino e
compagni) sottobanco" ([3]).

Il Clan Morabito non si sarebbe però fermato al colosso pubblico. Secondo
gli inquirenti anche la Fininvest del cavaliere Silvio Berlusconi sarebbe
finita al centro dei tentativi d'investimento della 'ndrangheta. Nel corso
dell'operazione 'Hidros' sono state sequestrate nello studio di Vincenzo
Benito Alfano, un commercialista di Monza, ricevute bancarie e titoli
attestanti una trattativa finalizzata ad un finanziamento per 500 milioni di
dollari in favore della Fininvest. Le proposte di finanziamento sarebbero
state fatte in due 'tranche' : la prima sarebbe andata in porto per un
ammontare di 200 milioni di dollari, la seconda, ancora in fase di
trattativa, prevedeva di elevare il prestito a 500 milioni di dollari. A
garanzia sarebbero stati offerti titoli Mediaset. Inutile aggiungere che i
vertici del gruppo Berlusconi hanno sempre negato qualsiasi trattativa con
il gruppo Pintus-Alfano.

Gli inquirenti avrebbero tuttavia accertato l'intervento del finanziere
sardo per trasferire parte dei proventi della 'ndrangheta in una società di
Maclodio (Brescia) che "ha in atto forniture con il Ministero della difesa,
il Ministero dell'Interno, l'Aeronautica Militare, la Marina Militare,
nonché, con società di primario rilievo a livello nazionale". Parte del
denaro sarebbe finito anche nella Finanziaria Tolcinasco S.p.a., con sede a
Milano e nella Golf Tolcinasco S.r.l. di Cologno Monzese, società in corsa
per realizzare costruzioni, alberghi, ristoranti e impianti sportivi nel
complesso denominato 'Castello di Tolcinasco Golf & Country Club', ubicato
nel comune di Pieve Emanuele, Milano.

Trafficanti di morte
Indagando sul sistema 'Hidros' gli inquirenti hanno scoperto che il gruppo
Morabito poteva perfino contare su 'canali diplomatici internazionali' per
far transitare all'estero i capitali accumulati. Tra questi spiccava la
figura di Friedrich Renfer, residente a Zurigo, console onorario
dell'Honduras in Svizzera. Già in contatto con la cosca calabrese dei
fratelli Ferrara, operante anch'essa in Lombardia, Renfer è stato coinvolto
nel novembre '91 nell'ambito di un'inchiesta su un traffico di uranio
proveniente dall'ex Urss e diretto in Svizzera. Nell'occasione il Renfer era
stato indicato come presunto agente del Kgb. Durante un controllo delle
autorità elvetiche nell'auto del console onorario vennero sequestrati 29
chili e mezzo di uranio impoverito. Sempre a Zurigo vennero fermate altre
sei persone, tra cui tale Pietro Tanca, nome che sarebbe spuntato l'anno
successivo nell'inchiesta del giudice di Venezia Felice Casson su un
presunto traffico d'armi tra la Croazia e l'Italia. Il Tanca sarebbe stato
in contatto con un intermediario israeliano per l'acquisto di 500 chili di
mercurio rosso, una sostanza prodotta esclusivamente in alcuni laboratori
russi e forse in Sudafrica, utilizzata nella produzione dei detonatori per
le bombe nucleari.

Un'altra sorpresa è venuta seguendo gli spostamenti di un altro esponente di
punta della 'ndrina di Africo, quel Bruno Criaco, protagonista della
scorribanda alla facoltà di Magistero dell'Università di Messina nel '93,
accanto ad Annunziato Zavettieri e Rocco Morabito. Il Criaco insieme a
Pasquale, Giovanni e Antonio Talia erano soliti utilizzare un'autovettura
intestata alla Ipergela Lombarda S.r.l., una società di Milano, utilizzata
come copertura per la spedizione, in mezzo a gamberi congelati, di ingenti
partite di eroina e cocaina. Seguendo gli spostamenti dell'autovettura, gli
inquirenti scoprono i contatti con un cittadino mediorientale dal passato
burrascoso. "Criaco Bruno, unitamente al fratello Giuseppe" - scrivono gli
uomini del Gico - risulta collegato a cittadini giordani di origini
palestinese, facenti capo a Khamayis Waleed Issa, noto perché tratto in
arresto in Fortaleza (Brasile) per traffico internazionale di sostanze
stupefacenti, ed autore di azioni e progetti terroristici nei confronti di
soggetti appartenenti ad alte cariche dello Stato italiano (.). Il Criaco
Bruno è collegato, altresì, con un giordano attualmente residente in
Messina, dove ha un'attività di bar-pizzeria; quest'ultimo è legato, a sua
volta, al Khamayis Waleed Issa da vincoli di parentela".

Del presunto terrorista palestinese, filo-siriano, si parlò per la prima
volta nel '92 dopo le stragi di Capaci e via d'Amelio. Il suo nome fu fatto
in riferimento ad una serie di attentati che la mafia stava progettando
contro l'allora ministro di Grazia e Giustizia Claudio Martelli, contro l'ex
ministro alla difesa Salvo Andò e contro il Comandante della IV Divisione
dei Carabinieri, con sede a Messina, generale Enrico Coppola. Nello
specifico l'on. Martelli doveva essere colpito in occasione di una sua
visita nel barcellonese.

A indicare Khamayis Waleed Issa, un rapporto riservato dei ROS dei
Carabinieri, pubblicato sul settimanale Panorama nell'agosto '92. "Gli
attentati contro Martelli, Andò e Coppola - segnalavano i ROS - potrebbero
verificarsi quanto prima, e al comando di mafiosi siciliani prenderà parte
un palestinese che ha domiciliato dall'1 ottobre 1984 al 15 marzo 1985 a
Bovalino, in provincia di Reggio Calabria, sotto la protezione di esponenti
della criminalità organizzata di San Luca. I mafiosi di San Luca hanno
tentato di corrompere gli organi competenti con 200 milioni per ottenere per
il palestinese il permesso di soggiorno in Italia a Bovalino".

Nato ad Al Evheis, in Giordania, il 23 agosto del 1961, Khamayis Waleed Issa
è stato dirigente del Fronte popolare di lotta palestinese; giunto in Italia
nell'80, ha frequentato l'Università per stranieri di Perugia e
successivamente si è trasferito a Messina dove ha risieduto fino all'87. E'
nella città dello Stretto che il palestinese si sarebbe legato "con
malviventi della Locride iscritti alla stessa università". Khamayis Waleed
Issa raggiunse successivamente Milano dove si sarebbe sposato con una
ragazza italiana; poi, nel maggio '87 fu colpito da un provvedimento di
espulsione. "Rientrato in Italia dopo aver subito un intervento di plastica
facciale, è stato ripetutamente avvistato a Milano nel periodo 1988-89
insieme a mafiosi calabresi". Secondo il settimanale Panorama la fonte
confidenziale da cui i Carabinieri avrebbero attinto le informazioni sul
palestinese sarebbe stata una "persona vicino ad ambienti delinquenziali
della Locride".

Sono gli uomini della Guardia di finanza a mettere nero su bianco sui
calabresi in odor di 'ndrangheta in contatto con il presunto terrorista
palestinese. "Durante la sua permanenza in Italia, Khamayis Waleed Issa ha
intrattenuto rapporti con esponenti della malavita, tra i quali spiccano
Bruno Pizzata, Salvatore Strangio, Giovanni Manglaviti, tutti originari di
San Luca; Domenico, Giuseppe e Bruno Criaco di Africo". Trascorrono appena
tre mesi dall'informativa dei ROS sui presunti attentati terroristici contro
i ministri Martelli e Andò che un nuovo colpo di scena infittisce il mistero
Waleed Issa. Un laconico comunicato dell'Ansa del 19 novembre '92 annota che
il trentenne palestinese "indicato come uno dei componenti del commando, si
trova in un carcere brasiliano dal mese di luglio per traffico di droga".
"Gli investigatori brasiliani - continua la nota - sono riusciti a
identificarlo solo ieri, con la collaborazione dell'Interpol e dei
carabinieri, grazie a una comparazione delle impronte digitali".

Del palestinese si torna a parlare nel rapporto redatto dalla DIA nel marzo
1998 in concomitanza con lo scoppio del cosiddetto 'caso Messina'. Facendo
riferimento alle nuove intese raggiunte tra i vertici mafiosi siciliani e le
maggiori 'ndrine calabresi, la DIA si sofferma sulle indagini eseguite su
"un'organizzazione di trafficanti composta da siciliani riconducibili a Cosa
Nostra trapanese e, da calabresi della cosca Palamara-Bruzzaniti-Morabito,
che acquistava cocaina in Brasile per il tramite di un esponente del Fronte
di Lotta Popolare Palestinese, Waleed Issa Khamays".

Storie di armi, bombe ed aliscafi. Messina e la guerra del Mossad
A dimostrazione che la città dello Stretto è al centro di complessi intrecci
e traffici il cui baricentro ruoterebbe nello scenario di guerra del Medio
Oriente, basterà ricordare le oscure vicende che l'hanno investita in questi
ultimi quindici anni.

Nel marzo '84 viene sequestrata nelle acque delle isole Eolie una nave-cargo
battente bandiera panamense, la 'Viking', zeppa di armi pesanti, fucili e
proiettili di cannoni di produzione turca, su licenza americana. Dopo una
difficile inchiesta internazionale fu possibile ricostruire parzialmente la
rotta dell'imbarcazione. Partita dal porto di Haifa (Israele) con
destinazione 'ufficiale' il Brasile, il cargo avrebbe prima fatto scalo a
Derince, in Turchia, poi forse a Cipro e infine ad Augusta e a
Civitavecchia. Proprietaria della nave sarebbe stata la società di Haifa
Marisco Shipping Ltd, già coinvolta in traffici di materiale bellico a
favore dei "nemici di Israele", tra cui la stessa Olp. I tecnici che
ispezionarono a Messina l'imbarcazione dichiararono l'impossibilità della
'Viking' di sostenere la traversata atlantica fino in Brasile. Le armi erano
dunque dirette verso un porto mediterraneo, probabilmente siciliano o
calabrese. E siciliani o calabresi dovevano presumibilmente esserne i
destinatari.

E nelle acque prospicienti i Cantieri Rodriquez di Messina, a due passi
della base militare di Marisicilia e dell'Arsenale navale, nel gennaio 1986
si compie una delle azioni più misteriose compiute impunemente in Italia dai
servizi segreti israeliani: il sabotaggio di due aliscafi battenti bandiera
cipriota in riparazione alla Rodriquez. Uomini rana, dopo aver piazzato
delle cariche di esplosivo sotto gli aliscafi, le avevano fatte esplodere
con il conseguente affondamento dei battelli. Ad una settimana
dall'attentato mentre i magistrati messinesi brancolavano nel buio, era il
Time di New York a rivelare la matrice internazionale dell'attentato. A
commissionarlo sarebbe stato il Mossad israeliano, intenzionato a mettere
fuori uso due unità impiegate da una fazione palestinese per il trasporto di
armi sulla rotta Larnaca-Juniech (Libano), teatro di cruenti scontri tra le
fazioni cristiano-maronite e le milizie filo-siriane.

A capo della società armatrice dei due aliscafi, la Svalan and Tarnan Lines
Limited di Limassol, compariva un libanese di origini palestinesi Wael Afifi
Nasouch, accusato da Israele di essere un trafficante d'armi. Fuggito in
Brasile dopo essersi indebitamente appropriato di un'ingente somma di denaro
appartenente alla rappresentanza Olp di Nicosia, nel settembre 1987, Afifi
Wael Nasouch avrebbe fatto ritorno a Cipro. Scamperà miracolosamente ad un
attentato in taxi a Limassol. Un portavoce della presidenza della repubblica
cipriota accuserà un diplomatico palestinese. L'Olp respingerà ogni
coinvolgimento nella vicenda, tuttavia Yasser Arafat, dopo aver inviato due
suoi stretti collaboratori a Cipro per "accertamenti", deciderà l'immediata
riduzione del numero di diplomatici dell'Olp ivi accreditati.

A rendere ancora più intrigata la vicenda degli aliscafi un'altra
straordinaria coincidenza: meno di quattro mesi prima dell'attentato alla
Rodriquez, "un commando di estremisti filo-palestinesi", aveva effettuato un
raid contro tre israeliani a bordo di un panfilo, all'ancora proprio nel
porto di Larnaca, uccidendoli. Le tre vittime furono identificati come
agenti del Mossad. Tra di essi Sylvia Rafael, nota 007 israeliana. Il
governo di Tel Aviv accusò dell'attentato la 'Brigata 17', la forza di
sicurezza del leader dell'Olp e per ritorsione scatenò il raid aereo contro
la sede di Tunisi. Aveva inizio la stagione di guerra che avrebbe, da lì a
qualche mese, incendiato il Mediterraneo.

Elicotteri per il Venezuela
Torniamo alle vicende relative al misterioso ristoratore giordano 'cugino'
di Khamayis Waleed Issa, che secondo il Gico sarebbe stato in contatto a
Messina con il mafioso calabrese Bruno Criaco. Egli da qualche tempo avrebbe
lasciato la città dello Stretto; la sua pizzeria sarebbe stata rilevata da
un cittadino giordano-palestinese socio nella gestione di un noto ristorante
di cucina mediorientale del siriano naturalizzato italiano Abdullatif
Kweder. Kweder, che ha ricoperto per anni il ruolo di coordinatore della
segreteria della Facoltà di Giurisprudenza di Messina, è stato uno dei
principali indagati dell'inchiesta 'Arzente Isola' della Procura di Messina
sul traffico internazionale di armi, insieme all'imprenditore barcellonese
Rosario Cattafi, al mediatore messinese Filippo Battaglia e al titolare di
alberghi e casinò nell'isola caraibica di Saint Maarten Rosario Spadaro,
originario di Alì Terme.

Dei quattro solo il Battaglia - in compagnia di faccendieri legati al clan
Santapaola - è stato rinviato a giudizio dal Tribunale di Catania dove è
transitata l'inchiesta avviata a Messina. Kweder, Cattafi e Spadaro sono
stati invece prosciolti. Da parte sua, l'ex segretario di Giurisprudenza
aveva sempre smentito ogni coinvolgimento negli affari del Battaglia,
ammettendo in un'intervista rilasciataci sul settimanale L'isola, solo una
collaborazione, indiretta, in una transazione "legale" con il governo
venezuelano. "E' successo che nel 1981 ho conosciuto un professore in
pensione originario della provincia di Ragusa, tale Antonino Campailla, che
era venuto in Italia da Caracas per la laurea di un suo fratello. Mi ha
chiesto se conoscevo qualche mediatore in collegamento con le industrie
belliche per un acquisto di materiale sofisticato. Mi disse che era in
contatto con le autorità statali e che avremmo potuto ottenere le
provvigioni pari al 10-12% del valore del contratto. Mi rivolsi all'avv.
Filippo Battaglia, laureatosi nella nostra facoltà qualche anno prima, che
sapevo essere un broker a livello internazionale. Presentai allora il
Battaglia all'italo-venezuelano. So che poi i due hanno lavorato per una
fornitura di elicotteri Agusta. So che l'affare, per un valore di 40 milioni
di dollari, si è concluso felicemente per i due nel 1984. Per me ci fu la
beffa di non ricevere una sola lire di provvigioni". Proprio nel settembre
'84 l'impresa italiana avrebbe trasferito alcuni velivoli A 109 alla Guardia
Nazionale di Caracas. A quell'affare sempre secondo il Kweder, avrebbe
partecipato l'ex potente direttore del Consorzio autostradale
Messina-Catania. "Io so che il dott. Eraldo Luxi, tra il 1981 e il 1984, era
in buonissimi rapporti con l'avv. Filippo Battaglia, suo cognato. So che il
dott. Luxi ha collaborato con il Battaglia nella transazione: insieme
partirono per il Venezuela. Poi i loro rapporti si raffreddarono molto e mi
è stato detto che anche Luxi non avrebbe ricevuto nulla".

Sulla rotta Barcellona-Damasco
Indagando sulla latitanza del boss catanese Nitto Santapaola nel
barcellonese nei primi anni Novanta, i ROS dei carabinieri di Messina si
sono imbattuti su un presunto traffico internazionale di armi avviato dalla
mafia del Longano. I barcellonesi pare fossero in attesa di una grossa
partita di kalashnikov di produzione russa e di mitragliette Uzi israeliane
e per avviare la trattativa con i referenti stranieri era stato necessario
individuare un interprete russo e uno israeliano. Secondo le forze dell'
ordine di Messina "i personaggi che ruotavano attorno a tale vicenda sono
stati individuati in Graziano Mantovano di Milano, Paola Franchini di
Maranello, i barcellonesi Domenico Orifici, Salvatore Di Salvo detto 'Sam' e
Domenico Tramontana, gli ultimi tre esponenti di primo piano del gruppo
Gullotti". Seguendo un viaggio aereo dell'Orifici a Bologna, i Carabinieri
lo intercettano in un incontro con il Mantovano. L'argomento principale del
colloquio lascia di stucco gli inquirenti: Mantovano si rammarica per il
fallito tentativo di recuperare 800 mila dollari congelati in una banca di
Lugano su un conto cifrato. "C'era solo il numero, l'avevano trovato in
tasca la prima volta col giudice Palermo nell'82, ed è rimasto là per anni."
. Il conto infatti era stato messo sotto sequestro dall'allora sostituto
procuratore di Trento, Carlo Palermo, nell'ambito dell'inchiesta su un
ingente traffico internazionale di armamenti che vedeva coinvolti
faccendieri legati al Partito Socialista, agenti dei servizi segreti
italiani e le maggiori industrie belliche nazionali.

"Ciò è successo - spiega Mantovano ad Orifici - perché dall'Italia sono
stati venduti 50 carri armati alla Siria. Loro diventano pazzi perché non
sanno come sono stati portati via questi carri armati dall'Italia e sanno
che sono andati a finire in Siria e sono stati fatti dei pagamenti. Uno l'ho
preso io, uno l'ha preso Antonio, insomma hanno fatto un giro e ...".
Mantovano chiarisce che i soldi rimasti in Svizzera non possono essere
prelevati "perché il cliché viene dalla Siria e quindi ci sono dei dati
precisi di tutto il movimento che è stato fatto. Anche perché hanno
arrestato dei Siriani che se la sono cantata con l'intesa che il giudice
Palermo li avrebbe scarcerati e li avrebbe rimandati in patria, tanto a loro
non gliene fregava niente degli italiani...". "Minchia, ma come li hanno
mandati questi carri armati?" chiede stupito Domenico Orifici. "Nei
containers. Denominazione 'altro materiale'. Togliendo il cannone il carro
armato ci stava dentro giusto nel container'. Il trasporto lo facevamo a
metà. C'era il mio socio che era pratico di quelle cose là, noi facevamo
solo a smontare. A Verona vendevano questi carri armati da demolire. Ci sono
delle ditte specializzate che li ritirano con l'intesa di tagliarli,
togliere la culatta, e così via. Così i carri armati sono andati via belli
imballati. Hanno fatto Verona-Milano, Milano-Siria. Si poteva fare benissimo
Verona-Siria, ma è stata fatta una vendita ad una ditta di demolizioni a
Milano e di là non sono mai stati demoliti". Sarà bene ricordare che l'
inchiesta del giudice Palermo aveva svelato che insieme ai carri armati e ad
una partita di elicotteri, il gruppo dei trafficanti di morte stava
dirottando alla Siria tre "special toys": tre bombe atomiche all'uranio
arricchito 235, potenza distruttiva 20 megatoni.

Al supermarket dell'uranio
Il 20 marzo 1998, un articolo del giornalista Fabio De Pasquale su Centonove
rilancia la pista delle inchieste sui traffici di armi nel barcellonese come
possibile movente dell'omicidio di Beppe Alfano. "Nonostante i giudici
abbiano riconosciuto che quello di Alfano è un delitto di mafia, non è
ancora ben chiaro perché il giornalista sia stato ammazzato. Una cosa,
comunque, è certa. Quando Alfano insegnava a Trento era entrato in contatto
con i servizi segreti. Potrebbe, quindi, essere questo uno snodo
principale.". L'elemento chiave starebbe, secondo Centonove, nell'incontro
che si sarebbe tenuto nell'abitazione della famiglia Brusca a Palermo,
presente il boss Giuseppe Gullotti, proprio alla vigilia dell'omicidio di
Alfano. "Angelo Siino e Giovanni Brusca, infatti, chiesero al presunto boss
di Barcellona, Giuseppe Gullotti, di procurargli un carico di uranio, che,
tuttavia, non arrivò mai a destinazione". Ad indagare sulla misteriosa
trattativa sull'elemento indispensabile per la fabbricazione di testate
nucleari ci sarebbe da mesi il sostituto procuratore della Repubblica presso
il tribunale di Palermo, Franca Imbergamo, che avrebbe raccolto le
dichiarazioni di Siino.

"Ma cosa aveva scoperto di tanto importante Alfano?", s'interroga Centonove.
"Su cosa aveva messo le mani il giornalista? Forse qualcosa che poteva dare
fastidio proprio ai servizi segreti o a qualche organismo a loro collegato?
Qualche loggia segreta? Ma se è un delitto di mafia cosa c'entrano i
servizi? Interrogativi ancora irrisolti che, però, potrebbero essere
spiegati solo se Gullotti fosse un uomo dei servizi. Solo così, comunque, si
capirebbe perché Siino e Brusca si rivolgono proprio a lui per procurarsi
quel carico di uranio. Solo chi é ben inserito in determinati ambienti,
infatti, poteva trovare un carico così prezioso". Il ragionamento non fa una
grinza. E, come abbiamo visto, sono numerosi i punti di contatto del clan
barcellonese con gli ambienti vicini ai trafficanti di morte e ai poteri
occulti.

Le recenti vicende che hanno visto elementi delle cosche catanesi e del
versante tirrenico della provincia di Messina implicati in traffici di
materiale radioattivo, confermerebbero il ruolo di punta assunto da Cosa
Nostra nel supermarket del nucleare. Appena tre anni fa gli inquirenti
avevano svelato come tra Catania ed Avola era stata occultata una barra di
uranio dal peso di 25 chili e dal valore di quattro milioni di dollari,
giunta in Sicilia direttamente dallo Zaire. Protagonisti della vicenda un
noto commerciante di Belpasso, Pietro Bellia, e due cittadini portoghesi
trapiantati da anni nel siracusano, Belarmino Vilarinho, alimentarista, e
Carlos Monteiro, titolare di una ditta di trasporti. In particolare Bellia
era già stato arrestato dalla Dda di Catania nel '94 nell'ambito di
un'inchiesta su un presunto traffico di armi; egli inoltre sarebbe stato
socio di Giuseppe Spampinato, il costruttore catanese, accusato da alcuni
collaboratori di riciclare il denaro di provenienza mafiosa per conto dei
catanesi Carletto Campanella ed Aldo Ercolano. Ancora più inquietanti i
legami dei due portoghesi: secondo i magistrati etnei, Monteiro sarebbe
stato avvicinato a Lisbona da alcuni agenti dei servizi segreti russi per
recuperare una partita di mercurio radioattivo rubato nel 1989 da un
laboratorio dell'ex Urss, mentre Vilarhino è sospettato di aver partecipato
ad un vasto traffico di valuta con l'Iran e la Libia.

L'indagine si è inevitabilmente incrociata con quella su una misteriosa
scomparsa di altre barre di uranio finite nelle mani degli uomini della
cosca di Giuseppe Pulvirenti 'u Malpassotu' e che sarebbe dovuta andare
invece in nord Africa. Nel luglio '96, infatti, i magistrati individuavano
un vasto traffico di uranio, osmio e mercurio rosso che sarebbe stato
gestito da Cosa Nostra in combutta con un ex ufficiale del Kgb sovietico.
Tra gli arrestati i fratelli Carmelo e Gaetano Asero (organici alla cosca
Pulvirenti), e un banchiere e due finanzieri tedeschi titolari di una
società immobiliare, che reinvestivano il denaro proveniente da una
transazione di cocaina fornita dai cartelli colombiani a cui venivano
forniti kalashnikov, missili terra-aria e lanciarazzi monouso,
presumibilmente giunti in Italia direttamente dall'ex Jugoslavia. Al centro
di questo intrigatissimo traffico fatto di armi nucleari, missili e coca, il
paternese Salvatore Palumbo, personaggio che avrebbe vantato persino
un'amicizia con il leader ultranazionalista russo Alexander Zirinovski.

Occhio agli uomini d'onore che starebbero dietro a queste vicende: Carletto
Campanella, Aldo Ercolano e Giuseppe Pulvirenti sono i boss catanesi che più
di tutti hanno frequentato e stretto contatti i nuovi emergenti della mafia
barcellonese. La quadratura del cerchio? Il processo che da un paio di mesi
si è aperto a Catania contro la presunta banda di trafficanti di uranio
diretta tra gli altri da Domenico Stelitano di Roghudi e Salvatore Tringale
di Acicastello, indicato come appartenente alla cosca Santapaola.

Le indagini sono scaturite nel marzo '98, dal sequestro di una barra di
uranio radioattivo, del tipo solitamente usato per armare testate nucleari,
che era stata venduto per 22 miliardi di lire, denaro trasferito su un conto
segreto in una banca svizzera. Due degli imputati erano stati fermati tra
Ponte Chiasso e Bellinzona, mentre tentavano di raggiungere la banca per
prelevare il denaro pattuito. Tra di essi il calabrese Francesco Russo, già
arrestato per traffico di stupefacenti ed una serie di reati finanziari, in
strettissimi legami con Antonino Caridi, genero del boss della 'ndrangheta
reggina Domenico Libri. La barra in questione conteneva 200 grammi di uranio
238 e 38 grammi di uranio 235; essa era stata prodotta dal 'General Atomic'
statunitense, ed era stata venduta allo Zaire per alimentare una centrale
elettrica ad energia atomica. Dallo Zaire l'elemento fissile sarebbe stato
introdotto illegalmente in Italia durante il colpo di stato del maggio '97,
che costrinse alla fuga il dittatore Mobutu. Dalle intercettazioni
telefoniche è emerso che Salvatore Tringale era persino disposto ad
acquistare 8 missili nucleari russi 'R36' e 'R32' e materiale radioattivo,
per un valore di 200 miliardi di lire.

L'"annoiata" vita della provincia messinese
Alla banda 'radioattiva' composta da uomini legati a Cosa Nostra, alla
'ndrangheta e alla banda della Magliana, è risultato farne parte il pattese
Paolo Cipriano. Residente da anni a Piraino dove è solito girare con una
fiammante Ferrari rossa, precedenti penali per ricettazione e reati
patrimoniali, nel 1992 Cipriano è stato arrestato nel corso dell'operazione
'Mare Nostrum 2', con l'accusa di aver illegalmente detenuto e portato in
luogo pubblico, le armi che dovevano essere utilizzate nel 1987 in un
attentato, poi fallito, contro Carmelo Pagano di Terme Vigliatore. Nipote
del potente boss di Brolo Giuseppe Cipriano, personaggio dai consolidati
legami con la 'ndrangheta e le principali cosche siciliane, Paolo avrebbe
fatto per anni da tramite tra le organizzazioni malavitose della zona
nebroidea e gli uomini del clan Santapaola. Secondo gli inquirenti Paolo
Cipriano avrebbe partecipato ad almeno due degli incontri tra i venditori di
uranio e i potenziali acquirenti. Sedi della spregiudicata trattativa la
stazione ferroviaria di Giardini-Naxos e un caffé della cittadina di Patti.

Novembre '95, Ponte Chiasso. La Guardia di finanza intercetta un'Alfa 164
con a bordo due siciliani, il costruttore originario di Naso, Aurelio
Cipriano, e l'insegnante originario di Ficarra, Giuseppe Ridolfo. I due
provengono dalla Svizzera e girano con un assegno da un milione di dollari
emesso dalla Chase Manhattan Bank di New York e con una lunga serie di
documenti in lingua inglese e tedesca che "riguarderebbero transazioni
bancarie per decine di miliardi". Secondo la Gazzetta del Sud l'imprenditore
sarebbe cugino di Pippo Cipriano, ex affiliato al clan di Giuseppe Chiofalo,
oggi collaboratore di giustizia. "Aurelio Cipriano è titolare dell'impresa
edile Albatros House, ed è molto noto nella zona per aver effettuato lavori
a Brolo, Piraino e Capo d'Orlando. Ha anche aperto cantieri a Sibari,
nell'Aretino e presumibilmente in Germania". Il capitano della Guardia di
finanza Nicola Altiero, comandante del nucleo di stanza alla frontiera
ipotizza che il tutto sia "finalizzato a perpetrare una presunta truffa ai
danni di qualche istituto di credito o società di intermediazione estera".
Immediata la smentita del Cipriano che in comunicato al maggiore quotidiano
di Messina precisa di non avere "alcun rapporto di parentela o affinità con
tale Giuseppe Cipriano". No comment sull'assegno a nove zeri e i documenti
sulle presunte transazioni miliardarie...

Barcellona-Patti-Brolo-Piraino. Piccoli centri di una provincia sonnolenta,
dove migliaia di disoccupati convivono accanto a plurimiliardari,
trafficanti di morte, agenti dei servizi segreti, gladiatori e massoni.
Capita così che nessuno badi alla notizia apparsa sulle cronache locali la
scorsa estate: l'arresto a Gliaca di Piraino di Salvatore Vincenzo Lenzo,
analista finanziario, nell'ambito di un'inchiesta su un presunto traffico
internazionale di materiale radioattivo e banconote false stampate a Roma.
Spuntano ancora le solite barre d'uranio, trattate da una banda con sede in
Lazio e clienti di stati esteri. Nello sfondo alcune società finanziarie che
avevano effettuato una serie di truffe miliardarie a danno di alcuni
istituti bancari italiani e tedeschi.


[1] La sentenza è poi passata in giudicato con la conseguente carcerazione
del finanziere nell'ottobre del 2002.
[2] Corte di appello di Reggio Calabria, "Sentenza nel procedimento penale
contro Audrino Aldo + 30", Reggio Calabria, 10 luglio 2000, pp. 16-18.
[3] E. Ciconte, "Estorsioni ed usura a Milano e in Lombardia", Strumenti.
Economia Legalità e Criminalità. Studi e Ricerca, n. 2, Edizioni Commercio,
Roma, 2000, pp.150-158.


ferolli

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Nov 15, 2003, 8:32:39 AM11/15/03
to
"Guglielmo Maria Euge Rinaldini" <guglielmo...@virgilio.it> wrote in message news:<1fatb.22735$9_.8...@news1.tin.it>...

Ma chi vi capisce?????????

Matteo

unread,
Nov 15, 2003, 10:09:10 AM11/15/03
to
QUOTA!!!!!

61k di post per una riga di messaggio! E che cacchio!


gianburrasca

unread,
Nov 16, 2003, 10:00:21 AM11/16/03
to

> Ma chi vi capisce?????????

e allora non leggere.


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