Sono proprietario di un appartamento posto al secondo piano di un edificio
che ha due vani scale distinti che si affacciano su due strade diverse.
Il palazzo in questione costituisce un unico condominio, nonostante che
alcuni appartamenti abbiano ingresso da una scala ed altri da un'altra. Il
Sig. Pippo 15 anni fa vendeva l'appartamento al Sig. Pluto con due ingressi
e qualche anno dopo (12 anni fa) ne chiudeva uno, senza che Pluto si
opponesse (all'epoca esisteva un accordo verbale tra le parti non non
menzionato esplicitamente nell'atto di compravendita). Allora il Sig. Pippo
possedeva i tre appartamenti che si affacciavano e si affacciano su quel
vano scale e quindi ne aveva ufficiosamente esclusivo accesso, ufficialmente
invece un'altra persona ne
aveva e ne ha diritto, in quanto proprietario di un alimentari, posto al
piano terreno dello stesso edificio, che ha un'apertura su quello stesso
vano. Il proprietario dell'alimentari (Sig. Topolino) non utilizza
l'accesso a quel vano scale perchè non ne ha necessità, ma in ogni
occasione, riunioni condominiali comprese, ricorda il suo diritto trascritto
anche nel suo contratto di compravendita. Il Sig. Pippo circa due anni fa,
ha venduto uno dei tre appartamenti che si affacciano su quel vano scale. Ad
oggi quindi su quelle scale hanno diritto di accesso almeno tre persone Il
Sig Pippo con due appartamenti il Sig. Topolino con la bottega di alimentari
ed il nuovo proprietario Sig. Paperino. A questo punto arrivo io Paolo e,
dopo aver acquistato l'appartamento dal Sig. Pluto, chiedo al Sig. Pippo,
Topolino e Paperino il consenso di riapertura della vecchia porta su quel
vano, in quanto scala condominiale e come tale fruibile da tutti i
condomini. La riapertura è importante per una migliore disposizione
dell'appartamento. A questa mia richiesta il Sig. Pippo si rifiuta di
accordare il consenso ed anzi dice che, se facessi ciò, lederei la sua
proprietà privata; Topolino e Paperino invece danno un consenso legato
all'effettiva possibilità legale di effettuare l'apertura, come trascritto
nel registro delle assemblee condominiali.
In seguito alla mia richiesta ho effettuato l'apertura dopo aver ottenuto i
permessi necessari dal comune per i lavori di muratura. Il Sig. Pippo mi ha
fatto inviare dal suo avvocato una raccomandata dove mi chiede di richiudere
la porta in questione altrimenti si vede costretto ad agire in giudizio, il
mio legale gli sta rispondendo. Tutta questa storia è andata avanti sino ad
oggi perchè, tramite il mio legale sono venuto a conoscenza di una sentenza
della Cassazione, la quale ha dato ragione alla parte che si trovava in una
situazione analoga alla mia, (in quel caso addirittura non preesisteva
alcuna porta). La sentenza è la N° 1357 del 1990, così credo poichè vado a
memoria e non ho trascritto il riferimento preciso.
Questo è tutto ad oggi, in attesa di una gradita discussione nel NG saluto
cordialmente Paolo.
Credo che l'art. 1117, n. 1, c.c. Le dia perfettamente ragione.
La sentenza da Lei citata, che fa bene ad invocare a suo favore, è: Cass. 22
febbraio 1996, n. 1357.
Le riporto, qui di seguito, sia l'art. 1117 sia la sentenza citata.
Saluti.
Codice civile
CAPO II
Del condominio negli edifici
Art. 1117 - Parti comuni dell'edificio.
Sono oggetto di proprietà comune dei proprietari dei diversi piani o
porzioni di piani di un edificio, se il contrario non risulta dal titolo:
1) il suolo su cui sorge l'edificio, le fondazioni, i muri maestri, i tetti
e i lastrici solari, le scale, i portoni d'ingresso, i vestiboli, gli
anditi, i portici, i cortili e in genere tutte le parti dell'edificio
necessarie all'uso comune;
2) i locali per la portineria e l'alloggio del portiere, per la lavanderia,
per il riscaldamento centrale, per gli stenditoi e per altri simili servizi
in comune;
3) le opere, le installazioni, i manufatti di qualunque genere che servono
all'uso e al godimento comune, come gli ascensori, i pozzi, le cisterne, gli
acquedotti e inoltre le fognature e i canali di scarico, gli impianti per
l'acqua, per il gas, per l'energia elettrica, per il riscaldamento e simili,
fino al punto di diramazione degli impianti ai locali di proprietà esclusiva
dei singoli condomini.
Cass. civ., sez. II, 22-02-1996, n. 1357 - Pres. Marconi A - Rel.
Cristarella Orestano F - P.M. Gambardella V (Diff.) - Stramaglia c. De
Benedictis
Svolgimento del processo
Nel gennaio 1984 Teresa De Benedictis, quale proprietaria, in Modugno, di un
appartamento sito al sesto piano dell'edificio condominiale avente accesso
dalla Via Roma n. 76, convenne in giudizio, avanti il Tribunale di Bari, il
Condominio ed il condomino Vito Stramaglia, proprietario di un appartamento
al settimo piano dello stesso edificio, esponendo che costui aveva aperto
abusivamente una nuova porta sul proprio pianerottolo per metterlo in
comunicazione con altro appartamento di sua proprietà ubicato in un diverso
limitrofo edificio avente accesso da Via Galvani n. 7.
Chiese, quindi, condannarsi lo Stramaglia al ripristino dell'originaria
situazione dei luoghi e al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separata
sede.
Mentre il Condominio rimase contumace, lo Stramaglia si costituì e contestò
il fondamento della pretesa avversaria, deducendo che quelle cui si riferiva
l'attrice non erano entità autonome ma costituivano parti di un unico
edificio condominiale con due portoni d'ingresso e due scale, sicchè egli,
lungi dal commettere un abuso, aveva fatto legittimo uso della cosa comune.
Tale linea difensiva venne condivisa dal giudice adito il quale, con
sentenza 13/2/1990, previo espletamento di c.t.u., disattese l'assunto
attoreo dell'innovazione volta a costituire una illegittima servitù a favore
dell'appartamento dello Stramaglia con accesso da Via Galvani n. 7 e a
carico di parti comuni dello stabile di Via Roma n. 76, in quanto basato
sull'erroneo presupposto di fatto che i due appartamenti del predetto al
settimo piano facessero parte di due distinti stabili, mentre, in realtà,
questi, come accertato dal c.t.u., erano tra loro interconnessi da un punto
di vista strutturale e potevano considerarsi come un unico manufatto
edilizio realizzato in un unico contesto sulla base di un unico progetto,
tanto che era stato approvato un solo regolamento di condominio e che negli
atti di acquisto dei singoli appartamenti si faceva riferimento ad un unico
stabile, senza che potesse avere rilievo, in contrario, l'esistenza di due
distinte scale con accessi diversi.
Proposto gravame dalla De Benedictis, la Corte d'appello di Bari, con la
sentenza precisata in epigrafe, nella resistenza dello Stramaglia e nella
contumacia del Condominio, ha riformato totalmente la decisione di primo
grado, accogliendo la domanda attorea e condannando lo Stramaglia a
ripristinare a sua cura e spese l'originaria situazione dei luoghi.
Ha osservato la Corte barese che non aveva rilevanza l'ubicazione di
entrambi gli appartamenti dello Stramaglia nello stesso edificio, bensì il
fatto, pure accertato dal c.t.u., che ciascuno di essi faceva parte di un
gruppo di appartamenti accessibile da una scala diversa da quella che
consentiva l'accesso al gruppo comprendente l'altro, la qual cosa faceva sì
che la comproprietà (e con essa l'uso) di ciascuna scala competesse soltanto
ai proprietari esclusivi degli appartamenti da essa serviti, per cui lo
Stramaglia, pur essendo proprietario esclusivo di entrambi gli appartamenti,
era comproprietario a diverso titolo di ciascuna delle due scale e non
poteva pretendere, quindi, di utilizzare l'una (quella di Via Roma) in forza
del titolo che lo abilitava a servirsi solo dell'altra.
Ricorre per cassazione Vito Stramaglia sulla base di due motivi diffusamente
articolati e poi illustrati con memoria, ai quali resiste con controricorso
e con successiva memoria Teresa De Benedictis.
Il ricorso risulta notificato anche al Condominio di Via Roma, 76 - Via
Galvani, 6 di Modugno il quale, però, neppure in questa sede ha svolto
attività difensive.
Motivi della decisione
L'esposizione dei due motivi di ricorso è preceduta da una lunga premessa in
fatto nella quale, oltre a ribadirsi l'unicità strutturale del complesso
immobiliare comprendente gli appartamenti del ricorrente, si precisa:
- che nello spazio intercorrente tra le due scale erano stati progettati e
realizzati in origine tanti vani da costituire due appartamenti per ogni
piano, uno confinante ed avente accesso dalla scala di Via Roma, l'altro
confinante ed avente accesso da quella di Via Galvani;
- che nell'ambito di detto spazio, costituente solo una parte della ben
maggiore superficie di ciascun piano, lo Stramaglia era proprietario, al
settimo piano, di entrambe le unità immobiliari ivi ubicate, solo che, a
differenza dei sei piani sottostanti - in ognuno dei quali i due
appartamenti erano stati venduti separatamente a singoli proprietari
esclusivi ed avevano, quindi, ingressi separati, uno dal pianerottolo della
scala di Via Roma e l'altro dal pianerottolo della scala di Via Galvani -
esse, per volontà degli originari acquirenti coniugi Vergallo-Ponzoni, erano
unificate a formare un solo appartamento da questi abitato, sicchè si era
ritenuto di non avvalersi dei due ingressi, pur progettati, e si era
preferito quello della scala di Via Galvani;
- che poi lo Stramaglia, divenuto egli proprietario di dette unità
immobiliari al settimo piano tra le due scale, non aveva ritenuto di
servirsene come i precedenti proprietari ma aveva preferito seguire il
criterio che aveva guidato il progettista e costruttore del fabbricato,
separandole e cedendo in locazione i quattro vani del lato di Via Galvani,
con conseguente necessità di aprire la porta sul pianerottolo della scala di
Via Roma per dare ingresso ai rimanenti vani che, altrimenti, sarebbero
rimasti interclusi, e ciò avvalendosi dello stesso diritto di comproprietà e
comunque di uso di detta scala di cui si erano avvalsi i proprietari dei sei
piani sottostanti.
Tanto premesso si denunziano, con il primo motivo, violazione e falsa
applicazione di norme di diritto, omessa, confusa e insufficiente
motivazione su punti decisivi della controversia, il tutto in relazione
all'art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c., rimproverandosi innanzitutto alla Corte
barese di aver attribuito allo Stramaglia la proprietà di due appartamenti
al settimo piano dell'edificio, mentre, in realtà, a costui ne appartenevano
tre, due dei quali nello spazio intercorrente tra le due scale ed il terzo,
adibito a sua abitazione, con ingresso dalla scala di via Roma, fuori di
detto spazio.
Se ne deduce che la sentenza impugnata poggia su un presupposto non
rispondente alla realtà che la condotto, perciò, ad una decisione errata.
Con il secondo motivo - denunziandosi violazione delle norme disciplinanti
il diritto di proprietà (art. 832 c.c.), di comproprietà di un bene (art.
1102 c.c.) e di comproprietà e di uso di bene nel condominio degli edifici
(artt. 1117 e segg c.c. e 61 disp. att. c.c.) - si muovono le seguenti
censure alla sentenza impugnata:
- Aver condizionato e limitato pesantemente il diritto di proprietà del
ricorrente sulle complessive strutture poste al settimo piano dell'edificio
tra le due scale e averlo privato del diritto di comproprietà e di uso, nei
limiti di sua pertinenza, della scala di Via Roma perchè, togliendogli
l'accesso da tale scala all'appartamento legittimamente ricavato dal
compendio immobiliare realizzato tra essa e quella di Via Galvani e
pienamente conforme all'indirizzo architettonico dato dal costruttore,
autorizzato dalla P.A. e accettato dai condomini in ciascuno dei piani
sottostanti, si faceva sì che l'appartamento stesso rimanesse indisponibile
in quanto intercluso;
- Aver disconosciuto ingiustificatamente il diritto di comunione dello
Stramaglia sulla scala di via Roma, derivante dal suo diritto di proprietà
sull'appartamento che con essa confinava strutturalmente (al pari di quello
al sesto piano appartenente alla De Benedictis, già avente ingresso da
quella scala), nonchè sul muro a confine tra l'appartamento e la scala,
comunione che comportava anche il diritto di aprire una porta di
comunicazione e di usare il confinante vano scala e il pianerottolo secondo
le forme e nei limiti prescritti dalle disposizioni dettate per la comunione
e per il condominio negli edifici, in particolare dall'art. 1102 c.c. che
consente l'utilizzazione della cosa comune con il solo limite che non ne
venga alterata la destinazione, che non ne venga limitato il godimento degli
altri condomini e che non sia pregiudicata la stabilità dell'edificio
comune;
- Non aver considerato che lo Stramaglia, ancor prima dell'acquisto delle
due unità immobiliari tra le due scale, era proprietario di altro
appartamento al settimo piano della stessa scala avente accesso da Via Roma,
sicchè di questa e del pianerottolo egli era già comproprietario a questo
titolo.
Le censure, esaminabili in un contesto unitario a causa della loro stretta
connessione, sono complessivamente fondate e non ha pregio l'obiezione della
resistente secondo cui esse postulano una situazione di fatto diversa e
sopravvenuta rispetto a quella emersa in sede di merito sol perchè si
precisa oggi nel ricorso che l'unico originario appartamento al settimo
piano tra le due scale è stato suddiviso in due autonome unità abitative una
delle quali, quella confinante con la scala di Via Roma n. 76, sarebbe
inaccessibile ed interclusa senza la contestata apertura della porta su tale
scala.
Invero, quel che rileva in punto di fatto - e che non poteva essere ignorato
o sorvolato dalla Corte barese- è il dato pacifico ed incontestato che il
compendio immobiliare de quo è caratterizzato dalla presenza di due scale
aventi rispettivamente accesso da Via Roma e da Via Galvani e
dall'esistenza, tra l'una e l'altra, di spazi abitativi, ad ogni piano, i
quali confinano da un lato con la prima e dal lato opposto con la seconda,
sicchè sono strutturalmente e potenzialmente accessibili da entrambe, a
differenza degli altri appartamenti ubicati nelle parti laterali della
costruzione e, quindi, accessibili soltanto da una di esse.
Altro dato certo da non ignorare era che lo Stramaglia, oltre ad essere
proprietario, al settimo piano, di un appartamento confinante e comunicante
unicamente con la scala di Via Roma, era anche proprietario, allo stesso
piano, dell'intero spazio abitativo indiviso tra le due scale, munito di
accesso soltanto da quella Via Galvani, e che la finalità da lui perseguita
con l'apertura della porta, come riconosce espressamente la De Benedictis a
pg. 7 del controricorso, era di suddividere detto spazio in due autonomi
appartamenti, uno con l'accesso preesistente e l'altro con il nuovo dalla
scala di Via Roma.
Che poi tale suddivisione fosse stata già attuata al momento della citazione
introduttiva del giudizio o fosse in itinere o sia sopravvenuta in corso di
causa è cosa priva di sostanziale rilievo al pari di quella concernente
l'esistenza o meno delle autorizzazioni amministrative all'uopo necessarie
(il che non attiene ai rapporti privatistici tra condomini).
Deve escludersi, quindi, che la prospettata esistenza di tre appartamenti
dello Stramaglia al settimo piano, due dei quali ricavati dallo spazio tra
le due scale prima utilizzato come unico appartamento, si risolva nella
pretesa di un diverso accertamento dei fatti di causa, visto che neppure la
parte resistente disconosce la strutturale suddivisibilità di quello spazio
in due distinte unità abitative ciascuna delle quali confinante e
comunicante con una delle scale, come non contesta che tale suddivisione
fosse già in atto agli altri piani.
I giudici del merito, dunque, tenendo ben presenti tali caratteristiche
strutturali del fabbricato, risultanti dal copioso materiale acquisito,
avrebbero dovuto accertare:
1) Se il complesso immobiliare comprendente gli appartamenti delle parti in
causa fosse costituito da due edifici e da due condomini, ciascuno con una
scala, oppure da un unico edifici e da due condomini, ciascuno con una
scala, oppure da un unico edificio condominiale con due scale;
2) Se, in quest' ultima ipotesi, le due scale fossero di proprietà comune di
tutti i partecipanti all'unico condominio oppure, ognuna, dei soli condomini
che concretamente ed effettivamente la utilizzavano per accedere alle
proprie unità immobiliari;
3) Se, in ogni caso, gli spazi abitativi compresi tra le due scale
appartenessero strutturalmente all'edificio (o porzione di edificio) avente
accesso dalla scala di Via Galvani, a quello (o porzione di edificio) avente
accesso dalla scala di Via Galvani, a quello avente accesso dalla Scala di
Via Roma oppure per metà all'uno e per metà all'altro;
4) Se lo Stramaglia, quale proprietario dell'intera superficie al settimo
piano tra le due scale, confinante con entrambe, potesse comunque vantare la
comunione anche su quella di Via Roma nonostante la scelta iniziale del prec
edente proprietario di strutturare detta superficie ad unico appartamento e
di utilizzare, per accedervi, la scala di Via Galvani;
5) Se, nel caso di accertata comunione della scala di Via Roma in capo allo
Stramaglia, la praticata apertura della porta su di essa, per accedere alla
sua confinante proprietà esclusiva prima avente accesso solo da Via Galvani,
fosse legittima ex art. 1102 c.c. oppure comportasse alterazione di
destinazione della cosa comune o impedisse agli altri partecipanti di farne
parimenti uso secondo il loro diritto.
Orbene, la Corte barese, dopo aver risolto la prima di dette questioni allo
stesso modo del Tribunale, cioè nel senso che si trattava dello "stesso
edificio" con un unico condominio ed un unico regolamento condominiale (e
tale affermazione, in mancanza di un ricorso incidentale condizionato della
De Benedicitis, deve considerarsi ormai intangibile), si è sbarazzata
sbrigativamente e superficialmente delle altre rilevando che, poichè
ciascuno dei due appartamenti di proprietà dello Stramaglia faceva parte di
un gruppo comprendente l'altro, la comproprietà (e con essa l'uso) di
ciascuna scala competeva soltanto ai proprietari esclusivi degli
appartamenti da essa serviti, sicchè il predetto, benchè proprietario
esclusivo di entrambi gli appartamenti, era comproprietario a diverso titolo
di ognuna delle due scale e non poteva pretendere di utilizzare l'una in
forza del titolo che lo abilitava ad utilizzare l'altra, ossia di asservire
la scala di Via Roma al suo appartamento di Via Galvani.
In queste scarne proposizioni si annida, innanzitutto, ad avviso del
Collegio, un errore di diritto consistente nel ritenere, per altro del tutto
apoditticamente, che, allorquando in uno stesso edificio condominiale
esistano più scale concretamente al servizio di parti diverse di tale
edificio, ognuna di esse appartenga in proprietà comune soltanto al gruppo
di condomini che ne trae utilità.
Siffatta opinione contrasta con la lettera e con la ratio dell'art. 1117 n.
l c.c. il quale, stabilendo che le scale dell'edificio condominiale, al pari
delle altre cose ivi nominativamente indicate, sono oggetto di proprietà
comune dei proprietari dei diversi piani o porzioni di piano dell'edificio
stesso, se il contrario non risulta dal titolo, non consente di distinguere
a seconda che si tratti di una o di più scale e di creare, nel secondo
caso, distinti gruppi di condomini cui imputare la comunione ma fissa un
principio valido anche per l'ipotesi di utilizzazione separata di una
pluralità di cose, principio giustificato dall'unitarietà della collettività
condominiale e dall'interesse di tutti condomini alla sorte delle parti
essenziali dell'immobile.
Se si opinasse diversamente si potrebbe giungere all'assurda conclusione che
un muro maestro o una parte di fondazioni, tanto per fare un esempio, non
siano comuni a tutti i condomini sol perchè le proprietà esclusive di un
gruppo di essi sono ubicate in un'ala dell'edificio che non sarebbe
direttamente compromessa dal venir meno della loro integrità e della loro
funzionalità statica.
Non vale argomentare, poi, che il n. 1 dell'art 1117 c.c. fa seguire
all'elencazione nominativa la locuzione" ...e in genere tutte le parti
dell'edificio necessarie all'uso comune", trattandosi, all'evidenza, di
un'espressione di chiusura la quale sta a significare che detta elencazione
non è esaustiva, potendovi essere altre cose aventi, al pari di quelle prima
indicate, la caratteristica di essere, per definizione, essenziali all'uso
comune, così da doversi considerare, salvo titolo negoziale contrario, di
proprietà comune di tutti, quand'anche sia soltanto un gruppo di condomini a
trarne concreta utilità.
Non ignora la Corte l'indirizzo giurisprudenziale, richiamato nella gravata
sentenza, secondo cui la presunzione di comunione enunciata da detta norma
non è assoluta e viene meno quando una delle parti in essa considerate
serve, per caratteristiche strutturali e funzionali, al godimento di una
porzione dell'immobile formante oggetto di autonomo e separato diritto di
proprietà in quanto la destinazione particolare vince la presunzione legale
di comunione alla stessa stregua di un titolo contrario (v. sent. 11/8/1990
n. 8233, 9/12/1980 n. 6362), ma, a prescindere dalla difficoltà concettuale
di una siffatta equiparazione, non sembra che tale indirizzo sia conforme
alla lettera e alla ratio della norma poichè questa, come si è già detto,
includendo, tra l'altro, le cose comuni in quanto necessarie per definizione
all'uso comune, non consente di distinguere, in assenza di un esplicito
titolo negoziale contrario, tra l'ipotesi di unica scala e quella di più
scale al servizio di distinti gruppi di condomini.
D'altro canto, se si ammettesse una simile distinzione, rimarrebbe privo di
razionale giustificazione il disposto dell'art. 1123, ult. comma, c.c.
secondo cui, qualora un edificio abbia più scale, cortili, lastrici solari,
opere o impianti destinati a servire una parte dell'intero fabbricato, le
spese relative alla loro manutenzione sono a carico del gruppo di condomini
che ne trae utilità.
Tale disposizione, infatti, sarebbe del tutto superflua ove si negasse la
comunione di quelle cose in capo ai condomini che non ne traggono utilità,
poichè in tal caso il loro obbligo di partecipazione alle spese manutentive
e conservative sarebbe automaticamente escluso in radice dall'assenza di
ogni loro diritto di comproprietà sulle cose stesse, atteso che, ai sensi
del primo comma dello stesso art. 1123 c.c., il presupposto ineliminabile
del nascere di detto obbligo è il fatto che si tratti di "spese necessarie
per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell'edificio".
Non è superfluo aggiungere che neppure troverebbe logica spiegazione
razionale, ove si accettasse il confutato orientamento, l'art. 61 delle
disp. att. c.c. che consente di sciogliere il condominio e di costituirne
uno separato qualora un edificio o gruppo di edifici appartenenti per piani
o per porzioni di piano a proprietari diversi si possa dividere in parti che
abbiano le caratteristiche di edifici autonomi, norma anch'essa inutile ove
si ritenesse che, indipendentemente dalla separazione, la parte di edificio
dotata di scale e servizi propri abbia già una propria autonomia.L'esigua
motivazione della sentenza impugnata, poì lascia a mala pena comprendere che
la Corte barese, nell'affermare che lo Stramaglia, anche se proprietario
esclusivo "di entrambi gli appartamenti", era comproprietario a diverso
titolo di ciascuna delle due scale, ha inteso riferirsi, quale titolo di
comproprietà della scala di Via Roma, all'appartamento situato all'esterno
dello spazio compreso tra le due scale e confinante con entrambe. Ma in tal
modo si è trascurato di considerare la peculiarità della fattispecie,
rappresentata appunto dall'esistenza di tale spazio, potenzialmente
accessibile dall'una e dall'altra scala, e dalla sua suddivisibilità in due
autonomi appartamenti, come sembra già fosse nei piani sottostanti al
settimo.
Questa particolare situazione avrebbe dovuto indurre ad accertare se sulla
scala di Via Roma lo Stramaglia potesse comunque vantare la comunione anche
quale proprietario dell'appartamento e del relativo muro divisorio
immediatamente confinanti con essa, tenuto conto della sua idoneità
strutturale a dargli accesso allo stesso modo della scala di Via Galvani
inizialmente prescelta allo scopo dal precedente proprietario.
Sarebbe stata necessaria, cioè, un'indagine volta a stabilire se, nonostante
l'assenza attuale di una porta d'ingresso sulla scala di Via Roma, il
gravitare su di essa del confinante spazio abitativo, di proprietà dello
Stramaglia, estendentesi sino alla scala di Via Galvani, non costituisse di
per sè ragione sufficiente a far ritenere che egli ne fosse comproprietario.
La Corte di merito, invece, invece, senza la benchè minima attenzione alle
caratteristiche strutturali dell'edificio condominiale e alla distribuzione
delle unità immobiliari ai vari piani, ha ritenuto di poter definire sic et
simpliciter "appartamento di via Galvani" l'intero spazio di proprietà del
predetto compreso tra le due scale al settimo piano, omettendo del tutto di
considerare e valutare il fatto che esso, anche se avente accesso da detta
via, in quanto originariamente utilizzato come unico appartamento, confinava
con entrambe le scale ed era strutturalmente accessibile, quindi, anche da
Via Roma.
Alla stregua delle osservazioni che precedono si impone la cassazione, per
quanto di ragione della sentenza impugnata, con rinvio, anche per le spese
del presente procedimento, ad altra sessione della Corte d'appello di Bari
la quale si uniformerà ai criteri direttivi di cui innanzi e, in
particolare, al seguente principio di diritto: "A norma dell'art. 1117 n. 1
c.c. le scale di un edificio condominiale, anche se più d'una e poste
concretamente al servizio di parti diverse dell'edificio stesso, vanno
sempre considerate, in assenza di un contrario titolo negoziale, di
proprietà comune di tutti i condomini senza che a ciò sia di ostacolo il
disposto dell'art. 1123, ult. comma, c.c. il quale, proprio sul presupposto
di tale comunione, disciplina soltanto la ripartizione delle spese per la
conservazione e per il godimento di esse ispirandosi al criterio
dell'utilità che ciascun condomino o gruppo di condomini ne trae".
Resta assorbita la questione - non affrontata dal giudice a quo a causa
della ritenuta mancanza, in capo allo Stramaglia, di un diritto di comunione
sulla scala di Via Roma quale proprietario dell'appartamento con accesso da
Via Galvani - dei limiti di utilizzabilità della cosa comune ex art. 1102
c.c..
P.Q.M.
LA CORTE
Accoglie il ricorso per quanto di ragione.
Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del
procedimento di Cassazione, ad altra sezione della Corte d'appello di Bari.
>"Elena Gargini" <elga...@tin.it> ha scritto nel messaggio
>news:UK1a6.6060$lV5.1...@twister1.tin.it...
>> Ciao e buon anno nuovo a tutti, vorrei esporre al newsgroup una disputa in
>> corso tra me ed il Sig. Pippo, primo proprietario del mio appartamento.
>>
>Credo che l'art. 1117, n. 1, c.c. Le dia perfettamente ragione.
>La sentenza da Lei citata, che fa bene ad invocare a suo favore,
rispondo a questo post per due motivi del tutto indipendenti
1) avevo inserito un msg che trattava un argomento
simile, ma le differenze ribaltavano la situazione,
temo, a sfavore dell'apertura della porta, trattandosi,
tra l'altro, di comunione e non di condominio
ti e' sfuggito, non avevi tempo, non l'hai ritenuto
interessante, ti sono antipatico :-) ?
2) la legge sulla privacy e' una stronzata ?
piccolo esempio:
>Cass. civ., sez. II, 22-02-1996, n. 1357 - Pres. Marconi A - Rel.
>Cristarella Orestano F - P.M. Gambardella V (Diff.) - Stramaglia c. De
>Benedictis
>
>Svolgimento del processo
>Nel gennaio 1984 Teresa De Benedictis, quale proprietaria, in Modugno, di un
>appartamento sito al sesto piano dell'edificio condominiale avente accesso
>dalla Via Roma n. 76, convenne in giudizio, avanti il Tribunale di Bari, il
>Condominio ed il condomino Vito Stramaglia, proprietario di un appartamento
De Benedictis, Modugno, Stramaglia
Marconi, Orestano, Gambardella
le sentenze che leggo ora c'e' C.B. che cita T.A.
e il terzo L.O. sostiene che ...,
non so voi, ma io spesso perdo il filo
ma questo e' niente:
il peggio che ha fatto la legge sulla privacy e'
l'aver dato la possibilita' ad un lettore della
gazzatta dello sport, comodamente seduto ad una
scrivania di un ufficio pubblico, sollecitato da
qualsiasi richiesta, di non dovere interrompere
la lettura semplicemente affermando "non lo posso
fare, per la privacy" (ovviamente invocata a
sproposito, ma cosa dobbiamo fare, denunciarlo per
omissione di atti d'ufficio tutte le volte ?)
i suoi superiori, tra l'altro, sono d'accordo con
lui: "meno documenti si danno in giro, meno facciamo
la figura, quando va bene, dei fessi", convergenza
totale di interessi, chi scrive e firma i documenti
ha interesse che pochi li leggano, che li deve dare
vuole leggersi in pace la gazzetta dello sport (o
per i piu' acculturati, fare le parole incrociate)
gli abbiamo dato in mano un'arma e loro la usano
c'era la Bassanini, che li aveva messi a disagio, ma
siccome era fatta bene, l'hanno subito rovinata
un saluto da
Sebastiano Venabile
>Il post precedente mi era sfuggito: non è possibile anche soltanto scorrere
>tutti i post di id!
riguardava un argomento analogo, temo pero', che le differenze
siano tali da ribaltare il parere, spero di essere smentito
eccolo:
Subject: Aggravio di servitu'
recentemente si e' parlato molto di aggravio di
servitu', a questo proposito pongo un quesito:
due lotti confinati:
lotto A) terreno sul quale sorgono alcuni edifici
residenziali, la proprieta' del terreno
non e' condominiale, ma proprieta' comune
indivisa, con quote rigorosamente stabilite
da atti pubblici, dei singoli proprietari
delle residenze e del signor X, un terzo
che non ha residenze in quel lotto
lotto B) altro terreno confinante con il precedente,
la cui proprieta' ha una provenienza e una
storia completamente diversa, di proprieta'
del signor X di cui al lotto A
sul lotto A insiste una strada, sulla quale tutti
i comunisti hanno servitu' di passaggio carrabile
per raggiungere le loro proprieta' private, i
comunisti, quindi, sono dominanti ma anche serventi
uno con l'altro, il comunista signor X che non ha
una proprieta' privata servita dalla strada e' solo
servente, pro quota
volendo consentire il passaggio al lotto B attraverso
la strada citata, si configura la "costituzione" di
servitu' o l' "aggravio" ?
le quote del signor X sommate a quelle di alcuni
"residenti" favorevoli ad estendere il passo,
superano agevolmente la maggiorza assoluta
(in pratica: solo uno non e' d'accordo)
e' necessaria l'unanimita' per la costituzione
di servitu' ?
ovvio ... ma il proprietario di B (cioe' il signor X)
e' anche proprietario di quasi meta' di A, cambia
qualcosa ?
se invece di costituzione, fosse aggravio, cambierebbe
qualcosa ?
se puo' essere utile, il lotto B e' intercluso dal
punto di vista carrabile, confina (con una quota
proibitiva per un accessio carraio) con una strada
pubblica, sulla quale c'e' un accesso pedonale,
tramite una ripidissima scala; mentre la strada del
lotto A (ad una quota molto piu' alta) arriva
agevolmente nel lotto B (c'e' solo una rete da
togliere)
ringrazio quanti risponderanno
>Il Garante per la protezione dei dati personali ha più
>volte ribadito che il calendario dei processi, le udienze
>e le sentenze sono pubblici e conoscibili da chiunque vi
>abbia interesse.
>Le principali riviste di giurisprudenza edite in Italia
>pubblicano integralmente le sentenze.
bene, peccato che:
tutte le sentenze che trovo in rete hanno i nomi mascherati,
ma non e' certo grave, e' solo un po' di "colore", pero' e'
spia del fatto che con questa privacy si e' alzato un
polverone tale che per non rischiare si eccede sempre, alcune
volte in buona fede, spesso, ritengo, in mala fede
finche' il garante, o chi per lui, non dira' "tutto e' pubblico,
salvo che sia specificato il contrario" gli uffici intenderanno
l'opposto cioe' "tutto e' segreto etc ..."
"udienze e sentenze sono pubbliche e conoscibili da chiunque vi
abbia interesse", gia' le cancellerie si mettono a sindacare se
sei titolato ad avere interesse (avevo gia' scritto di un'esperienza
che ho avuto, ma ho cancellato tutto, troppo lunga, e troppo umiliante)
e poi pensano: "udienze e sentenze" : allora le perizie sono segrete
(mentre sai meglio di me che il cpc dispone il contrario)
se vai su www.astegiudiziare.it e cerchi i bandi degli incanti, in
alcuni casi ci sono le perizie on-line, con i nomi cancellati !!
ancora, esperienze risibili a bizzeffe, ne racconto una per tutte:
la legge urbanistica (non mi ricordo quale articolo ne' di quale legge,
ma l'ho chiaro in mente) esplicitamente obbliga gli uffici comunali a
fornire copia delle concessioni edilizia a chiunque ne faccia richiesta;
un impiegato ha risposto che non poteva farla vedere per, indovinate un
po', la privacy (poi l'abbiamo tirata fuori, ma: prendi appuntamento,
fai anticamera, parla con il capo ufficio, tutto questo tempo perso,
e incazzature, immolato sull'altare della privacy ?)
benefici: non ti arriva piu' la pubblicita' "hai vinto un milione,
se compri questo, quello e quell'altro"
sai che sugo
Ringrazio per il momento e vi terrò informati su gli sviluppi.
Saluti Paolo Conti
> riguardava un argomento analogo, temo pero', che le differenze
> siano tali da ribaltare il parere, spero di essere smentito
>
> eccolo:
>
> Subject: Aggravio di servitu'
>
> recentemente si e' parlato molto di aggravio di
> servitu', a questo proposito pongo un quesito:
>
> due lotti confinati:
>
> lotto A) terreno sul quale sorgono alcuni edifici
> residenziali, la proprieta' del terreno
> non e' condominiale, ma proprieta' comune
> indivisa, con quote rigorosamente stabilite
> da atti pubblici, dei singoli proprietari
> delle residenze e del signor X, un terzo
> che non ha residenze in quel lotto
>
Piacere Sebastiano sono Paolo, non mi è antipatico, e non mi è neanche
sfuggito il suo messaggio.
Sono entrato da poco nella lista, più per trovare dove reperire quella
senteza della cassazione che per esporre la questione sull'apertura della
porta e trovando interessanti alcuni argomenti dei vostri messaggi e la
vivacità delle vostre risposte ho deciso di inviare la mia questione al NG.
Ho capito dai suoi msg che interpreta l'azione della riapertura della porta
una violazione della proprietà privata, in considerazione del fatto che
trattasi di proprietà in comunione non condominiale.
Vorrei che fosse più chiaro riguardo al mio caso, tenga conto che
sull'edificio in questione due anni fa sono stati fatti i lavori di
rifacimanto del tetto e delle facciatte, e le spese sono state ripartite in
proporzione alle quote condominiali.
La mia difficoltà è dover far capire, alla persona che si oppone, che la
scala in questione è condominiale poichè fa parte dello stesso edificio e
non di una diversa proprietà confinante e chiarirgli che nell'atto che fece
all'epoca della vendita di quest'apparatamento, non menzionò esplicitamente
il divieto di passo da quella porta.
ringrazio ancora
saluti da Paolo Conti