Il giorno mercoledì 19 ottobre 2022 alle 14:45:24 UTC+2 Sargon ha scritto:
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(Parte 10)
8 settembre 1922
L. Einaudi scrive nell'articolo
"Collaborazionisti" [socialisti riformisti:
Turati, Treves e Prampolini]: « [...] a nessuna
classe della borghesia la collaborazione
socialista può essere piú grata che a « quei
filibustieri della siderurgia, a quei ladri
dello zucchero, a quei pirati del mare, a quei
pescicani terrieri ».
« La mentalità dei protezionisti borghesi è
perfettamente simile, anzi identica alla
mentalità dei socialisti collaborazionisti.
Appartengono amendue alla peggior specie della
borghesia, a quella la quale vive di favori
governativi ».
« Questa è la collaborazione socialista-
borghese quale sinora si è manifestata nella
pratica. Per quale buona ragione si vorrebbe da
noi il consenso ad una politica distruttiva,
alla quale e non alla guerra, noi dobbiamo la
situazione disastrosa delle finanze pubbliche
nel momento presente. Il cambio a 400, il
disavanzo persistente a miliardi, il caro della
vita, tutto quel che noi vediamo di piú dannoso
e preoccupante per l'avvenire del paese non è
forse dovuto alla resistenza feroce opposta
alla smobilitazione economica dal connubio fra
le peggiori forze della borghesia e le piú
voraci schiere del proletariato, impersonate
per l'appunto nei socialisti collaborazionisti?
Anche noi chiamiamo a raccolta le forze sane
della borghesia e del proletariato. Non noi
certamente abbiamo paura della loro
collaborazione ».
17 settembre 1922
Luigi Einaudi, "Replica ai collaborazionisti":
« Questa brava ed onesta e cortese qualità di
critici [i socialisti collaborazionisti, ovvero
riformisti] si allarma soltanto quando noi non
parliamo male, in ogni occasione, dei fascisti
e facciamo qualche non sfavorevole giudizio
sulle loro azioni. Vorrebbero che noi non ci
accorgessimo che Corgini e Rocca hanno esposto
un programma finanziario ragionevole e non li
lodassimo per quel che di buono essi hanno
scritto [vd. parte 4 e 6]. Perché costoro sono
fascisti, non dovrebbero essere capaci di
studiare e di accorgersi che le antiche
dottrine liberali potevano essere una fonte a
cui anche un giovane partito aveva interesse ad
abbeverarsi. Similmente dovrebbe essere vietato
ai liberali di compiacersi che le loro dottrine
conservino ancora tanta potenza d'attrazione da
imporsi ai partiti d'azione [i fascisti]. [...]
Bisogna che i collaborazionisti se ne
persuadano: quel che ci dispiace in essi è
proprio ciò di cui essi piú si vantano: il
persistente ed insopprimibile spirito
socialista; [...] Quei borghesi, i quali
chiedono protezioni per le industrie e sussidi
per i cantieri navali, sono socialisti; quei
fascisti i quali nel ferrarese o nel senese
impongono lavori pubblici od imponibili di mano
d'opera, sono anch'essi intimamente socialisti.
[...] Borghese e liberale e fascista è solo
colui che è figlio delle proprie opere, che non
mette le mani nella tasca degli altri,
servendosi dello stato e fabbricando leggi di
spogliazione. Un protezionista è, per
definizione, socialista. [...] Quegli è, nel
fondo del suo cuore, un socialista purissimo;
né piú né meno di quei borghesi socialisti i
quali arzigogolano sofismi per mettere
d'accordo la loro ostentata fede socialista con
il possesso di ricchezze e l'uso di belle cose,
di case montate con lusso, di servidori
numerosi. [...] I collaborazionisti sono la
specie piú astuta e pericolosa del socialismo;
quella che si insinua nelle fessure
dell'edificio sociale ed a poco a poco lo
avvelena e lo strozza. Essi agiscono nello
stato ed attraverso allo stato; tentano di
impadronirsi dei congegni elettorali,
amministrativi e politici per trasformare a
poco a poco la società presente secondo i loro
ideali. Perché noi, che repugnamo da quegli
ideali e li consideriamo una sciagura per il
paese e per il proletariato, non dovremmo dire
che proprio essi, insieme con le peggiori forze
della borghesia, sono i massimi colpevoli di
quel che c'è di male nella vita politica e
sociale italiana nel momento presente? Si badi
bene: « colpevoli di quel che c'è di male »; il
che non vuol dire che tutto sia male
nell'Italia presente. Anzi noi siamo ottimisti;
e siamo persuasi che le forze sane del paese
sono destinate a pigliare e stanno già
pigliando il sopravvento sulle forze
distruttive.
11 ottobre 1922
Nell'articolo "L'ideale ed i suoi impiegati",
Luigi Einaudi scrive che i socialisti:
« Parlarono del « proletariato » creandosi una
immagine fittizia di uomo nudo, privo di
proprietà e ricco di figli, che lotta contro
un'altra classe composta di uomini ricchi di
capitale generico e di pochi figli viziosi ed
esangui. Qual credito, quale fiducia, quale
seguito meritano costoro, che non vedono che
l'Italia è un paese tutto diverso da quello che
si legge sulla dottrinella marxista e che tra i
« proletari » si noverano a milioni i
possessori di libretti di risparmio, di
terreni, di case, di bestiame e che tra essi
vanno malauguratamente diffondendosi le
pratiche maltusiane e la natalità scema; mentre
le donne borghesi partoriscono figli nerboruti,
i quali adoperano con destrezza il bastone, e
di borghesi ce n'è di tante specie e tra le
altre ce n'è una specie nuova, crescente di
numero, dai muscoli duri e dai denti aguzzi,
venuta su dopo il 1900 dalle file di quel
« proletariato » che dava tra il 1880 e il 1900
le reclute migliori al « vecchio partito
socialista »? Quanti fascisti e bastonatori
d'oggi sono i figli degli « evangelici »
socialisti di ieri? E non è ridicola, dinanzi a
questi fatti, la celebrazione del mistero della
lotta di classe, tra due classi l'una contro
l'altra armate sino allo sterminio? »
18 ottobre 1922
Mussolini a Cesare Rossi, dopo la riunione del
Quadriumvirato : « Mancano i bottoni alle
uose... Capisci?! ». Cesare Rossi non capisce e
chiede lumi: « Ma sì, credono di dover
organizzare una parata dʹonore. Dicono che non
sono pronte le divise, ecco. E non capiscono
che se passa questo momento favorevole è finita
per noi ». « ... Se Giolitti torna al potere
siamo f... Ricordati che a Fiume ha fatto
cannoneggiare dʹAnnunzio. Bisogna bruciare le
tappe. Non la volevano capire quelli là... Ma
ho puntato i piedi. Entro questo mese bisogna
che tutti i preparativi siano ultimati ».
28 ottobre 1922
Nella sua tesi di dottorato "L'esercito nella
crisi dello stato liberale: politica ed ordine
pubblico", Sabrina Sgueglia Della Marra scrive:
« In virtù degli ormai consolidati rapporti
organici fra Mussolini e Lusignoli, e delle
acclarate simpatie fasciste del comando di
corpo d'armata afferente al generale Cattaneo,
a Milano la situazione assunse connotati
peculiari e la città fu completamente
abbandonata nelle mani degli squadristi ». (p.
583)
28-29 ottobre 1922
Nel libro "Mussolini com'era", Cesare Rossi
scrive: « Adesso passo a rievocare un
particolare episodio che secondo me fu decisivo
per garantire il successo della Marcia su Roma.
A Ministro dellʹInterno era stato designato il
Senatore Alfredo Lusignoli, liberale
giolittiano. Ma questa designazione, che in
buona fede io avevo comunicato allʹinteressato,
doveva solo assicurare il preziosissimo ausilio
del prefetto di Milano nella riuscita della
conquista del potere.
Ho sempre pensato e detto che senza Lusignoli
la Marcia su Roma non sarebbe nemmeno
cominciata. Sarebbe bastato che il Prefetto
avesse fatto funzionare i normali organi di
polizia perchè la mobilitazione fascista
venisse soffocata in germe. Invece, egli non
solo non mise in opera questi organi, ma si
rifiutò di applicare le misure ordinategli dal
Senatore Taddei, Ministro dellʹInterno.
Lusignoli mi parlò, infatti, di un fonogramma
di Taddei contenente disposizioni e direttive
in caso di emergenza; fra le quali cʹerano
lʹoccupazione da parte della polizia della Casa
del Fascio in Via San Marco e lʹarresto dei
capi fascisti. Cʹera pure specificato il mio
nome, arresto da estendersi ai deputati
Mussolini e Finzi, i quali sorpresi in
flagranza di reato non avrebbero potuto godere
dellʹimmunità parlamentare.
Naturalmente Lusignoli nemmeno si sognò di
tradurre in atto quellʹordine. Egli avrebbe
potuto fare assegnamento sicuro sul concorso
del Questore Gasti, disposto, da buon
piemontese ligio al dovere, alla resistenza.
Il semplice « fermo » di Mussolini e
lʹoccupazione da parte della polizia delle sedi
fasciste avrebbero determinato il fallimento
del piano fascista. Il Quadriumvirato, già
impressionatissimo del manifesto del Comandante
la Divisione Militare di Perugia, Gen. Lodomez
– che nelle prime ore di sabato 28 aveva preso
sul serio il decreto di stato di assedio,
avrebbe tagliato la corda senzʹaltro. Così i
comandanti di colonna. Forse qualche grave
incidente poteva anche sorgere in certe
provincie fasciste, ma nel complesso del
territorio nazionale tutto si sarebbe liquidato
nel giro di poche ore senza grosse tragedie ».
28 ottobre 1922
Più avanti Cesare Rossi: « Grazie a questo
decisivo apporto del Prefetto a Milano tutto
andò egregiamente, salvo un incidente che
poteva essere fatale. Verso le dieci
antimeridiane di sabato 28 guardie regie,
agenti e carabinieri avanzarono decisamente
verso la sede del Popolo dʹItalia con
lʹintenzione di assaltarlo.
Si faceva, dunque, sul serio? La complice
passività di Lusignoli cedeva dinanzi
allʹintervento attivo del Questore e
dellʹautorità militare?
Il cancello del Popolo dʹItalia era ostruito da
varie bolline di carta, con uno stretto
passaggio sorvegliato da alcuni fascisti armati
di fucili, tolti due ore prima ai soldati del
presidio di Monza che stavano facendo le
esercitazioni in piazza dʹarmi. Comandava la
difesa del Popolo Enzo Galbiati, muratore di
origine, poi in guerra aiutante di battaglia,
più tardi fino al 25 luglio 1943 Capo di S. M.
della Milizia.
A scongiurare lʹurto, io, che facevo la spola
fra la Casa del Fascio ed il giornale, uscii
andando incontro al plotone avanzante al fine
di parlamentare. Cʹera un maggiore della Regia
guardia niente affatto disposto a ragionare, ma
io mi rivolsi ad un funzionario di P. S. al
Commissario Verna, allora comandante della
« squadra mobile », proponendo un modus
vivendi: arditi e fascisti si sarebbero
ritirati nellʹinterno del giornale – mentre in
quel momento stavano esibendo moschetti e bombe
a mano – e la forza pubblica si sarebbe dovuta
arrestare allʹangolo di Via Moscova.
Mentre stavo così parlando fui raggiunto da
Mussolini e da Finzi. Mussolini tentò anche lui
di addomesticare il fiero maggiore della Regia
guardia, ma questi rispondeva con dure parole
di minaccia. Più rispondenza ebbero le sue
parole con Verna. Mussolini guardava a
ripetere: « Signori, vi consiglio a riflettere
sul carattere del nostro movimento. Non cʹè
niente che voi non approviate. Eppoi sarebbero
inutili le vostre resistenze: tutta lʹItalia
fino a Roma è caduta in mano nostra.
Sʹinformino ». Il che era alquanto esagerato.
Egli finì tuttavia per imporsi. Fu accettata la
mia proposta, evitando così un conflitto
sanguinoso.
Un anno dopo, intervistato dai tre quotidiani
dei quali era corrispondente Ermanno Amicucci,
segnalavo il nome del commissario Verna come
« il salvatore della Marcia su Roma ». (Allora
non potevo scoprire il ruolo di Lusignoli. Egli
restava il protettore n. 1, ma in incognito) ».
30 ottobre 1922
Sempre Cesare Rossi: « Quando lunedì 30 ottobre
Lusignoli seppe dai suoi servizi telefonici in
contatto con Roma che non si parlava più di lui
come Ministro dellʹInterno, perchè quel
portafoglio se lʹera assegnato Mussolini mentre
a Sottosegretario era stato scelto Finzi, io
fui tempestato di chiamate al centralino
dellʹHôtel Savoia. La prima volta gli risposi
che per la lista dei Ministri non cʹera nulla
di concreto; la seconda, la terza e la quarta
chiamata rimasero senza risposta, non sapendo
come diavolo cavarmela. Poi venne in mio aiuto
il neo ministro democratico sociale dei Lavori
pubblici Carnazza, suggerendomi: « Fatelo
ministro di Stato ». [...] Lusignoli ingoiò la
pillola surrogato che io avevo fatto indorare
dalla stampa amica con la necessità della sua
preziosa presenza a Milano, durante le
imminenti elezioni amministrative. Però si legò
al dito quella cocente delusione; dopo pochi
mesi abbandonò la Prefettura e a Palazzo Madama
passò allʹopposizione.
Libri consultati:
- Ernesto Rossi, "Padroni del vapore e
fascismo", Bari, Laterza, 1966.
- Antonino Rèpaci, "La marcia su Roma", Milano,
Rizzoli, 1972.
- Antonino Rèpaci, "La marcia su Roma. Mito e
realta", Roma, Canesi, 1963.
- Angelo Tasca, "Nascita e avvento del
fascismo. L' talia dal 1918 al 1922", 3. ed,
Bari, Laterza, 1971.
- Renzo De Felice, " Mussolini il
rivoluzionario. 1883-1920", Ed. 2, Torino,
Einaudi, 2005.
- Renzo De Felice, "Mussolini il fascista. Vol.
1, La conquista del potere, 1921-1925", 4 ed,
Torino, Einaudi, 2005.
- Renzo De Felice (a cura di), "Il fascismo e
i partiti politici italiani. Testimonianze del
1921-1923", Firenze, Le lettere, 2005.
- Cesare Rossi, "Mussolini com'era", Roma,
Ruffolo, 1947.
- Alberto Albertini, "Vita di Luigi Albertini",
2 ed., Milano, Mondadori, 1945.
- Luigi Einaudi, "Cronache economiche e
politiche di un trentennio 1893-1925. Vol. 6,
1921-1922, Torino, Einaudi, 1963.
- Per quanto riguarda il prefetto Lusignoli,
segnalo (ho letto, ma non ancora utilizzato):
Marcello Saija, "I prefetti italiani nella
crisi dello Stato liberale", 2 voll., Milano,
Giuffrè, 2001 (vol. 1), 2005 (vol. 2).
- Guido Melis, "Lusignoli Alfredo" in
Dizionario Biografico degli Italiani Treccani,
Volume 66, 2006. Con bibliografia che ho potuto
consultare e utilizzare solo in parte, per
questioni di tempo (ma mi riprometto di farlo
in seguito).
- Sabrina Sgueglia della Marra, "L'esercito
nella crisi dello stato liberale: politica ed
ordine pubblico", Tesi di Dottorato di ricerca,
Università degli Studi Roma Tre.
Ho sfogliato i seguenti libri:
- Nino Valeri, "Da Giolitti a Mussolini",
Milano, Garzanti, 1974.
- Paolo Monelli, "Mussolini piccolo borghese",
2 ed., Milano, Garzanti, 1970.
Saluti
Sargon