Il 11/02/2024 11:32, Sargon ha scritto:
> Proseguendo in questo gruppo di discussione le
> celebrazioni per il centenario della morte di Giacomo
> Matteotti, ...
Matteotti, l'uomo e il politico [06]
La parole di Matteotti suonarono gravi e
solenni: continuava "la violenza
inesorabilmente voluta e organizzata, (perché)
continua(va) la complicità del Governo, e
nessuno sorge(va) in questa Camera a
comprendere l'immensa tragedia del popolo e
dell'animo nostro, noi sentiamo che questo è
anche l'ultimo sforzo (…), ogni legame civile
sarebbe irreparabilmente disciolto". La
successiva seduta del 12 dicembre 1921 sulle
mozioni socialiste a seguito del fallito
tentativo del "patto di pacificazione" e sulle
spedizioni punitive risultò tesissima. Lo
stesso avvenne il 20 maggio e il 13 giugno
1922. Ancora il 20 maggio 1922, al Governo
Facta, che si era formato il 15 marzo 1922,
Matteotti tornò a rivolgere un'interrogazione
sull'occupazione militare di Rovigo da parte di
10000 fascisti, facendo presente che gli
imputati di precedenti omicidi politici erano
stati assolti da giudici compiacenti o
impauriti sotto la minaccia delle squadre
fasciste.
Il tentativo dei socialisti riformisti di
condizionare il Governo per una più efficace
politica interna che contenesse il dilagante
fenomeno squadristico si andò chiaramente
delineando dopo le elezioni del 15 maggio 1921
che avevano portato alla Camera 35 deputati
fascisti e 10 nazionalisti, eletti nel listone
del blocco nazionale. In occasione del discorso
programmatico del Governo Bonomi del 18 luglio
1921, immediatamente successivo a gravi episodi
di violenza verificatisi il 10 e 12 luglio
[1921], Matteotti scrisse a Velia: "Noi
cercheremo di non dar troppo contro il
Ministero, per averlo almeno un po' favorevole,
o che almeno diventi meno ingiustamente
complice dei fasci. Ormai anche gli altri pare
che la capiscano. Treviso e Grosseto e Viterbo
hanno fatto traboccare il vaso". Infine, il 25
luglio 1921 "Il ministero ha una grande
votazione. Noi abbiamo votato contro; ma per le
nostre aspettative avremmo volentieri votato a
favore o per lo meno astenuti". Al Congresso
nazionale socialista di Milano dell'ottobre
1921 faceva un intervento possibilista, volto a
superare l""equivoco inerte" del Partito per
contrastare il fascismo con ogni mezzo, ma
inutilmente perché il congresso rinnovò
l'esclusione ogni collaborazione parlamentare.
E tale posizione fu confermata anche
successivamente.
Dopo le dimissioni del 2 febbraio 1922 del
governo Bonomi, giudicato troppo tollerante
verso "le bande armate" Matteotti vide in
Giolitti l'ostacolo più rilevante per giungere
all'attesa svolta parlamentare. La speranza era
riposta nel presidente della Camera De Nicola,
che tuttavia rinunciò all'incarico il 7
febbraio 1922. Il 1 giugno 1922, di fronte ad
una nuova ondata di violenze fasciste, la
maggioranza del Gruppo parlamentare si dichiarò
finalmente disponibile ad "appoggiare un
governo che assicurasse il ripristino delle
libertà pubbliche e della legge"; e a fronte
del confermato intransigentismo del Consiglio
nazionale del Partito esso rivendicò il 14
giugno piena libertà d'azione, nominando il 16
giugno un nuovo direttorio, chiamando a farvi
parte anche Turati, Treves e Matteotti, in
precedenza dimissionari.
L'evidenza della drammaticità della crisi
emersa tutta nella seduta parlamentare del 15
luglio 1922: "Giornata grossa, tumulti –
scrisse alla moglie – Finalmente pare che anche
gli altri si commuovano delle brutture d'ogni
giorno. Fosse questo finalmente il segno della
resurrezione. Tutta la nostra speranza è in
questi pochi giorni". E ancora: "Temo che non
riusciamo a provocare la crisi e allora tutto
il lavoro di questo tempo rimarrà senza
risultato. Pare che tutti abbiano piacere della
sconfitta in pieno del socialismo; eppure non
ne rimangono sconfitti i difetti, ma la civiltà
medesima".