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Matteotti, l'uomo e il politico

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Sargon

unread,
Feb 11, 2024, 5:32:43 AMFeb 11
to
Proseguendo in questo gruppo di discussione le
celebrazioni per il centenario della morte di Giacomo
Matteotti, ripropongo parte della prolusione tenuta
il 10 giugno 2014, in occasione delle commemorazioni
di Giacomo Matteotti a 90 anni dalla morte, dal
professore Maurizio Degl'Innocenti – ordinario di
Storia contemporanea, presso la Facoltà di Scienze
Politiche dell'Università degli studi di Siena e
Presidente della Fondazione di Studi Storici "Filippo
Turati" – nella sala della Regina a Montecitorio.
La cerimonia si svolse sotto l'Alto Patronato
del Presidente della Repubblica e con il
patrocinio della Presidenza del Senato, della
Presidenza della Camera dei deputati e della
Presidenza del Consiglio dei Ministri.
L'intero programma di quelle celebrazioni
matteottiane, promosse dalla Fondazione Giacomo
Matteotti e dalla Fondazione di Studi Storici
Filippo Turati, comprese le iniziative per le
scuole, si avvalse dell'Alto Patronato della
Presidenza della Repubblica e del patrocinio
della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Proprio come oggi!

L'intervento di Degl'Innocenti si intitolava:
"Matteotti, l'uomo e il politico", di cui
riproduco ampi stralci sul Matteotti politico.

[...] « Alla vigilia del Congresso di Bologna
del 1919, Matteotti scriveva su "La Lotta": "Il
socialismo esige non soltanto la lotta e la
vittoria sopra la classe avversaria, ma anche e
soprattutto la lotta e la vittoria sopra noi
stessi, sopra i lavoratori medesimi, per
toglierne i sentimenti egoistici e prepararli
al socialismo". Insomma, "il più" era riuscire
a "costruire il socialismo dentro di noi" ».

[...]

Per Matteotti l'attività politica richiedeva
« "un lavoro enorme, molteplice, vario:
propaganda e organizzazione, revisione teorica
e azione pratica, studio ed esperimento,
preparazione tecnica per le riforme
legislative, preparazione per l'opera
amministrativa nei Comuni; facoltà di
comprendere l'ideale e il reale, l'immediato e
il lontano: da discernere il lecito e
l'illecito; di conoscere l'anima popolare, di
non titillarla demagogicamente, ma non di
prenderla di fronte ed allontanarla da sé con
atteggiamenti ad essa inaccessibili; di
accostarla e piegarla, e educarla ad essere
astuta ma insieme diritta, pratica e
idealistica, socialista insomma: e non dovrebbe
esserci bisogno di aggiungere altro!" ("Come
intendiamo il riformismo", "La Lotta", 26 agosto
1911).

[...]

--
Saluti
Sargon

Almirante difendeva la razza.
Io difendo la memoria.

Sargon

unread,
Feb 11, 2024, 5:37:14 AMFeb 11
to
Il 11/02/2024 11:32, Sargon ha scritto:

> Proseguendo in questo gruppo di discussione le
> celebrazioni per il centenario della morte di Giacomo
> Matteotti, ...

Matteotti, l'uomo e il politico [02]

I nuclei di base della nuova società erano il
Comune, la scuola, la cooperativa, la lega. Nel
redigere il capitolo "Ordinamento finanziario
del Comune" per il manuale dedicato agli
amministratori locali ("Alla Conquista del
Comune", Società editrice Avanti! 1920)
[Matteotti] ammoniva che "i lavoratori devono
impadronirsi di questa materia (quella
amministrativa), così come essi conoscono l'uso
del martello, l'uso dell'aratro o l'uso di una
macchina nelle officine. Il Bilancio, i Conti,
le Imposte sono appunto gli strumenti del
mestiere dell'Amministratore pubblico, che il
socialismo vuole sottratto ai capitalisti per
darlo ai lavoratori", e ricordava altresì che
gli "obblighi" non avevano solo un valore
formale, bensì anche sostanziale, perché i
socialisti dovevano dimostrare che la proprietà
pubblica o collettiva "può essere amministrata
almeno altrettanto bene e utilmente quanto
quella privata" ("Alla conquista del Comune.
Manuale per gli amministratori degli enti
locali", Milano Società editrice Avanti!,
1920). Qualche anno dopo, nel programma del
Partito socialista unitario pubblicato nel
1923, avrebbe espresso la convinzione che nel
Comune i socialisti potevano "anticipare quei
modi di convenienza, quella prova di famiglia
umana solidamente unita in mutui scambi di
forza, di opere, di servizi, che rispondeva
alla nostra ideale speranza".

Accanto ai bisogni materiali, sempre
impellenti, delle campagne, riteneva che piaga
diffusa e endemica, ostacolo ad ogni possibile
progresso, fosse costituita dalla sopravvivenza
dell'analfabetismo. A Fratta si registrava
allora un indice di analfabetismo del 43% sul
totale della popolazione superiore a 6 anni.
L'impegno di Matteotti amministratore si
orientò costantemente a estendere la scuola
primaria, poi a curare le strutture educative
di sostegno, anche con contributi personali.
Tra le prestazioni alla persona, attribuite
all'ente territoriale, considerava questa tra
le prioritarie: vera e propria pietra di
paragone per il comune socialista, anche
nell'abito della rivendicata autonomia nei
confronti del centralismo statale.
L'importanza attribuita da Matteotti alla lega
gli derivava dall'esperienza maturata in
Polesine, nelle cui campagne erano avventizi,
boari, obbligati, piccoli proprietari e
fittavoli. Soprattutto per i braccianti,
afflitti dalla ricorrente disoccupazione e da
miseri salari, a cui né i pur ingenti flussi
migratori né la pratica della quotizzazione
delle terre potevano avere effetto risolutivo,
la lega, unità sindacale di occupati e di
disoccupati, diventava uno strumento di tutela
essenziale, e nello stesso tempo l'embrione
della comunità solidale che nella mentalità del
rurale finiva per rappresentare un microcosmo.
Il successo del modello leghista risiedeva
nella natura di strumento di difesa salariale
ma ancor più di distribuzione del lavoro
attraverso l'ufficio di collocamento e, nel
dopoguerra, l'imponibile minimo di manodopera.

jack nick

unread,
Feb 11, 2024, 4:08:56 PMFeb 11
to
Il giorno domenica 11 febbraio 2024 alle 11:32:43 UTC+1 Sargon ha scritto:
> Proseguendo in questo gruppo di discussione le

> del Presidente della Repubblica e con il
> patrocinio della Presidenza del Senato, della
> Presidenza della Camera dei deputati e della
> Presidenza del Consiglio dei Ministri.

>
> [...] « Alla vigilia del Congresso di Bologna
> del 1919, Matteotti scriveva su "La Lotta": "Il
> socialismo esige non soltanto la lotta e la
> vittoria sopra la classe avversaria, ma anche e
> soprattutto la lotta e la vittoria sopra noi
> stessi, sopra i lavoratori medesimi, per
> toglierne i sentimenti egoistici e prepararli
> al socialismo". Insomma, "il più" era riuscire
> a "costruire il socialismo dentro di noi" ».

per carità, questo parlava di classi in lotta e incitava alla guerra civile !

Sargon

unread,
Feb 12, 2024, 9:01:40 AMFeb 12
to
Il 11/02/2024 11:32, Sargon ha scritto:

> Proseguendo in questo gruppo di discussione le
> celebrazioni per il centenario della morte di Giacomo
> Matteotti, ...

Matteotti, l'uomo e il politico [03]

Insomma, il riformismo di Matteotti si
alimentava dell'esperienza del Polesine rurale.
Matteotti era il politico del territorio,
esponente autorevole e indiscusso di quella che
oggi, forse con una certa enfasi, si proclama
democrazia orizzontale. Egli interpretava al
meglio anche le caratteristiche del partito
socialdemocratico: la natura pedagogica. Non se
ne nascondeva tuttavia i limiti di fondo: il
permanere del localismo, la frammentazione,
l'impreparazione, le intemperanze, che erano di
ostacolo ai processi di unificazione politica e
organizzativa a livello provinciale, e alla
traduzione delle esperienze acquisite nella
formazione di quadri responsabili e capaci, al
cui conseguimento assegnava l'efficacia dei
risultati parzialmente conseguiti.

[...]

I successi politici, graduali alla vigilia
della guerra mondiale, addirittura travolgenti
nel 1919-20 autorizzavano le più liete
aspettative [...]
Nelle elezioni politiche del 1919 degli otto
seggi disponibili per il collegio Rovigo
Ferrara, i socialisti ne conquistarono sei
ottenendo il 73% dei voti validi, e nelle
amministrative dell'anno successivo essi
conquistarono tutti e 63 comuni del Polesine,
mentre portarono 38 consiglieri su 40 nella
Provincia. Il Polesine era diventato la
provincia più rossa d'Italia! Eppure nel giro
di un anno o due, a partire dal marzo 1921 e
dalla costituzione del blocco nazionale per le
politiche del 15 maggio di quell'anno, si
verificò lo smaltellamento completo
dell'edificio socialista, evidenziandone
l'intrinseca fragilità nonostante le apparenze.
Del resto, nel clima radicalizzato del biennio
rosso (1919-1920), di cui fu componente
significativa il massimalismo prevalente
all'interno del Partito sulla scia della
rivoluzione russa e nel presupposto della crisi
irreversibile dello Stato liberale, Matteotti
si trovò condannato alla minoranza nel suo
stesso Polesine, sollecitato a contenere le
spinte più estremistiche e velleitarie nella
salvaguardia della integrità delle
organizzazioni economiche, ritenuta patrimonio
irrinunciabile tanto in vista del rinnovo del
patto agrario, e, non meno, della ragione
storica del riformismo socialista. Certo, al di
là di tutto, nel 1921-2 il crollo del movimento
fu repentino e massiccio proprio in relazione
alla distruzione sistematica e militare di tali
istituti da parte dello squadrismo fascista,
pronto, beninteso, a fornire percorsi
alternativi con l'inquadramento nelle
corporazioni. Fu una decapitazione capillare e
perfino feroce della dirigenza e dell'apparato
socialista. La valenza intimidatrice
dell'esibizione minacciosa della forza,
inquadrata e mobile, nei cui confronti le
istituzioni dello Stato operanti sul
territorio, dalle forze dell'ordine alla
magistratura, si mostrarono remissive o
addirittura acquiescenti, fece il resto, non
lasciando scampo. La tesi storiografica di chi,
ancora oggi, voglia ipotizzare alternative
efficaci agli appelli socialisti al rispetto
della legalità, assunti sbrigativamente a
presunta acquiescenza e inattività, non ha
fondamento. Ma ugualmente c'è da interrogarsi
sul senso di smarrimento, condiviso dallo
stesso Matteotti, a fronte dell'improvviso
venir meno dell'opera di civilizzazione operata
in trenta anni sul territorio e del suo
destino.

Sargon

unread,
Feb 12, 2024, 9:03:30 AMFeb 12
to
Il 11/02/2024 11:32, Sargon ha scritto:

> Proseguendo in questo gruppo di discussione le
> celebrazioni per il centenario della morte di Giacomo
> Matteotti, ...

Matteotti, l'uomo e il politico [04]

- A Montecitorio -
Sulla spinta della crescita del movimento
socialista polesano Matteotti giunse a
responsabilità di livello nazionale. Già al
congresso dei comuni socialisti del gennaio
1916, egli si era segnalato autorevolmente in
rappresentanza dei comuni piccoli e rurali; e
da lì si era fatta fama di dirigente capace e
autorevole. Le elezioni del 1919 lo
proiettarono in Parlamento e negli organi
dirigenti del Partito, dove gradualmente si
impose per competenza, capacità argomentativa,
impegno. La vicinanza alle posizioni turatiane
si rivelò decisiva, e nella sintonia con il
"maestro di socialismo", consolidata da
rapporti personali strettissimi, diventò nel
1923-4 un promettente leader del socialismo
europeo. Ciò nonostante Matteotti non cessò mai
di guardare al suo Polesine, anche come cartina
di tornasole per riflettere sugli equilibri
nazionali.
L'efficacia della sua denuncia della violenza
fascista e dei suoi effetti duraturi e
traumatici sulle istituzioni dello Stato
liberale traeva forza da lì.
Alla Camera, dove entrò il 26 novembre 1919, fu
protagonista di un'attività straordinaria. Di
proverbiale diligenza, non mancava mai alle
sedute in aula o nelle commissioni. Si è
calcolato che in poco meno di cinque anni tenne
106 discorsi e interventi. Fece parte della
Giunta generale del bilancio e di quella per
l'esame dei Trattati di commercio e delle
tariffe doganali. Quando, nelle tornate del 24
26 luglio 1920 e 6 agosto 1920, la Camera
modificò il suo regolamento istituendo le
Commissioni permanenti, Matteotti entrò a far
parte della Terza Commissione, quella Finanze e
Tesoro, dove fu confermato anche nella XXVI
legislatura. Infine fu segretario della
Commissione parlamentare per la riforma della
burocrazia i cui lavori iniziarono il 28
settembre 1921. Prese la parola per la prima
volta il 21 dicembre 1919. Si discuteva della
proroga dell'esercizio provvisorio 1919-20, e
Matteotti illustrò un odg di condanna della
politica economica del governo Nitti, colpevole
di non riparare la falla aperta nel bilancio
italiano dalle spese di guerra, senza colpire
gli indebiti arricchimenti. Soprattutto ne
criticava la mancata imposizione di un'imposta
sul capitale, cosicché riteneva che gli oneri
fossero fatti ricadere sulle masse lavoratrici.
Analoga denuncia di tale "politica di classe
della borghesia" pronunciò nel discorso del 28
maggio 1920, sulle comunicazioni del secondo
governo Nitti, così come su quelle dei Governi
successivi, di Giolitti e di Bonomi. Sostenendo
tale linea, Matteotti riteneva, come disse
nella seduta del 21 luglio 1921, che i
socialisti si rendevano "i veri rappresentanti
della Nazione". Un commentatore autorevole come
Achille Loria ebbe a definire la relazione di
Matteotti del 10 agosto 1922 sullo stato di
previsione delle entrate per l'esercizio
finanziario 1922-3 documento di "sapienza
legislativa".

Sargon

unread,
Feb 13, 2024, 8:14:32 AMFeb 13
to
Il 11/02/2024 11:32, Sargon ha scritto:

> Proseguendo in questo gruppo di discussione le
> celebrazioni per il centenario della morte di Giacomo
> Matteotti, ...

Matteotti, l'uomo e il politico [05]

In materia fu quasi sempre designato a oratore
ufficiale dal Gruppo parlamentare socialista,
del cui direttivo entrò a far parte. Gli
argomenti che furono oggetto dei suoi
interventi furono molteplici, e in alcuni
momenti la sua presenza alla Camera assunse un
ritmo addirittura incalzante. E così furono
sempre puntuali e numerosi gli interventi
polemici, le interruzioni date e ricevute, alle
quali non si sottraeva, perfezionando
quell'esperienza del contraddittorio con gli
avversari nel quale eccelleva senza mai
scomporsi e mantenendo piena lucidità. Preme
qui sottolineare comunque almeno tre campi
prioritari della sua attività, oltre al
principale sul bilancio dello Stato.
Innanzitutto, quello di natura regolamentare a
tutela delle prerogative parlamentari o
addirittura delle norme statutarie. In
particolare Matteotti non accettava che al
parlamento fosse impedito il controllo della
circolazione monetaria e di una politica
economica che tendeva a coprire con mezzi
straordinari i disavanzi dei bilanci ordinari,
occultando di fatto il debito pubblico il cui
ammontare sui dati ufficiali al 31 marzo 1920
era valutabile in circa 83 miliardi di lire, ma
che egli ricalcolava per 93 miliardi, a cui poi
ne aggiungeva un'altra trentina con il calcolo
della differenza dei cambi (seduta del 27
giugno 1920). Né si può tacere qui la
ribellione di fronte alle tendenze autoritarie
del Governo Mussolini, specialmente dopo la
legge Acerbo nella quale coglieva la volontà di
schiacciare le minoranze, fatte passare come
"antinazionali".
Il secondo piano era quello del riordino della
finanza locale, dove presentò anche un ddl per
un riordino organico dei tributi. In parallelo
si adoperò per la riforma della legge
elettorale amministrativa, che tuttavia rimase
ferma al Senato. Il terzo era quello
dell'ordine pubblico.

Matteotti fu tra i primi a richiamare
l'attenzione del Parlamento sul dilagare delle
violenze fasciste nel Polesine e in Emilia e
Romagna, denunciando il filofascismo del ceto
liberale e individuando la ragione d'essere del
fascismo nell'aspirazione degli agrari a non
permettere che i loro profitti fossero
contenuti dall'azione sindacale delle leghe
contadine; e di quello individuando la linea
della strategia militare squadrista
nell'abbattimento dell'"organizzazione dei
lavoratori". Documentando il favore concesso in
loco dalle autorità, arrivò a accusare il
Governo Giolitti di complicità, ammonendo che,
così continuando, i lavoratori avrebbero perso
ogni fiducia nello Stato democratico: "Per
conto nostro, proclamò, mai come in questo
momento abbiamo sentito che difendiamo insieme
la causa del socialismo, la causa del nostro
Paese e quella della civiltà".
Il 10 e il 17 marzo e il 27 luglio 1921 tornò a
interrogare il Governo sulle violenze nel
Polesine. Il 2 dicembre 1921 pronunciò il
secondo grande discorso contro il fascismo. Il
Gruppo parlamentare socialista aveva presentato
una nuova mozione di censura sulla gestione
dell'ordine pubblico. Nella circostanza le
interruzioni furono tali che il presidente De
Nicola fu costretto a sospendere la seduta.

Sargon

unread,
Feb 13, 2024, 8:18:15 AMFeb 13
to
Il 11/02/2024 11:32, Sargon ha scritto:

> Proseguendo in questo gruppo di discussione le
> celebrazioni per il centenario della morte di Giacomo
> Matteotti, ...

Matteotti, l'uomo e il politico [06]

La parole di Matteotti suonarono gravi e
solenni: continuava "la violenza
inesorabilmente voluta e organizzata, (perché)
continua(va) la complicità del Governo, e
nessuno sorge(va) in questa Camera a
comprendere l'immensa tragedia del popolo e
dell'animo nostro, noi sentiamo che questo è
anche l'ultimo sforzo (…), ogni legame civile
sarebbe irreparabilmente disciolto". La
successiva seduta del 12 dicembre 1921 sulle
mozioni socialiste a seguito del fallito
tentativo del "patto di pacificazione" e sulle
spedizioni punitive risultò tesissima. Lo
stesso avvenne il 20 maggio e il 13 giugno
1922. Ancora il 20 maggio 1922, al Governo
Facta, che si era formato il 15 marzo 1922,
Matteotti tornò a rivolgere un'interrogazione
sull'occupazione militare di Rovigo da parte di
10000 fascisti, facendo presente che gli
imputati di precedenti omicidi politici erano
stati assolti da giudici compiacenti o
impauriti sotto la minaccia delle squadre
fasciste.
Il tentativo dei socialisti riformisti di
condizionare il Governo per una più efficace
politica interna che contenesse il dilagante
fenomeno squadristico si andò chiaramente
delineando dopo le elezioni del 15 maggio 1921
che avevano portato alla Camera 35 deputati
fascisti e 10 nazionalisti, eletti nel listone
del blocco nazionale. In occasione del discorso
programmatico del Governo Bonomi del 18 luglio
1921, immediatamente successivo a gravi episodi
di violenza verificatisi il 10 e 12 luglio
[1921], Matteotti scrisse a Velia: "Noi
cercheremo di non dar troppo contro il
Ministero, per averlo almeno un po' favorevole,
o che almeno diventi meno ingiustamente
complice dei fasci. Ormai anche gli altri pare
che la capiscano. Treviso e Grosseto e Viterbo
hanno fatto traboccare il vaso". Infine, il 25
luglio 1921 "Il ministero ha una grande
votazione. Noi abbiamo votato contro; ma per le
nostre aspettative avremmo volentieri votato a
favore o per lo meno astenuti". Al Congresso
nazionale socialista di Milano dell'ottobre
1921 faceva un intervento possibilista, volto a
superare l""equivoco inerte" del Partito per
contrastare il fascismo con ogni mezzo, ma
inutilmente perché il congresso rinnovò
l'esclusione ogni collaborazione parlamentare.
E tale posizione fu confermata anche
successivamente.
Dopo le dimissioni del 2 febbraio 1922 del
governo Bonomi, giudicato troppo tollerante
verso "le bande armate" Matteotti vide in
Giolitti l'ostacolo più rilevante per giungere
all'attesa svolta parlamentare. La speranza era
riposta nel presidente della Camera De Nicola,
che tuttavia rinunciò all'incarico il 7
febbraio 1922. Il 1 giugno 1922, di fronte ad
una nuova ondata di violenze fasciste, la
maggioranza del Gruppo parlamentare si dichiarò
finalmente disponibile ad "appoggiare un
governo che assicurasse il ripristino delle
libertà pubbliche e della legge"; e a fronte
del confermato intransigentismo del Consiglio
nazionale del Partito esso rivendicò il 14
giugno piena libertà d'azione, nominando il 16
giugno un nuovo direttorio, chiamando a farvi
parte anche Turati, Treves e Matteotti, in
precedenza dimissionari.

L'evidenza della drammaticità della crisi
emersa tutta nella seduta parlamentare del 15
luglio 1922: "Giornata grossa, tumulti –
scrisse alla moglie – Finalmente pare che anche
gli altri si commuovano delle brutture d'ogni
giorno. Fosse questo finalmente il segno della
resurrezione. Tutta la nostra speranza è in
questi pochi giorni". E ancora: "Temo che non
riusciamo a provocare la crisi e allora tutto
il lavoro di questo tempo rimarrà senza
risultato. Pare che tutti abbiano piacere della
sconfitta in pieno del socialismo; eppure non
ne rimangono sconfitti i difetti, ma la civiltà
medesima".

Sargon

unread,
Feb 13, 2024, 8:19:46 AMFeb 13
to
Il 11/02/2024 22:08, jack nick ha scritto:

> per carità, questo parlava di classi in lotta e incitava alla guerra
civile !

Ti è bastata una sola riga per liquidare Matteotti e
tutto ciò che rappresenta per il nostro Paese.
Sarò ben lieto di ricordarlo ancora di più.
Stammi bene.

Sargon

unread,
Feb 14, 2024, 12:09:23 PMFeb 14
to
Il 11/02/2024 11:32, Sargon ha scritto:

> Proseguendo in questo gruppo di discussione le
> celebrazioni per il centenario della morte di Giacomo
> Matteotti, ...

Matteotti, l'uomo e il politico [07]

In effetti la crisi del Governo Facta precipitò
il 19 luglio, ma non contribuì a aprire le
strade sperate: Restava solo vivissima la
percezione della gravità del passaggio: "La
situazione è all'estremo della gravità e
dell'aspettativa. Qui è l'arco teso
all'estremo. Grande è la speranza, ma tutto
dipende dai più grandi e dai minimi fatti: Il
pericolo è enorme, ma tutto può ancora essere
salvato". Il 22 luglio 1922 il direttorio del
Gruppo approvava un odg con l'auspicio di "un
Governo non più mancipio della Destra sedicente
liberale e del fascismo agrario", impegnandosi
a "concorrere" al raggiungimento di tale
obiettivo. Luigi Sturzo ricordò: "Sopravvenne
…il voto alla Camera contro il gabinetto Facta
e fu aperta la crisi. Tornarono Turati e
Matteotti da me"; "i popolari …avevano
trattato, a mezzo mio, la collaborazione con
Turati, Matteotti e Treves, venuti a casa mia
nel luglio di quell'anno"; "ebbi in quei giorni
vari colloqui con Turati, Treves, Modigliani e
Matteotti"; ma tali tentativi, pur promettenti,
non approdarono a nulla, mentre, di contro,
dopo il fallimento dello sciopero generale
legalitario dell'estate indetto dalla CGdL, la
crisi interna al Partito precipitò fino alla
scissione consumata al Congresso di Roma ai
primi dell'ottobre 1922. Il 4 ottobre 1922,
pochi giorni prima della marcia su Roma,
nasceva il Partito socialista unitario, di cui
Matteotti fu eletto segretario.
Come segretario del Partito socialista
unitario, Matteotti diradò l'impegno
parlamentare occupandosi del Partito da una
stanzina in Piazza di Spagna, dove era
costretta la direzione del partito non
riuscendo a trovare domicilio altrove. Il
locale era sprovvisto di riscaldamento, e
Matteotti vi prese a lavorare con il soprabito
sulle spalle, con l'impegno di sempre. Fu del
novembre 1923 l'opuscolo di 100 pp. "Un anno di
dominazione fascista" (che venne sequestrato).
Matteotti si impegnò comunque a rilanciare le
ragioni del socialismo rivedendone la dottrina
e saggiandola al confronto dell'esperienza non
senza una severa autocritica nei confronti
degli errori passati.

Nelle Direttive dell'aprile 1923 si rivolgeva
ora non solo agli strati proletari o popolari,
ma anche "ai più colti e moderni della
borghesia", sulla base della irrinunciabilità
del metodo democratico, imperniato sulle
libertà politiche e sul sistema
rappresentativo, perché migliore delle
dittature e delle oligarchie, avendo il
vantaggio della libera critica e quindi della
capacità di riconoscere e correggere gli
eventuali errori. Restava fedele al principio
della lotta di classe, ma nella chiara
distinzione dalla guerra di classe, perché tale
da svolgersi in un quadro di regole condivise e
da sollecitare in ognuno l'aspirazione "ad
elevarsi nella coordinata armonia di tutti per
la comune ascensione". Declinava la
tradizionale logica produttivistica nel
significato della lotta alla rendita e alla
speculazione. Non escludendo la collaborazione,
anche se saltuaria con i partiti borghesi,
quando questi favorissero l'istruzione
popolare, la libertà di organizzazione e di
voto, la pace internazionale, ribadiva che la
"nazione, realtà geografica e vivente, entro
cui tutti viviamo e cresciamo", era la
condizione prima del "domani socialista", un
"domani" concepito a beneficio di tutti, e non
di una classe esclusiva.

Sargon

unread,
Feb 14, 2024, 12:12:18 PMFeb 14
to
Il 11/02/2024 11:32, Sargon ha scritto:

> Proseguendo in questo gruppo di discussione le
> celebrazioni per il centenario della morte di Giacomo
> Matteotti, ...

Matteotti, l'uomo e il politico [08]

In vista delle politiche del maggio 1924, che
sancirono la débacle dei socialisti (il Psu
portò alla Camera 24 deputati, il Psi 22), ebbe
ben chiare le difficoltà incontrate nella
campagna elettorale, e percepì che la lotta
politica era entrata in una fase nuova, per la
quale larga parte dei vecchi quadri non
sembrava più idonea. A suo dire i tempi
richiedevano gente di volontà, per "una
resistenza senza limite" contro la dittatura
fascista, essendo egli convinto che il fascismo
dominante non avrebbe mai deposto le armi né
tanto meno restituito spontaneamente all'Italia
un regime di legalità e di libertà. E allora
Matteotti si rivolgeva ai "puri di cuore",
ricercando "gli atti di coraggio e di fermezza
dei compagni, perché da allora in poi il
Partito avrebbe dovuto attingere alle energie
morali intatte in mezzo al frantumarsi
dell'inquadramento materiale. La dimensione
della lotta al fascismo si spostava sul piano
dei simboli, dei valori, delle idee, del
carattere. Il martirio di Matteotti ne avrebbe
rappresentato l'apoteosi.

Il 30 maggio 1924 il neo presidente della
Camera Alfredo Rocco, presente Mussolini al
banco del Governo, ricevuta dalla Giunta delle
elezioni la relazione di convalida in blocco di
tutti gli eletti della maggioranza, ne mise ai
voti l'accoglimento. Le opposizioni furono
prese alla sprovvista, e chiesero la
sospensione, che fu rigettata. Nella
discussione su eventuali contestazioni,
Matteotti contestò in blocco la validità delle
elezioni e, chiedendo il rinvio di quelle
inficiate dalle violenze alla Giunta delle
elezioni, per un'ora e mezzo parlò degli
episodi di violenza, fra urla e interruzioni.
Denunciò l'invadenza di "una milizia armata,
composta di cittadini di un solo partito", la
quale aveva il compito di sostenere "un
determinato Governo con la forza, anche se ad
esso il consenso mancasse".

La proposta di rinvio degli atti alla Giunta
delle elezioni, a firma Arturo Labriola,
Matteotti e Enrico Presutti, fu messa ai voti e
ottenne solo 57 sì, 42 astenuti su 384 presenti
e votanti. Come bene scrisse Sandro Pertini
nella premessa ai "Discorsi parlamentari"
pubblicati in tre volumi dalla Camera dei
deputati nel 1970, a Matteotti "appariva
un'insipienza quella di far sì che fosse
distrutto l'ultimo residuo di Parlamento nel
momento in cui crescevano l'arbitrio e la
prepotenza della piazza. Quasi presago della
fine dell'istituto rappresentativo, si
sorprendeva che dovessero essere proprio i
socialisti "le ultime, sciolte, guardie del
sistema costituzionale". Il 10 giugno 1924 alle
ore 16,30 Matteotti usciva dalla sua abitazione
in Via Pisanelli 40, a pochi passi dal
Lungotevere Arnaldo da Brescia, fu aggredito e
ucciso a coltellate. I miseri resti furono
trovati nella macchia della Quartarella presso
Riano Flaminio. Filippo Turati lo commemorò il
27 giugno 1924 a Montecitorio, ma non nell'Aula
dove i deputati dell'opposizione avevano deciso
di non tornare più.

jack nick

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Feb 14, 2024, 3:17:09 PMFeb 14
to
Il giorno domenica 11 febbraio 2024 alle 11:32:43 UTC+1 Sargon ha scritto:
> Proseguendo in questo gruppo di discussione le
> celebrazioni per il centenario della morte di Giacomo
> Matteotti,

secondo me sei come vauro che tiene in camera da letto un manichino con le sembianze di Stalin, tu lo tieni con le sembianze di matteotti .

Sargon

unread,
Feb 15, 2024, 8:52:10 AMFeb 15
to
Il 14/02/2024 21:17, jack nick ha scritto:

> secondo me sei come vauro che tiene in camera da letto un manichino
con le sembianze di Stalin, tu lo tieni con le sembianze di matteotti .

Sai praticamente tutto di me. ;-)

Sargon

unread,
Feb 15, 2024, 11:56:51 AMFeb 15
to
Il 11/02/2024 11:32, Sargon ha scritto:

> Proseguendo in questo gruppo di discussione le
> celebrazioni per il centenario della morte di Giacomo
> Matteotti, ...

Matteotti, l'uomo e il politico [09]

In una precedente rievocazione alla Camera
Giuliano Vassalli concludeva ricordando il
"deputato esemplare per diligenza, per
competenza, per impegno, per combattività, per
fede indomita nella libertà e nella giustizia.
Un deputato che ha onorato di fronte al mondo
l'istituzione parlamentare e l'Italia". Per
parte mia, vorrei richiamare due punti ancora.
Il primo è relativo al fatto che mentre ogni
spazio di agibilità politica si andava
restringendo nel paese, il socialista
Matteotti, uomo delle istituzioni, concentrava
ogni azione nella sede parlamentare, certamente
la tribuna più autorevole, ma anche il cuore
autentico della democrazia rappresentativa, il
bene ultimo e più prezioso della collettività.
E lì si consumerà il suo sacrificio. Il secondo
punto è relativo all'ammonimento che Matteotti
non si stancava di reiterare, e cioè l'assunto
che l'inefficienza delle istituzioni nella
tutela delle libertà comuni avrebbe generato
disaffezione e lacerazione nel tessuto sociale,
fino a minarne irrimediabilmente la stessa
coesione. A ben vedere il 10 giugno 1924 si
determinò un solco non più colmabile tra due
Italie, destinato a produrre effetti nel lungo
periodo.

Subito dopo la morte, "La Giustizia" scrisse
che Matteotti era rimasto vittima del "suo
civico eroismo", della sua "virtù", e così egli
ascendeva "alla volontà operosa di redimerci
per raccogliere la sua eredità, di costruire su
quelle ossa il monumento ideale del riscatto
d'Italia". Certo, Matteotti diventò
immediatamente l'antiMussolini, simbolo
dell'eroismo antifascista, con cui iniziava una
nuova storia d'Italia. Nell'esigenza di segnare
la discontinuità con il regime fascista e con
l'Italia monarchica, nella rimozione del
passato (che pure era cosa diversa dalla
critica del passato) Piero Calamandrei, massimo
cantore della Resistenza, nel discorso alla
Costituente il 4 marzo 1947, interrogandosi sul
giudizio dei posteri in merito all'opera dei
Costituenti stessi, ammonì a tradurre il sogno
dei "Caduti" "in leggi chiare, stabili e
oneste", "per una società più giusta e più
umana", in modo da rendere la Costituzione "non
"una carta morta", ma piuttosto "il testamento"
di un popolo. Si designava così a mito fondante
del nuovo Stato democratico il culto dei Caduti
per la Libertà, spesso oscuri ma per questo non
meno significativi, dietro i quali si
stagliavano i martiri dell'antifascismo:
Matteotti apriva la scia nella quale si
annoveravano Amendola, Gobetti, Don Minzoni,
Gramsci, Rosselli. In termini epici, la loro
morte era rappresentata a riscatto/espiazione
per tutti, per una nazione intera: mito
fondativo dell'Italia repubblicana. Un mito
fondativo che conviene ricordare sempre, ma
nella chiara distinzione quando si avverta la
necessità di esaltare il valore più alto della
politica e della coesione sociale nella
libertà.

Maurizio Degl'Innocenti, "Matteotti, l'uomo e
il politico", 2014:

https://fondazionematteotti.altervista.org/wp
content/uploads/2015/01/M90S-MDI-Matteotti
luomo-e-il-politico-FINITO.compressed1.pdf

Sargon

unread,
Feb 21, 2024, 6:05:21 PMFeb 21
to
Il 15/02/2024 14:52, Sargon ha scritto:

>> secondo me sei come vauro che tiene in camera da letto un manichino
>> con le sembianze di Stalin, tu lo tieni con le sembianze di matteotti .

> Sai praticamente tutto di me. ;-)

O forse: proprio niente.
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