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La rivoluzione

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DiegoDeZuniga

unread,
Oct 28, 2002, 9:39:46 AM10/28/02
to
Sono due le interpretazioni date al concetto di rivoluzione inteso
come uno dei fattori decisivi di stravolgimento della società. Una
interpretazione è di natura marxista, delineata dagli scritti di Marx
e Engels, dove schematicamente si parte dall'analizzare i rapporti di
produzione in una società, i quali sono accusati di creare
sottomissione negli sfruttati. Nella classe oppressa, il proletariato,
il senso di alienazione si fa sempre più forte ed intenso fino a
scaturire ed erompere con la presa di coscienza nella rivoluzione.
Diversamente, l'interpretazione non - marxista non afferma che la
rivoluzione sia inevitabile, così come viene presentata dalla teoria
marxista. Uno degli autori sul quale vorrei soffermarmi è Krejci,
appartentente al filone della interpretazione non marxista, che
fornisce una spiegazione della rivoluzione, riprendendo e studiando
quindici casi di rivoluzione, da quella ceca - ussita sino a quella
cinese dello scorso secolo. Il mio intento è di presentare ai lettori
di questo NG tale concezione della rivoluzione e di chiedere se essa è
da considerarsi come valida o meno.

Krejci suddivide la rivoluzione in una serie di fasi che non devono
considerarsi per forza nell'ordine che presento (per questo egli parla
di morfologia legata al concetto di rivoluzione).

La prima fase è detta "avvio" e comprende un periodo nel quale sono
avviate un insieme di riforme che possono considerarsi segni
precursori di un imminente cambiamento. Tali riforme sono avanzate da
un certo numero di intellettuali che compongono un'elite culturale
della società. Ad esempio, nel caso della rivoluzione francese, tale
elite culturale sarebbe rintracciabile tra gli enciclopedisti come
Diderot, Voltaire, Montesquieu e Rousseau.

La seconda fase è detta istituzionalizzazione e comprende un periodo
nel quale vi è la creazione delle strutture e delle istituzioni adatte
ad avanzare le riforme richieste. Un esempio concreto può legarsi alla
creazione della Duma sovietica, l'assemblea costituente del 1906.
In questo momento se la via riformista è attuata la rivoluzione non
avviene. Al contrario se la via riformista non trova sfogo, si entra
in un terza fase detta "compressione" proprio per il motivo che la via
riformista è compressa e tesa alla via rivoluzionaria.
Per esempio dello stadio di compressione possono considerarsi i
tentativi di Carlo I dopo il 1629 di governare senza il parlamento, e
i severi limiti posti alla Duma dopo il 1906.

La quarte fase è detta esplosione ed è il momento in cui la
compressione porta alla sollevazione violenta. Esempi ovvi sono la
guerra civile in Inghilterra nel 1642 e la presa della Bastiglia nel
1789.

A seguito dell'esplosione, il regime cade e si presenta il conflitto
tra i gruppi d'elite per la conquista del potere.
Si può pensare ad esempio alla lotta tra i parlamentaristi moderati,
che volevano soltanto frenare gli eccessi di Carlo I, e i
parlamentaristi radicali che volevano una monarchia limitata e gli
estremisti, rappresentati dai Levellers e dai Diggers in Inghilterra;
un altro esempio è il conflitto tra girondini e giacobini in Francia,
oppure quello tra menscevichi e bolscevichi in Russia.

Una volta conquistato il potere, avviene la fase dell'interruzione,
seguita da una fase di rafforzamento che consente un'ulteriore
stretta, di solito attraverso una dittatura rivoluzionaria; ad esempio
il prottetorato di Cromwell, il governo giacobino del 1793-1704, il
"socialismo in un solo paese", la collettivizzazione e
l'industrializzazione di Stalin. I "nemici" della rivoluzione vengono
eliminati attraverso il ricorso al terrore, e il regime rivoluzionario
può tentare di difendersi mediante l'espansione del governo
rivoluzionario all'estero, come nel caso delle campagne inglesi contro
gli scozzesi e gli olandesi, delle guerre rivoluzionarie tra il 1795 e
il 1799, nonché dell'annessione da parte di Stalin delle repubbliche
baltiche che facevano parte della Polonia e l'attacco alla Finlandia
del 1939 - 1940.

Al contrario, dopo la fase di rafforzamento, non segue un
consolidamento, ma come sostiene lo stesso Krejci si potrebbe
registrare una fase d'inversione causata dalle tensioni legate alla
disponibilità delle risorse per il regime, tensioni che allontanano
"temporaneamente" dagli obiettivi rivoluzionari.
Ad esempio, la marcia su Londra del generale Monck nel 1660 e la
restaurazione del "parlamento lungo" costituiscono un'inversione nel
caso della rivoluzione inglese, e le sconfitte di Napoleone a Lipsia
nel 1813 e a Waterloo nel 1815 sono un'inversione nel caso della
rivoluzione francese.

Alla fase dell'inversione potrebbe seguire quella del compromesso
rivoluzionario, così definita da Krejci per indicare una fase durante
la quale si assiste ad un parziare ritorno al regime pre -
rivoluzionario. Esempi di questa fase di compromesso sono con Carlo II
in Inghilterra e con Luigi XVIII in Francia.

Tuttavia, tale compromesso risulta difficilmente attuabile e dunque
potrebbero soltanto considerato come un insieme di pressioni e di
proteste dalle forze contro - rivoluzionarie.
Anche in questo caso un esempio è fornito dalla rivoluzione inglese,
con l'ultima parte del regno di Carlo II, dopo che il re aveva
destituito il parlamento nel 1681 e, naturalmente, con le politiche a
favore dei cattolici perseguite del suo successore, Giacomo II. Un
esempio simile in Francia è costituito dal consolidamento delle forze
ultra - realiste sotto Luigi XVIII e più in particolare sotto Carlo X.

Ed infine il processo rivoluzionario finisce con la fase del
consolidamento, nella quale i cambiamenti portati avanti dalla
rivoluzione sono consolidati nel nuovo regime e nella nuova realtà
istituzionale del paese rivoluzionario. Krejci sostiene a proposito
che ogni rivoluzione lascia un segno e che è impossibile un ritorno
completo allo status quo. Inoltre, per quei regime che avevano subito
un compromesso, il consolidamento comporta una totale disfatta per le
forze contro - rivoluzionarie che si erano opposte ai disegni dei
rivoluzionari. Nel caso inglese l'esempio è costituito dalla Gloriosa
rivoluzione del 1688, che portò al trono Gugliemo d'Orange; per la
Francia l'esempio è la rivoluzione di luglio del 1830, che portò al
trono Luigi Filippo.

Infine Krejci propone due versioni della sua morfologia: una in cui si
presenta una fase di restaurazione, ed una in cui è assente.

Quest'ultimo caso vale per le rivoluzioni russa e cinese; nel caso
della Russia dopo la morte di Stalin e in quella cinese dopo la
"rivoluzione culturale".

Con questo concludo la spiegazione teorica di Krajci riguardo alla
rivoluzione.

Saluti,

DiegoDeZuniga

Piero F.

unread,
Oct 29, 2002, 6:56:36 AM10/29/02
to
DiegoDeZuniga wrote in message

> Il mio intento č di presentare ai lettori di questo NG tale concezione
> della rivoluzione e di chiedere se essa č da considerarsi come valida
> o meno.

Intento lodevole:-)
In linea di massima mi sembra che Krejci abbia analizzato correttamente
le rivoluzioni prese in esame, traendone dei principi generali
abbastanza indiscutibili.
Per il momento noto solo l'assenza di una visione piů generale del
divenire della storia "attraverso le idee socio-politiche", per cui non
si spiega (alla luce delle dinamiche di Krejci) come mai le rivoluzioni
borghesi del 1848 sono "figlie" di quella francese, apparentemente
sconfitta da una restaurazione.

Poi mi risulta oscura quest'ultima osservazione:


> Infine Krejci propone due versioni della sua morfologia: una in cui si

> presenta una fase di restaurazione, ed una in cui č assente.


> Quest'ultimo caso vale per le rivoluzioni russa e cinese; nel caso
> della Russia dopo la morte di Stalin e in quella cinese dopo la
> "rivoluzione culturale".

Non mi č chiaro allora il concetto di restaurazione secondo Krejci.
Puoi spiegare meglio? Grazie :-)
--
Piero F.


DiegoDeZuniga

unread,
Oct 30, 2002, 3:53:50 AM10/30/02
to
On Tue, 29 Oct 2002 11:56:36 GMT, "Piero F." <mail...@jumpy.it>
wrote:

>DiegoDeZuniga wrote in message
>
>> Il mio intento è di presentare ai lettori di questo NG tale concezione
>> della rivoluzione e di chiedere se essa è da considerarsi come valida


>> o meno.
>
>Intento lodevole:-)

Lodevole ma che raccoglie poco interesse a quanto pare... ;-)

>Poi mi risulta oscura quest'ultima osservazione:
>> Infine Krejci propone due versioni della sua morfologia: una in cui si

>> presenta una fase di restaurazione, ed una in cui è assente.


>> Quest'ultimo caso vale per le rivoluzioni russa e cinese; nel caso
>> della Russia dopo la morte di Stalin e in quella cinese dopo la
>> "rivoluzione culturale".
>

>Non mi è chiaro allora il concetto di restaurazione secondo Krejci.


>Puoi spiegare meglio? Grazie :-)

Certo. Per restaurazione si intende il compromesso di restaurazione
ovvero quella fase in cui si registra un ritorno all'indietro, verso
le condizioni pre - rivoluzionarie. Questo ritorno è operato da quelle
forze che si oppongono alla rivoluzione, definite contro -
rivoluzionarie. Tuttavia questa fase del compromesso di restaurazione
non è avvenuta per tutte le rivoluzioni. Così alla fine della
spiegazione, ho fatto un elenco di quelle rivoluzioni in cui questa
fase è stata assente. Le rivoluzioni in questioni sono quella russa,
dopo la morte di Stalin e quella cinese dopo la "rivoluzione
culturale", dove è continuato un processo di consolidamento.

Ciao,

DiegoDeZuniga

Piero F.

unread,
Oct 30, 2002, 1:04:04 PM10/30/02
to
DiegoDeZuniga wrote in message

> >Intento lodevole:-)

> Lodevole ma che raccoglie poco interesse a quanto pare... ;-)

Già, hai visto che latrina è diventata ICS?
Qualcuno dà perfino la colpa a me, boicotterei il NG... ;-))

> >Non mi è chiaro allora il concetto di restaurazione secondo Krejci.
> >Puoi spiegare meglio? Grazie :-)

> Certo. Per restaurazione si intende il compromesso di restaurazione
> ovvero quella fase in cui si registra un ritorno all'indietro, verso
> le condizioni pre - rivoluzionarie. Questo ritorno è operato da quelle
> forze che si oppongono alla rivoluzione, definite contro -
> rivoluzionarie. Tuttavia questa fase del compromesso di restaurazione
> non è avvenuta per tutte le rivoluzioni. Così alla fine della
> spiegazione, ho fatto un elenco di quelle rivoluzioni in cui questa
> fase è stata assente. Le rivoluzioni in questioni sono quella russa,
> dopo la morte di Stalin e quella cinese dopo la "rivoluzione
> culturale", dove è continuato un processo di consolidamento.

Continuo a non afferrare bene il concetto.
Secondo me Stalin ERA il compromesso di restaurazione.
La rivoluzione al suo stato originario è morta con Lenin, e Stalin si è
poi dimostrato autocratico quanto Pietro il Grande (o Ivan il
Terribile:-))
La situazione cinese è più confusa, c'è stata una prima rivoluzione,
trionfante nel 1949, e una seconda nel 1966, le cui caratteristiche
difficilmente coincidono con le teorie di Krejci. Comunque da Deng
Xiaoping in poi, pare che il famoso compromesso abbia avuto luogo, se ho
capito bene le dinamiche cinesi.
Comunque resta il fatto che "Krejci sostiene a proposito che ogni


rivoluzione lascia un segno e che è impossibile un ritorno completo allo

status quo", cosa che mi trova pienamente concorde. La marcia delle idee
si può rallentare, ma non fermare. Almeno finché non vengono spazzate
via da una nuova idea rivoluzionaria:-)

Ma a proposito della definizione di rivoluzione, che dice Krejci di
quella americana? Noi la chiamiamo "guerra d'indipendenza", ma là la
chiamano proprio "rivoluzione americana"...
Secondo te, ha le caratteristiche necessarie e sufficienti per essere
considerata tale?

ciao
--
Piero F.


DiegoDeZuniga

unread,
Nov 4, 2002, 7:45:01 AM11/4/02
to
On Wed, 30 Oct 2002 18:04:04 GMT, "Piero F." <mail...@jumpy.it>
wrote:

>DiegoDeZuniga wrote in message


>
>> >Intento lodevole:-)
>
>> Lodevole ma che raccoglie poco interesse a quanto pare... ;-)
>
>Già, hai visto che latrina è diventata ICS?
>Qualcuno dà perfino la colpa a me, boicotterei il NG... ;-))

Nel momento in cui internet è divenuta fenomeno di massa anche cani e
porci hanno accesso a tutte le risorse disponibili. E questo NG ne è
un esempio chiario. Si dovrebbe parlare di storia ma la maggior parte
dei post pubblicati riguardano dei miseri interventi di bassissima
propaganda politica. Vorrei farei un esperimento e analizzare in un
mese la pubblicazione dei post in questo NG. Sicuramente trarrei dei
risultati sociologici interessanti. E' da poco che frequento questo NG
ma non ci vuole molto a farsi un giudizio chiaro su coloro che
intervengono. Ritenevo l'NG come un luogo d'incontro tra persone
davvero interessate al dibattito culturale, pronte a mettere in dubbio
il proprio sapere o a intervenire con le proprie conoscenze per un
benessere culturale colletivo. Amaramente mi accorgo che questo è uno
spazio virtuale dove ognuno si esprime senza rispettare le regole del
topic. Basta leggere quei post frutto di una frustrazione sociale (e
personale) da parte di coloro che non sono capaci di esprimersi
civilmente in un contesto sociale o quei post intrisi di ideologia a
tal punto da far venire la nausea. Penso sempre che sia più facile
intervenire brevamente, senza cognizione di causa, senza studiare,
senza essere obiettivi. E' più facile cadere nei topos, è più facile
accettare quello che è già costruito, pronto su un vassoio, piuttosto
che sforzarsi di ponderare e criticare con buon senso tutto quello che
capita sotto l'attenzione.
Concordo con te nel definire questo NG una latrina.

>Continuo a non afferrare bene il concetto.
>Secondo me Stalin ERA il compromesso di restaurazione.
>La rivoluzione al suo stato originario è morta con Lenin, e Stalin si è
>poi dimostrato autocratico quanto Pietro il Grande (o Ivan il
>Terribile:-))

Nonostante Stalin avesse scelto di proseguire per una via tutta sua
ritengo il suo operato come un consolidamento della rivoluzione.
Innanzitutto nell'accezione di Krejci il compromesso di restaurazione
è avanzato soltanto da quelle forze contro - rivoluzionarie. Stalin,
sicuramente, non faceva parte di queste anche se tuttavia alla morte
di Lenin si poneva in modo differente dallo stesso Lenin, da Bukanin e
da Trotzkij. Inoltre il compromesso di restaurazione comprende un
ritorno alle condizioni pre - rivoluzionarie. Questo non accade se si
pensa alla persistenza del ruolo del partito comunista e del suo capo,
anche dopo la morte di Lenin. Istituzionalmente al passaggio dei
poteri nelle mani di Stalin non è stato alterato alcun organismo al
punto da far pensare ad un ritorno alle condizioni precedenti al 1917.
Ritengo che avvicinare la figura di Stalin a Pietro il Grande o al
Ivan il terribile sia per risaltare quel carattere di autorità che
tali figure hanno espresso nel corso della storia. Ma le loro idee e
le loro azioni hanno avuto risvolti in tempi diversi ed in contesti
socio - politici differenti. Stalin ha continuato e modificato il
leninismo, che a sua volta ha ereditato ideologicamente il marxismo.
Ma, a mio avviso, il consolidamento della rivoluzione si è avuto sino
alla morte di Stalin, avvenuta nel 1953. E quella data,
simbolicamente, segna anche uno dei fattori del crollo dell'impero
dell'URSS.

>Ma a proposito della definizione di rivoluzione, che dice Krejci di
>quella americana? Noi la chiamiamo "guerra d'indipendenza", ma là la
>chiamano proprio "rivoluzione americana"...
>Secondo te, ha le caratteristiche necessarie e sufficienti per essere
>considerata tale?

Per rispondere a questa domanda interessante devo fare appello alle
caratteristiche della rivoluzione delineate da un altro autore, A. S.
Cohan. Analizzando diverse rivoluzioni Cohan elenca un numero di
caratteristiche comuni per ogni rivoluzione.

a) l'alterazione di valori o miti della società;
b) l'alterazione della struttura sociale;
c) l'alterazione delle istituzioni;
d) cambiamenti nella formazione della leadership, sia per quanto
riguarda il personale che costituisce l'elite, sia la sua composizione
di classe;
e) passaggio di poteri non legale o illegale;
f) presenza o predominanza di comportamenti violenti ... negli eventi
che portano al collasso del regime;

Se uno di questi elementi manca al fenomeno analizzato non penso si
possa parlare più di vera e propria rivoluzione. Secondo queste
caratteristiche, ritengo di far includere la guerra d'indipendenza tra
le rivoluzioni della storia.
Analizziamo il punto A e vediamo come i valori di dipendenza delle
tredici colonie fossero inizialmente valori subordinati all'impero
britannico. L'obbedienza civile, il rispetto per le leggi e per gli
atti e la legittimità di cui godevano impiegati e funzionari
britannici negli apparati amministrativi delle colonie, erano segni di
un insieme di valori di consenso politico.
Tuttavia fin durante la guerra dei sette anni si erano registrati
alcuni dissensi soprattutto nei confronti degli Atti di navigazione
imposti dagli inglesi.
Nel 1756 si avvisano ulteriori intolleranze, all'emanazione dello
Stamp Act, che imponeva una tassa su tutti i documenti, contratti e
licenze. Dunque con l'inasprirsi dei rapporti tra le colonie e gli
inglesi, i quali volevano limitare l'autogoverno delle colonie, i
valori collettivi mutano dalla legittimità in ribellione fino al
chiaro boicottaggio delle merci britanniche del 1765. In questo
momento si avverte una forte alterazione dei valori che sfocierà in
aperto conflitto fra le due parti (il boston tea party, ecc...).

Riguardo al punto B, dopo i conflitti, la struttura sociale è
completamente alterata. La collettività ha assunto una propria
identità (alimentata anche da nuove generazioni nate in America), non
più riconosciuta in quella britannica, ma in una propria. Tale forza
d'indipendenza e di consapevolezza sarà un fattore chiavo per la
dichiarazione d'indipendenza, dove la potenza inglese sarà considerata
come potenza straniera. La consapevolezza di sè, di essere un popolo
diverso dagli inglesi, e le aperte ribellioni sono sicuramente fattori
da considerarsi entro un quadro d'alterazione generale della struttura
sociale delle tredici colonie.

Il punto C è verificato nel momento in cui la dichiarazione
d'indipendenza muta l'assetto istituzionale e territoriale delle
tredici colonie non più legate all'impero britannico, ma stati liberi
ed indipendenti.

Il punto D è confermato proprio dal fatto che a dichiarare
l'indipendenza e a guidare il seguito sono stati proprio degli
americani e non degli inglesi. Adams, Jefferson, Franklin erano
americani. Qui si avverte il mutamento della leadership.

Il punto E è anch'esso verificato proprio perché la dichiarazione
d'indipendenza segna un passaggio di poteri, illegale sotto il punto
di vista inglese, e legale e giusto secondo le stesse colonie che lo
approvavano.

Il punto F è verificato soprattutto negli iniziali scontri e
boicottaggi per raggiungere il culmine nel boston tea party e nel
conflitto di guerra civile che è seguito degli Intolerable Acts.

Per questi motivi ti rispondo affermando che la considero una
rivoluzione.
Spero tu sia d'accordo con me... ;-)
Scusa se ti rispondo sempre con ritardo ma sto studiando molto in
questo periodo...

Ciao,

DiegoDeZuniga

OndaMax

unread,
Nov 4, 2002, 9:18:26 AM11/4/02
to
Il 04 Nov 2002, 13:45, DiegoDeZuniga ha scritto:

> a) l'alterazione di valori o miti della societą;

> b) l'alterazione della struttura sociale;
> c) l'alterazione delle istituzioni;
> d) cambiamenti nella formazione della leadership, sia per quanto
> riguarda il personale che costituisce l'elite, sia la sua composizione
> di classe;
> e) passaggio di poteri non legale o illegale;
> f) presenza o predominanza di comportamenti violenti ... negli eventi
> che portano al collasso del regime;

[cut]



> Per questi motivi ti rispondo affermando che la considero una
> rivoluzione.

Lo sviluppo del ragionamento č chiaro, ma non mi č altrettanto chiara a
questo punto la differenza tra Rivoluzione e Guerra di Indipendenza. Cosa
sarebbe cambiato (o cosa avrebbe dovuto cambiare) nelle risposte ai vari
punti a-f nel caso americano volendolo considerare come lotta per
l'Indipendenza ?

OndaMax

--------------------------------
Inviato via http://usenet.libero.it

Piero F.

unread,
Nov 4, 2002, 1:40:58 PM11/4/02
to
DiegoDeZuniga wrote in message

> .... Ritenevo l'NG come un luogo d'incontro tra persone


> davvero interessate al dibattito culturale, pronte a mettere
> in dubbio il proprio sapere o a intervenire con le proprie
> conoscenze per un benessere culturale colletivo.

Beh, è chiaro che lo scopo *dovrebbe* essere quello...
Ma il mezzo si presta fin troppo facilmente a far da vetrina per il
protagonismo esasperato dei frustrati, come giustamente fai osservare.
La crisi d'identità è la malattia endemica del "villaggio globale", e
ogni possibile valvola di sfogo è presa d'assalto. Digito ergo sum,
oppure appaio in TV e quindi esisto... Ma la prima soluzione è alla
portata di tutti, e quindi più gettonata.
Quand'ero giovane già si avvertiva questo fenomeno: allora si
ciclostilavano le fanzine, più ce n'erano e più veniva voglia di farsi
la propria. Ne ho fatte una mezza dozzina, dalla musica rock alla
fantascienza:-)
Però almeno non si rompevano i marroni alla gente, farsi una fanzine era
un modo discreto e silenzioso di affermare il proprio "io", e richiedeva
una seria applicazione.

Non trovo giusto però mettere nello stesso calderone i cosiddetti troll
e i soggetti animati da eccessiva passione politica. Se presi nella
giusta maniera, costoro hanno da dare molto alla collettività, in
termini di conoscenze da mettere "in share". Purtroppo la maggior parte
delle persone che non ne condividono le idee, li prendono nella maniera
più sbagliata, e allora ognuno mostra il lato peggiore di sé.
Francamente, quando ho fatto capolino in questo NG la mia prima
impressione è stata una profonda ripulsa. Sono stato immediatamente
promotore di un NG parallelo e moderato, che poi ha impiegato mesi per
essere creato.
Nel frattempo mi ero abituato all'andazzo:-) Se adesso dico che è
diventato una latrina, ho i miei motivi. I discorsi seri si fanno "di
là", qui sono rimasti i troll e poco di più. Penso che l'argomento di
questo thread avrebbe avuto più successo se l'avessi presentato in
ICSmod...

Bene, torniamo "a bomba" :-)

> Stalin ha continuato e modificato il leninismo, che a sua volta
> ha ereditato ideologicamente il marxismo.
> Ma, a mio avviso, il consolidamento della rivoluzione si è avuto
> sino alla morte di Stalin, avvenuta nel 1953. E quella data,
> simbolicamente, segna anche uno dei fattori del crollo dell'impero
> dell'URSS.

Adesso è molto più chiaro il concetto di "compromesso di restaurazione".
Non sono convinto di quanto dici su Stalin, ma con questa tua
spiegazione mi sta bene che non rappresenti il compromesso descritto da
Kreicj. Lì per lì ne avevo dato un'interpretazione diversa. A quanto
pare, invece, si tratta (per dirla con le parole del Principe di Salina)
di «cambiare qualcosa perché tutto resti come prima».
Cioè ritornare allo status pre rivoluzionario accogliendo qualche
istanza secondaria espressa dalla rivoluzione...

> Per rispondere a questa domanda interessante devo fare appello alle
> caratteristiche della rivoluzione delineate da un altro autore, A. S.
> Cohan.

<cut>


> Per questi motivi ti rispondo affermando che la considero una
> rivoluzione.
> Spero tu sia d'accordo con me... ;-)
> Scusa se ti rispondo sempre con ritardo ma sto studiando molto in
> questo periodo...

Non solo sono d'accordo sostanzialmente, ma credo di poter rispondere
all'obiezione successiva di OndaMax: qualsiasi guerra d'indipendenza
potrebbe riconoscersi in una rivoluzione, a patto che l'istanza
d'indipendenza nasca da una diversa visione sociale e politica, e non da
fattori etnici, linguistici o culturali.
Se l'Alto Adige ottenesse l'indipendenza con una guerra NON sarebbe una
rivoluzione. Se l'ottenesse la Padania credo di sì, invece. Che ne
pensi?
Non affrettarti a rispondere, se hai da fare.
Studia, studia, che vedo che ti fa bene:-))

Ciao
--
Piero F.

sergio

unread,
Nov 4, 2002, 4:47:23 PM11/4/02
to
DiegoDeZuniga wrote:

> Nonostante Stalin avesse scelto di proseguire per una via tutta sua
> ritengo il suo operato come un consolidamento della rivoluzione.

Io credo che sia stato piu' un consolidamento del suo potere personale che
della rivoluzione.

> Innanzitutto nell'accezione di Krejci il compromesso di restaurazione

> č avanzato soltanto da quelle forze contro - rivoluzionarie. Stalin,


> sicuramente, non faceva parte di queste anche se tuttavia alla morte
> di Lenin si poneva in modo differente dallo stesso Lenin, da Bukanin e
> da Trotzkij. Inoltre il compromesso di restaurazione comprende un
> ritorno alle condizioni pre - rivoluzionarie. Questo non accade se si
> pensa alla persistenza del ruolo del partito comunista e del suo capo,
> anche dopo la morte di Lenin. Istituzionalmente al passaggio dei

> poteri nelle mani di Stalin non č stato alterato alcun organismo al


> punto da far pensare ad un ritorno alle condizioni precedenti al 1917.


Istituzionalmente puo' darsi, ma nella sostanza, morto Lenin, Stalin
svuoto' praticamente (nei modi che tutti sappiamo) il partito dalla
"vecchia guardia" leninista.


> Ritengo che avvicinare la figura di Stalin a Pietro il Grande o al

> Ivan il terribile sia per risaltare quel carattere di autoritą che


> tali figure hanno espresso nel corso della storia. Ma le loro idee e
> le loro azioni hanno avuto risvolti in tempi diversi ed in contesti
> socio - politici differenti. Stalin ha continuato e modificato il
> leninismo, che a sua volta ha ereditato ideologicamente il marxismo.


Anche qui non sono d'accordo: toglierei quel "continuato" .

A tal proposito comunque consiglio la lettura (a chi e' interessato
ovviamente) di un "mio" vecchio post sulle differenze tra leninismo e
stalinismo viste non da un comunista ma da un dissidente sovietico quale
era Roy Medvedev (Diego credo che l'avra' gia' letto, Piero non lo so: poi
lo interrogo :) )
Il brano e' l'ultimo capitolo del suo libro "Stalin Sconosciuto", Ed.
Riuniti, 1980.

Il link su google e' :

http://groups.google.it/groups?q=leninismo+e+stalinismo+group:it.cultura.storia.*&hl=it&lr=&ie=UTF-8&selm=3B0C39DD.31E94076%40yahoo.com&rnum=1
cordialmente
Sergio


--
questo articolo e` stato inviato via web dal servizio gratuito
http://www.newsland.it/news segnala gli abusi ad ab...@newsland.it


sergio

unread,
Nov 4, 2002, 4:53:17 PM11/4/02
to
Piero F. wrote:

> Nel frattempo mi ero abituato all'andazzo:-) Se adesso dico che è
> diventato una latrina, ho i miei motivi. I discorsi seri si fanno "di
> là", qui sono rimasti i troll e poco di più.

**cough** , **cough** .... solo questi?

ciao
S.

Piero F.

unread,
Nov 4, 2002, 6:19:37 PM11/4/02
to

"sergio" ha scritto

> Piero F. wrote:
> > qui sono rimasti i troll e poco di più.

> **cough** , **cough** .... solo questi?

Ho aggiunto "poco di più" :-)

Sai come la penso, ti devi anche essere riconosciuto nel mio discorso
a Diego;-)
Devo dire che la tua latitanza ha fatto male a ICS, checché ne dicano
quelli che non ti vorrebbero vedere più... Ci sono meno flames, ma
anche un mucchio di stronzate che fanno pena. Aridatece Sergio!
Mi sembra che tu abbia detto, un mese fa, di essere stato a
Washington... Non voglio sapere perché (qualcuno penserà certo che
avrai cercato di uccidere Bush;-)), voglio solo sapere se ti hanno
fatto storie per il visto.
Io dovevo andare negli States nel 1965, ma hanno scoperto che il
fratello di mia madre era iscritto al PCI e mi hanno negato
l'ingresso. Peggio per loro, tié:-))
Ma adesso sono cambiati i tempi? Entra anche un bolscevico come te?!?
Aridatece McCarthy! ROTFL

ciao
--
Piero F.

OndaMax

unread,
Nov 4, 2002, 6:22:35 PM11/4/02
to
"Piero F." ha scritto nel messaggio ...

> Non solo sono d'accordo sostanzialmente, ma credo di
> poter rispondere all'obiezione successiva di OndaMax:
> qualsiasi guerra d'indipendenza potrebbe riconoscersi in
> una rivoluzione, a patto che l'istanza d'indipendenza nasca
> da una diversa visione sociale e politica, e non da fattori
> etnici, linguistici o culturali.

Assolutamente convincente.
Concordo in merito alla discriminante della visione sociale e politica. Il
che renderebbe la lotta per l'Indipendenza americana sia l'una che l'altra
cosa considerando da una parte le motivazioni di riscatto sociale in
reazione all'iniquo giogo commerciale, e dall'altra l'aggregazione delle
genti americane in un nuovo popolo che ormai poco aveva a che spartire con
quello inglese. Almeno per interessi, se non per cultura.

> Se l'Alto Adige ottenesse l'indipendenza con una guerra NON
> sarebbe una rivoluzione. Se l'ottenesse la Padania credo di sì,
> invece. Che ne pensi?

Anch'io mi siedo ed attendo il parere di Diego.
Le mie riflessioni sulla secessione comunque sono queste: a parte la
questione della leadership (quella attuale sarebbe troppo compromessa con il
sistema per aderire in pieno ai canoni di novità declamati al punto d),
rimane da sciogliere un altro nodo importante dello schema di Cohan:

b) l'alterazione della struttura sociale;

Ma non mi pare che l'ipotesi autonomista sia questa. Al contrario tenderebbe
alla conservazione di quella struttura. Ma potrei sbagliarmi ...

Ciao
OndaMax


DiegoDeZuniga

unread,
Nov 5, 2002, 4:28:31 AM11/5/02
to
On Mon, 04 Nov 2002 14:18:26 GMT, onda...@liberox.it (OndaMax) wrote:

>Lo sviluppo del ragionamento è chiaro, ma non mi è altrettanto chiara a


>questo punto la differenza tra Rivoluzione e Guerra di Indipendenza. Cosa
>sarebbe cambiato (o cosa avrebbe dovuto cambiare) nelle risposte ai vari
>punti a-f nel caso americano volendolo considerare come lotta per
>l'Indipendenza ?

La differenza tra rivoluzione e guerra d'indipendenza potrebbe essere
posta anche in questi termini, oltre a quelli delineati da Piero F.
Come ho avuto modo di pubblicare all'inizio di questo thread la
rivoluzione si compone di diverse fasi (secondo Krejci) che hanno
un'estensione temporale notevole e ben più ampia di quella che
storiograficamente si può intendere. La guerra d'indipendenza è
soltanto una delle fasi della rivoluzione e più precisamente, in
questo caso, coincide con la fase dell'esplosione, causata dal
contrasto sempre più forte tra americani e britannici.
Anche le guerre civili in Francia o in Russia segnano dei momenti
critici e di scontro violento tra le fazioni in opposizione, in un
contesto rivoluzionario più ampio. Sono guerre ma sono dei periodi
delimitati che rappresentano in una visione più globale soltanto una
fase di un lungo sconvolgimento e mutamento della società. Con questo
non voglio affermare che ogni guerra fa parte di una rivoluzione.
Molte sono le guerre che non hanno un contesto rivoluzionario,
tuttavia bisogna comprendere come in una rivoluzione, nella fase
dell'esplosione, possa nascere una vera e propria guerra.

Ciao,

DiegoDeZuniga

OndaMax

unread,
Nov 5, 2002, 8:19:02 AM11/5/02
to
Il 05 Nov 2002, 10:28, DiegoDeZuniga ha scritto:

> La guerra d'indipendenza è soltanto una delle fasi della
> rivoluzione e più precisamente, in questo caso, coincide
> con la fase dell'esplosione, causata dal contrasto sempre
> più forte tra americani e britannici.

Sarebbe a dire, quindi, che la Rivoluzione è un concetto globale che non può
essere ridotto all'evento violento in se, ma investe tutti i campi del
sociale in un periodo più o meno lungo (cultura, visione politica ed
economica, ecc.). Su questo concordo in pieno.
Quello che forse mi ha portato fuori strada è il riferimento alla violenza
in prossimità del collasso. Ma è anche vero che all'avvio di un
sovvertimento graduale e riformista avevi già dato spazio parlando di
Krejci.

Ciao

Fabio_1861®

unread,
Nov 5, 2002, 10:07:57 AM11/5/02
to

"DiegoDeZuniga" <chiede...@hotmail.com> ha scritto nel messaggio

> Nel momento in cui internet č divenuta fenomeno di massa anche cani e
porci hanno accesso a tutte le risorse disponibili. E questo NG ne č un


esempio chiario. Si dovrebbe parlare di storia ma la maggior parte dei post
pubblicati riguardano dei miseri interventi di bassissima
> propaganda politica.

(cut)

Purtroppo quando si parla di storia, e specialmente nella storia recente
cadere nella propaganda politica temo sia molto facile.
Il problema č che ormai i nostri gruppi di discussione rischiano di
diventare un ricettacolo di troll, secondo me l'importante č non dargli
spago.
Io lo frequento da poco, ho trovato dei thread molto interessanti e
purtroppo le solite provocazioni, ma mi sembrava che fosse solo una o due
persone (quello che scriveva post urlati e assurdi per esempio) a cui
possiamo o rispondergli a tono oppure ingorarli.
Definire i newsgroup come latrine non mi pare il caso, l'importante č che
chi vuole discutere seriamente no lo faccia diventare tale.
It.politica non lo guardo da un po di tempo ma dicono che sia diventato una
specie di arena di insulti vari.
Qualche post politico penso che anche in futuro ci possa scappare, anche a
me come nella discussione con Emilio mi sembra sul razzismo, l'importante č
che l'educazione prevalga.

Saluti
Fabio


sergio

unread,
Nov 5, 2002, 3:50:39 PM11/5/02
to
Il 05 Nov 2002, 00:19, "Piero F." <mail...@jumpy.it> ha scritto:
>
> "sergio" ha scritto
>
> > Piero F. wrote:
> > > qui sono rimasti i troll e poco di più.
>
> > **cough** , **cough** .... solo questi?
>
> Ho aggiunto "poco di più" :-)
>
> Sai come la penso, ti devi anche essere riconosciuto nel mio discorso
> a Diego;-)
> Devo dire che la tua latitanza ha fatto male a ICS, checché ne dicano
> quelli che non ti vorrebbero vedere più... Ci sono meno flames, ma
> anche un mucchio di stronzate che fanno pena. Aridatece Sergio!

mi commuovi quasi con queste parole :) .


> Mi sembra che tu abbia detto, un mese fa, di essere stato a
> Washington... Non voglio sapere perché (qualcuno penserà certo che
> avrai cercato di uccidere Bush;-))

ho provato, certo :)


< voglio solo sapere se ti hanno
> fatto storie per il visto.
> Io dovevo andare negli States nel 1965, ma hanno scoperto che il
> fratello di mia madre era iscritto al PCI e mi hanno negato
> l'ingresso. Peggio per loro, tié:-))

ma no, sono anni che vado negli USA e non ho mai avuto problemi.. fra
l'altro il visto per gli italiani non esiste piu', forse per questo sono
riuscito a sgattaiolare ... devi solo riempire un cartoncino verde che ti
danno sull'aereo.

ciao
Sergio

DiegoDeZuniga

unread,
Nov 9, 2002, 5:26:35 PM11/9/02
to
On Mon, 04 Nov 2002 18:40:58 GMT, "Piero F." <mail...@jumpy.it>
wrote:

>Non solo sono d'accordo sostanzialmente, ma credo di poter rispondere


>all'obiezione successiva di OndaMax: qualsiasi guerra d'indipendenza
>potrebbe riconoscersi in una rivoluzione, a patto che l'istanza
>d'indipendenza nasca da una diversa visione sociale e politica, e non da
>fattori etnici, linguistici o culturali.
>Se l'Alto Adige ottenesse l'indipendenza con una guerra NON sarebbe una
>rivoluzione. Se l'ottenesse la Padania credo di sì, invece. Che ne
>pensi?

cut

Qui spieghi la differenza tra rivoluzione e guerra d'indipendenza
basandoti sul criterio causa/effetto. Se le cause sono legate a
fattori di mutamento sociale e politico allora si può parlare di
rivoluzione, se diversamente, il fenomeno è causato soltanto da
fattori etnici, linguistici e culturali allora non potrebbe essere
considerata una rivoluzione.
Ho riflettuto su questa tua affermazione e ho sentito l'esigenza di
raccogliere altri autori che hanno studiato le cause delle
rivoluzioni.
Ad esempio, l'autore Skopcol, studiando la rivoluzione cinese, russa e
francese è riuscito a sintetizzare le loro cause:

a) collasso o l'incapacità dei meccanismi amministrativi centrale e di
quelli militari;

b) diffusa ribellione contadina;

c) movimenti politici e di élite marginali;

Altro autore è sempre Krejci il quale ha studiato le cause delle
rivoluzioni legandole ad una serie di antinomie rivelate negli studi
dei più grandi pensatori politici: Marx, Weber, Aristotele,
Tocqueville, Pareto e Ibn Khaldun (studioso islamico del
quattordicesimo secolo). In Weber l'antinomia è presente nel rapporto
tra status, ricchezza e potere, in Marx quello tra forze e mezzi di
produzione, per Aristotele quello tra disuguaglianza e senso di
ingiustizia, per Tocqueville quello tra ciò che si consegue e ciò che
ci si aspetta, per Pareto quello tra elite e non - elite, e per
Khaldun quello tra "lo spirito battagliero dei rivoluzionari e quello
dei loro avversari".

In più l'autore M. Rush studia in un tabella le cause della
rivoluzione, affermando che generalmente esse sono più sociali che
politiche in senso stretto, in quanto le fondamenta di una determinata
società sono minacciate simultaneamente su più fronti. Rush aggiunge
anche che è probabile che esista una diffusa serie di rivelanti
insoddisfazioni economiche e socio - culturali.

Ecco la tabella:

A) Cause generali

1) Economiche: un cambiamento nel potere economico che comporta
insoddisfazione economica;
2) Socio - culturali: insoddisfazione su base etnica, linguistica
religiosa o regionalista;
3) Ideologiche: l'ideologia prevalente è minacciata e messa in
discussione e sorgono ideologie antagoniste;
4) Politiche: perdita di efficienza, capacità di controllo e
legittimità da parte del regime;

B) Cause specifiche

1) Pressanti richieste di una parte ben organizzata della società che
un settore dell'elite dominante non è in grado di accogliere;
2) Dissenso visibile all'interno della classe dominante tra chi vuole
resistere e chi invece è favorevole alle concessioni;
3) La credibilità dell'ideologia del regime è minacciata dalla sua
risposta alle domande;
4) Perdita diffusa di controllo politico da parte del regime

M. Rush non è d'accordo con te in quanto pensa che tra le cause
principali delle rivoluzioni vi possono essere anche quelle socio -
culturali, legate ai fattori che hai delineato (etnia, lingua e magari
anche religione), che tu leghi in questo caso ad un'ipotetica guerra
mossa motivi etnici e linguistici.
Secondo me è possibile anche distinguere la rivoluzione da un altro
fenomeno studiando le sue cause e quindi distinguendo un fenomeno
generato dalle condizione A, B e C da un altro generato dalle
condizioni E, F, e G. Tuttavia ritengo distinguere i due fenomeni nel
modo in cui ho fatto rispondendo a OndaMax. In questo caso (quello
americano) considero la guerra d'indipendenza come la fase
d'esplosione (secondo l'accezione di Krejci) di un periodo più lungo
che ho voluto definire come rivoluzione americana. Sebbene la
rivoluzione comporti uno stravolgimento violento (guerre,
insurrezioni, moti, rivolte) della società, ciò non significa che non
vi possa essere una guerra al di fuori di un contesto rivoluzionario.
Se l'Alto Adige decidesse con una guerra di rendersi indipendente
bisognerebbe analizzare le condizioni pre e post guerra e confrontarle
con quelle di Cohan. Se corrispondono in pieno ritengo si dovrebbe di
parlare di rivoluzione, se soltanta una di esse manca, allora non è
rivoluzione e magari si può parlare di una guerra mossa da un'istanza
d'indipendenza.

Ciao,

DiegoDeZuniga

PS: Ancora scusa per il ritardo...

DiegoDeZuniga

unread,
Nov 9, 2002, 5:26:39 PM11/9/02
to
On Mon, 04 Nov 2002 22:47:23 +0100, s...@j.com (sergio) wrote:


>Io credo che sia stato piu' un consolidamento del suo potere personale che
>della rivoluzione.
>

E' sicuramente noto il culto della personalità di Stalin che non è
stato mai così forte tra gli altri capi del PCUS. Su quest'aspetto
sono d'accordo con te. Ma non è l'unico e Stalin non si è
completamente allontanato dall'ideologia comunista, alla base della
rivoluzione del 1917.
Ho fatto coincidere la dittatura di Stalin con quella fase che
l'autore Krejci (studioso della rivoluzione) chiama "rafforzamento".
Stalin mediante la collettivizzazione e l'industrializzazione ha
rafforzato il suo potere e il suo controllo sull'intero territorio
praticando un sistema economico socialista.
L'industrializzazione sebbene non prevista specificamente dalla
dottrina marxista è stata avanzata da Stalin incontrando numerosi
dibattiti circa il suo ritmo e proseguimento. Tuttavia il marxismo,
non facendo indicazioni sull'industrializzazione, insisteva affinché
essa raggiungesse un alto livello. Dunque da questo punto di vista,
mediante l'applicazione dell'industrializzazione, Stalin ha continuato
e rafforzato il pensiero marxista.
Riguardo alla collettivizzazione dell'agricoltura, essa rappresenta il
chiaro passaggio da un sistema economico borghese, dove esisteva il
contadino privato, al sistema economico socialista, caratterizzato da
un'economia collettiva. Dunque anche sotto quest'altro aspetto, Stalin
ha continuato ad applicare la teoria marxista, contribuendo a
rafforzare la rivoluzione.
Oltre a ciò, egli ha difeso estremamente il significato e il simbolo
della rivoluzione, divenendo autore di numerose purghe tese a
neutralizzare qualsiasi nemico o forza contro rivoluzionaria. Ciò
serviva per preservare un equilibrio necessario all'esplicazione della
sua politica sempre però contestualizzata in un rafforzamento della
rivoluzione.

>
>Istituzionalmente puo' darsi, ma nella sostanza, morto Lenin, Stalin
>svuoto' praticamente (nei modi che tutti sappiamo) il partito dalla
>"vecchia guardia" leninista.
>

Nonostante Stalin avesse ripulito il politbjuro, tuttavia anche Lenin
non è stato esente da un proprio culto della personalità, sebbene meno
evidente di quello di Stalin. Il passaggio dei poteri a Stalin segna
quella fase che Krejci chiama interruzione. Proprio come affermi, è
interrotto istituzionalmente un qualcosa che vi era prima, e adesso
con la venuta del nuovo capo, si procede ad un rafforzamento. Tuttavia
i mezzi e i poteri in mano al capo del partito comunista rimanevano
racchiusi entro un constesto giuridico ed istituzionale diverso da
quello del 1917.

>
>> Ritengo che avvicinare la figura di Stalin a Pietro il Grande o al

>> Ivan il terribile sia per risaltare quel carattere di autorità che


>> tali figure hanno espresso nel corso della storia. Ma le loro idee e
>> le loro azioni hanno avuto risvolti in tempi diversi ed in contesti
>> socio - politici differenti. Stalin ha continuato e modificato il
>> leninismo, che a sua volta ha ereditato ideologicamente il marxismo.
>
>
>Anche qui non sono d'accordo: toglierei quel "continuato" .
>

Ha continuato perché ha ripreso l'ideologia marxista - leninista
(seguendola in certi aspetti che ti ho elencato sopra), e poi l'ha
modificata (mutandone altri).

>A tal proposito comunque consiglio la lettura (a chi e' interessato
>ovviamente) di un "mio" vecchio post sulle differenze tra leninismo e
>stalinismo viste non da un comunista ma da un dissidente sovietico quale
>era Roy Medvedev (Diego credo che l'avra' gia' letto, Piero non lo so: poi
>lo interrogo :) )
>Il brano e' l'ultimo capitolo del suo libro "Stalin Sconosciuto", Ed.
>Riuniti, 1980.

Ti ringrazio ancora del suggerimento, si l'avevo letto ma penso che lo
rileggerò ancora.

Ciao,

DiegoDeZuniga

PS: scusa se rispondo con ritardo ma ho molto da studiare in questo
periodo

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