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Costruzione tettoia sotto balcone

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INFO

unread,
Aug 27, 2006, 11:40:32 AM8/27/06
to
Salve a tutti
Un vicino di casa che abita al piano terra con giardino mi ha fatto trovare
la sorpresa a ritorno delle vacanze.
In pratica ha fatto costruire sotto al mio balcone ad una distanza di ca 40
cm dalla base, una tettoia in mattoni spioventi con telaio in ferro
cementato nel terreno del suo giardino. Tale tettoia si espende per tutta la
lunghezza del balcone ed arriva fino alla cancellata perimetrale del
condominio. Diventando un facile accesso alla mia abitazione per
malintenzionati e/o animali vari. Inoltre rende molto + difficile poter
stendere la biancheria da asciugare sull'unico balcone autorizzato dalle
regole condominiali per questo scopo.
Vorrei sapere se posso fare qualcosa per farla rimuovere o era nel diritto
del vicino di casa farla costruire ?

Grazie a chiunque mi risponderà.
Saluti.
Franco


felix.

unread,
Aug 27, 2006, 12:11:55 PM8/27/06
to
INFO ha scritto:

> Salve a tutti
> Un vicino di casa
che abita al piano terra

Un condomino vorrai dire!

con giardino mi ha fatto

> malintenzionati e/o animali vari.

...............................................................

Inoltre rende molto + difficile poter
> stendere la biancheria da asciugare sull'unico balcone autorizzato dalle
> regole condominiali per questo scopo.

La biancheria non puo' sporgere al di sotto della soletta del vostro
balcone.

> Vorrei sapere se posso fare qualcosa per farla rimuovere o era nel diritto
> del vicino di casa farla costruire ?

Non puoi chiedere di rimuoverla per i motivi da te citati.
ciaofelix:-)

--

questo articolo e` stato inviato via web dal servizio gratuito
http://www.newsland.it/news segnala gli abusi ad ab...@newsland.it


Gino

unread,
Aug 28, 2006, 3:59:03 AM8/28/06
to
Felix, non dovrebbe essere autorizzata dal condominio?


felix.

unread,
Aug 28, 2006, 7:05:31 AM8/28/06
to
Gino ha scritto:

> Felix, non dovrebbe essere autorizzata dal condominio?

No dal comune senza dubbio, dal condominio o anche da un solo
condomino puo' essere contestata ma bisogna produrre valide ragioni.

Gino

unread,
Aug 28, 2006, 8:05:36 AM8/28/06
to
Secondo te questo vale anche per l'apertura di una finestra?


felix.

unread,
Aug 28, 2006, 8:17:18 AM8/28/06
to
Gino ha scritto:

> Secondo te questo vale anche per l'apertura di una finestra?

Si certamente, ma non secondo me, secondo il codice civile.

Gino

unread,
Aug 28, 2006, 8:24:20 AM8/28/06
to
grazie Felix.

"felix." <fdisc...@bbip.it> ha scritto nel messaggio
news:ecumse$s2p$1...@news.newsland.it...

Matteo

unread,
Aug 28, 2006, 10:02:36 AM8/28/06
to
felix. <fdisc...@bbip.it> ha scritto:

> Gino ha scritto:
>
>> Felix, non dovrebbe essere autorizzata dal condominio?
>
> No dal comune senza dubbio, dal condominio o anche da un solo
> condomino puo' essere contestata ma bisogna produrre valide ragioni.

Tipo le distanze legali. Si dimenticano, ogni tanto?


felix.

unread,
Aug 28, 2006, 10:10:19 AM8/28/06
to
Matteo ha scritto:


Come devo fare per farti capire che il condominio, appunto per la sua
particolare struttura ed impostazione non consente sempre e comunque
l'assoluta osservanza delle norme relative alle distanze e quant'altro
valide per altro fra due distinte proprieta'?
Mi dici per esempio come collocare uno scarico su una parete da 15 cm
che fa` da confine fra due unita' abitative se la distanza dovuta, come
da cc e' di
un metro?

Matteo

unread,
Aug 28, 2006, 10:33:26 AM8/28/06
to
felix. <fdisc...@bbip.it> ha scritto:
> Matteo ha scritto:

>> Tipo le distanze legali. Si dimenticano, ogni tanto?
> Come devo fare per farti capire che il condominio, appunto per la
> sua particolare struttura ed impostazione non consente sempre e
> comunque l'assoluta osservanza delle norme relative alle distanze e
> quant'altro valide per altro fra due distinte proprieta'?

Tu hai letto una sentenza che parla delle distanze che il condominio deve
rispettare e ci ricami sopra elucubrazioni sulle distanze che deve
rispettare il singolo condomino, il quale ha come vicini sia l'intero
condominio, sia altri singoli condomini.
Smetti di ricamare e ricorda che ciň che non puoi fare gratis lo puoi fare
pagando.
E se non paghi te lo fanno togliere. E sono bei dolori.


felix.

unread,
Aug 28, 2006, 10:49:54 AM8/28/06
to
Matteo ha scritto:

> felix. <fdisc...@bbip.it> ha scritto:
> > Matteo ha scritto:
> >> Tipo le distanze legali. Si dimenticano, ogni tanto?
> > Come devo fare per farti capire che il condominio, appunto per la
> > sua particolare struttura ed impostazione non consente sempre e
> > comunque l'assoluta osservanza delle norme relative alle distanze e
> > quant'altro valide per altro fra due distinte proprieta'?

> Tu hai letto una sentenza che parla delle distanze che il condominio deve

> rispettare ........................................

Condominio ,rapporti di vicinato, distanze legali(*)

Roberto Triola

Esiste il problema di offrire un orientamento chiaro e convincente in
ordine alla applicabilità o meno nell'ambito del condominio delle norme in
tema di rapporti di vicinato.

Sulla premessa che indubbiamente il condominio, per il solo fatto che crea
rapporti fra i più proprietari coesistenti nello stesso edificio, importa
la sottrazione di queste proprietà a tutti i principi e i limiti che siano
strutturalmente incompatibili con tale coesistenza, ma che al di fuori di
questa necessaria conseguenza della struttura, che può dirsi fisica,
dell'istituto non è affatto inconcepibile che siano osservati i limiti e
le distanze che la legge detta per i fondi vicini, quando l'attività di un
condomino, non più tipica dell'esercizio dei diritti nascenti dal
condominio, sia essenzialmente eguale a quella di un proprietario di bene
non in condominio, la giurisprudenza ha affermato il seguente principio di
diritto: "Nei rapporti fra la proprietà separata per piani di un
condominio non si può escludere l'osservanza delle norme di legge sulle
distanze legali, che non siano incompatibili con la struttura dei diritti
inerenti al condominio, qualora l'uso che uno dei condomini faccia della
cosa comune esorbiti dalla normale destinazione di questa e, volgendola a
profitto della sua proprietà esclusiva, violi i diritti dell'altro
condomino che le disposizioni sulle limitazioni e distanze legali tendono
appunto a garantire".

Forse su tale orientamento ha inciso la tesi, sostenuta in dottrina,
secondo la quale non vi è ragione che i vicini debbano osservare
determinate precauzioni quando li separa, ad es., un muro divisorio, unica
cosa comune, e non debbano osservarle se hanno in comune anche il tetto o
altre parti dell'edificio, in quanto il condominio non si costituisce
certamente per accrescere i poteri dei singoli sui propri piani o per
diminuire quei limiti che la legge pone altrimenti nei rapporti di
vicinato, ma per utilizzare le stesse parti dell'edificio (scala, tetti,
ecc.) a vantaggio di più appartamenti. Le norme in tema di distanze legali
non dovranno essere osservate quando sono in contrasto con i principi
fondamentali sui quali si regge il condominio, per cui sarebbe possibile
aprire una finestra sul cortile anche senza rispettare le distanze
dall'appartamento di un altro condomino, in quanto la funzione del cortile
è quella di dare luce ad aria.

In tal modo compare per la prima volta la affermazione della necessità di
un raccordo tra le norme che disciplinano l'utilizzazione delle parti
comuni e le norme in tema di distanze legali.

Non viene, però, chiarito: a) quali sono i principi ed i limiti che sono
strutturalmente incompatibili con la coesistenza nell'edificio di più
proprietà separate; b) quando l'attività del condomino non è più tipica
dell'esercizio dei diritti nascenti dal condominio ed è essenzialmente
uguale a quella del proprietario di un bene non in condominio; c)quando,
per effetto dell'uso della cosa comune che esorbiti dalla normale
destinazione di questa, il condomino volga la stessa a profitto della sua
proprietà esclusiva, violando i diritti dell'altro condomino che le
disposizioni sulle limitazioni e distanze legali tendono a garantire.

Non viene neppure chiarito se le distanze legali vanno rispettate con
riferimento ad attività che non comportino la utilizzazione di parti
comuni, in quanto si esauriscono nell'ambito dell'unità immobiliare di
proprietà esclusiva.

Una posizione leggermente differente è stata assunta da una decisione per
la quale le norme di legge sulle distanze legali sono applicabili anche in
materia di condominio ogni qualvolta uno dei condomini, volgendo l'uso
delle parti comuni dell'edificio a profitto del piano di sua proprietà
esclusiva, venga a determinare situazioni che pongono ugualmente, nei
rapporti con gli altri condomini, l'esigenza della tutela voluta dalle
suddette norme.

Il rispetto delle norme in tema di distanze legali non viene, infatti,
ricollegato all'uso da parte di un condomino della cosa comune in modo da
esorbitare dalla normale destinazione di questa. Quali siano, però, le
situazioni che pongono ugualmente, nei rapporti con gli altri condomini,
l'esigenza della tutela voluta dalle norme in questione non viene
specificato.

Estremamente contraddittorio appare l'atteggiamento assunto dalla
decisione la quale ha contemporaneamente affermato che, ove sussista in
concreto la violazione delle norme in tema di distanze, norme le quali
sono di carattere assoluto e prescindono da ogni indagine sulla effettiva
esistenza di un pregiudizio connesso alla loro inosservanza, non vi è
ragione per dubitare che le distanze legali, per quanto espressamente
previste soltanto per le ipotesi di costruzione su fondi vicini, debbano
essere rispettate anche nei rapporti tra proprietà separate per piani,
giacché anche rispetto a tale ipotesi, la perfetta identità della ratio
legis costituisce argomento decisivo al fine di una interpretazione
estensiva delle norme relative, e che nello stabilire se le modificazioni
o le aggiunte praticate da uno dei condomini sul muro perimetrale comune
non siano andate oltre i limiti consentiti dall'art. 1102 c.c., ledendo il
diritto degli altri condomini, va tenuto conto anche di quei particolari
diritti che trovano la loro tutela nelle norme sulle distanze legali, pur
dovendosi a questo fine avere riguardo alle peculiarità di ogni singola
fattispecie in relazione alla natura stessa del diritto condominiale ed
alla struttura dell'edificio in condominio.

Ugualmente contraddittoria è l'affermazione che le distanze legali vanno
osservate nei rapporti di proprietà per piani, avendo però sempre riguardo
alla peculiarità delle discipline delle singole fattispecie, onde
stabilire se in effetti le modificazioni od aggiunte praticate da uno dei
condomini sulle cose comuni debbano importare un obbligo di distanza o
rappresentino l'esercizio di un diritto della cosa stessa non oltre i
limiti dell'art. 1102 c.c.
Se, infatti, si parte dalla premessa che le norme in tema di distanze
legali (che prevedono ipotesi specifiche in relazione alle quali nessun
potere di contemperamento degli opposti interessi è attribuito al giudice)
sono, in linea di principio, applicabili anche tra le varie unità
immobiliari nell'ambito del condominio, una attività in violazione di tali
norme non può essere legittima ai sensi della norma di carattere generale
di cui all'art. 1102 c.c.

Lo stesso errore di impostazione (a parte la estrema genericità del
principio affermato) è ravvisabile nelle numerose decisioni secondo le
quali nei rapporti tra le proprietà individuali in un edificio in
condominio si debbono osservare le regole dei rapporti di vicinato non
incompatibili con il regime della comunione, con la struttura dei diritti
inerenti al condominio e che invece tali diritti tendano a garantire, con
i principi del condominio, in base ai quali ciascun condomino può servirsi
delle parti comuni purché non ne alteri la naturale destinazione, non
pregiudichi la stabilità, la sicurezza ed il decoro architettonico del
fabbricato, non arrechi danno alle singole proprietà esclusive e non
impedisca agli altri partecipanti di fare parimenti uso delle cose comuni.

Tenuto conto della specialità delle norme in tema di distanze legali
rispetto alla disciplina di cui all'art. 1102 c.c., infatti, il rapporto
dovrebbe essere invertito, nel senso che, in teoria, potrebbero
considerarsi lecite quelle utilizzazioni della cosa comune che non siano
in violazione delle norme in tema di distanze.

Una soluzione netta è stata offerta da una isolata decisione secondo la
quale le norme sulle distanze legali sono applicabili in materia di
condominio di edificio qualora uno dei condomini, utilizzando le parti
comuni dell'edificio a vantaggio del piano di sua proprietà esclusiva, sia
pure nei limiti consentiti dall'art. 1102 c.c., incorra nella violazione
dei diritti di un altro condomino sull'immobile di sua proprietà esclusiva
facente parte dell'edificio condominiale. A prescindere dalla correttezza
della soluzione prospettata, viene in tal modo percepito che il problema
non è costituito dalla ricerca di un contemperamento tra l'art. 1102 c.c.
e la normativa in tema di distanze legali, in quanto si tratta di
discipline che operano su piani diversi.

Le stesse considerazioni valgono per la decisione secondo la quale
l'esistenza di una regolamentazione speciale dei rapporti condominiali non
esclude l'applicabilità, nei rapporti fra tali parti, delle norme sulle
distanze legali, non essendo il singolo condomino abilitato, soltanto
perché tale, a creare, mediante costruzioni eseguite sulle parti
dell'edificio di sua proprietà esclusiva, intercapedini nocive o
antigieniche.

Ugualmente non convincente è l'affermazione che le limitazioni
all'applicazione delle norme sulle distanze negli edifici in regime
condominiale, anche nei rapporti tra le proprietà individuali, non trovano
giustificazione nel fatto che la normativa del condominio e della
comunione costituisca un sistema chiuso ed escludente altri limiti per i
diritti dei singoli, bensì hanno origine nella esistenza di una serie di
servitù reciproche tra gli appartamenti componenti il condominio, le quali
servitù sono costituite per destinazione del padre di famiglia nel caso
del costruttore dell'edificio, che successivamente proceda alla sua
vendita frazionata, ovvero per convenzione tra gli aventi diritto.

La eventuale costituzione per destinazione del padre di famiglia di una
serie di servitù reciproche tra gli appartamenti componenti il condominio,
infatti, giustificherebbe il permanere della situazione esistente al
momento della nascita del condominio, ma non spiega la limitazione alla
applicabilità delle norme in tema di distanze legali per le innovazioni.

Si è anche sostenuto che, ai fini dell'applicabilità delle norme sulle
distanze legali alle costruzioni eseguite sulle parti comuni di un
edificio in condominio, occorre distinguere tra le funzioni primarie e
fondamentali attribuite a tali parti in relazione al fine per cui il
condominio è stato costituito e le eventuali utilizzazioni secondarie di
cui le stesse parti sono suscettibili al di fuori di un rapporto di
connessione inscindibile con la struttura e la funzionalità del
condominio; infatti, nel mentre deve affermarsi la prevalenza del
perseguimento delle funzioni primarie delle parti comuni rispetto
all'osservanza delle norme sulle distanze legali, queste norme debbono,
invece, essere applicate riguardo alle utilizzazioni secondarie delle
menzionate parti, quali le costruzioni eseguite da un condomino sul muro
comune per scopi estranei alla funzione tipica.

Non viene, però, chiarito quali sarebbero le funzioni primarie e
fondamentali delle parti comuni e quale sarebbe il fondamento logico o
normativo di una diversità di disciplina rispetto alle funzioni secondarie
con riferimento alla applicabilità delle distanze legali.

Del tutto generiche (oltre che immotivate) sono le seguenti affermazioni:
a) le norme sulle distanze legali sono applicabili anche nei rapporti fra
condomini, tenendo però sempre conto della peculiarità di ogni singola
fattispecie in relazione alla struttura dell'edificio di cui si tratta ed
alla natura del diritto condominiale;
b) nell'ambito di un unico immobile condominiale le norme che regolano i
rapporti di vicinato trovano applicazione solo in quanto compatibili con
la struttura dell'edificio e con le caratteristiche dello stato dei
luoghi; pertanto, qualora esse siano invocate in una controversia tra
condomini, spetta al giudice del merito valutare se, nel singolo caso,
dette norme debbano essere osservate o meno, in considerazione
dell'esigenza di contemperare i diversi interessi di più proprietari
conviventi un unico edificio, al fine dell'ordinato svolgimento di tale
convivenza, propria dei rapporti condominiali;
c) nell'edificio condominiale le diverse unità immobiliari sono soggette
anche alla disciplina dei rapporti di vicinato, pur con i limiti
oggettivamente imposti dall'essenziale esigenza che ciascuna unità possa
essere utilizzata secondo la sua natura, sicché ciascun condomino può
opporsi ad ogni interferenza sul bene oggetto del suo diritto esclusivo,
proveniente anche da altro condomino che, al di fuori di quei limiti o da
essi eccedendo, operi sul proprio bene, ovvero su parte comune
dell'edificio, con attività non apprezzabile in termini di relativo uso o
godimento (in ipotesi oltre le facoltà consentite) secondo la sua natura
in quanto risolventesi in lesione dell'altrui diritto sul bene individuo;
d) il principio secondo cui l'utilizzazione di parti comuni e anche di
muri divisori dell'edificio condominiale per la realizzazione di impianti
al servizio esclusivo dell'appartamento del singolo condomino esige il
rispetto sia dell'art. 1102 c.c. sia delle norme del codice civile sulle
distanze legali, per evitare la violazione dei diritti degli altri
condomini sugli immobili di loro esclusiva proprietà, non è applicabile
nell'ipotesi di installazione degli impianti che sono indispensabili per
una effettiva abitabilità dell'appartamento secondo la evoluzione delle
esigenze generali dei cittadini e le moderne concezioni in tema di igiene;
e) le norme sulle distanze in materia di vedute, se ed in quanto
compatibili con la disciplina della comunione, sono applicabili nei
rapporti fra le singole proprietà esclusive di edificio condominiale
quand'anche uno dei condomini utilizzi parti comuni dell'immobile nei
limiti consentiti dall'art. 1102 c.c.

Sembrano, infine, senz'altro favorevoli alla applicabilità delle norme in
tema di distanze legali le decisioni le quali hanno affermato che la
disposizione dell'art. 1120 c.c., nella parte in cui vieta le innovazioni
che possono recare pregiudizio al decoro architettonico del fabbricato o
che rendono talune parti comuni dell'edificio inservibili all'uso o al
godimento anche di un solo condomino, si limita a tutelare l'edificio in
sé ed il modo di usare e di godere della cosa comune; consegue che ove
l'opera compiuta da un condominio o dal condomino sulla cosa comune rechi
danno o pregiudizio alla proprietà esclusiva di un singolo condomino,
trattandosi di rapporti relativi a due immobili finitimi, trova
applicazione la disciplina dei rapporti di vicinato.

In senso opposto si è affermato che le norme sulle distanze legali, le
quali sono fondamentalmente rivolte a regolare rapporti tra proprietà
autonome e contigue sono applicabili anche nei rapporti tra il condominio
ed il singolo condomino di un edificio condominiale nel caso in cui esse
siano compatibili con l'applicazione delle norme particolari relative
all'uso delle cose comuni, cioè nel caso in cui l'applicazione di queste
ultime non sia in contrasto con le prime e delle une e delle altre sia
possibile un'applicazione complementare; nel caso di contrasto prevalgono
le norme relative all'uso delle cose comuni, con la conseguenza della
inapplicabilità di quelle relative alle distanze legali, che, nel
condominio di edifici e nei rapporti tra singolo condomino ed il
condominio stesso sono in rapporto di subordinazione rispetto alle prime.

Si distacca dall'orientamento teso a conciliare le disposizioni in tema di
distanze legali con le peculiarità del condominio l'affermazione secondo
la quale il principio dell'inoperatività, nel condominio, della normativa
sulle distanze legali, se può valere con riferimento alle opere eseguite
sulle parti comuni e sempre che si tratti di uso normale di queste ultime,
non si estende invece ai rapporti fra i singoli condomini.

I contrasti sussistono, poi, anche con riferimento alla applicabilità o
meno delle singole distanze legali.

Per quanto riguarda le distanze in tema di vedute, talora si è sostenuto,
partendo dalla premessa che nel condominio si applicano le norme che lo
concernono allorché si tratta dell'uso delle cose comuni e del diritto dei
condomini su di esse, mentre, quando si tratta di rapporti tra le diverse
unità, costituite da proprietà diverse, trovano applicazione le norme sui
rapporti di vicinato, ove la specifica disciplina della comunione sia con
esse compatibile, che tale compatibilità esiste in ordine al regolamento
delle distanze in materia di vedute, fermo rimanendo il diritto di ciascun
condomino di aprire luci e vedute sulla cosa comune.

Secondo un altro orientamento nel condominio di edifici la veduta che il
singolo condomino, utilizzando il muro comune, apra verso la contigua
proprietà esclusiva di altro condomino rientrante nell'ambito
dell'edificio condominiale è legittima, ancorché non rispetti le distanze
prescritte dall'art. 905 c.c., ove si accerti che la predetta apertura
costituisca facoltà rientrante nei diritti del singolo condomino sui beni
comuni ed incompatibile con l'osservanza delle distanze legali.

In tema di distanze delle costruzioni dalle vedute si è affermato
inizialmente che le norme sulle distanze legali non trovano applicazione
in tema di uso della cosa comune, essendo la materia regolata dalle norme
di cui agli artt. 1102, 1117, 1118, 1120, 1121 e 1122 c.c., che
costituiscono un sistema completo al quale non possono aggiungersi, se non
ne ricorrano i presupposti, altre diverse limitazioni valide per regolare
i rapporti tra costruzioni e fondi finitimi.

Successivamente, invece, si è detto che le norme in questione, se ed in
quanto compatibili con la disciplina della comunione, sono applicabili nei
rapporti fra le singole proprietà esclusive di edificio condominiale
quand'anche uno dei condomini utilizzi parti comuni dell'immobile nei
limiti consentiti dall'art. 1102 c.c.

Nello stesso ordine di idee si è affermato che le distanze in questione
sono applicabili in quanto compatibili con la struttura dell'edificio e
con le caratteristiche dello stato dei luoghi. Più radicale è
l'affermazione secondo la quale l'art. 1102 c.c. non deroga al disposto
dell'art. 907 c.c.

Si è anche affermato che il condomino il quale realizzi un manufatto in
appoggio o in aderenza al muro in cui si apre una veduta diretta o obliqua
esercitata da un sovrastante balcone, e lo elevi sino alla soglia del
balcone stesso, non è soggetto, rispetto a questo, alle distanze
prescritte dall'art. 907, c. 3°, c.c., nel caso in cui il manufatto sia
contenuto nello spazio volumetrico delimitato dalla proiezione verticale
verso il basso della soglia predetta, in modo da non limitare la veduta in
avanti e a piombo del proprietario del piano di sopra; infatti, tra le
normali facoltà attribuite al titolare della veduta diretta od obliqua
esercitata da un balcone è compresa quella di inspicere o prospicere in
avanti e a piombo, ma non di sogguardare verso l'interno della sottostante
proprietà coperta dalla soglia del balcone, non potendo trovare tutela la
pretesa di esercitare la veduta con modalità abnormi e puramente
intrusive, ossia sporgendosi oltre misura dalla ringhiera o dal parapetto.
In tal modo, però, si dà per dimostrato che alle aperture esistenti nelle
unità immobiliari di proprietà esclusiva corrispondono altrettante servitù
di veduta.

In un'altra prospettiva si è affermato che il fatto che un condomino, nel
realizzare un'opera nel muro comune abbia rispettato le distanze legali di
cui all'art. 906 c.c. non esclude la possibilità che l'opera stessa sia
illegittima ex art. 1102 c.c., qualora riduca in modo apprezzabile la
visuale di cui altri condomini godono dal muro comune.

Si è, infine, sostenuto che qualora il muro comune assolva anche la
funzione di isolare e dividere la proprietà individuale di un condomino
dalla proprietà individuale di un altro condomino, ricorrono gli estremi
per l'applicabilità dell'art. 903, c. 2°, c.c., con la conseguenza che in
tal caso l'apertura della luce resta subordinata sia alle condizioni ed
alle limitazioni previste dalle norme in materia di condominio (con
riguardo agli interessi riconosciuti a tutti i partecipanti alla comunione
e alle regole stabilite circa l'uso delle cose comuni da parte dei singoli
condomini) sia, alla stregua del c. 2° del citato art. 903 c.c., al
consenso del condomino vicino, in considerazione dell'interesse del
medesimo alla riservatezza della sua proprietà individuale.

Sempre in tema di vedute si è affermato che i poteri dell'assemblea
condominiale concernono la disciplina dell'uso delle cose comuni, senza
mai invadere la sfera delle proprietà individuali, per cui i condomini non
possono essere autorizzati dall'assemblea ad una utilizzazione più ampia
di parti comuni, che si risolva in una violazione delle norme sui rapporti
di divinato, quale la realizzazione di una veranda su un terrazzo di
proprietà esclusiva, senza il rispetto della distanza legale dalla veduta
esercitata dal proprietario dell'appartamento sovrastante. Non viene
spiegato, peraltro, quale rilevanza possa avere, nella specie, l'uso delle
cose comuni.

Per quanto riguarda l'applicabilità dell'art. 889 c.c., inizialmente si è
senz'altro ritenuto che la norma in questione trova applicazione nel caso
di proprietà comprese in un unico edificio condominiale.

Sul presupposto che, rispetto alle singole unità immobiliari di proprietà
individuale nell'ambito di un unico edificio condominiale, le norme che
regolano i rapporti di vicinato, tra le quali è compresa quella dell'art.
889 c.c., trovano applicazione solo in quanto compatibili con la concreta
struttura dell'edificio e con la particolare natura dei diritti e delle
facoltà dei condomini, si è poi affermato che, qualora esse vengano
invocate in un giudizio tra condomini, il giudice del merito deve
accertare se la rigorosa osservanza di dette norme sia o non nel singolo
caso irragionevole, considerando che la coesistenza di più appartamenti in
un unico edificio implica di per sé il contemperamento dei vari interessi
al fine dell'ordinato svolgersi della convivenza che è propria dei
rapporti condominiali.

Si è peraltro escluso che le disposizioni sulle distanze dettate dall'art.
889 c.c. possano trovare applicazione, risultando incompatibili con la
disciplina condominiale, nel caso di installazioni di tubi nei solai che
separano i piani di un edificio condominiale, le quali si configurano come
uso della cosa comune regolato dalle norme dell'art. 1102 c.c., e sono
perciò consentite ove non pregiudichino l'uguale godimento altrui della
cosa comune e non concretino una particolare situazione di danno o di
pericolo.

Incertezze sono riscontrabili anche con riferimento alla installazione di
canne fumarie.

Con riferimento all'appoggio, in prossimità della finestra di un
condomino, della canna fumaria della centrale termica condominiale, fuori
luogo si è affermato che le norme sulle distanze legali (nella specie
l'art. 907 c.c.), le quali sono fondamentalmente rivolte a regolare
rapporti fra proprietà autonome e contigue, sono applicabili anche nei
rapporti tra il condominio ed il singolo condomino di un edificio
condominiale nel caso in cui esse siano compatibili con l'applicazione
delle norme particolari relative all'uso delle cose comuni (art. 1102
c.c.), cioè nel caso in cui l'applicazione di queste ultime non sia in
contrasto con le prime e delle une e delle altre sia possibile una
applicazione complementare e che nel caso di contrasto, prevalgono le
norme relative all'uso delle cose comuni, con la conseguenza della
inapplicabilità di quelle relative alle distanze legali che, nel
condominio di edifici e nei rapporti tra il singolo condomino ed il
condominio stesso, sono in rapporto di subordinazione rispetto alle prime.
A prescindere, però, dal fatto che è difficile comprendere il senso del
riferimento all'art. 1102 c.c. nell'ipotesi considerata, l'art. 907 c.c.
presuppone due fondi latistanti, che nella specie è difficile individuare,
a meno che non si voglia ritenere che la canna fumaria costituisca di per
sé una costruzione ai sensi della norma in questione, il che è difficile
ammettere.

Le stesse considerazioni sono state svolte per ritenere che l'appoggio
lungo il muro perimetrale di una canna fumaria destinata a servire i
locali di un condomino ad una distanza da una veduta di un altro condomino
non inferiore a quella di cui all'art. 907 c.c. costituiva violazione
dell'art. 1102 c.c., in quanto riduceva in modo apprezzabile la visuale.

In altra occasione, peraltro, si era affermato che qualora il proprietario
esclusivo del terrazzo a piano attico di edificio condominiale agisca, in
via possessoria, per denunciare che latro condomino, collocando una canna
fumaria in aderenza al muro perimetrale e prolungandola oltre la ringhiera
di detto terrazzo, ha arrecato pregiudizio al suo godimento di veduta,
l'indagine sulla legittimità del fatto denunciato, nei limiti in cui sia
consentita nel giudizio possessorio, va condotta con riferimento all'art.
907 c.c. (distanza delle costruzioni dalle vedute), non all'art. 1102 c.c.
(uso della cosa comune), tenuto conto che la suddetta domanda è rivolta a
tutelare il possesso del singolo appartamento non il compossesso di un
bene condominiale.

Del tutto incomprensibile è la decisione secondo la quale, in applicazione
dell'art. 906 c.c. (che disciplina la distanza per l'apertura di vedute
laterali od oblique), in linea di principio la distanza legale per la
collocazione di una canna fumaria sul muro perimetrale comune, ad opera di
uno dei condomini non può essere inferiore a 75 cm. dai più vicini sporti
dei balconi di proprietà esclusiva degli altri condomini.

È stata, poi, negata l'applicabilità dell'art. 889 c.c. in ordine
all'installazione di una canna fumaria lungo il muro perimetrale
dell'edificio condominiale al fine della realizzazione di un impianto di
riscaldamento, in base al principio secondo il quale negli edifici
condominiali, le norme sulle distanze legali - che non possono trovare
applicazione nei rapporti fra proprietà singole e beni comuni (a tutti i
condomini o ad alcuni soltanto di essi) - non sono applicabili neppure nei
rapporti fra proprietà singole allorché il rispetto di esse non sia
compatibile con la concreta struttura dell'edificio e il condominio
utilizzi una parte comune di questo a favore della sua unità immobiliare,
ai sensi dell'art. 1102 c.c., per realizzare impianti indispensabili per
un'effettiva abitabilità del suo appartamento secondo le esigenze generali
dei cittadini e le moderne concezioni in tema di igiene, precisandosi
peraltro che vanno sempre rispettate sia la destinazione del bene comune
sia il diritto di pari utilizzazione (anche potenziale) degli altri
condomini e non vanno pregiudicati la stabilità, la sicurezza e il decoro
architettonico dell'edificio.

In base a quanto esposto dovrebbe risultare evidente il fallimento dei
tentativi di conciliare l'art. 1102 c.c. con le norme in tema di distanze
legali.

Si tratta, infatti, di discipline le quali operano su piani diversi, nel
senso che l'art. 1102 c.c. regola i rapporti tra il condomino che utilizza
la cosa comune e gli altri condomini, mentre le disposizioni in tema di
distanze legali - ove si dovesse concludere per la loro applicabilità
nell'ambito del condominio - regolano i rapporti tra i soli condomini
proprietari di unità immobiliari adiacenti.

Ne consegue che ciò che può essere lecito ex art. 1102 c.c. potrebbe
costituire violazione delle norme in tema di distanze legali e viceversa
la realizzazione di opere in regola con le norme in tema di distanze
legali potrebbe non essere lecita ai sensi dell'art. 1102 c.c.

La soluzione del problema va impostata, pertanto, su altre basi.

Se si parte dalla premessa che le norme in tema di distanze legali si
applicano ogni volta che due immobili vengono a confinare tra loro, anche
se non insistono su fondi differenti, e quindi anche se fanno parte di un
edificio in condominio, tali norme si devono ritenere applicabili anche
nell'ambito del condominio. Se, invece, si ritiene che le norme in tema di
distanze legali non sono applicabili nei rapporti tra condomini, in
conseguenza della struttura dell'edificio comune, un problema di conflitto
tra tali norme e l'art. 1102 c.c. non si pone nemmeno, trovando
applicazione esclusivamente tale ultima disposizione.

La seconda delle soluzioni esposte sembra da preferire.

In primo luogo occorre tenere presente le norme in tema di distanze legali
le quali, in teoria, potrebbero venire in considerazione nei rapporti tra
proprietà esclusive o tra queste ultime e le parti comuni in un edificio
condominiale sembrano presupporre l'esistenza di due "fondi" (intesi come
appezzamenti di terreno o edifici) distinti. È significativa in proposito
la intitolazione della Sezione VI del Capo II del Libro III: "Delle
distanze nelle costruzioni piantagioni e scavi, e dei muri, fossi e siepi
interposti tra i fondi").

Ma ciò che più conta è che, ove si dovessero ritenere applicabili, in
linea di principio, al condominio le distanze legali, la (teorica)
iniziale violazione quantomeno di alcune delle relative norme sarebbe
connaturata al condominio stesso.

Non possono infatti esistere unità immobiliari in proprietà esclusiva
dotate di normali servizi igienici che rispettino con riferimento a tutte
le unità immobiliari adiacenti ed alle parti comuni la distanza di cui
all'art. 889, c. 2°, c.c. in tema di tubazioni.

La conseguenza sarebbe che i vari condomini potrebbero pretendere
l'eliminazione di tali tubazioni, non potendosi invocare (a differenza di
quanto potrebbe avvenire con riferimento alla distanza delle vedute) la
costituzione di servitù per destinazione del padre di famiglia, in difetto
del requisito della apparenza delle opere (segue)

Matteo

unread,
Aug 28, 2006, 3:51:07 PM8/28/06
to
felix. <fdisc...@bbip.it> ha scritto:
> Matteo ha scritto:
>
>> felix. <fdisc...@bbip.it> ha scritto:
>>> Matteo ha scritto:
>>>> Tipo le distanze legali. Si dimenticano, ogni tanto?
>>> Come devo fare per farti capire che il condominio, appunto per la
>>> sua particolare struttura ed impostazione non consente sempre e
>>> comunque l'assoluta osservanza delle norme relative alle distanze
>>> e quant'altro valide per altro fra due distinte proprieta'?
>
>> Tu hai letto una sentenza che parla delle distanze che il condominio
>> deve rispettare ........................................
> Condominio ,rapporti di vicinato, distanze legali(*)

Appunto.

felix.

unread,
Aug 28, 2006, 4:00:25 PM8/28/06
to
Matteo ha scritto:

> Appunto.

Matteo

unread,
Aug 28, 2006, 5:13:00 PM8/28/06
to
felix. <fdisc...@bbip.it> ha scritto:
> Matteo ha scritto:
>
>> felix. <fdisc...@bbip.it> ha scritto:
>>> Matteo ha scritto:
>>>
>>>> felix. <fdisc...@bbip.it> ha scritto:
>>>>> Matteo ha scritto:
>>>>>> Tipo le distanze legali. Si dimenticano, ogni tanto?
>>>>> Come devo fare per farti capire che il condominio, appunto per
>>>>> la sua particolare struttura ed impostazione non consente
>>>>> sempre e comunque l'assoluta osservanza delle norme relative
>>>>> alle distanze e quant'altro valide per altro fra due distinte
>>>>> proprieta'?
>>>
>>>> Tu hai letto una sentenza che parla delle distanze che il
>>>> condominio deve rispettare ........................................
>>> Condominio ,rapporti di vicinato, distanze legali(*)
>
>> Appunto.
> La soluzione del problema va impostata, pertanto, su altre basi.

Arriappunto.


felix.

unread,
Aug 28, 2006, 5:56:54 PM8/28/06
to
Matteo ha scritto:

> Arriappunto.

DISTANZE LEGALI IN CONDOMINIO


--------------------------------------------------------------------------------

SOMMARIO: a) Applicabilità delle norme; b) Canne fumarie; c) Controversie;
d) Distanze nelle costruzioni; e) Distanze per pozze, cisterne, fosse e
tubi.

a) Applicabilità delle norme

Le norme sulle distanze legali sono applicabili nei rapporti reciproci
fra condomini, in relazione alle parti immobiliari di proprietà esclusiva,
qualora uno di essi, utilizzando una parte comune a vantaggio della sua
proprietà, sia pure nei limiti di cui all’art. 1102 cod. civ., incorra
nella violazione dei diritti di un altro condomino. Né al riguardo sono
configurabili temperamenti, alla stregua di una valutazione di
compatibilità delle norme suindicate con gli interessi da considerare nei
rapporti condominiali, allorché trattasi di utilizzazione implicante la
violazione di una norma del regolamento condominiale predisposto
dall’originario unico proprietario e recepito nei singoli atti di
acquisto. (Nella specie, in base al surriportato principio, il Supremo
Collegio ha ritenuto corretta la decisione dei giudici del merito con la
quale, in accoglimento della domanda di un condomino, altri condomini
erano stati condannati a rimuovere una struttura metallica a sostegno di
una tenda, realizzata su di un balcone di loro proprietà esclusiva a
distanza inferiore a quella prescritta dall’art. 907 cod. civ. dal balcone
soprastante dell’attore ed in violazione di una norma del regolamento
condominiale, vietante ogni modificazione dei balconi).

* Cass. civ., sez. II, 27 aprile 1981, n. 2531, Giordano c. Politi.

Le norme sulle distanze legali, le quali sono fondamentalmente rivolte a
regolare rapporti tra proprietà autonome e contigue, sono applicabili


anche nei rapporti tra il condominio e d il singolo condomino d i u n
edificio condominiale nel caso in cui esse siano compatibili con
l’applicazione delle norme particolari relative all’uso delle cose comuni
(art. 1102 c.c.), cioè nel caso in cui l’applicazione di queste ultime non
sia in contrasto con le prime e delle une e delle altre sia possibile una

complementare; nel caso di contrasto, prevalgono le norme relative all’uso


delle cose comuni, con la conseguenza della inapplicabilità di quelle
relative alle distanze legali che, nel condominio di edifici e nei
rapporti tra il singolo condomino ed il condominio stesso, sono in

rapporto di subordinazione rispetto alle prime. (Nella specie, si trattava
della installazione, in appoggio al muro condominiale, ed in prossimità


della finestra di un condomino, della canna fumaria della centrale termica

condominiale).

*Cass. civ., sez. II, 23 gennaio 1995, n. 724, Albini c. Cond. «Il Pino»
di Como.

Negli edifici condominiali, le norme sulle distanze legali – che non


possono trovare applicazione nei rapporti fra proprietà singole e beni

comuni (a tutti i condomini o ad alcuni soltanto di essi) – non sono


applicabili neppure nei rapporti fra proprietà singole allorché il
rispetto di esse non sia compatibile con la concreta struttura

dell’edificio e il condomino utilizzi una parte comune di questo a favore
della sua unità immobiliare, ai sensi dell’art. 1102 cod. civ., per


realizzare impianti indispensabili per un’effettiva abitabilità del suo
appartamento secondo le esigenze generali dei cittadini e le moderne

concezioni in tema di igiene, nel qual caso vanno peraltro sempre


rispettate sia la destinazione del bene comune sia il diritto di pari
utilizzazione (anche potenziale) degli altri condomini e non vanno
pregiudicati la stabilità, la sicurezza e il decoro architettonico

dell’edificio. (Nella specie, la S.C., alla stregua del principio
suesposto, ha confermato la sentenza che aveva negato l’applicabilità
dell’art. 889 cod. civ. in ordine all’installazione di una canna fumaria


lungo il muro perimetrale dell’edificio condominiale al fine della

realizzazione di un impianto di riscaldamento).

* Cass. civ., sez. II, 11 maggio 1981, n. 3105, Giovannini c. Terreni.

Le distanze di cui all’art. 873 c.c. devono essere osservate anche nei
rapporti fra il fondo comune (nella specie il muro condominiale
dell’edificio in comproprietà fra le parti) e quello di proprietà
esclusiva di uno dei condomini.

* Cass. civ., sez. II, 2 giugno 1999, n. 5390, Giudice c. Mucerino.

Le norme sulle distanze legali, le quali sono fondamentalmente rivolte a
regolare rapporti tra proprietà autonome e contigue, sono applicabili
anche nei rapporti fra il condominio e d il singolo condomino di un

edificio condominiale nel caso in cui esse siano compatibili con
l’applicazione delle norme particolari relative all’uso delle cose comuni
(art. 1102 c.c.), cioè nel caso in cui l’applicazione di queste ultime non
sia in contrasto con le prime e delle une e delle altre sia possibile una

applicazione complementare; nel caso di contrasto, prevalgono le norme


relative all’uso delle cose comuni, con la conseguenza della
inapplicabilità di quelle relative alle distanze legali che, nel
condominio di edifici e nei rapporti tra il singolo condomino ed il
condominio stesso, sono in rapporto di subordinazione rispetto alle prime.

* Cass. civ., sez. II, 9 ottobre 1998, n. 9995, Rubeo c. Bucci.

L’esistenza di una regolamentazione speciale dei rapporti
condominiali non impedisce di configurare la possibilità dell’esistenza di
servitù prediali tra le varie parti dell’edificio appartenenti in
proprietà esclusiva ai singoli condomini, né esclude l’applicabilità, nei
rapporti fra tali parti delle norme sulle distanze legali, non essendo il
singolo condominio abilitato, soltanto perché tale, a creare, mediante
costruzioni eseguite sulle parti dell’edificio di sua esclusiva proprietà,
intercapedini nocive o antigieniche. Ai fini dell’applicabilità delle


norme sulle distanze legali alle costruzioni eseguite sulle parti comuni

di un edificio in condominio, occorre distinguere tra le funzioni primarie


e fondamentali attribuite a tali parti in relazione al fine per cui il
condominio è stato costituito e le eventuali utilizzazioni secondarie di
cui le stesse parti sono suscettibili al di fuori di un rapporto di
connessione inscindibile con la struttura e la funzionalità del

condominio. Infatti, nel mentre deve affermarsi la prevalenza del


perseguimento delle funzioni primarie delle parti comuni rispetto
all’osservanza delle norme sulle distanze legali, queste norme debbono

essere, invece, applicate nelle costruzioni eseguite sulle cose comuni
per finalità estranee a dette funzioni. (Nella specie, è stata ritenuta
l’illegittimità di una tettoia che uno dei condomini, proprietario
esclusivo di una terrazza e di un cortile contiguo allo stabile
condominiale, aveva costruito sul muro comune a copertura del suddetto
terrazzo non soltanto perché impediva parzialmente l’esercizio della
servitù di veduta in appiombo esercitata sul terrazzo e sul cortile dal
proprietario dell’appartamento soprastante ma anche perché costruita,
rispetto alle finestre di questo appartamento, ad una distanza inferiore a
quella prescritta dall’art. 907 c.c.).

* Cass. civ., sez. II, 21 febbraio 1975, n. 661.

Le limitazioni all’applicazione delle norme sulle distanze negli edifici
in regime di condominio, anche nei rapporti tra le proprietà individuali,


non trovano giustificazione nel fatto che la normativa del condominio e

della comunione costituisca una sistema chiuso ed escludente altri limiti
per i diritti dei singoli, bensì hanno origine nell’esistenza di una serie


di servitù reciproche tra gli appartamenti componenti il condominio, le

quali servitù sono costituite per destinazione del padre di famiglia nel


caso del costruttore dell’edificio, che successivamente proceda alla sua
vendita frazionata, ovvero per convenzione tra gli aventi diritto.

Pertanto, nella realizzazione di innovazioni su parti comuni dell’edificio
– anche se effettuate dal condominio e non da un singolo condomino – è
fatto obbligo di rispettare le norme sulle distanze legali nei confronti
della parte di edificio di proprietà esclusiva di un condomino, salva
l’espressa autorizzazione di questo, avente il valore della costituzione
pattizia di una nuova servitù.

* Cass. civ., sez. II, 17 novembre 1977, n. 5025.

Nell’edificio condominiale l’utilizzazione delle parti comuni con impianti
a servizio esclusivo di un appartamento esige non solo il rispetto delle
regole dettate dall’art. 1102 c.c. ma anche l’osservanza delle norme del
codice in tema di distanze onde evitare la violazione del diritto di altri
condomini sulla parte di immobile di loro esclusiva proprietà. Tale
disciplina tuttavia non opera nell’ipotesi dell’installazione di impianti
che devono considerarsi indispensabili ai fini di una reale abitabilità
dell’appartamento intesa nel senso che rispetti l’evoluzione delle
esigenze generali dei cittadini e lo sviluppo delle moderne concezioni in
tema di igiene, salvo l’apprestamento di accorgimenti idonei ad evitare
danni alle unità immobiliari altrui.

* Cass. civ., 5 dicembre 1990, n. 11695.

Il principio secondo cui l’utilizzazione delle parti comuni dell’edificio
condominiale per la realizzazione di impianti a servizio esclusivo
dell’appartamento del singolo condomino esige il rispetto sia delle regole
dettate dall’art. 1102 cod. civ., sia delle norme sulle distanze, onde
evitare la violazione dei diritti degli altri condomini sulle parti di
immobile di loro esclusiva proprietà, non opera nell’ipotesi di
istallazione di impianti che debbano considerarsi indispensabili per
un’effettiva abitabilità dell’appartamento, al lume dell’evoluzione
delle esigenze generali dei cittadini e delle moderne concezioni in tema
di igiene. Tuttavia, anche in tal caso, nel far uso della cosa comune il
condomino deve sempre rispettare la proprietà esclusiva degli altri
condomini, non potendo invaderne la sfera di facoltà e di diritti inerenti
alla piena potestà sulla cosa, né gravarla di pesi e limitazioni, ove non
abbia acquisito al riguardo – per legge o per convenzione – il relativo
diritto. (Nella specie la Suprema Corte ha cassato la decisione impugnata
affinché i giudici di rinvio accertino se l’istallazione di un tubo di
fogna lungo il muro perimetrale dell’edificio condominiale comporti
violazione dei diritti del ricorrente, il quale è, nel contempo, condomino
e proprietario esclusivo del fondo confinante con l’edificio condominiale).

* Cass. civ., sez. II, 24 gennaio 1980, n. 597, Campria c. Laiacona.

La mancanza in uno strumento urbanistico di prescrizioni sulle distanze
per una determinata zona del territorio, a causa della scelta del
legislatore locale di vietare in tale zona qualsiasi attività costruttiva,
lungi dal creare lacune nella regolamentazione dei rapporti di vicinato,
fa sì che resti applicabile ad esso la disciplina dettata dagli artt. 873
e ss. c.c., con la conseguenza che, in caso di violazione del divieto di
costruire, il privato proprietario che ne abbia subito danno ha diritto,
ai sensi dell’art. 872 c.c., di esserne risarcito, ma non può pretendere
la riduzione in pristino ove non risulti contemporaneamente trasgredito
l’obbligo di rispettare le distanze previste dalle norme codicistiche.

* Trib. civ. Napoli, 20 febbraio 1997, n. 10372, Condominio via Epomeo,
175 Napoli c. Ciotola, in Arch. Loc. e cond. 1998, 887.

b) Canne fumarie

Le norme sulle distanze legali, le quali sono fondamentalmente rivolte a
regolare rapporti tra proprietà autonome e contigue, sono applicabili


anche nei rapporti tra il condominio ed il singolo condomino di un
edificio condominiale nel caso in cui esse siano compatibili con
l’applicazione delle norme particolari relative all’uso delle cose comuni
(art. 1102 c.c.), cioè nel caso in cui l’applicazione di queste ultime non
sia in contrasto con le prime e delle une e delle altre sia possibile

un’applicazione complementare; nel caso di contrasto, prevalgono le norme


relative all’uso delle cose comuni, con la conseguenza della
inapplicabilità di quelle relative alle distanze legali che, nel
condominio di edifici e nei rapporti tra il singolo condomino ed il
condominio stesso, sono in rapporto di subordinazione rispetto alle prime.

(Nella specie, si trattava della installazione, in appoggio al muro
condominiale ed in prossimità della finestra di un condomino, della canna
fumaria di un locale di altro condomino adibito ad esercizio di pizzeria).

* Cass. civ., sez. II, 1 dicembre 2000, n. 15394, Bozzato c. Meini.

La distanza di almeno un metro dal confine che l’art. 889, secondo comma,
c.c. prescrive per l’installazione dei tubi dell’acqua, del gas e simili,
si riferisce alle condutture che abbiano un flusso costante di sostanze
liquide o gassose e, conseguentemente, comportino un permanente pericolo
per il fondo del vicino, in relazione alla naturale possibilità di
infiltrazioni. Detta norma pertanto non è applicabile alle canne fumarie
per la dispersione dei fumi delle caldaie ed agli impianti di
condizionamento d’aria, che vanno soggetti alla regolamentazione di cui
all’art. 890 c.c. e quindi posti alla distanza che nel caso concreto
risulti necessaria a preservare da pregiudizi il fondo del vicino.

* Cass. civ., sez. II, 3 dicembre 1991, n. 12927, Moroni c. Baldo.
Conforme, Cass. civ., sez. II, 13 dicembre 1994, n. 10652.

c) Controversie

Ciascun condomino è legittimato a ricorrere per la violazione delle
distanze fra costruzioni con riguardo all’edificio condominiale, senza che
sia necessaria l’integrazione del contraddittorio con la la chiamata in
causa degli altri condomini, trattandosi di azione a tutela del diritto di
proprietà dalla quale nessun nocumento può derivare agli altri
contitolari. Solo nel caso in cui intervengano nel giudizio gli altri
condomini aderendo alla domanda dell’attore, la sentenza che accolga tale
domanda, in quanto pronunciata in contraddittorio a favore di tutti i
condomini, determina un litisconsorzio necessario di natura processuale.

* Cass. civ., sez. II, 11 marzo 1992, n. 2940, Cavallaro c. Papa.

La domanda di arretramento di un edificio condominiale per violazione
delle distanze legali deve esser proposta nei confronti di tutti i
condomini, sì che, invece è proposta soltanto nei confronti di alcuni di
essi e dell’amministrazione del condominio, unitamente alla richiesta di
misure cautelari per il denunciato pericolo di distacchi del rivestimento
del fabbricato, e nel corso del medesimo giudizio di primo grado,
verificatisi questi ultimi, e ordinato ai convenuti di eliminare lo stato
di pericolo, l’attore propone altresì domanda di risarcimento dei
conseguenti danni, la nullità, dichiarata dal giudice di appello, della
sentenza non definitiva di condanna all’arretramento di parti comuni
dell’edificio perché emessa a contraddittorio non integro, determina la
nullità anche degli atti successivi di prosecuzione del giudizio sulla
domanda risarcitoria, nullità che peraltro deriva anche dalla connessione
di tale domanda alla richiesta di interventi urgenti implicanti opere di
ristrutturazione e consolidamento del fabbricato non rientranti
nell’ordinaria manutenzione di esso e quindi nelle attribuzioni
sostanziali e processuali dell’amministratore del condominio, e perciò da
proporre anch’essa nei confronti di tutti i condomini.

* Cass. civ., sez. II, 18 marzo 1999, n. 2484, Genovese c. Cond. via S.
Giovanni Bosco n. 14, Casoria ed altri.

Nel caso di immobili in condominio, legittimati ad agire per il rispetto
delle distanze legali sono tutti i condomini, ivi compresi quelli fra
costoro che siano proprietari delle porzioni direttamente prospettanti
verso le costruzioni realizzate in violazione di detta disciplina. Ciò
avviene anche allorché il terreno interposto tra le edificazioni stesse
sia di proprietà comune, ovvero si tratti di opera condominiale che venga
a incidere su diritti di singoli comunisti.
* Corte app. civ. Roma, 29 maggio 1997, n. 1822, Cond. di via Gentiloni
c. Paolone, in Guida al dir. 1997, 27, 64.

d) Distanze nelle costruzioni

Nell’edificio condominiale le diverse unità immobiliari sono soggette


anche alla disciplina dei rapporti di vicinato, pur con i limiti
oggettivamente imposti dall’essenziale esigenza che ciascuna unità possa
essere utilizzata secondo la sua natura, sicché ciascun condomino può
opporsi ad ogni interferenza sul bene oggetto del suo diritto esclusivo,
proveniente anche da altro condomino che, al di fuori di quei limiti o da
essi eccedendo, operi sul proprio bene, ovvero su parte comune
dell’edificio, con attività non apprezzabile in termini di relativo uso o

godimento (in ipotesi, oltre le facoltà consentite) secondo la sua natura,
in quanto risolventesi in lesione dell’altrui diritto sul bene individuo.
(Nella specie, il S. C., enunciando il surriportato principio, ha cassato
la decisione di merito che aveva aprioristicamente escluso la possibilità
per un condomino di esperire azione negatoria di servitù a tutela della
sua proprietà esclusiva, a fronte della installazione di una pensilina sul
muro comune attuata da altro condomino senza l’osservanza delle distanze
tra costruzioni e tra costruzioni e vedute per fini di mera utilità della
sua proprietà individuale, e non per una inderogabile esigenza inerente
alla natura di questa).

* Cass. civ., sez. II, 5 agosto 1983, n. 5268, Tartaglione c. Ardone.

Il D.M. 2 aprile 1968, n. 1444 (emanato in esecuzione della norma
sussidiaria dell’art. 41 quinquies della legge 17 agosto 1942, n. 1150,
introdotto dalla legge 6 agosto 1967, n. 765) che all’art. 9 prescrive in
tutti i casi la distanza minima assoluta di metri dieci tra pareti
finestrate e pareti di edifici antistanti, impone determinati limiti
edilizi ai Comuni nella formazione o revisione degli strumenti urbanistici
ma non è immediatamente operante anche nei rapporti fra i privati.

* Cass. civ., Sezioni Unite, 1 luglio 1997, n. 5889, Giudice c. Bellassai.

Nel giudizio instaurato per la violazione delle distanze legali tra
edifici, la determinazione della misura concreta della distanza da
rispettare fra le costruzioni deve essere compiuta dal giudice investito
della cognizione della relativa domanda e non può essere rimessa al
giudice dell’esecuzione il quale deve risolvere solo i problemi e le
difficoltà che possono insorgere in sede di attuazione dell’obbligo di
fare, così come imposto dal titolo, e non può in alcun modo provvedere ad
integrare il titolo stesso.

* Cass. civ., sez. II, 25 giugno 1991, n. 7124, Guerrieri c. Grasso.

Ai fini dell’applicabilità delle norme sulle distanze legali alle
costruzioni eseguite sulle parti comuni di un edificio in condominio,


occorre distinguere tra le funzioni primarie e fondamentali attribuite a
tali parti in relazione al fine per cui il condominio è stato costituito e
le eventuali utilizzazioni secondarie di cui le stesse parti sono
suscettibili al di fuori di un rapporto di connessione inscindibile con la

struttura e la funzionalità del condominio. Infatti, mentre deve


affermarsi la prevalenza del perseguimento delle funzioni primarie delle
parti comuni rispetto all’osservanza delle norme sulle distanze legali,

queste debbono, invece, essere applicate riguardo alle utilizzazioni


secondarie delle menzionate parti, quali le costruzioni eseguite da un

condomino sul muro comune per scopi estranei alla sua funzione tipica
(nella specie: tettoia).

* Cass. civ., sez. II, 6 aprile 1981, n. 1941, Resegna C. c. Ascione A.

Il partecipante alla comunione non può, senza il consenso degli altri,
servirsi della cosa comune ai fini dell’utilizzazione di altro immobile di
sua esclusiva proprietà distinto dai fondi al servizio dei quali questa
sia stata originariamente destinata, perché il relativo uso verrebbe in
tal guisa a risolversi nell’imposizione di fatto di una vera e propria
servitù a carico della cosa comune e a favore dell’anzidetto immobile. Ne
deriva che l’obbligo stabilito dall’art. 905 c.c. di rispettare le
distanze per l’apertura di vedute dirette sussiste anche nel caso in cui
lo spazio tra edifici vicini sia costituito da un cortile comune la cui
presenza impone a carico dei proprietari dei fabbricati frontistanti dei
limiti ancora più severi di quelli fissati dalle norme sulle distanze, in
quanto l’esecuzione di nuove costruzioni (porte a piano terreno, finestre
e balconi) non può alterare la destinazione del cortile consistente nel
dare luce ed aria agli edifici su di esso prospettanti.

* Cass. civ., sez. II, 20 giugno 2000, n. 8397, Merullo c. Morosini.

L’art. 41 quinquies, primo comma, lett. c), della L. 17 agosto 1942, n.
1150 (in base al quale l’altezza di ogni edificio non può essere superiore
alla larghezza degli spazi pubblici o privati sui quali esso prospetta e
la distanza dagli edifici vicini non può essere inferiore all’altezza di
ciascun fronte dell’edificio da costruire) contiene due disposizioni
distinte ed autonome, delle quali solo la prima deve essere considerata
legge che riguarda gli edifici a confine con spazi pubblici ai sensi
della seconda parte del secondo comma dell’art. 879 c.c., ma non anche la
seconda, in quanto il limite di distanza da esso prescritta viene
determinato esclusivamente con riferimento agli edifici vicini e non
anche allo spazio con il quale il costruendo edificio confina.

* Cass. civ., sez. II, 24 giugno 1991, n. 7113, Ferrandino c. Scotti.

La disciplina delle distanze nelle costruzioni del codice civile impone al
legislatore locale di non stabilire in ogni caso distanze inferiori ai tre
metri, salva restando la facoltà per i regolamenti locali, purché sia
rispettato l’anzidetto limite, di prevedere punti di riferimento per il
computo delle distanze diversi da quelli stabiliti dal codice civile.
(Nella specie, la Corte Suprema in base all’enunciato principio ha
confermato la decisione dei giudici del merito che avevano interpretato
l’art. 22 del regolamento edilizio di Marigliano nel senso che la distanza
con esso prescritta andava misurata dalle pareti e dalle sporgenze
soltanto se chiuse, senza tenere conto dei balconi).

* Cass. civ., sez. II, 22 giugno 1990, n. 6351, De Blasio c. De Blasio.

L’art. 873 c.c. nello stabilire, per le costruzioni su fondi finitimi, la
distanza minima di tre metri dal confine o quella maggiore fissata nei
regolamenti locali, si riferisce, in relazione all’interesse tutelato
dalla norma, ad opere che, oltre a possedere caratteri di immobilità e di
stabile collegamento con il suolo, siano erette sopra il medesimo
sporgendone stabilmente, e che, inoltre, per la loro consistenza, abbiano
l’idoneità a creare intercapedini pregiudizievoli alla sicurezza ed alla
salubrità del godimento della proprietà fondiaria, idoneità il cui
accertamento (rimesso al giudice di merito ed insindacabile se
adeguatamente motivato) è indispensabile per qualificare l’opera quale
costruzione ai fini dell’applicazione della norma menzionata, senza che
ciò comporti deroga alla presunzione di pericolosità collegata dalla
legge al mancato rispetto delle distanze legali, presupponendo tale
presunzione il preventivo accertamento che il manufatto eretto a distanza
inferiore a quella legale abbia i caratteri della costruzione, L’art. 873
c.c. non comprende invece né le opere completamente realizzate nel
sottosuolo né i manufatti che non si elevino oltre il livello del suolo,
non ricorrendo per le une o per gli altri la ragione giustificatrice
della norma stessa. (Nella specie la sentenza di merito – confermata
dalla Suprema Corte – non aveva ritenuto che non fossero costruzioni, ai
fini di cui all’art. 873 c.c., una superficie al livello del cosiddetto
piano di campagna, perfettamente spianata, attrezzata quale campo da
tennis, ed i plinti, interrati nel sottosuolo, di sostegno dei pali di
illuminazione del campo stesso, nonché il «cordolo» di recinzione del
campo, alto 20 centimetri, la rete metallica intorno al campo ed i pali di
illuminazione del terreno di gioco, considerando in particolare che il
primo per la sua modesta elevazione e gli altri per la loro struttura e
consistenza non erano idonei ad intercettare aria e luce ed a formare
quindi intercapedini vietate dal menzionato art. 873 c.c.

* Cass. civ., sez. II, 1 luglio 1996, n. 5956, Bonetti c. Soc. Arcobaleno,
in Arch. loc. e cond. 1996, 907.

Le disposizioni sulle distanze delle costruzioni dalle vedute si osservano
anche nei rapporti fra condomini di un edificio, non derogando l’art. 1102
c.c. al disposto dell’art. 907 c.c., specialmente quando la domanda è
rivolta a tutelare non il compossesso di un bene condominiale, bensì il
possesso di un singolo appartamento, che si assume leso attraverso la
realizzazione di un’opera in uno spazio di proprietà esclusiva.

* Pret. civ. Modena, ord. 14 febbraio 1995, Sarti ed altri c. Mantovani ed
altri, in Arch. loc. e cond 1995, 890.

e) Distanze per pozze, cisterne, fosse e tubi

In tema di condominio degli edifici l’applicabilità della norma sulle
distanze di cui all’art. 889 cod. civ. trova limite per la ipotesi di
opere eseguite in epoca anteriore alla costituzione del condominio, atteso
che in tale caso l’intero edificio, formando oggetto di un unico diritto
dominicale, può essere nel suo assetto liberamente precostituito o
modificato dal proprietario anche in vista delle future vendite dei
singoli piani o porzioni di piano, con la conseguenza che queste
comportano, da un lato, il trasferimento della proprietà sulle parti
comuni (art. 1117 cod. civ.) e l’insorgere del condominio, e dall’altro
lato, la costituzione in deroga (od in contrasto) al regime legale delle
distanze di vere e proprie servitù a vantaggio e a carico delle unità
immobiliari di proprietà esclusiva dei singoli acquirenti, in base a uno
schema assimilabile a quello dell’acquisto della servitù per destinazione
del padre di famiglia.

* Cass. civ., sez. II, 19 gennaio 1985, n. 139, Tormen c. Ciampa.

Rispetto a singole unità immobiliari di proprietà individuale nell’ambito


di un unico edificio condominiale, le norme che regolano i rapporti di

vicinato, tra le quali è compresa quella dell’art. 889 cod. civ.,


trovano applicazione solo in quanto compatibili con la concreta struttura
dell’edificio e con la particolare natura dei diritti e delle facoltà dei

condomini. Pertanto, qualora esse vengano invocate in un giudizio tra


condomini, il giudice del merito deve accertare se la rigorosa osservanza
di dette norme sia o non nel singolo caso irragionevole, considerando che
la coesistenza di più appartamenti in un unico edificio implica di per sé
il contemperamento dei vari interessi al fine dell’ordinato svolgersi
della convivenza che è propria dei rapporti condominiali.

* Cass. civ., sez. II, 19 gennaio 1985, n. 139, Tormen c. Ciampa.

La disposizione dell’art. 889 c.c. relativa alle distanze da rispettare
per pozzi, cisterne, fossi e tubi è applicabile anche con riguardo agli
edifici in condominio, salvo che si tratti di impianti da considerarsi
indispensabili ai fini di una completa e reale utilizzazione
dell’immobile, tale da essere adeguata all’evoluzione delle esigenze
generali dei cittadini nel campo abitativo e alle moderne concezioni in
tema di igiene.

* Cass. civ., sez. II, 20 agosto 1999, n. 8801, Zane c. Amadi.

Allorquando nel condominio si tratti di rapporti tra le singole unità
divise, le norme del codice civile sui rapporti di vicinato possono
applicarsi solo nei limiti della compatibilità con quelle del regime
condominiale, e la valutazione di compatibilità deve essere eseguita dal
giudice del merito con riferimento alla concreta possibilità di rispettare
le distanze legali, data la struttura dell’edificio comune e lo stato dei
luoghi. (Nella specie, il giudice del merito ha fatto applicazione della
norma di cui all’art. 889 cod. civ. ritenendosi che lo stato dei luoghi
consentisse la collocazione di condutture igieniche sanitarie del bagno e
della cucina di un appartamento a distanza legale da altra unità
immobiliare. La C.S. ha confermato la decisione in base all’enunciato
principio).

* Cass. civ., sez. II, 15 dicembre 1984, n. 6575, Moro c. Pretto.

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Matteo

unread,
Aug 28, 2006, 6:12:43 PM8/28/06
to
felix. <fdisc...@bbip.it> ha scritto:
> Matteo ha scritto:
>
>> felix. <fdisc...@bbip.it> ha scritto:
>>> Matteo ha scritto:
>>>
>>>> felix. <fdisc...@bbip.it> ha scritto:
>>>>> Matteo ha scritto:
>>>>>
>>>>>> felix. <fdisc...@bbip.it> ha scritto:
>>>>>>> Matteo ha scritto:
>>>>>>>> Tipo le distanze legali. Si dimenticano, ogni tanto?
>>>>>>> Come devo fare per farti capire che il condominio, appunto
>>>>>>> per la sua particolare struttura ed impostazione non consente
>>>>>>> sempre e comunque l'assoluta osservanza delle norme relative
>>>>>>> alle distanze e quant'altro valide per altro fra due distinte
>>>>>>> proprieta'?
>>>>>
>>>>>> Tu hai letto una sentenza che parla delle distanze che il
>>>>>> condominio deve rispettare
>>>>>> ........................................
>>>>> Condominio ,rapporti di vicinato, distanze legali(*)
>>>
>>>> Appunto.
>>> La soluzione del problema va impostata, pertanto, su altre basi.
>
>> Arriappunto.
>
> DISTANZE LEGALI IN CONDOMINIO

Arriarriappunto.
Lo leggi quello che posti, o immagini che ci sia scritto quello che vuoi?


felix.

unread,
Aug 29, 2006, 12:52:16 AM8/29/06
to
Matteo ha scritto:

Non saltare cio' che non ti aggrada!

Matteo

unread,
Aug 29, 2006, 2:52:34 AM8/29/06
to
felix. <fdisc...@bbip.it> ha scritto:
> Matteo ha scritto:
>> Lo leggi quello che posti, o immagini che ci sia scritto quello che
>> vuoi?
> Non saltare cio' che non ti aggrada!

Non salto niente.
Le distanze legali di regola si devono rispettare. Qualche volta no.
Non viceversa.


felix.

unread,
Aug 29, 2006, 5:43:31 AM8/29/06
to
Matteo ha scritto:

Io ho scritto..."non consente sempre e comunque" ...........quindi
abbiamo solo perso tempo?

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