Arduino <
22340i...@mynewsgate.net> wrote:
> Passando all'esempio italiano, dopo la conquista angloamericana dell'Italia
> centrale, ci fu qualche resa dei conti, qualche vendetta privata, ma nel
> contesto poca roba.
> Nel nord ci fu il sangue dei vinti. Sia perché con l'esempio si era detto al
> popolino che uccidere un fascista non era reato, sia perché i vincitori non
> potevano più permettersi di competere sportivamente in futuro con un partito
> neofascista, bisognava distruggerne i quadri, terrorizzarne i membri, renderlo
> semiclandestino.
La risalita delle truppe alleate lungo l'italia fu più lenta di quanto
si era sperato. Lo sbarco in Sicilia fu effettuato il 10 luglio del
1943; Napoli fu raggiunta il 1° ottobre del 1943, dopo le "quattro
giornate". Roma fu liberata solo il 4 giugno del 1944.
Nel frattempo era caduto Mussolini (25 luglio), era stato dichiarato
l'armistizio (8 settembre), s'era finalmente dichiarata guerra alla
Germania (13 ottobre): tre eventi fra di loro logicamente collegati, ma
separati da un'inspiegabile, e soprattutto irreparabile, perdita di
tempo. Lo stesso Mussolini, nel discorso al Lirico (16 dicembre 1944)
confrontava questi eventi con il cambiamento di fronte operato da
romeni, bulgari e finnici, che "hanno nelle ventiquattro ore rovesciato
il fronte ed hanno attaccato con tutte le forze mobilitate le unità
tedesche, rendendone difficile e sanguinosa la ritirata".
Occorse quasi un anno intero anno per occupare interamente il Nord
Italia. La "linea gotica" durò sino agli ultimi giorni di guerra, gli
alleati occuparono Bologna solo il 21 aprile del 1945.
La guerra civile, le grandi stragi, nella memoria di coloro che le
avevano viste, erano legate sopratutto a questo periodo: la fine
dell'estate e il terribile inverno del 1944. Il fascismo aveva perso la
guerra molto tempo prima, ma questo estenuante trascinarsi degli eventi
fu la grande tragedia rimasta nella viva memoria di un'intera
generazione.
Nell'immaginazione popolare, l'insurrezione è l'esplosione momentanea,
il popolo dà l'assalto al Palazzo e scaccia il tiranno. A volte è così,
ma nella maggior parte dei casi invece è un evento che si trascina per
mesi, anni; e in questa lunga notte vi sono orrori, violenze, terrore,
incertezze, sbandamenti, tradimenti, rovesciamenti di fronte e di
alleanze, arretramenti e repentini successi, illusioni e delusioni,
speranze e disperazione. Quanto più lunga è la notte - in Italia,
geograficamente, con il progressivo salire del fronte da sud a nord -
tanto più questa lascia, anche dopo la conclusione formale dell'evento,
una coda di odii, rancori, vendette, frustrazioni; in un seguito di
violenze che è tanto più lungo quanto più lo è stato il conflito
precedente; e quanto più a lungo durano, tanto più rendono sfumato e
frastagliato il confine fra la resa dei conti tra fazioni avverse e
l'emergere di più oscure motivazioni personali.
Non è una bella cosa, ma è così che va il mondo; e non è il caso di
stupirsene.
Io ho sempre trovato sommamente ipocrita la pretesa di chi vorrebbe che,
immediatamente dopo la fine ufficiale dei combattimenti, gli armati
depongano le armi, rivestano i loro abiti civili e tornino come se
niente fosse alle occupazioni abituali; che la coda di torti subiti
riprenda immediatamente la via dei tribunali, prego mi segua e telefoni
al suo avvocato. Anche questa è una forma plateale di revisionismo,
tentare di rovesciare torti e ragioni.
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Aggiungo, come conclusione, che è sicuramente questo il motivo
principale del diverso esito del referendum istituzionale del 2 giugno.
Al sud, è stato più facile saldare la storia della monarchia prefascista
a quella dell'italia postbellica; il Re ha potuto presentarsi come
garante della continuità istituzionale, quindi della sicurezza di tutti.
Invece al nord, dov'era il re mentre i nazifascisti imperversavano,
terrorizzatano, deportavano, torturavano? La durata esasperante della
guerra civile ha reso più acuto il desiderio di un cambiamento radicale;
anche se una parte importante delle forze partigiane era di ispirazione
monarchica, l'inconsistenza della figura del vecchio re, l'irrilevanza
del governo ufficiale hanno spinto la maggioranza della popolazione ben
oltre il desiderio di tornare allo statu quo ante; la fine della guerra
fu vissuta come la speranza di un vero nuovo inizio.