Riporto qui le citazioni che avevo postato in quel thread, nell'intento di
dimostrare che non solo il Catalogo delle navi, ma l'intera opera omerica
è di dubbia validità per l'investigazione della civiltà micenea:
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Tanto per chiarire meglio i rapporti tra il mondo omerico e quello
precedente, improvvisamente volatilizzatosi senza lasciare tracce di un
passaggio graduale di consegne tra le due civiltà, propongo alcuni brani
di Louis Godart ("L'invenzione della scrittura", edito da Einaudi).
«Sia la Grecia micenea, sia lo sfondo sul quale si muovono gli eroi
dell'Iliade e dell'Odissea appartengono a un mondo dove si parlava il
greco. Tra il momento in cui furono redatte le tavolette in lineare B e il
periodo in cui furono composti i due grandi poemi epici, le popolazioni di
Creta, del Peloponneso, della Beozia e delle altre province micenee hanno
continuato a parlare la stessa lingua. Vi è quindi un'incontestabile
continuità razziale e linguistica tra la Grecia del II e del I millennio
a.C., per non parlare, ovviamente, della Grecia delle epoche più tarde.
Fatta questa premessa, cosa possiamo dire della civiltà illustrata dalle
tavolette e di quella che conobbe il poeta?
Oggi si pensa che fu intorno al 700 a.C. che Omero compose L'Iliade e
L'Odissea. Ricordiamo che L'Iliade racconta alcuni episodi legati alla
guerra di Troia mentre l'Odissea narra il ritorno in patria di uno degli
eroi che presero parte all'assedio della città di Priamo, Ulisse. Erano
quindi trascorsi circa cinquecento anni quando i fatti esposti da Omero
furono ordinati nei due grandi capolavori che conosciamo. [...]
Ora, anche se gli scribi micenei avessero scritto su un materiale più
nobile ma più deperibile dell'argilla, è probabilmente attraverso la
tradizione orale, trasmessa di generazione in generazione dagli aedi, che
abbiamo potuto serbare il ricordo di avvenimenti storici precisi come la
guerra di Troia. Tuttavia, con il passare degli anni e il moltiplicarsi
dei narratori, è inevitabile che i fatti raccontati si siano modificati e
ampliati e che gli awenimenti storici siano stati adattati agli usi e
costumi dei nuovi uditori. [...]
E' provato che alcuni oggetti di cui parla il poeta non erano più in uso
alla fine dell'VIII secolo ma risalgono al XIII secolo a.C. E' il caso del
grande scudo a forma di torre o dell'elmo fatto con i denti di cinghiale,
armi difensive che l'estensore dell'Iliade e dell'Odissea poteva conoscere
soltanto attraverso le tradizioni orali che risalivano all'età micenea.
Per il resto, il mondo descritto e dipinto da Omero è molto lontano dalla
Grecia del II millennio a.C. Gli eroi morti sul campo di battaglia o
altrove sono bruciati sui roghi, mentre i principi micenei erano sepolti
in grandi sepolcri familiari, le famose tombe a tholos di cui la
letteratura omerica non parla mai. I funzionari degli stati micenei come
il korete, il porokorete, il duma, l'eqeta o il lawagetas e altri ancora
non sono mai menzionati nell'epopea omerica; appartengono certamente a un
mondo di cui si è persa memoria.
Troviamo invece i termini anax e basileus sia nelle tavolette in lineare B
che nei poemi omerici, ma il campo semantico coperto da questi vocaboli è
certamente diverso nei due casi.»
[Qui Godart si dilunga in spiegazioni filologiche, dalle quali emerge che
il termine basileus, che Omero assegna ai grandi sovrani micenei
(Agamennone, Menelao, ecc.) era l'appellativo corrente dei Re in età
dorica, ma in quella micenea era in realtà un nome di "funzione
artigianale", tipo capomastro.
Sostiene quindi la tesi che l'invasione dorica non sia stata un'invasione
barbarica, ma una specie di rivoluzione sociale che portò al potere una
classe di "borghesi" abili nella lavorazione del ferro, il nuovo materiale
strategico della fine del II millennio. Ma, priva di un'amministrazione
efficiente come quella palaziale, la civiltà andò in declino e ci vollero
secoli per ripristinare un sistema sociale stabile.
Poi Godart esamina un passo dell'Odissea, nel quale il poeta afferma che a
Creta convivevano cinque etnie di lingua diversa ("C'è un'isola, Creta, in
mezzo al livido mare, bella e ricca, cinta dall'onde, e là uomini
innumerevoli, senza fine, e novanta città: miste le lingue, ci sono gli
Achei, gli Eteocretesi magnanimi, e i Cìdoni, i Dori divisi in tre stirpi
e i gloriosi Pelasgi") e ciò viene smentito dalle tavolette in Lineare-B,
abbondanti nel XIII secolo, dato che sono tutte scritte in greco
indipendentemente dalle città in cui furono trovate.]
«Nel periodo minoico come nel periodo miceneo, la lingua degli abitanti
dell'antica Cidonia era simile a quella del resto degli abitanti
dell'isola di Creta, e la descrizione omerica delle lingue utilizzate a
Creta non può in nessun caso corrispondere a una realtà linguistica
riferita al II millennio a.C.
Si possono notare le stesse incongruenze a proposito delle descrizioni
geografiche. Abbiamo visto che Schliemann credeva ciecamente nella
geografia omerica, tuttavia le cose non sono così semplici. Se
consideriamo la descrizione di Itaca, dobbiamo riconoscere che l'Itaca di
Ulisse non ha nulla a che vedere con l'Itaca moderna, al punto che molti
hanno rifiutato di credere che si trattasse della stessa isola.
La descrizione di Micene pone gli stessi problemi. Omero ci descrive
Micene come la capitale della Grecia d'allora, ma si ha l'impressione che
ignori completamente il luogo in cui sorgevano città e palazzo, infatti
attribuisce al regno di Agamennone i territori situati sulla riva
meridionale del golfo di Corinto, come se Micene fosse stata molto più a
ovest.
Altre anomalie si riscontrano nella descrizione del regno di Nestore.
Nell'Iliade, il poeta ci parla di nove città sottomesse a Nestore: Pilo,
Arenè, Tiro, Aipu, Ciparissia, Amfigeneia, Pteleo, Elo e Dorion.
Le tavolette in lineare B rinvenute a Epano Englianos, invece, ci dicono
che il regno di Messenia era suddiviso in due province comprendenti
rispettivamente nove e sette città di cui l'Iliade non parla. Le località
di cui parla Omero potrebbero corrispondere alle nove città della
cosiddetta provincia citeriore del regno di Messenia. Ma anche qui i dati
non concordano affatto. Innanzitutto, nelle tavolette Pilo non fa parte
delle nove città della provincia citeriore e, inoltre, i nomi delle nove
città, così come sono puntualmente descritti nelle tavolette Cn 608, Vn 20
e Jn 829, non corrispondono ai nomi che compaiono nell'Iliade.
Le testimonianze geografiche che risultano dal passo conosciuto come
"catalogo delle navi" non ci aiutano a comprendere la geografia politica
del mondo miceneo.»
Se dobbiamo credere al "catalogo", vediamo che Nestore dispone di 9 città
e di 90 navi: dieci per ognuna! Ma nella realtà delle tavolette, lo
"Stato" nestoriano non esisteva nemmeno... E nemmeno i Mirmidoni della
Tessaglia sembrano essere mai esistiti nelle testimonianze palaziali,
eppure Omero assegna loro 50 navi, quante ne aveva Atene. Molto difficile,
a parer mio, separare il mito da elementi di realtà eventualmente
tramandati oralmente.
[dal post "Sol dunque i duci, e sol le navi io canto" del 28/11/03]
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Tuttavia qualcosa di interessante emerge ugualmente, e l'archeologo Donato
Loscalzo (per combinazione apparve in una puntata di Stargate a
rispondere, imbarazzatissimo, sulle teorie di Felice Vinci) ha per esempio
organizzato per temi tutto ciò che viene descritto nell'Odissea (in
appendice all'edizione del poema curata dalla Fondazione Valla, tradotta
da G.A. Privitera e pubblicata da Mondadori). Come vedrai, è un ottimo
lavoro, capace di dare qualche risposta alle nostre domande.
NAVIGAZIONE
La pratica della navigazione è considerata propria dei popoli civili.
I Ciclopi non hanno navi con le guance di minio
non vi sono carpentieri tra essi, che lavorino
a navi ben costruite, in grado di fare ogni cosa
toccando luoghi abitati, così come gli uomini
vanno spesso con le navi sul mare gli uni dagli altri.(IX 125-9).
Essa avviene preferibilmente di giorno, perché di notte ci sono venti
contrari, e allo sbarco l'equipaggio dormiva sulla spiaggia
Alle navi approdate togliemmo tutte le vele,
noi stessi sbarcammo sulla riva del mare.
E lì, immersi nel sonno, aspettammo la chiara Aurora. (IX 149-1).
Le navi di Omero hanno una struttura slanciata che consente loro una certa
velocità, sono dette "concave"
... prima che si imbarcasse per Troia, dove anche altri,
gli Argivi migliori, andarono sulle navi incavate. (I 210-1)
Ma quando anch'egli, andando sul mare scuro come vino
nelle navi ben cave, giunse correndo al ripido monte... (III
286-7)
in quanto prive di un ponte - anche se un ponte di vedetta doveva esserci
a prua da dove il capitano guardava l'orizzonte, e un altro a poppa -;
dovevano essere inoltre particolarmente leggere, se Odisseo quando fuggì
dai Ciclopi rimise la sua barca in mare con una spinta; di profilo la prua
e la poppa dovevano essere particolarmente rialzate e questo spiega il
fatto che la nave viene detta "ricurva"
... ma egli con le navi ricurve andò con gli Atridi
a Ilio. Il mio illustre nome è Etone...(XIX 182-3)
la prora era o azzurra o rossa, spesso i due colori erano abbinati a
scacchi. All'epoca di Omero sono attestati due tipi di imbarcazioni, da
venti e da cinquanta remi: le prime, lunghe all'incirca 12 metri -
considerato che ogni vogatore aveva bisogno di uno spazio di novanta
centimetri -, erano per lo più destinate al trasporto, le altre (dette più
tardi pentecontere) sembrano attestate dallo stesso Omero quando dice che
Odisseo giunse nell'isola di Circe in nave con 46 compagni, e a proposito
della nave dei Feaci che dovrebbe accompagnare Odisseo a Itaca. Provviste
ed utensili venivano posti sotto i banchi dei rematori perché non fossero
d'impiccio
Collocò questi doni con cura il sacro vigore di Alcinoo
sotto i banchi, per la nave muovendosi, che non impicciassero
qualcuno dei vogatori quando con forza remavano. (XIII 20-2)
e quando era possibile si viaggiava a vela invece che a remi (i membri
dell'equipaggio servivano il capitano anche in guerra come soldati).
Allo sbarco, l'albero veniva tolto e le navi erano tratte in secco sulla
riva
i compagni di Telemaco scioglievano le vele, tolsero l'albero
con rapidità, e coi remi spinsero la nave all'ormeggio.(XV 496-7)
... spingemmo sulla sabbia la nave, appena arrivati,
e noi stessi sbarcammo sulla riva del mare. (XII 5)
forse per la mancanza di porti naturali. Porti naturali favorevoli ad un
facile approdo sono invece quello dell'isola dei Ciclopi, dei Feaci, e
quello di Itaca. Le operazioni della partenza sono cosl indicate:
1) si scioglievano a poppa le gomene,
2) si rizzava l'albero dentro la mastra,
3) si issavano le vele con corde di cuoio,
4) i marinai prendevano posto agli scalmi e cominciavano a remare.
L'albero, sostenuto da due stralli, era posto sulla scassa, fissato con un
cuneo. Il Pilota regge la barra della nave. Come ormeggio le navi
disponevano di gomene, cavi di poppa e di ancore di pietra. Una nave
micenea è così rappresentata nell'arte figurativa: c'è una grande vela
quadra, lo scafo è lungo e basso e la prua si eleva direttamente dalla
chiglia. La vela era di lino, non in un solo pezzo ma composta di ferzi
cuciti insieme da strisce di pelle o da fibre ritorte di papiro. Quando
non c'era vento, l'equipaggio doveva usare i remi; il remo era fissato
allo scalmo con una cinghia di cuoio, in questo modo si impediva che
cadesse fuori bordo quando il rematore mollava la presa. Di solito i
capitani seguivano la costa, viaggiando da un approdo a un altro. I viaggi
erano limitati al periodo dell'anno in cui la stagione era più favorevole,
cioè da primavera (inizi di aprile) fino a ottobre, quando giungeva
l'autunno.
(Cfr . L. Casson, Ships and Seamanship in the Ancient World, Princeton
1986)
ARMI
L'Odissea, come del resto I'Iliade, conosce la panoplia oplitica, che
consisteva in un'armatura di bronzo che proteggeva gran parte del corpo
del guerriero. Un'eco di questo è nell'epiteto "di bronzo vestito" che è
comunemente riferito agli Achei: Ettore in Iliade, canto XIII, è descritto
«tutto coperto di bronzo».
L'elmo di bronzo di Odisseo aderente alle tempie e legato alle guance è
una sopravvivenza micenea, mentre il balteo d'oro di Eracle che ha incise
figure di animali ricorda l'arte orientalizzante, contemporanea al poeta
(cfr Kl. Fittschen, Der Schild des Achilleus, «Archaeol. Hom.» N.
Göttingen 1973).
La spada di bronzo con l'elsa d'argento che Eurialo regala ad Odisseo
in una guaina d'avorio risulta essere un oggetto privo di paralleli
archeologici.
Gli darò questa spada, di bronzo massiccio, su cui è un'elsa
d'argento: una guaina d'avorio intagliata di fresco
l'avvolge. Sarà per lui di gran pregio. (VIII 403-5)
Nell'Età del bronzo l'elsa e la spada sono di un unico pezzo
e solo l'elsa era decorata, soltanto nell'Età del Ferro elsa e spada sono
di materiali distinti.
L'asta aveva di bronzo soltanto la punta. Lo scudo era fatto di strati di
pelle: nell'Iliade (libro XV) si parla di quattro; "omphaloide" che viene
usato come epiteto dello scudo, può indicare sia il fatto che aveva un
omphalós centrale, sia che era pieno di omphaloi, comunque ricorda la
struttura degli scudi che hanno al centro una protuberanza o un disco,
databili alla fine dell'età del Bronzo.
Un uso insolito, attestato in Odissea, libro I, è quello delle frecce
avvelenate:
Andò anche lì Odisseo con la nave veloce,
in cerca del veleno omicida, per averne
da ungere le frecce di bronzo, ma quello non glielo
diede, perché temeva gli dei che vivono eterni (I, 259-62)
in tutto l'epos questo non trova attestazione, si è supposto solo che
l'episodio riferito dall'Iliade (libro IV) di Macaone che succhia il
sangue da una ferita di Menelao possa essere una conferma dell'uso di tali
armi, che comunque sono escluse anche dalla caccia.
Il veleno per le armi si ricavava forse da una pianta proveniente da
Efira: l'elleboro nero. L'arma usuale di Odisseo non è l'arco, ma la
lancia e la spada. Odisseo stesso, tuttavia, si vanta presso i Feaci di
essere un ottimo arciere, addirittura secondo dopo Filottete, e ne dà una
prova concreta nella gara che si svolge nella sua casa contro i proci.
METALLURGIA
Armi e arnesi sono prevalentemente di bronzo, poco diffuso è il ferro, di
cui si fa esplicita menzione a proposito del tesoro di Odisseo e delle
ricchezze da lui ammassate presso Fidone; per il resto esso compare
prevalentemente nelle espressioni proverbiali (vedi sotto), che riflettono
non il momento storico in cui sono ambientati i fatti narrati - l'Età del
Bronzo -, ma il mondo contemporaneo del poeta.
Il bronzo sembrerebbe quindi il metallo con cui si forgiavano gli
strumenti militari e quelli di uso quotidiano, mentre il ferro fa la sua
comparsa prevalentemente nelle espressioni metaforiche e nelle
similitudini: l'espressione proverbiale «il ferro da solo attira un uomo»
non è da intendere quindi come interpolazione, ma come testimonianza della
civiltà contemporanea al poeta dell'Odissea, d'altro canto la formula «il
cielo di ferro», inteso dalla Lorimer (Homer and the Monuments, Londra
1950) come derivante da una conoscenza del ferro meteorite, in realtà
sembrerebbe denotare la solidità e l'eternità della volta celeste.
Il ferro costituiva inoltre un articolo di importazione: Atena,
nell'aspetto di Mente re dei Tafi, dice di recarsi a Temesa per avere
ferro e dare in cambio bronzo: i Tafi erano forse una popolazione
scomparsa in seguito alle migrazioni della fine dell'età del bronzo,
mentre Temesa era identificata dagli antichi con Tamassos di Cipro (cfr.
Strabone VI 1, 5)
ECONOMIA
La vita economica risulta essere prevalentemente agricola e
autosufficiente, poco incline alle attività commerciali; in un caso
addrittura la figura del mercante è considerata con disprezzo
aristocratico
Certo, o straniero, perché non somigli ad un un uomo esperto
di gare, come ne esistono tante tra gli uomini,
ma ad uno che trafficando con la nave fitta di scalmi,
a capo di marinai che fanno i mercanti,
si dia pensiero del carico e stia a badare alle merci
e ai rapaci guadagni: non sembri un'atleta. (VIII 159-64)
La parola che in epoca classica designerà il mercante (emporos) indica in
Omero il viaggiatore. Non è documentato l'uso della moneta (il talento
d'oro dl XXIV 174: "Sette talenti d'oro ben lavorato gli diedi", è da
intendere come misura di peso di oro artisticamente lavorsto) e il
commercio, che si basa sul baratto, non prevede il profitto, ma è soltanto
un necessario scambio di beni.
Il valore dell'oggetto da acquistare viene proposto da chi compra
In casa di mio padre arrivò un uomo astuto,
che aveva una collana d'oro: era adorna di ambra.
Nel salone le ancelle e la madre augusta
la tenevano in mano e con gli occhi la contemplavano,
proponendo un prezzo: e lui le annuì in silenzio. (XV 461-3)
e il mezzo di scambio più attestato sono i buoi (Laerte acquistò la sua
serva per 20 buoi).
L'Odissea sembra prospettare questa idea dii progresso:
1) i popoli primitivi e incivili (Ciclopi, e Lestrigoni) conoscono solo
la pastorizia e un tipo di economia distruttiva;
2) segno di civiltà è l'agricoltura, che è alla base dell'economia di
Itaca, Pilo, Sparta ed all'isola di Siria in cui si coltiva la vite e il
grano;
3) simbolo di una società evoluta, quasi utopica, come quella dei Feaci, è
la pratica di una navigazione avanzata e perfezionata: i Feaci dispongono
addirittura di navi che viaggiano al buio, perché sono guidate dal
pensiero.
L'Odissea, comunque, distingue nettamente la navigazione dal commercio
marittimo: i Feaci, infatti, non praticano il commercio, anzi rifiutano i
contatti economici con gli altri popoli, mentre i Fenici sono
stigmatizzati per la pratica del commercio e della pirateria.
PIRATERIA
Attività diffusa e socialmente riconosciuta, spesso complementare a quella
commerciale (riprovevole, comunque, secondo Eumeo):
Anche ai cattivi e ai ribelli, che sbarcano
nella terra di altri, e Zeus gli concede la preda,
anche ad essi, che riempite le navi tornano a casa,
viene in petto un forte timore dell'occhio divino.(XIV 85-8).
I più esperti di questa attività erano i Fenici.
Arrivarono lì dei Fenici, navigatori famosi,
avidi, che portavano innumerevoli ninnoli con la nera nave...
(XV 415-17).
Allo straniero si chiedeva abitualmente se fosse venuto in veste di
commerciante o di predone (Nestore a Telemaco, e Polifemo ad Odisseo):
questo per Tucidide è segno di quell'approvazione che tale attività ebbe
presso gli antichi. Il bottino era costituito da merci e da donne e
bambini che in seguito venivano venduti come schiavi.
Mi vanto di esser nata a Sidone piena di bronzo,
e sono figlia, io, di Aribante ricco a fiumi;
ma mi rapirono alcuni predoni di Tafo
mentre tornavo dai campi, e portatami qui mi vendettero
in casa di codest'uomo ed egli pagò il giusto prezzo.(XV 425-9).
Al momento della spartizione del bottino, prima il capo della spedizione
prendeva a scelta quello che voleva, il rimanente veniva suddiviso tra gli
altri, capo compreso.
Prima che arrivassimo a Troia noi figli di Achei,
guidai nove volte gli armati e le navi veloci
contro uomini d'altri paesi, e mi ebbi molto bottino.
Ne sceglievo come volevo e ne ebbi in sorte poi
molto: subito la mia casa fu prospera, e divenni
così tra i Cretesi temuto e onorato. (XIV 230-5).
Capito che bell'ambientino? (nota mia ;-))
[dal post "Sol dunque i duci, e sol le navi io canto" del 30/11/03]
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Spero che qualche volonteroso abbia voglia, tempo e competenza per
aggiungere qualcosa a questa analisi in parallelo del mondo dei poemi
omerici e della civiltà che vorrebbe descrivere (è una "chiamata" per
Righel e per Lucia, ma spero che intervengano utenti vecchi e nuovi...)
saluti
--
Piero F.
------------------------------
(email: togliere xyz dall'indirizzo)
Averne il tempo ...
Citerò un paio di curiosità, su una rivista scentifica avevo letto che
l'affermazione che il mare avesse il colore del vino, sarebbe indicativa del
fatto che gli antichi non avevano ancora sviluppato una visione cromatica
identica alla nostra e non avessero la percezione dell'azzurro, fatto che
sarebbe comprovato anche dai dipinti nelle grotte (anche se si aggiunge
prudentemente che Omero secondo la tradizione era cieco ...)
Inoltre strambo è l'uso omerico dei carri da guerra, che in pratica venivano
impiegati solo come mezzi di trasporto. Evidentemente il poeta ne aveva
sentito parlare ma non immaginava neppure il loro sistema d'impiego in
battaglia.
A questo proposito, dovrei ancora avere un vecchio testo scolastico, che
descrivendo l'impiego dei carri da guerra, affermava che il carrista
arrivava velocemente a sorpresa, scendeva, attaccava velocemente alcuni
nemici e poi ripartiva prima che questi si fossero ripresi dallo
sbigottimento.
(E poi dicono di non usare la logica;-)
Quanto alla geografia, è evidente che Omero non sapeva esattamente dove
fossero le antiche città greche, ma conosceva con precisione il punto in cui
era sorta Troia.
Ciao
Ad'I
> Spero che qualche volonteroso abbia voglia, tempo e competenza per
> aggiungere qualcosa a questa analisi in parallelo del mondo dei poemi
> omerici e della civiltà che vorrebbe descrivere (è una "chiamata" per
> Righel e per Lucia, ma spero che intervengano utenti vecchi e
> nuovi...)
Come si fa a non rispondere ad una così cortese, benché perentoria,
"chiamata"? :)
Tuttavia non è il mio campo specifico d'interessi, come non lo è di Lucia:
ambedue c'interessiamo soprattutto di preistoria.
Ovviamente è impossibile, o almeno sconsigliabile, affrontare l'intero post
in una sola volta. Si rischierebbe un confronto tra messaggi talmente lunghi
ed articolati da scoraggiare la lettura da parte degli altri e ridurre il
tutto ad un dialogo a due, il che sarebbe, a mio parere, contrario alla
logica del news group.
Mi soffermerò solo, per ora, su questa affermazione:
....
> ECONOMIA
(cut)
> L'Odissea, comunque, distingue nettamente la navigazione dal commercio
> marittimo: i Feaci, infatti, non praticano il commercio, anzi
> rifiutano i contatti economici con gli altri popoli, mentre i Fenici
> sono stigmatizzati per la pratica del commercio e della pirateria.
Mi sembra una visione eccessivamente pessimistica, nei confronti del
commercio, da parte di Omero.
Se l'autore (che continuo per consuetudine a chiamare col nome del poeta
cieco) voleva veramente cercare di ricreare le condizioni ambientali del
mondo miceneo allora non poteva ignorare alcune importanti tappe della
storia marittima di quei popoli.
E' certamente vero che la grande espansione greca in occidente comincia
dall'VIII secolo (fondazione di Cuma, 730 a.C. più o meno 10 anni), quindi
in epoca pressappoco coeva a quella della stesura dell'Iliade. Tuttavia io
abito a Napoli e di fronte alla mia città si trova un'isoletta, Vivara, ora
collegata da un ponte alla vicina isola di Procida, in cui sono state
rinvenute ingenti tracce di frequentazione Elladica che risalgono alla
seconda metà del XVI sec. a.C. (Tardo Elladico I). E' stata la ricerca di
materie prime per la lavorazione del bronzo a costituire il principale
motivo d'interesse delle genti egee per l'area tirrenica, tanto da
testimoniare come Vivara fosse, in quei lontani tempi, un importante punto
d'incontro e scambio tra i locali e le genti del Mediterraneo orientale.
Infatti vi si lavoravano i metalli su quest'isola che si trova lungo una
rotta ben nota in età micenea, che dall'Eubea risaliva fino all'Elba e alla
Toscana, per trovarvi il ferro.
O vogliamo pensare che lo facessero per 'turismo'?
Direi piuttosto che l'impressione di apparente disprezzo nei confronti dei
mercanti sia stata provocata da un confronto forse non del tutto felice fra
Feaci e Fenici.
I primi appartengono a un popolo favoloso, per certi versi una specie di
Atlantide ante litteram, in cui s'adombra ancora una vaga reminiscenza di
"gilania". Gente che forse non aveva nemmeno bisogno di lavorare troppo per
vivere e che, certamente, poteva fare a meno del commercio.
I secondi sono stati per secoli avversari non dichiarati, dei Micenei prima
e dei Greci poi, nella concorrenza commerciale sulle acque mediterranee.
Probabilmente non erano simpatici ad Omero e spesso la loro presenza nella
mitologia greca non è del tutto positiva.
> Arrivarono lì dei Fenici, navigatori famosi,
> avidi, che portavano innumerevoli ninnoli con la nera nave...
> (XV 415-17).
Appunto. Ma è anche una sottile questione d'interpretazione: io, ad esempio,
avrei tradotto "furfanti" quel _trôktai_, invece che "avidi". E la
prosecuzione del brano nei versi successivi me ne darebbe pienamente
conferma.
Nel contesto di una simile tesi la differenza non è da poco.
Saluti,
--
Righel
___________________
free.it.scienza.archeologia
[Na.A, 35] [ILDD,XX]
> Citerò un paio di curiosità, su una rivista scentifica avevo letto che
> l'affermazione che il mare avesse il colore del vino, sarebbe
> indicativa del fatto che gli antichi non avevano ancora sviluppato
> una visione cromatica identica alla nostra e non avessero la
> percezione dell'azzurro, fatto che sarebbe comprovato anche dai
> dipinti nelle grotte (anche se si aggiunge prudentemente che Omero
> secondo la tradizione era cieco ...)
Chi sarebbero "gli antichi"?
Ci sono tombe egiziane di gran lunga anteriori all'epoca micenea il cui
soffitto è dipinto d'azzurro con tante belle stelline :)
(cut)
> A questo proposito, dovrei ancora avere un vecchio testo scolastico,
> che descrivendo l'impiego dei carri da guerra, affermava che il
> carrista arrivava velocemente a sorpresa, scendeva, attaccava
> velocemente alcuni nemici e poi ripartiva prima che questi si fossero
> ripresi dallo sbigottimento.
Mi sa che il tuo "vecchio testo scolastico" avesse ragione.
Il carro da guerra miceneo era troppo instabile per lanciare un'asta (quella
di Achille era piuttosto pesantuccia) o per combattere con la spada.
Gli Egiziani invece lo usavano per tirare con l'arco. Soprattutto durante la
caccia.
I "carristi" erano due: l'auriga che doveva occuparsi solo della guida del
carro ed il guerriero vero e proprio che al momento opportuno scendeva,
faceva il suo dovere e, se gli era andata bene, risaliva per allontanarsi
velocemente.
Il trucco è utilizzato ancor oggi dagli scippatori sui motorini.
> (E poi dicono di non usare la logica;-)
Appunto :)
Ma sei proprio sicuro che si trattasse di una
> ... rivista scentifica ... ?
Ciao,
--
Righel
___________________
free.it.scienza.archeologia
La teoria era appunto che la percezione cromatica verso l'azzurro, si sia
sviluppata in tempi relativamente recenti, assente trentamila anni fa, non
ancora del tutto generalizzata tremila anni fa.
>
>
> Mi sa che il tuo "vecchio testo scolastico" avesse ragione.
> Il carro da guerra miceneo era troppo instabile per lanciare un'asta
(quella
> di Achille era piuttosto pesantuccia) o per combattere con la spada.
> Gli Egiziani invece lo usavano per tirare con l'arco. Soprattutto durante
la
> caccia.
> I "carristi" erano due: l'auriga che doveva occuparsi solo della guida del
> carro ed il guerriero vero e proprio che al momento opportuno scendeva,
> faceva il suo dovere e, se gli era andata bene, risaliva per allontanarsi
> velocemente.
> Il trucco è utilizzato ancor oggi dagli scippatori sui motorini.
A me onestamente pare più complicato tirare con l'arco da un carro, che
richiede due mani, che non lanciare una lancia.
quanto agli scippatori, dalle mie parti si sono evoluti, non scendono
affatto dal motorino ma strappano la borsetta rimanendo in sella. Ma
ovviamente, se invece di avere a che fare con anziane signore, avessero
dovuto affrontare schiere di armati, sarebbero scesi.
>
> > (E poi dicono di non usare la logica;-)
>
> Appunto :)
>
> Ma sei proprio sicuro che si trattasse di una
> > ... rivista scentifica ... ?
Effettivamente mi devo essere sbagliato.
C'era scritto science: credo si traduca scienza. Perciò dovrebbe essere una
rivista scientifica e non scentifica;-)
Ciao
Ad'I
> La teoria era appunto che la percezione cromatica verso l'azzurro, si
> sia sviluppata in tempi relativamente recenti, assente trentamila
> anni fa, non ancora del tutto generalizzata tremila anni fa.
Non mi convince!
Mi vengono in mente decine di reperti archeologici dell'area ionica colorati
in azzurro. E tutti precedenti o contemporanei all'epoca micenea.
Comunque potresti chiedere lumi su <free.it.scienza.antropologia>, se
quest'ipotesi non è completamente campata in aria lì troveresti certamente
qualcuno in grado di appofondire la questione.
....
> A me onestamente pare più complicato tirare con l'arco da un carro,
> che richiede due mani, che non lanciare una lancia.
Eppure le pitture egiziane lo confermano.
Comunque, probabilmente, il carro si fermava al momento del tiro.
> quanto agli scippatori, dalle mie parti si sono evoluti, non scendono
> affatto dal motorino ma strappano la borsetta rimanendo in sella. Ma
> ovviamente, se invece di avere a che fare con anziane signore,
> avessero dovuto affrontare schiere di armati, sarebbero scesi.
Mah!... secondo me se la sarebbero squagliata in fretta :)
>> Ma sei proprio sicuro che si trattasse di una
>>> ... rivista scentifica ... ?
>
> Effettivamente mi devo essere sbagliato.
> C'era scritto science: credo si traduca scienza. Perciò dovrebbe
> essere una rivista scientifica e non scentifica;-)
No, non alludevo all'evidente errore di battuta.
Sono stato indelicato a ri-quotare la tua espressione e me ne scuso.
Il fatto è che oggi ci sono numerosissime riviste che cercano di passare per
"scientifiche" ma poi cedono talmente tanto al sensazionalismo che vi vedi
apparire teorie a dir poco *originali* :-D
Fra quelle italiane riconosco un minimo di credibilità solo a _Le Scienze_
.... e anche lì "cum grano salis".
Righel ha scritto:
> Non mi convince!
> omissis
>
> Eppure le pitture egiziane lo confermano.
> Comunque, probabilmente, il carro si fermava al momento del tiro.
>
Non mi convince !
Se i carri avessero adottato questo tipo di tiro avrebbero perso la loro
migliore carta contro la fanteria: la mobilità.
E se non erro le raffigurazioni egiziane illustrano tiri col carro in movimento.
Ciao
Gianfranco
> Fra quelle italiane riconosco un minimo di credibilità solo a _Le Scienze_
> .... e anche lì "cum grano salis".
Giusto, da qualche anno non è più la stessa.
Ciao
Gianfranco
Righel ha scritto:
> Ci scrive "Arduino D'Ivrea":
>
> omissis
> > A questo proposito, dovrei ancora avere un vecchio testo scolastico,
> > che descrivendo l'impiego dei carri da guerra, affermava che il
> > carrista arrivava velocemente a sorpresa, scendeva, attaccava
> > velocemente alcuni nemici e poi ripartiva prima che questi si fossero
> > ripresi dallo sbigottimento.
>
> Mi sa che il tuo "vecchio testo scolastico" avesse ragione.
Solo per quanto riguarda i carri Micenei, e non darei per sicura o scontata
questa interpretazione.
>
> Il carro da guerra miceneo era troppo instabile per lanciare un'asta (quella
> di Achille era piuttosto pesantuccia) o per combattere con la spada.
> Gli Egiziani invece lo usavano per tirare con l'arco. Soprattutto durante la
> caccia.
> I "carristi" erano due: l'auriga che doveva occuparsi solo della guida del
> carro ed il guerriero vero e proprio che al momento opportuno scendeva,
> faceva il suo dovere e, se gli era andata bene, risaliva per allontanarsi
> velocemente.
Gli Egizi sicuramente usavano come principale arma da carro l'arco, invece per i
Micenei non si hanno quasi tracce di tale uso.
Si è perciò ipotizzato l'uso del carro come "tassi da battaglia", come lo
descrive Omero.
Vi sono però alcuni dubbi:
Il costo di costruzione e mantenimento di carri, cavalli ecc. era un pò troppo
alto per poi servire solo come veicolo da trasporto.
Un guerriero armato con la panoplia di Dendra avrebbe avuto difficoltà ad
adottare tali tattiche, che implicano una certa velocità
Nell'ambito temporale e geografico (area mediterranea e vicino oriente) non si
trovano altre tracce di simili tattiche.
All'epoca in cui "Omero" scrisse, l'uso dei carri da guerra in Grecia era oramai
scomparso, quindi potrebbe darsi che tentasse di razionalizzare in qualche modo
l'uso di un'arma per lui inusuale.
Una spiegazione alternativa a quella del tassi da battaglia potrebbe essere
l'impiego della lancia diretamente dal carro, similmente agli Hittiti.
Per quello che ne so quindi tra gli storici militari l'ipotesi del tassi è stata
quindi messa sotto accusa.
Ciao
Gianfranco
>
> Il trucco è utilizzato ancor oggi dagli scippatori sui motorini.
Si vede che sei di Napoli :-)
Ciao
Gianfranco
I Duci?
Ma allora Omero era fascista! :-)
> In particolare, essendo rivolta a cultori di storia militare, la
> discussione avrebbe dovuto riguardare le caratteristiche delle navi come
> descritte da Omero, il loro numero e quello dei soldati trasportati.
> Siccome il thread non ha riscosso là un grande interesse, provo a
> riproporre il tema in altra forma: quanto poteva sapere Omero (o chi per
> lui) del mondo miceneo scomparso cinque secoli prima?
Presumo che la visione dei secoli precedenti fosse, ai tempi di Omero,
quella data da una lente deformante.
La scrittura era un metodo conosciuto ma abbastanza limitato per trasmettere
le informazioni, la tradizione orale probabilmente tendeva a romanzare
leggermente i fatti.
Nel momento in cui Omero fissa l'Iliade in forma scritta ormai la storia
originale era stata sommersa dalle variazioni e dalle invenzioni di chissà
quante generazioni di cantastorie.
Fenomeno che si è ripetuto più volte anche nei secoli successivi, basti
pensare alla base storica di un "Orlando furioso", abbellita sino a
diventare qualcosa di molto diverso dai fatti originali.
Del resto i greci, come altri popoli dell'antichità, non avevano una
percezione chiara del perché avvenivano le cose (non che per noi sia di
tanto più chiara), per loro l'intromissione degli Dei serviva a spiegare
tante cose, e il rapimento di Elena poteva essere un buon motivo per dieci
anni di guerra.
Le opere di Omero dal punto di vista letterario sono splendide, veri
archetipi della letteratura, dal punto di vista storico vanno prese con
molle abbastanza lunghe, prima di arrivare al nocciolo della verità c'è
molta polpa da togliere, per quanto si tratti di polpa parecchio gustosa.
Anacho
--------------------------------
Inviato via http://arianna.libero.it/usenet/
Per la questione dell'azzurro vedro se trovo conferme, anche se credo che la
rivista più che altro avesse voluto aggiungere una nota di colore, e che il
vero testo scientifico si riferisse alle antichissime pitture in grotta.
Non credo che i carri si fermassero, dato che la loro forza era appunto la
mobilità ed anche la forza durto, laddove il nemico non presentava uno
schieramento saldo e compatto.
Probabilmente avevano qualche sistema di appoggio che permetteva loro di
tirare in corsa.
Ciao
Ad'I
>> Fra quelle italiane riconosco un minimo di credibilità
>> solo a _Le Scienze_ .... e anche lì "cum grano salis".
>
> Giusto, da qualche anno non è più la stessa.
Concordo, mi pare che vuole scimmiottare la Rete, la
multimedialità, troppe immagini ... forse per attirare i
giovani va bene così, ma noi "vecchi" siamo abituati in un
altro modo, no?
--
oggi no, domani sì
> Gli Egizi sicuramente usavano come principale arma da
> carro l'arco, invece per i Micenei non si hanno quasi
> tracce di tale uso. Si è perciò ipotizzato l'uso del carro
> come "tassi da battaglia", come lo descrive Omero.
>
> Vi sono però alcuni dubbi:
> Il costo di costruzione e mantenimento di carri, cavalli
> ecc. era un pò troppo alto per poi servire solo come
> veicolo da trasporto.
Beh, anche le Piramidi avevano un costo di costruzione
abbastanza elevato ...
Forse gli Egizi avevano un costante problema di surplus
produttivo.
..
>
>> Comunque, probabilmente, il carro si fermava al momento del tiro.
>>
>
> Non mi convince !
> Se i carri avessero adottato questo tipo di tiro avrebbero perso la
> loro migliore carta contro la fanteria: la mobilità.
Certo! Ma avevo alluso alla caccia, non alla battaglia.
> E se non erro le raffigurazioni egiziane illustrano tiri col carro in
> movimento.
Non erri.
Le pitture egiziane raffigurano però anche il re vittorioso alto tre volte
di più dei nemici sconfitti. :) Un po' di fantasia magniloquente bisogna pur
concedergliela :)
>
>> Fra quelle italiane riconosco un minimo di credibilità solo a _Le
>> Scienze_ .... e anche lì "cum grano salis".
>
> Giusto, da qualche anno non è più la stessa.
L'hai notato anche tu?
>>
>> Il trucco č utilizzato ancor oggi dagli scippatori sui motorini.
>
> Si vede che sei di Napoli :-)
Perché, dalle tue parti "lavorano" in Mercedes? :)
--
Righel
___________________
free.it.scienza.archeologia
> Per la questione dell'azzurro vedro se trovo conferme, anche se credo
> che la rivista più che altro avesse voluto aggiungere una nota di
> colore, e che il vero testo scientifico si riferisse alle
> antichissime pitture in grotta.
Una nota "di colore" eh? :)
Va bene, allora spostiamo il problema al colore delle pitture parietali del
Paleolitico superiore.
Queste erano eseguite con materie coloranti di facile reperibilità:
- Ocra (rossa e gialla)
- Guano di pipistrello (nero e marrone)
In teoria avrebbero potuto usare anche:
- Sangue (rosso, poi nero)
- Polvere di croco o zafferano (giallo)
Ce ne saranno state altre che mi vengono in mente: in ogni caso non ne
ricordo nessuna azzurra o blu, il che però non vuol dire affatto che non
conoscessero questo colore ma solo che non erano in grado di riprodurlo
oppure che la materia utilizzata abbia poi subito delle alterazioni, col
tempo, virando magari verso il verde scuro o il grigio.
Una risposta più sicura potrebbe darcela Lucia, se ci legge.
Gli Egiziani invece utilizzavano la polvere di turchese delle miniere del
Sinai, sotto l'alto patronato della dea Hator. Ma ormai erano da un pezzo
fuori dalle caverne.
> .... Probabilmente avevano qualche sistema di appoggio che
> permetteva loro di tirare in corsa.
Questo è possibile.
Ma ricordiamoci che i migliori arcieri del passato erano considerati i
cavalieri Sciti, che erano abilissimi nel tiro al galoppo.
Almeno così ci raccontano i classici.
Ora non so se tu hai mai avuto occasione di fare un po' d'equitazione, ma ti
assicuro che al galoppo (o anche solo al trotto) è difficile perfino fumare
una sigaretta :)
Righel ha scritto:
> Ci scrive "Gianfranco Cimino":
>
> >>
> >> Il trucco č utilizzato ancor oggi dagli scippatori sui motorini.
> >
> > Si vede che sei di Napoli :-)
>
> Perché, dalle tue parti "lavorano" in Mercedes? :)
>
No, ma qui a Salerno usano il metodo "Egizio": non scendono dal motorino
:-)
>
> --
> Righel
> ___________________
> free.it.scienza.archeologia
Righel ha scritto:
> Ci scrive "Gianfranco Cimino":
>
> >> Fra quelle italiane riconosco un minimo di credibilità solo a _Le
> >> Scienze_ .... e anche lì "cum grano salis".
> >
> > Giusto, da qualche anno non è più la stessa.
>
> L'hai notato anche tu?
Sono stato abbonato a Le Scienze per 12 lunghi anni ...
Poi ho cominciato a comprarla sporadicamente, e mi è parsa sempre più
l'imitazione di "Focus".
Ora mi limito a comprare ogni tanto le monografie, che riportano gli articoli di
qualche tempo fa, quando il livello era ancora buono.
Qui in Italia mica c'è solo il problema della divulgazione storica.
Ciao
Gianfranco
>
>> .... Probabilmente avevano qualche sistema di appoggio
>> che permetteva loro di tirare in corsa.
>
> Questo è possibile.
> Ma ricordiamoci che i migliori arcieri del passato erano
> considerati i cavalieri Sciti, che erano abilissimi nel
> tiro al galoppo. Almeno così ci raccontano i classici.
> Ora non so se tu hai mai avuto occasione di fare un po'
> d'equitazione, ma ti assicuro che al galoppo (o anche solo
> al trotto) è difficile perfino fumare una sigaretta :)
>
> Ciao,
> Righel
La freccia del Parto.
> La freccia del Parto.
Non fa più paura, oggi il Parto è indolore!
> Vi sono però alcuni dubbi:
> Il costo di costruzione e mantenimento di carri, cavalli ecc. era un pò
troppo
> alto per poi servire solo come veicolo da trasporto.
> Un guerriero armato con la panoplia di Dendra avrebbe avuto difficoltà ad
> adottare tali tattiche, che implicano una certa velocità
> Nell'ambito temporale e geografico (area mediterranea e vicino oriente)
non si
> trovano altre tracce di simili tattiche.
> All'epoca in cui "Omero" scrisse, l'uso dei carri da guerra in Grecia era
oramai
> scomparso, quindi potrebbe darsi che tentasse di razionalizzare in qualche
modo
> l'uso di un'arma per lui inusuale.
Una tecnica mordi e fuggi, credo fosse impraticabile, troppo rischiso
risalire sul carro inseguiti dai nemici, sarebbe stato un gioco da ragazzi
colpire o mettere in fuga cavalli o aurighi.
Ma sopratutto coloro che potevano permettersi i carri erano i guerrieri più
ricchi e nobili, assurdo che applicassero una tattica che li avrebbe
costretti abitualmente ad indecorose fughe di fronte a torme di contadini
armati.
Daltra parte Omero non accenna affatto a simili tecniche. Secondo lui il
carro sarebbe servito solo come strumento di parata per portare sul campo
dei duellanti. Ed un fondo di verità credo ci sia, Anche la bibbia attesta
l'uso di duelli preliminari alla battaglia (Golia e Davide)
Inoltre, un carro poteva far comodo a guerrieri pesantemente armati, avrebbe
permesso loro di evitare le lunghe marce di spostamento, in battaglia il
guerriero pesantemente armato si sarebbe fatto portare fino in prossimità
del nemico assieme al resto della fanteria, ed il carro sarebbe rimasto in
prossimità in caso di necessità di fuga.
Si può anche immaginare che se erano sufficentemente numerosi, agissero come
un surrogato della fanteria motorizzata, facendo rapide scorrerie in
territorio nemico spostandosi ad una velocità che rendeva impossibile agli
appiedati intercettarli. O piombando rapidi su un punto delicato dello
schieramento avversario durante la battaglia.
>
> Ciao
> Gianfranco
Ciao
Ad'I
Probabilmente era 'fascista', non Omero, bensì il traduttor dei traduttor
d'Omero.
Grecisti: che parola usava Omero per intendere quello che Monti tradusse con
"duci"?
Michelazzo
Le tue perplessità sono le stesse che ho avuto io leggendo l'articolo.
Speriamo che intervenga qualche esperto.
>
> > .... Probabilmente avevano qualche sistema di appoggio che
> > permetteva loro di tirare in corsa.
>
> Questo è possibile.
> Ma ricordiamoci che i migliori arcieri del passato erano considerati i
> cavalieri Sciti, che erano abilissimi nel tiro al galoppo.
> Almeno così ci raccontano i classici.
> Ora non so se tu hai mai avuto occasione di fare un po' d'equitazione, ma
ti
> assicuro che al galoppo (o anche solo al trotto) è difficile perfino
fumare
> una sigaretta :)
Non fumo, perciò ignoro le difficoltà che ci possono essere nel farlo al
galoppo.
Comunque, se al galoppo era difficilissimo, stare in piedi su un carro in
corsa senza tenersi almeno con una mano è impossibile, il guerriero appena
si fosse mollato sarebbe letteralmente volato giù. Quindi, o come dici tu si
fermavano, ma il che come giustamente osserva Gianfranco, avrebbe annullato
il vantaggio della velocità, oppure dovevano avere qualche imbracatura.
Ciao
Ad'I
Purtroppo ti debbo dare ragione, il problema della divulgazione non riguarda
solo la storia. E riguardo alle riviste scientifiche il decadimento è
generalizzato. Astronomia adesso si rivolge in pratica solo agli astrofili,
Scienza e Vita Nuova, non ho idea a chi si rivolga, gli altri idem. Ormai la
gente crede che il non plus ultra della scienza sia focus:-(
Ciao
Ad'I
> Concordo, mi pare che vuole scimmiottare la Rete, la
> multimedialità, troppe immagini ... forse per attirare i
> giovani va bene così, ma noi "vecchi" siamo abituati in un
> altro modo, no?
>
>
> --
> oggi no, domani sì
Non è solo questione di abitudini, ci si potrebbe adattare.
Il fatto è che uno che compra un giornale scientifico, credo lo faccia per
apprendere nozioni scientifiche e non per leggere pettegolezzi.
Ciao
Ad'I
Omero, Iliade II, 493: archon
(capo, comandante: cfr. il Liddel Scott on line:
http://www.perseus.tufts.edu/cgi-bin/ptext?doc=Perseus%3Atext%3A1999.04.0057%3Aentry%3D%2316053)
(per il testo greco
http://www.perseus.tufts.edu/cgi-bin/ptext?doc=Perseus%3Atext%3A1999.01.0133&layout=&loc=2.493 )
Ecco, per un confronto, la traduzione della benemerita Calzecchi Onesti:
"La folla io non dirņ, non chiamerņ per nome,
nemmeno s'io dieci lingue e dieci bocche avessi,
voce instancabile, petto di bronzo avessi,
e nemmeno le Muse olimpie, figlie di Zeus egioco,
potrebbero dirmi quanti vennero sotto Ilio!
Ma dirņ i capi di navi e tutte le navi"
(Cfr., invece, per curiositą la "versione" dell'Ilias Latina, in cui
ritornano i "duci":
Vos mihi nunc, Musae - quid enim non ordine nostis? -,
nomina clara ducum clarosque referte parentes
et dulces patrias: nam sunt haec munera uestra.
Dicamus quot quisque rates ad Pergama duxit
et coeptum peragamus opus, sitque auctor Apollo
aspiretque libens operi per singula nostro).
Saluti,
Nico Narsi
Arduino D'Ivrea ha scritto:
> "Gianfranco Cimino" <gianfranc...@hotmail.com> ha scritto nel
> messaggio
>
> Daltra parte Omero non accenna affatto a simili tecniche. Secondo lui il
> carro sarebbe servito solo come strumento di parata per portare sul campo
> dei duellanti. Ed un fondo di verità credo ci sia, Anche la bibbia attesta
> l'uso di duelli preliminari alla battaglia (Golia e Davide)
L'uso dei campioni è ben attestato in quei tempi
>
> Inoltre, un carro poteva far comodo a guerrieri pesantemente armati, avrebbe
> permesso loro di evitare le lunghe marce di spostamento, in battaglia il
> guerriero pesantemente armato si sarebbe fatto portare fino in prossimità
> del nemico assieme al resto della fanteria, ed il carro sarebbe rimasto in
> prossimità in caso di necessità di fuga.
Questa ipotesi è stata avanzata proprio per spiegare l'uso dei carri in epoca
Micenea, ma, ti ripeto, non ha mai trovato una conferma definitiva (anzi), ed
inoltre si discosta dall'uso dei carri presso altri popoli della stessa area
geografica e della stessa epoca.
In cambio le caratteristiche dei carri e dell'armamento farebbe più propendere
per un uso simile a quello dei carri hittiti.
>
> Si può anche immaginare che se erano sufficentemente numerosi, agissero come
> un surrogato della fanteria motorizzata, facendo rapide scorrerie in
> territorio nemico spostandosi ad una velocità che rendeva impossibile agli
> appiedati intercettarli. O piombando rapidi su un punto delicato dello
> schieramento avversario durante la battaglia.
Infatti, e direi che è sicuramente è così per i carri Egizi, Hittiti, Assiri
ecc.
Poi, ovviamente, anche l'uso tattico dei carri è variato nel tempo e nello
spazio.
Ciao
Gianfranco