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Pronuncia di `ð'?

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Jollino

unread,
Sep 7, 2001, 5:48:08 PM9/7/01
to
Salve a tutti,
è la prima volta che posto qui visto che le lingue mi hanno sempre
appassionato (anche se sono giovane ;), ho lurkato un po' e non ho trovato
risposta a questa domanda, quindi provo a porvela - di sicuro tra voi
guru della linguistica molti penseranno che è una cosa banale, ma ... ;)

La lettera 'ğ'/'Ğ' a che lingue appartiene/apparteneva? Come si pronuncia?
E nel caso si trattasse di una lettera caduta in disuso, nelle lingue
moderne a cosa corrisponde?
A "occhio" mi sembra un qualcosa di germanico (o semplicemente nordico), ma
non vorrei dire una cavolata pazzesca :)


Grazie mille :)
Saluti ;)
--
Jollino
IRC Operator on irc.discussioni.org (#help)
Longe vivu la verda stelo de Esperanto!
(togli NOSPAM dall'indirizzo per rispondere in mail)

Paolo Bonardi dalla Vetusta Fognatura e Teresiana

unread,
Sep 7, 2001, 6:57:19 PM9/7/01
to
Jollino <jollin...@discussioni.org> scripsit:

> E nel caso si trattasse di una lettera caduta in disuso, nelle lingue
> moderne a cosa corrisponde?
> A "occhio" mi sembra un qualcosa di germanico (o semplicemente
> nordico), ma non vorrei dire una cavolata pazzesca :)

La š dovrebbe essere una lettera ancora in uso in Islanda (Pontoglio e
Pagliarulo, ci siete?) e presente nell'alfabeto della letteratura norrena:
la pronuncia dovrebbe essere quella di "th" inglese nell'articolo "the".
Una curiositą: la Š in croato č la <g> di "gioco": SERŠO si legge Sergio.

P.

Giuseppe Pagliarulo

unread,
Sep 8, 2001, 5:56:16 AM9/8/01
to

Jollino
>La lettera 'ð'/'Ð' a che lingue appartiene/apparteneva?

All'inizio all'irlandese antico, donde all' inglese antico, donde al
sassone antico e al norreno, donde all'islandese moderno.

>Come si pronuncia?

Dipende dalle lingue. In inglese antico e in sassone antico si può
pronunciare tanto come il <th> di _think_ che come il <th> di _that_. In
norreno e in islandese sempre come in _that_.
Il nome della lettera è _eth_.

>A "occhio" mi sembra un qualcosa di germanico (o semplicemente nordico),
>ma
>non vorrei dire una cavolata pazzesca :)

Non l'hai detta, ma ad inventare la lettera furono, in verità, gli
irlandesi. Questi la passarono agli inglesi (perché, in pratica, gli
irlandesi hanno insegnato a scrivere a mezza Inghilterra) che la passarono
a tutti gli altri (perché gli inglesi hanno insegnato a scrivere a mezza
Europa).

Ciao,

Iosef Strawarila
--
Maðr er manns gaman
Homo deliciae hominis
(Carme islandese delle rune)


Paolo

unread,
Sep 8, 2001, 6:37:17 AM9/8/01
to

Paolo Bonardi dalla Vetusta Fognatura e Teresiana <pb...@mac.com> wrote in
message Xns91169B445...@130.133.1.4...

> Jollino <jollin...@discussioni.org> scripsit:
>
> > E nel caso si trattasse di una lettera caduta in disuso, nelle lingue
> > moderne a cosa corrisponde?
> > A "occhio" mi sembra un qualcosa di germanico (o semplicemente
> > nordico), ma non vorrei dire una cavolata pazzesca :)
>
> La ð dovrebbe essere una lettera ancora in uso in Islanda (Pontoglio e
> Pagliarulo, ci siete?)

E nelle Fær Øer/Føroyar? Si usa anche lì?

e presente nell'alfabeto della letteratura norrena:
> la pronuncia dovrebbe essere quella di "th" inglese nell'articolo "the".

> Una curiosità: la Ð in croato è la <g> di "gioco": SERÐO si legge Sergio.

Due precisazioni sulla lettera croata: la maiuscola è uguale all'eth, ma la
minuscola è una normale d col taglio sull'asta; inoltre la pronuncia non è
proprio [dZ] come nell'italiano "Sergio", ma decisamente più arretrata: si
tratta di un'articolazione affricata prepalato-labiale, non
alveo-palato-labiale come in italiano.

In italiano è stata anche resa (un po' arbitrariamente) con <dj> cfr. Ðilas,
spesso scritto Djilas o (addirittura) Gilas. La lettera usata in croato per
trascrivere il corrispondente suono sordo è c', c con l'accento acuto sopra:
cfr. Milos^evic'.

Ciao,
Paolo


Nicola Nobili

unread,
Sep 8, 2001, 2:55:02 PM9/8/01
to
Paolo

> La lettera usata in croato per
> trascrivere il corrispondente suono sordo č c', c con l'accento acuto
sopra:

In fine di parola. Ma nel corpo della parola non s'usa il gancetto?

Ciao,
Nicola

--
Multa non quia difficilia sunt non audemus, sed quia non audemus sunt
difficilia (Seneca).


Paolo

unread,
Sep 9, 2001, 8:15:02 AM9/9/01
to

Nicola Nobili <nicolan...@libero.it> wrote in message
9ndqf8$748kt$2...@ID-64088.news.dfncis.de...

> Paolo
> > La lettera usata in croato per
> > trascrivere il corrispondente suono sordo č c', c con l'accento acuto
> sopra:
>
> In fine di parola. Ma nel corpo della parola non s'usa il gancetto?

Si tratta di due fonemi diversi, credo. I testi non parlano di una
distribuzione di <c'> in posizione finale e di <c^> nel corpo della parola.

Comunque, sia che siano allofoni di uno stesso fonema, sia che siano fonemi
separati <c^, dz^> e <c', d-> in serbocroato rappresentano articolazioni
diverse: la prima coppia sono affricati alveo-palato-labiali velarizzati, la
seconda coppia sono affricati prepalato-labiali.

Ciao,
Paolo


Giovanni Pontoglio

unread,
Sep 10, 2001, 1:53:30 AM9/10/01
to
Paolo ha scritto nel messaggio ...

>
>Si tratta di due fonemi diversi, credo.

Precisamente. In serbocroato <C^> (con gancetto) è la /tS/ panslava che
continua ie. *k + vocale anteriore oppure *kj, mentre <c'> (con apice)
corrisponde al nesso paleoslavo <s^t>, che continua ie. *tj.
In russo corrisponde ad entrambi <c^>, nel segno cirillico uguale alla <c^>
serba, nel suono piú alla <c'>.

L'idea errata d'una distribuzione complementare potrebbe essere stata
suggerita dalla frequenza dei cogmomi in -(c^)ic'.

Saluti
G.Pontoglio


Anna Ballanti Neufeld

unread,
Sep 10, 2001, 6:30:14 AM9/10/01
to

"Paolo" <pao...@hotmail.com> schrieb im Newsbeitrag
news:xxmm7.99334$vC1.1...@news1.tin.it...
>
> [...]

> >
> > La ð dovrebbe essere una lettera ancora in uso in Islanda (Pontoglio e
> > Pagliarulo, ci siete?)
>
> E nelle Fær Øer/Føroyar? Si usa anche lì?
> [...]

Come gia' hanno detto in molti la ð islandese corrisponde alla <th> inglese
di "this" (mentre la þ islandese corrisponde alla <th> inglese di "think")

In faroese, la þ e' scomparsa (sia come suono che come grafia), mentre la ð
e' rimasta solo nella grafia. L'ortografia faroese fu creata nel 1846 da
Venceslaus Ulricus Hammershaimb ed e' basata sull' ortografia dell' antico
norreno - e' quindi un'ortografia basata sull'etimologia e non sulla
pronuncia delle parole. Lo svantaggio e' naturalmente quello di creare le
note difficolta' nello scrivere, il vantaggio pero' e' quello di dare ai
faroesi la possibilita' di scrivere tutti allo stesso modo e pronunciare poi
le parole in modo diverso a seconda del dialetto parlato.

La ð faroese quindi non ha un suono proprio, ma modifica il suono di cio'
che le sta vicino.
Esempi di parole identiche in islandese e faroese, ma con pronuncia assai
diversa:
maður isl [maður], far [meawur]
verða [verða] [ve:ra]
etc...

NB le pronuncie date non sono accurate, perche' non dispongo dei necessari
simboli fonetici

saluti
anna

Paolo

unread,
Sep 10, 2001, 8:28:52 AM9/10/01
to

Giovanni Pontoglio <giop...@libero.it> wrote in message
uzYm7.20790$ul3.7...@news.infostrada.it...

Verissimo. Tra l'altro lo sloveno ha un comportamento simile al russo visto
che i cognomi sloveni (antichi patronimici?) hanno terminazioni in <c^ic^>
invece che in <c^ic'>

Ciao,
Paolo


Paolo Bonardi dal Montano Eremo e Isolato

unread,
Sep 10, 2001, 8:45:32 AM9/10/01
to
Paolo ha scritto:

> Verissimo. Tra l'altro lo sloveno ha un comportamento simile al russo visto
> che i cognomi sloveni (antichi patronimici?) hanno terminazioni in <c^ic^>
> invece che in <c^ic'>

Be', la c con la pipa non compare in posizione terminale nei cognomi sloveni
solo laddove ci sia <c^ic'>.
Si ha terminazione in c con pipa anche i ncognomi quali "Mirtic^". non mi
risulta esistere un cognome "Mirtic^ic^".
Nn sloveno abbondno anche i cognomi con terminazione in <ak>, per esempio
Novāk, come l'attrice Kim che era slovena o di quella parte di Croazia
immdiatamente vicino alla Slovenia lungo il corso del fiume Krk (Dolenska).

P.

Giovanni Drogo

unread,
Sep 10, 2001, 9:38:41 AM9/10/01
to
On Sat, 8 Sep 2001, Giuseppe Pagliarulo wrote:

> Jollino
> >La lettera 'ð'/'Ð' a che lingue appartiene/apparteneva?

Per favore non postate articoli contenenti caratteri non stampabili (a
me quella roba appare come dei grossi (nel senso di grassetto) punti di
domanda rovesciati ....

> Il nome della lettera è _eth_.

Ah di quella state parlando (che nei toponimi islandesi traslitterati
viene resa con "dh", perlomeno sulle cartine TCI). Infatti anche in HTML
la si rappresenta con &ETH; o &eth;/ E' anche usata in IPA per la
"fricativa dentale sonora" (posizione 5,6 nella tabella IPA), e
l'IPASCII usa /D/.

> Non l'hai detta, ma ad inventare la lettera furono, in verità, gli
> irlandesi.

Pero' la thorn invece (che nei toponimi islandesi viene traslitterata
th, tipo Thingvellir) e' gotica o mi sbaglio ?

L'HTML usa &THORN; &thorn;, ma l'IPA (posizione 5,5) usa la theta (e
l'IPASCII la /T/)

--
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Giuseppe Pagliarulo

unread,
Sep 10, 2001, 11:34:34 AM9/10/01
to

Giovanni Drogo

>Pero' la thorn invece (che nei toponimi islandesi viene traslitterata
>th, tipo Thingvellir) e' gotica o mi sbaglio ?

*Il* thorn :-)
No, non è esattamente gotico; viene però usato per traslitterare una
lettera dell'alfabeto di Wulfila (altrimenti resa con <th>) che assomiglia
a psi greco.
Si tratta, in verità, di un simbolo runico che, come tale, era noto a tutte
le genti di lingua germanica prima che adottassero l'alfabeto latino. I
primi ad avere l'idea d'integrare quest'ultimo con l'aggiunta del segno
runico furono, manco a dirlo, gli inglesi che, al solito, passarono poi
tale uso ai popoli scandinavi. "Thorn" è infatti il nome inglese della
runa, che in norreno era invece detta _Turs_ "gigante".

Marco Cimarosti

unread,
Sep 10, 2001, 12:06:40 PM9/10/01
to
Paolo <pao...@hotmail.com> ha scritto:
[La Š serbocroata...]
> In italiano č stata anche resa (un po' arbitrariamente) con <dj> cfr. Šilas,
> spesso scritto Djilas [...]

Non in italiano: la lettera "Š" si scrive spesso "DJ" nello stesso
serbocroato.

Per pura curiositą noto che, in Unicode, la lettera "dj" č una delle
pochissime (insieme alla "lj" e alla "nj", sempre serbocroate) che
richiedono tre forme di "cassa": oltre al normale minuscolo
(lowercase) "dj" e al maiuscolo (uppercase) "DJ", serve anche il
"maiuscolo-minuscolo" ("titlecase") "Dj". L'ultima forma si usa per
l'iniziale maiscola di parole sritte in minuscolo; il maiscolo si usa
solo in parole in tutto maiuscolo.

Visto che siamo in tema di grafie alternative, ricordo che la "ž" e la
"š" islandesi si possono scrivere anche "th" e "dh". Questa
alterazione č molto comune per i nomi propri islandesi usati in altre
lingue (ad es., i nostri atlanti geografici quasi mai usano le lettere
islandesi).

Ciao.
Marco

Giovanni Drogo

unread,
Sep 10, 2001, 1:01:04 PM9/10/01
to
On Mon, 10 Sep 2001, Giuseppe Pagliarulo wrote:
> Giovanni Drogo
> >Pero' la thorn [...] e' gotica o mi sbaglio ?
>
> *Il* thorn :-)
> No, non č esattamente gotico;

Chiedo scusa ma l'unica mia esposizione al gotico e' stato un corposo (e
a mio parere non malfatto) romanzo storico ambientato ai tempi di
Teodorico il (la?) cui protagonista si chiamava appunto Thorn (il fatto
e' che nella trama del romanzo aveva una certa rilevanza il fatto che
fosse ermafrodito) ... vi erano anche ricami su messaggi in codice con
fiaccole usando il futhark).

E poi noi diciamo "la a, la emme, la qu, la ics, la alpha, la psi ..."

Nicola Nobili

unread,
Sep 10, 2001, 2:23:18 PM9/10/01
to
Anna Ballanti Neufeld

> e' quindi un'ortografia basata sull'etimologia e non sulla
> pronuncia delle parole. Lo svantaggio e' naturalmente quello di creare le
> note difficolta' nello scrivere, il vantaggio pero' e' quello di dare ai
> faroesi la possibilita' di scrivere tutti allo stesso modo e pronunciare
poi
> le parole in modo diverso a seconda del dialetto parlato.

Mi chiedo sempre, in siffatti casi: ma che senso ha parlare di "pronunce
differenti a seconda del dialetto parlato" per un Paesino piccolo piccolo
che conta poche migliaia di anime? Al limite (pur preferendo sempre e
comunque le grafie fonemiche), capisco il discorso applicato all'immensa
Cina, ma nelle isolette in questione? È cosí importante preservare intatte
le (spesso rurali e incólte, presumo) pronunce locali, o si tratta solo di
parrocchialismo?

Paolo

unread,
Sep 10, 2001, 3:20:22 PM9/10/01
to

Giovanni Drogo <dr...@rn.bastiani.it> wrote in message
Pine.OSF.4.30.010910...@poseidon.ifctr.mi.cnr.it...

[...]

> E poi noi diciamo "la a, la emme, la qu, la ics, la alpha, la psi ..."

In Toscana si usa spesso anche il maschile, in particolare con le lettere
"straniere" come "i llungo", "vu ddoppio" &c.

Ciao,
Paolo


Giuseppe Pagliarulo

unread,
Sep 10, 2001, 3:20:19 PM9/10/01
to

Giovanni Drogo

>Chiedo scusa ma l'unica mia esposizione al gotico e' stato un corposo (e
>a mio parere non malfatto) romanzo storico ambientato ai tempi di
>Teodorico il (la?) cui protagonista si chiamava appunto Thorn

Ammazza! E i suoi genitori le (gli?) volevano proprio male per imporgli/le
il nome della più nefasta tra le rune...

"Un Gigante t'inciderò
e tre lettere:
impudicizia e follia
e tormento"
(_For Skírnir_, strofa 36)

>E poi noi diciamo "la a, la emme, la qu, la ics, la alpha, la psi ..."

Sì, ma mica diciamo "la bestiame, la uro, la gigante, la aso, la viaggio,
la bubbone..." (Fehu, Uruz, THurisaz, Ansuz, Raido, Kenaz) :-)

Giovanni Pontoglio

unread,
Sep 11, 2001, 1:16:10 AM9/11/01
to

Paolo Bonardi dal Montano Eremo e Isolato ha scritto nel messaggio ...

>
>Be', la c con la pipa non compare in posizione terminale nei cognomi
sloveni
>solo laddove ci sia <c^ic'>.
>Si ha terminazione in c con pipa anche i ncognomi quali "Mirtic^". non mi
>risulta esistere un cognome "Mirtic^ic^".
>Nn sloveno abbondno anche i cognomi con terminazione in <ak>, per esempio
>Novąk, come l'attrice Kim che era slovena o di quella parte di Croazia

>immdiatamente vicino alla Slovenia lungo il corso del fiume Krk (Dolenska).


Di gią che ci siamo, provo riproporre un interrogativo gią posto invano a
suo tempo:
la terminazione -ig nei cognomi sloveni della porvincia d'Udine č grafia per
"-ic^" dello sloveno standard o suona altrimenti?


>
>P.
>


Paolo Bonardi dal Montano Eremo e Isolato

unread,
Sep 11, 2001, 6:29:10 AM9/11/01
to
Nicola Nobili ha scritto:

> È cosí importante preservare intatte
> le (spesso rurali e incólte, presumo) pronunce locali, o si tratta solo di
> parrocchialismo?

Nicola; mi auguro che non succeda mai che un giorno tu acquisisca un qualche
potere istituzionale: sei una delle persone meno democratiche e più
sprezzanti delle altrui libertà che io abbia mai conosciuto.

P.

Nicola Nobili

unread,
Sep 11, 2001, 8:23:25 AM9/11/01
to
Paolo Bonardi dal Montano Eremo e Isolato

> Nicola; mi auguro che non succeda mai che un giorno tu acquisisca un


qualche
> potere istituzionale: sei una delle persone meno democratiche e più
> sprezzanti delle altrui libertà che io abbia mai conosciuto.

Voglio augurare a me stesso che vi sia una qualche ironia nel tuo
discorso... Possiamo discutere le idee linguistiche, ma non mi sembra di
essere "sprezzante delle altrui libertà". Io non le limito affatto, non ho
mai discriminato nessuno perché parla un dialetto, né impedirei mai a
nessuno di parlarlo. Semplicemente, mi chiedo che senso abbia complicare una
grafia (uno spelling basato sull'etimologia è difficile e causa un numero
maggiore di errori da parte dei discenti) per consentire a ciascuno di
scrivere uguale agli altri ma pronunciare a seconda delle varietà locali. Si
parlava di un gruppetto di isolette abitate da quattro gatti. Quali mai
potranno essere le differenza dialettali locali che tanto vanno
salvaguardate al punto da creare un'ortografia piú complessa per tutti? (A
questo punto mi verrebbe da chiedermi: c'è uno standard nell'idioma
faeroense oppure no? Quanti dialetti ci sono? Quanto diversi sono tra loro?
Ma lasciamo stare).
Io sono contrario, non l'ho mai negato, alla preservazione "a tutti i
costi" di lingue che interessano soltanto poca gente e che non hanno nessuna
validità pratica. Non vedo perché lo Stato o altre istituzioni, che già
hanno ben altri problemi, dovrebbero spendere tempo e risorse per insegnare
dialetti locali in estinzione. Questo non significa, e qui temo che tu mi
fraintenda grossolanamente, che chi parla quei dialetti sia di categoria
inferiore. Sono fatti suoi, per me può continuare a usare quel dialetto
finché vuole. Per me ha tutti i diritti di scrivere lettere, poesie,
canzoni, etc. in quel dialetto. Per me ha tutti i diritti di cui godono
tutti i cittadini (beninteso, quando entra in un'istituzione statale dovrà
parlare italiano, e non rivolgersi a un giudice o a un primario in
dialetto). Andrà a votare, DEMOCRATICAMENTE, come tutti gli altri. Dove
sarei antidemocratico?

Ciao,
Nicola

P.S. Non corri alcun rischio: da bravo anarchico, non provo alcun interesse
nei confronti della politica, non mi vedrai mai arringare una platea o
sedere a Montecitorio.

Danilo Giacomelli

unread,
Sep 11, 2001, 9:28:06 AM9/11/01
to

"Nicola Nobili" <nicolan...@libero.it> ha scritto ...
......

> Mi chiedo sempre, in siffatti casi: ma che senso ha parlare di
"pronunce
> differenti a seconda del dialetto parlato" per un Paesino piccolo piccolo
> che conta poche migliaia di anime? Al limite (pur preferendo sempre e
> comunque le grafie fonemiche), capisco il discorso applicato all'immensa
> Cina, ma nelle isolette in questione? È cosí importante preservare intatte
> le (spesso rurali e incólte, presumo) pronunce locali, o si tratta solo di
> parrocchialismo?

Quest'estate ho conosciuto in rete un insegnante di Faroese ed Inglese nelle
isole in questione.
Afferma che è prevista l'indipendenza dell'arcipelago.
Quindi se il Faroese diverrà una lingua ufficiale sarà d'uopo che possegga
varianti locali, per non sfigurare con le altre.

ciao

--
Danilo Giacomelli
----------------------------------
Signùr arda 'n zó, se no arde 'n sö mé e Te ède le gambe
----------------------------------


Nicola Nobili

unread,
Sep 11, 2001, 2:23:42 PM9/11/01
to
Danilo Giacomelli

> Afferma che è prevista l'indipendenza dell'arcipelago.
> Quindi se il Faroese diverrà una lingua ufficiale sarà d'uopo che possegga
> varianti locali, per non sfigurare con le altre.

Che la lingua esista e che sia usata, localmente, non lo metto in
dubbio. Che però sia necessario inventarsi, o anche solo enfatizzare, delle
varianti locali, mi sembra demenziale. Anzi, se davvero il faroese non ha
varianti di rilievo, lo considero una fortuna per quel popolo, non una
sciagura.

Danilo Giacomelli

unread,
Sep 11, 2001, 4:37:36 PM9/11/01
to

"Nicola Nobili" <nicolan...@libero.it> ha scritto ...
....
> Che la lingua esista e che sia usata, localmente, non lo metto in
> dubbio. Che perň sia necessario inventarsi, o anche solo enfatizzare,

delle
> varianti locali, mi sembra demenziale. Anzi, se davvero il faroese non ha
> varianti di rilievo, lo considero una fortuna per quel popolo, non una
> sciagura.

Scusa, ho dimenticato la faccina (che non rientra tra le mie abitudini).

ciao

--
Danilo Giacomelli
----------------------------------------------------------------
suaviter in modo sed fortiter in re
----------------------------------------------------------------


Giuseppe Pagliarulo

unread,
Sep 11, 2001, 5:52:03 PM9/11/01
to

Nicola Nobili

>Semplicemente, mi chiedo che senso abbia complicare
una
>grafia (uno spelling basato sull'etimologia è difficile e causa un numero
>maggiore di errori da parte dei discenti) per consentire a ciascuno di
>scrivere uguale agli altri ma pronunciare a seconda delle varietà locali.

Mah, a me questo sembra un falso allarme. A mio modesto parere è molto più
probabile che l'ortografia etimologica del faroese sia motivata
semplicemente dal prestigio della tradizione scrittoria norrena. Considera
che anche l'islandese moderno è rimasto fedele alle stesse norme
ortografiche nonostante la sua fonologia (a differenza della morfologia)
sia ormai notevolmente evoluta rispetto a quella norrena classica.

Giovanni Pontoglio

unread,
Sep 13, 2001, 3:21:31 PM9/13/01
to

Nicola Nobili ha scritto nel messaggio
<9nlmu6$89q3b$1...@ID-64088.news.dfncis.de>...
>Danilo Giacomelli

>
>
> Che la lingua esista e che sia usata, localmente, non lo metto in
>dubbio. Che però sia necessario inventarsi, o anche solo enfatizzare, delle
>varianti locali, mi sembra demenziale. Anzi, se davvero il faroese non ha
>varianti di rilievo, lo considero una fortuna per quel popolo, non una
>sciagura.


Non sono un esperto di faroese (färöese, færøese, fereese?), tuttavia credo
di poter tentare una risposta.
La "densità" linguistica, intendo dire il rapporto tra la variazione
linguistica e la superficie (o la popolazione) d'un territorio è quanto mai
varia. Spesso proprio i gruppi linguistici piú esigui mostrano la
elevatissima frammentazione dialettale: pensiamo al romancio, al frisone, al
sami.
Ciò può essere dovuto in certi casi proprio all'esigua consistenza della
comunità linguistica, nel senso che essa non ha avuto risorse (nel senso piú
lato) sufficienti — o le ha avute solo recentemente — per crearsi una
propria lingua di cultura che avrebbe frenato le spinte divaricatrici
dell'evoluzione spontanea incontrollata, optando per una lingua-tetto
esogena, meno in grado d'influenzare le parlate locali.
Un altro fattore è che spesso la presenza d'ostacoli geografici, come
appunto nel nostro caso il mare, che rallentando la comunicazione riduceva
la possibilità di confronto tra le varie comunità di parlanti.
Spesso questo fattore è anche all'origine del fatto stesso che la lingua non
si sia estinta sotto la pressione d'una lingua veicolare piú diffusa. Spesso
infatti (ma non è il caso del färöese) si tratta infatti d'aree relitto,
resti di domini linguistici piú vasti.


Non so quale sia oggi il grado di vitalità dei dialetti färöici rispetto
alla lingua-tetto (danese). Se sono effettivamente d'uso corrente trovo
comprensibile che non si sia voluto standardizzare la pronuncia del färöico:
in tal modo s'è ottenuto che ciascuno scriva (quasi) lo stesso idioma che
parla, mentre una standardizzazione totale sarebbe stato voler proporre un
qualcosa d'estraneo alle abitudini dei parlanti, insomma una complicazione
inutile e artificiosa, fine a sé stessa.

G.Pontoglio

GCPillan

unread,
Sep 13, 2001, 4:29:22 PM9/13/01
to
Giovanni Pontoglio:

> Precisamente. In serbocroato <C^> (con gancetto) è la /tS/


Trovo strano che qualcuno non parta subito a criticare chi usa il termine
"serbocroato" a sproposito :-)


Il 28 marzo 2000 Nicola Nobili scrisse........................................

Nicola Nobili:
> Ulteriore precisazioncina per GCPillan:
> Oggigiorno sarebbe meglio non dire piú "serbo-croato", bensí parlare di
> lingua serba, lingua croata, lingua macedone e lingua montenegrina. È una
> scomoda complicazione (in fondo le 4 lingue in questione sono quasi
> identiche), però, per motivi politici, l'uso (peraltro innocente e
> involontario) di quell'aggettivo ti renderebbe inviso a molta gente.

.............................................................................
Poiché ebbi l'ardire di replicare che avevo frequentato qualche lezione di
"serbo-croato" lui ebbe a rincarare la dose e ad adirarsi raccontando pure
di un bambino assassinato e di quanto io fossi ignorante...
Alcuni mesi dopo ancora ritornò sull'argomento per PRECISARE meglio...

Subject:
Re: lingue slave e dintorni...
Date:
Sun, 30 Jul 2000 01:47:40 +0200
From:
GCPillan <gcpi...@email.com>
Organization:
GCPillan
Newsgroups:
it.cultura.linguistica
References:
1 , 2 , 3

Nicola Nobili:
> Oggi credo che "serbocroato" sia una dicitura corretta soltanto in due casi:
> quando ci si riferisce al passato (per esempio citando il titolo di una
> grammatica scritta qualche decennio fa) e quando si cita qualcosa di
> burocratico (per esempio, certi corsi universitarî che, per comodità, si
> chiamano ancora cosí). Non a caso, le uniche due volte in cui ho usato il
> termine "serbocroato" nei newsgroups rientravano in questi due casi.

Vedo che ti rode ancora la mia osservazione sul tuo uso di "serbocroato"
che ti feci dopo che tu mi aggredisti da saputello per aver io usato
tale termine.

Prendo atto che tu non hai studiato il serbocroato e ti invito ad
aggiungere il terzo caso in cui tale dicitura è corretta: quando si ha
studiato il serbocroato e ci si riferisce ad un argomento trattato in
tale corso.

Era il mio caso.
Tu, pur di aver ragione, ci raccontasti del bambino assassinato per una
parola tipica di una lingua detta alla persona sbagliata. In un corso di
serbocroato vengono spiegate le differenze.
--
____________________________________

Giancarlo Pillan - Ivrea - Italy
____________________________________

Giovanni Pontoglio

unread,
Sep 14, 2001, 3:45:40 PM9/14/01
to

GCPillan ha scritto nel messaggio <3BA1158D...@email.com>...

>Giovanni Pontoglio:
>> Precisamente. In serbocroato <C^> (con gancetto) è la /tS/

>Trovo strano che qualcuno non parta subito a criticare chi usa il termine
>"serbocroato" a sproposito :-)


A sproposito?
Anche la varietà serba può venire scritto in caratteri latini, e in tal caso
si usa <c^>.
Anche a prescindere da questo, mi permetto di continuare ad usare il termine
"serbocroato".
Certo è POSSIBILE che lo sviluppo attualmente divergente delle duie varietà
(o tre, se contiamo anche il "bosniaco", anzi quattro contando, qui forse a
maggior ragione, il croato del Burgenland, o magari addirittura cinque se
prima o poi comparisse un "montenegrino") porti a farne due lingue diverse
che s'evolvono indipendentemente, per quanto molto simili (quali ad esempio
danese e Bokmaal), ma per il momento non si può dare per già compiuto questo
questo sviluppo.
Mi sembra un caso analogo a quello anglosassone: in passato s'è discusso se
esistesse una lingua "americana" distinta dall'inglese (britannico), oggi
credo che non l'affermi piú nessuno, anche perché le due varietà hanno
cessato di differenziarsi.

Ed è il caso inverso rispetto al bassotedesco: non mi sento di classificarlo
quale dialetto tedesco, benché l'influenza dello Hochdeutsch sia molto forte
e quindi sia possibile che esso a lungo termine l'altotedeschizzi. Però
questo non è ancora avvenuto, e potrebbe non avvenire mai, o per una ripresa
d'autonomia linguistica del bassotedesco, o, con maggiore probabilità, per
sua possibile estinzione prima che il processo d'altotedeschizzazione sia
compiuto.


Saluti
G.Pontoglio

GCPillan

unread,
Sep 14, 2001, 3:58:23 PM9/14/01
to
Giovanni Pontoglio:

> >Trovo strano che qualcuno non parta subito a criticare chi usa il termine
> >"serbocroato" a sproposito :-)
>
> A sproposito?
> Anche la varietà serba può venire scritto in caratteri latini, e in tal caso
> si usa <c^>.

Non è una mia idea. Mi riferivo alle osservazioni di Nicola a me rivolte quando
usai il termine serbo-croato (lo scrissi col trattino, ma non importa).

Nicola Nobili:
> Oggi credo che "serbocroato" sia una dicitura corretta soltanto in due casi:
> quando ci si riferisce al passato (per esempio citando il titolo di una
> grammatica scritta qualche decennio fa) e quando si cita qualcosa di
> burocratico (per esempio, certi corsi universitarî che, per comodità, si
> chiamano ancora cosí). Non a caso, le uniche due volte in cui ho usato il
> termine "serbocroato" nei newsgroups rientravano in questi due casi.

Mi pare che tu non abbia usato il termine "serbocraoto" per riferirti ad un
vecchio libro o citando qualcosa di burocratico ma solo per nominare la c con
gancetto ovvero con pipa. Ovvero nella stessa situazione in cui usai io tale
parola quando venni tacciato di ignoranza.

Anna Ballanti Neufeld

unread,
Sep 14, 2001, 9:51:46 PM9/14/01
to
La lingua Faroese deriva dall'antico norreno parlato dai norvegesi che
colonizzarono le isole all'inizio del nono secolo, e' quindi stretta parente
dell'islandese e di alcuni dialetti norvegesi. Da notare che i colonizzatori
si sono organizzati in villaggi sparsi su tutte le isole abitabili (a
differenza dell'Islanda, dove sono state create fattorie isolate), il che'
ha favorito lo sviluppo di dialetti separati (da notare e' anche che le
meravigliose strade che collegano gli insediamenti, i ponti e i tunnel che
collegano molte isole fra loro risalgono agli anni 70/80 del secolo scorso
(1970-1980!) e quindi gli abitanti sono rimasti relativamente isolati fino a
poco tempo fa (la TV faroese risale al 1985, se non sbaglio), quindi i
dialetti sono rimasti ben differenziati).

Purtroppo si dispone di pochissimi scritti che documentino lo stato della
lingua durante il Medioevo. Documenti del 1400 testimoniano che la lingua,
pur essendo ancora molto simile all'islandese e al norvegese, gia' mostra
segni di un proprio sviluppo indipendente. In documenti di poco piu'
recenti, si comincia gia' a notare l'influenza del danese. Dopo la Riforma,
l'influenza danese diventa enorme. La situazione linguistica fino al XX sec.
e' quella di una diglossia danese/faroese: il danese come lingua della
Chiesa e dello Stato, mentre il faroese era la lingua del popolo; tale
lingua era suddivisa in dialetti locali orali fortemente influenzati dal
danese, come lingua scritta si usava solo il danese. Probabilmente e' solo
grazie alla tradizione orale di tramandare racconti e ballate, che il
faroese ha mantenuto il carattere arcaico dell'antico norreno sia nella
morfologia che nel vocabolario (anche se non al livello dell'islandese).

Il primo lavoro letterario in faroese e'una raccolta di ballate ad opera di
Jens Christian Svabo e risale alla fine del XVIII secolo. Seguono altre
raccolte e traduzioni di autori vari. Ogni autore usa un'ortografia fonetica
piu' o meno di propria invenzione, e quindi fortemente influenzata dal
proprio dialetto. Come dialetto, nel caso del faroese, si intende
soprattutto una differenza di pronuncia. Da notare pero' che, essendo il
faroese una lingua fortemente flessiva (semprecche' in italiano si dica cosi
'), se la pronuncia e' diversa, e' molto probabile che i suffissi "appaiano"
diversi, per non parlare poi della flessione dei verbi irregolari. Oltre a
cio' e' da tenere presente il problema politico/sociale di scegliere un
dialetto e usarlo come standard: non e' certo facile scegliere il dialetto
da privilegiare.

Nel 1891 fu pubblicata la "Færøsk Anthologi" di Venceslaus Ulricus
Hammershaimb, la quale contiene, oltre ad una raccolta di ballate, anche l'
ortografia etimologica proposta dall'autore ed in uso ancora oggi. La sua
scelta (etimologica anziche' fonetica) viene motivata nell'introduzione come
segue:
º Le isole Faroe sono sia geograficamente che linguisticamente a meta'
strada tra Islanda e Norvegia (grammatica simile all'islandese, pronuncia
simile al norvegese).
º Nell'antichita' (per l'esattezza fino al XV sec.) la lingua scritta usata
in Islanda, in Norvegia e nelle Faroe era praticamente la stessa.
º Gli autori che usano ortografia fonetica scrivono, in effetti, in lingue
diverse. (Si veda come esempio la lettera <ó>: in Suðuroy si pronuncia /ou/
o /ow/; nelle isole del Nord /eu/ o /öv/ se seguita da 2 consonanti, /e/ o
/æ/se seguita da <gv>.) La lingua scritta, avendo lo scopo di servire come
mezzo di comunicazione tra le isole, deve essere uniforme e non sarebbe
corretto previlegiare un dialetto particolare.
º Se la lingua faroese e' destinata ad avere un futuro, un'ortografia
etimologica presenta anche il vantaggio di avvicinarla alle altre lingue
scandinave (N.B.: il faroese e l'islandese sono mutualmente comprensibili
solo nella forma scritta. La comunicazione, anche ufficiale, fra i due paesi
avviene per iscritto nelle rispettive lingue e oralmente in ... danese!)

Un altro vantaggio di questa ortografia e' quello di dare una parvenza di
regolarita' alla morfologia. Ecco ad esempio il singolare di "giorno" nelle
ortografie di Hammershaimb e di Svabo (la sequenza die casi e': Nom., Acc.,
Dat., Gen.):
° Hammershaimb: dagur, dag, degi, dags (la <e> di <degi> e' una "i-mutation"
: regolare)
° Svabo: deavur, dea, dëi, dags

Da tenere presente e' anche il fatto che in questo periodo la Scandinavia si
trova in pieno Romanticismo ... l'amore per il passato e le glorie
letterarie dell'antico norreno, oltre al movimento indipendentista islandese
influenzano non poco gli eventi politici e culturali nelle isole Faroe.

Nonostante la difficolta' di apprendimento, l'ortografia di Hammershaimb fu
criticata, a suo tempo, soprattutto per l'uso della lettera ð (che in
faroese si chiama edd [ed°:] ... /e/ aperta e /d/ muta lunga); in seguito,
pero', tutte le riforme ortografiche proposte per eliminarla non sono state
accettate. La ð deve essere un vero incubo: dal novembre 1991, il latte
faroese viene accompagnato da divertenti fumetti e indicazioni sull'uso
della lettera piu' difficile da digerire!

Nel 1948 il faroese e' stato riconosciuto come lingua ufficiale delle isole;
gli abitanti pero' sono tenuti ad imparare il danese (obbligatorio dalla
terza elementare) e ogni documento ufficiale deve essere tradotto in danese.
I funzionari danesi in servizio sulle isole di solito non si curano di
imparare il faroese ed usano quindi il danese in qualsiasi occasione, anche
ufficiale, attirandosi le "simpatie" degli indigeni.

Per chi ha mostrato interesse nei dialetti:
Hammershaimb suddivide i dialetti in due gruppi: (1) fiordi del Sud: Sandoy,
Skúvoy, Dímun e Suðuroy e (2) fiordi del Nord (comprendente, ovviamente
tutte le altre isole). Le differenze vengono descritte dall'autore come
segue (per brevita' uso (1) per indicare i dialetti del Sud e (2) per quelli
del Nord):
in (1) la pronuncia delle consonanti e' piu' sonora e quella delle vocali e
dei dittonghi e' piu' chiara che in (2).
in (1) <p, t, k, kj> mediali o finali sono pronunciate /b, d, g, gj/ (es.:
eta, /eda/ )
in (2) <ang> e <ank> sono pronunciate /eng/ e /enk/ oppure /æng/ e /ænk/
(es. blankur, /blenkur/).
etc...

I due gruppi, vengono poi divisi in sottogruppi ... chi avesse interesse puo
' andare alla fonte: Venceslaus Ulricus HAMMERSHAIMB: Færøsk Anthologi. I
Tekst samt historisk og grammatisk inledning. København 1891. Givið út hevur
Hammershaimbsgrunnin 1969

Un altro autore (Kurt BRAUNMÜLLER: Die skandinavischen Sprachen im
Überblick. Tübingen 1991 (=UTB 1635)) suddivide i dialetti in 3 aree: (1)
Nord, fino circa alla linea Koltur-Nólsoy, (2) Centro: punta meridionale di
Streymoy incluso Tórshavn, Sandoy, (3) Suðuroy.

Il dialetto centrale e' diventato una specie di norma, essendo quello che
viene usato nei corsi di lingua e prevalentemente usato nelle trasmissioni
radio e TV. Nella lingua comune, l'uso die dialetti e' la norma (come del
resto anche nella Norvegia, soprattutto occidentale).

Per chi e' curioso di saperne di piu', senza sforzarsi troppo, consiglio
caldamente "No Nation is an Island. Language, Culture, and National Identity
in the Faroe Islands" di Tom NAUERBY. SNAI - North Atlantic Publications.
Aarhus University Press. 1996.

Tengo a precisare che non trovo affatto demenziale che un popolo cerchi di
mantenere la propria lingua e la propria cultura, anzi ammiro piu' i 50mila
(scarsi) faroesi, i 260mila islandesi, e i tanti altri popoli (tra cui, fra
gli altri, anche i francesi) che combattono per mantenere pure le loro
rispettive lingue di quegli italiani (quei pochi, spero) che pur disponendo
di una meravigliosa lingua con radici profonde e di quasi 60milioni di
"colleghi" che parlano la stessa lingua usano inutili espressioni straniere
come "fare il coffee break" [fare il kof:i brek] (e aperta!), etc. senza
neppure curarsi di imparare, almeno, la pronuncia corretta (anzi, chi la usa
viene deriso)!

anna

Nicola Nobili dai labirintici meandri dell'ortografia disaccentata

unread,
Sep 15, 2001, 5:22:29 AM9/15/01
to
"Giovanni Pontoglio"

> Certo è POSSIBILE che lo sviluppo attualmente divergente delle duie varietà
> (o tre, se contiamo anche il "bosniaco", anzi quattro contando, qui forse a
> maggior ragione, il croato del Burgenland, o magari addirittura cinque se
> prima o poi comparisse un "montenegrino")

Già sono comparse le prime grammatiche di montenegrino e macedone, in
cui si afferma l'autonomia di detti idiomi. Probabilmente si tratta
piú di ragioni politiche che linguistiche, me ne rendo conto,
tuttavia, vista la situazione balcanica attuale, è opportuno essere
accorti. Ricordo cosa disse un'insegnante di "serbocroato" (il corso
si chiamava proprio cosí) ad una conferenza: "Una volta sapevo una
lingua, ora mi sento una poliglotta, ne parlo almeno quattro". Ella
invitava, per il futuro, ad usare etichette come "serbo" e "croato",
soprattutto nei rapporti con gente di madre lingua. E piú spesso,
parlando con un nativo, preferiva ricorrere ad espressioni tipo "la
vostra lingua", onde evitare ogni tipo di problema.
Ciao,
Nicola

Giovanni Pontoglio

unread,
Sep 15, 2001, 2:44:58 PM9/15/01
to

Nicola Nobili dai labirintici meandri dell'ortografia disaccentata ha
scritto nel messaggio ...

>"Giovanni Pontoglio"
>> Certo è POSSIBILE che lo sviluppo attualmente divergente delle duie
varietà
>> (o tre, se contiamo anche il "bosniaco", anzi quattro contando, qui forse
a
>> maggior ragione, il croato del Burgenland, o magari addirittura cinque se
>> prima o poi comparisse un "montenegrino")
>
>Già sono comparse le prime grammatiche di montenegrino e macedone

Il problema del macedone è differente: esso come lingua standard esiste
ormai da piú di mezzo secolo, era infatti già in tempi jugoslavi la lingua
ufficiale della piú meridionale delle repubbliche.
Sicuramente presenta una certa somiglianza col bulgaro, potremmo dire che è
un dialetto tipologicamente bulgaro — non però una varietà regionale del
bulgaro — che si è standardizzato e reso autonomo (un po' come il corso
rispetto all'italiano, salvo che il suo status sociolinguistico e giuridico
è sicuramente molto meno favorevole).

Quanto al "montenegrino" mi sembra che si tratti invece d'uno štokavo-jekavo
(molto piú affine, almeno geneticamente, al croato standard di quanto non lo
siano la maggior parte dei dialetti della Croazia), scritto però in
caratteri cirillici (i montenegrini son infatti di tradizione ortodossa).
Credo che se vorranno davvero inventare una "lingua montenegrina" dovranno
usare piú fantasia di quanta ne occorrerebbe a noi per inventare una lingua
standard "toscana" distinta da quella italiana.


, in
>cui si afferma l'autonomia di detti idiomi. Probabilmente si tratta
>piú di ragioni politiche che linguistiche, me ne rendo conto,
>tuttavia, vista la situazione balcanica attuale, è opportuno essere
>accorti. Ricordo cosa disse un'insegnante di "serbocroato" (il corso
>si chiamava proprio cosí) ad una conferenza: "Una volta sapevo una
>lingua, ora mi sento una poliglotta, ne parlo almeno quattro". Ella
>invitava, per il futuro, ad usare etichette come "serbo" e "croato",
>soprattutto nei rapporti con gente di madre lingua. E piú spesso,
>parlando con un nativo, preferiva ricorrere ad espressioni tipo "la
>vostra lingua", onde evitare ogni tipo di problema.


Qui però, credo, non stiamo parlando tra madrelingua, mi sembra, e quindi
questa diplomazia mi pare superflua.

>Ciao,


Giovanni P.


Nicola Nobili

unread,
Sep 15, 2001, 2:43:42 PM9/15/01
to
Anna Ballanti Neufeld, grazie mille per il bellissimo messaggione.

> Da notare pero' che, essendo il
> faroese una lingua fortemente flessiva (semprecche' in italiano si dica
cosi
> ')

Cosí dicesi.

> Oltre a
> cio' e' da tenere presente il problema politico/sociale di scegliere un
> dialetto e usarlo come standard: non e' certo facile scegliere il dialetto
> da privilegiare.

Perché? La letteratura scritta, o quel poco che c'è, si concentra in una
particolare area, oppure è del tutto dispersa? Voglio dire, anche in Italia
non era facile scegliere quale dialetto far assurgere al ruolo di lingua
nazionale, ma poi s'è scelto il toscano per motivi di prestigio culturale.
Non vedo perché altrove la questione dovrebbe essere tanto diversa.

> La lingua scritta, avendo lo scopo di servire come
> mezzo di comunicazione tra le isole, deve essere uniforme e non sarebbe
> corretto previlegiare un dialetto particolare.

Perché no? Anzi, credo che scegliere uno standard e trascriverlo con
molta attenzione alla pronuncia consenta a TUTTI di imparare la corretta
pronuncia. Voglio dire, io ho potuto imparare come si dicono tante parole in
italiano standard, diverse dalla mia pronuncia locale, grazie ad una grafia
quasi perfettamente fonemica. Se invece pensiamo "non è giusto privilegiare
questo o quello", "cosí comunicano tutti", otteniamo che la lingua scritta è
uguale per tutti, quella orale no. Scegliendo uno standard e trascrivendolo
fonemicamente, la lingua scritta è uguale per tutti, inoltre tutti possono
comunicare anche oralmente. Il tutto, intendiamoci, a prescindere dal fatto
che tutti potrebbero parlare il proprio dialetto a casa propria, e anzi,
potrebbero dar vita ad una letteratura propria di quel dialetto, proprio
perché l'ortografia lo consente.

> º Se la lingua faroese e' destinata ad avere un futuro, un'ortografia
> etimologica presenta anche il vantaggio di avvicinarla alle altre lingue
> scandinave

Allora non poteva scegliere di "danesizzare" la propria ortografia?
Scegliere una grafia etimologica simile all'islandese, la meno parlata e la
piú isolata delle lingue scandinave, non è un grande vantaggio. Se invece
sceglievano un abbinamento suono/grafia piú simile al danese, o al
norvegese, o allo svedese, allora poteva funzionare meglio.

> Un altro vantaggio di questa ortografia e' quello di dare una parvenza di
> regolarita' alla morfologia.

Ma un madrelingua già conosce la morfologia! Questo dovrebbe essere
l'ultimo dei suoi problemi. Potrei capire uno straniero interessato
unicamente a leggere la lingua, senza mai parlarla, ma per un indigeno,
l'aspetto morfologico è del tutto irrilevante.

> Il dialetto centrale e' diventato una specie di norma, essendo quello che
> viene usato nei corsi di lingua e prevalentemente usato nelle trasmissioni
> radio e TV.

Appunto. Allora non potevano basare l'ortografia su questo dialetto? Il
quale, peraltro, grazie ai media rischia comunque seriamente di eliminare i
"suoi simili".

> Tengo a precisare che non trovo affatto demenziale che un popolo cerchi di
> mantenere la propria lingua e la propria cultura, anzi ammiro piu' i
50mila
> (scarsi) faroesi, i 260mila islandesi, e i tanti altri popoli (tra cui,
fra
> gli altri, anche i francesi) che combattono per mantenere pure le loro
> rispettive lingue di quegli italiani (quei pochi, spero) che pur
disponendo
> di una meravigliosa lingua con radici profonde e di quasi 60milioni di
> "colleghi" che parlano la stessa lingua usano inutili espressioni
straniere

D'accordissimo. Io sono uno strenuo oppositore dell'imbarbarimento
linguistico dovuto all'abuso indiscriminato di forestierismi. Però sono
anche contrario alle grafie non fonemiche, o all'attribuire un'importanza
troppo scarsa agli standards.

Giovanni Pontoglio

unread,
Sep 15, 2001, 3:15:02 PM9/15/01
to

Anna Ballanti Neufeld ha scritto nel messaggio
<9nuc0c$43ps$1...@ftp.univie.ac.at>...

>>grazie alla tradizione orale di tramandare racconti e ballate, che il
>faroese ha mantenuto il carattere arcaico dell'antico norreno sia nella
>morfologia che nel vocabolario (anche se non al livello dell'islandese).


Suppongo che l'arcaismo sia anche dovuto alla posizione isolata
dell'arcipelago, al suo essere una tipica "area laterale".

>Il primo lavoro letterario in faroese e'una raccolta di ballate ad opera di
>Jens Christian Svabo e risale alla fine del XVIII secolo. Seguono altre
>raccolte e traduzioni di autori vari. Ogni autore usa un'ortografia
fonetica
>piu' o meno di propria invenzione, e quindi fortemente influenzata dal
>proprio dialetto. Come dialetto, nel caso del faroese, si intende
>soprattutto una differenza di pronuncia. Da notare pero' che, essendo il
>faroese una lingua fortemente flessiva (semprecche' in italiano si dica
cosi
>')

Sí, si dice cosí.

>
>
>
lettera ð (che in
>faroese si chiama edd [ed°:] ... /e/ aperta e /d/ muta lunga);

Che intendi per "muta"? Per me "muta" vuol dire non pronunciata, e quindi di
lunghezza zero.

>
>Per chi ha mostrato ...... Aarhus University Press. 1996.


Ho letto le informazioni sul faroese con grande interesse. Copio nella
cartella "Articoli da conservare".

>
>Tengo a precisare che non trovo affatto demenziale che un popolo cerchi di
>mantenere la propria lingua e la propria cultura, anzi ammiro piu' i 50mila
>(scarsi) faroesi, i 260mila islandesi, e i tanti altri popoli (tra cui, fra
>gli altri, anche i francesi) che combattono per mantenere pure le loro
>rispettive lingue di quegli italiani (quei pochi, spero) che pur disponendo
>di una meravigliosa lingua

e di tante altre lingue (con o senza virgolette) locali e minoritarie,
aggiungo io,

> ...... seppure curarsi di imparare, almeno, la pronuncia corretta (anzi,


chi la usa
>viene deriso)!


Sante parole!

G.P.


Anna Ballanti Neufeld

unread,
Sep 15, 2001, 4:47:01 PM9/15/01
to

"Giovanni Pontoglio" <giop...@libero.it> schrieb im Newsbeitrag
news:WMNo7.71664$ul3.2...@news.infostrada.it...

>
>
> Suppongo che l'arcaismo sia anche dovuto alla posizione isolata
> dell'arcipelago, al suo essere una tipica "area laterale".

senza dubbio


>
>
> lettera ð (che in
> >faroese si chiama edd [ed°:] ... /e/ aperta e /d/ muta lunga);
>
> Che intendi per "muta"? Per me "muta" vuol dire non pronunciata, e quindi
di
> lunghezza zero.

gia', errore mio! Dopo avere a lungo meditato su come (forse) si dice
"stimmlos/voiceless" in italiano ho fatto, ovviamente, la scelta sbagliata.


>
>
>
> Ho letto le informazioni sul faroese con grande interesse. Copio nella
> cartella "Articoli da conservare".

freut mich sehr
>
> >
anna


Anna Ballanti Neufeld

unread,
Sep 15, 2001, 6:19:14 PM9/15/01
to

"Nicola Nobili" <nicolan...@libero.it> schrieb im Newsbeitrag
news:9o0836$a50kc$1...@ID-64088.news.dfncis.de...

>
> > Oltre a
> > cio' e' da tenere presente il problema politico/sociale di scegliere un
> > dialetto e usarlo come standard: non e' certo facile scegliere il
dialetto
> > da privilegiare.
>
> Perché? La letteratura scritta, o quel poco che c'è, si concentra in
una
> particolare area, oppure è del tutto dispersa?
>
la lingua scritta, al tempo di Hammershaimb, non esisteva; la "letteratura"
veniva tramandata oralmente

> > La lingua scritta, avendo lo scopo di servire come
> > mezzo di comunicazione tra le isole, deve essere uniforme e non sarebbe
> > corretto previlegiare un dialetto particolare.
>
> Perché no? Anzi, credo che scegliere uno standard e trascriverlo con
> molta attenzione alla pronuncia consenta a TUTTI di imparare la corretta
> pronuncia. Voglio dire, io ho potuto imparare come si dicono tante parole
in

> italiano standard, [...]

La pronuncia faroese "standard" non esiste.

> [...] otteniamo che la lingua scritta è
> uguale per tutti, quella orale no. [...]

questo e' appunto il caso del faroese.


>
> > º Se la lingua faroese e' destinata ad avere un futuro, un'ortografia
> > etimologica presenta anche il vantaggio di avvicinarla alle altre lingue
> > scandinave
>
> Allora non poteva scegliere di "danesizzare" la propria ortografia?
> Scegliere una grafia etimologica simile all'islandese, la meno parlata e
la
> piú isolata delle lingue scandinave, non è un grande vantaggio. Se invece
> sceglievano un abbinamento suono/grafia piú simile al danese, o al
> norvegese, o allo svedese, allora poteva funzionare meglio.

un "abbinamento suono/grafia" simile al danese non avrebbe migliorato le
cose, dato che non esiste tale abbinamento - la pronuncia danese non ha
molto a che vedere con la grafia: un po' come l'inglese, ma un po' peggio
In piu' esistono problemi politici per cui i faroesi, ancora oggi, lavorano
come matti per eliminare piu' "danicismi (?!)" possibile. Qualche secolo di
sottomissione e' bastato.

Imitare la grafia norvegese non sarebbe stato possibile dato che anche in
Norvegia a quel tempo la lingua ufficiale era piu' o meno il danese (bokmål
oppure Danonorwegisch/Danonorwegian). Al tempo della dominazione danese, in
Norvegia si parlava il danese; dopo il 1814, con l'indipendenza, i Norvegesi
hanno cominciato a distanziare il bokmål dal danese a colpi di riforme
linguistiche. L'altra lingua usata in Norvegia, il Nynorsk (conosciuto fino
al 1929 come Landsmaal, lingua scritta creata da Ivar Aasen a meta' del XIX
sec.) doveva rappresentare una alternativa al danese e al bokmål. Lo scopo
era quello di avere una lingua di origine nordica che escludesse il maggior
numero possibile di parole di origine tedesca e danese. Tale lingua, fra
l'altro, e' solo una lingua scritta: chi la scrive parla un dialetto!

Chiudiamo questa parentesi norvegese per tornate all'ortografia faroese.

L'idea di "copiare" lo svedese proprio non sarebbe potuta venire a nessuno.
A parte il fatto che storicamente la Svezia e le isole Faroe non hanno mai
avuto molto in comune (non dimenticare che le Faroe sono state colonizzate
dai Norvegesi, mentre gli Svedesi si sono diretti dalle tue parti --
intendo in Russia, non a Bologna!), anche le lingue appartengono a due rami
differenti sviluppatisi dall'antico norreno (chiedo venia! sono costretta a
usare i termini tedeschi per non fare ulteriori strafalcioni -- vedi "[d]
muta"!): Ostnordisch (danese, svedese) e Westnordisch (norvegese, faroese,
islandese). N.B. la suddivisione Ost- Westnordisch e' oggi superata; il
modello attuale e' quello proposto dal Prof. Arne Torp (Univ. Oslo) negli
anni '80 che suddivide le lingue in Scandinavisch (D., N., S.) e
Inselnordisch (Isl., Far.).


>
> > Un altro vantaggio di questa ortografia e' quello di dare una parvenza
di
> > regolarita' alla morfologia.
>
> Ma un madrelingua già conosce la morfologia! Questo dovrebbe essere
> l'ultimo dei suoi problemi. Potrei capire uno straniero interessato
> unicamente a leggere la lingua, senza mai parlarla, ma per un indigeno,
> l'aspetto morfologico è del tutto irrilevante.

chi deve imparare a scrivere una lingua apprezza una certa regolarita' --
nella seconda meta' del XIX secolo non erano in molti quelli che sapevano
scrivere faroese, chi parlava faroese scriveva danese (naturalmente
infarcito di espressioni faoresi)


>
> > Il dialetto centrale e' diventato una specie di norma, essendo quello
che
> > viene usato nei corsi di lingua e prevalentemente usato nelle
trasmissioni
> > radio e TV.
>
> Appunto. Allora non potevano basare l'ortografia su questo dialetto?
Il
> quale, peraltro, grazie ai media rischia comunque seriamente di eliminare
i
> "suoi simili".

Non penso che Hammershaimb nel 1846 si preoccupasse molto dei media ...


>
> > Tengo a precisare che non trovo affatto demenziale che un popolo cerchi
di
> > mantenere la propria lingua e la propria cultura, anzi ammiro piu' i
> 50mila
> > (scarsi) faroesi, i 260mila islandesi, e i tanti altri popoli (tra cui,
> fra
> > gli altri, anche i francesi) che combattono per mantenere pure le loro
> > rispettive lingue di quegli italiani (quei pochi, spero) che pur
> disponendo
> > di una meravigliosa lingua con radici profonde e di quasi 60milioni di
> > "colleghi" che parlano la stessa lingua usano inutili espressioni
> straniere
>
> D'accordissimo. Io sono uno strenuo oppositore dell'imbarbarimento
> linguistico dovuto all'abuso indiscriminato di forestierismi. Però sono
> anche contrario alle grafie non fonemiche, o all'attribuire un'importanza
> troppo scarsa agli standards.

gia', ma quali standards (nel caso del faroese)?
potrai anche essere contrario alle grafie non fonemiche, ma come la metti
allora con l'inglese, il danese, per certi aspetti anche il francese (una
buona parte di tante parole non viene pronunciata) e con le numerose altre
lingue con grafie non fonemiche (che io non conosco, ma che sicuramente
esistono)?
>
> Ciao,
> Nicola
>
anna


Nicola Nobili

unread,
Sep 16, 2001, 1:46:43 PM9/16/01
to
Anna Ballanti Neufeld

> La pronuncia faroese "standard" non esiste.

Ma questo, se mi permetti, mi sembra un handicap, in qualunque lingua.
Quando uno standard non c'è, sarebbe opportuno sceglierlo: privilegiare una
varietà piú prestigiosa delle altre (il caso del toscano divenuto italiano),
oppure una varietà piú diffusa, eventualmente con alcune modifiche (è il
caso, credo, del Tagalog/Filippino e dello Swahili in Tanzania), oppure si
può creare una varietà standard a tavolino, mediante un compromesso
ragionevole. Altrimenti, inevitabilmente i dialetti di quella lingua sono
deboli, rischiano continuamente di scomparire, male si prestano ad essere
utilizzati in àmbiti ufficiali e rischiano di avere un'ortografia
gratuitamente complicata.
Da quanto mi dici, sembra che la scelta di uno standard stia avvenendo,
oggigiorno, per mezzo dei media, che privilegiano una varietà (ne ignoro le
ragioni). Di fatto, se continuerà cosí, si giungerà ad una situazione simile
a quella che auspicavo, con però due complicazioni: 1-la scelta sarà
effettuata dalla televisione, non dai linguisti o dai poeti; 2-l'ortografia
sarà incasinata e irrazionale, quando si sarebbe potuto ovviare
l'inconveniente agendo a suo tempo.

> In piu' esistono problemi politici per cui i faroesi, ancora oggi,
lavorano
> come matti per eliminare piu' "danicismi (?!)" possibile.

Io direi, istintivamente, "danismi". Ma non ci scommetterei un soldo, a
prescindere dal fatto che non ho mai scommesso una lira in vita mia.

> mentre gli Svedesi si sono diretti dalle tue parti --
> intendo in Russia, non a Bologna!)

Ohibò, e da quando ho assunto la doppia cittadinanza? (Cosa peraltro
difficile da ottenere, conosco solo un'italiana che c'è riuscita, in una
ventina d'anni, nonostante il marito russo, la perfetta padronanza della
lingua e quant'altro). Sono lusingato, a volte mi prendono per irlandese, ma
per russo ancora non m'era capitato.

> chi deve imparare a scrivere una lingua apprezza una certa regolarita' --
> nella seconda meta' del XIX secolo non erano in molti quelli che sapevano
> scrivere faroese

Appunto, credo che un'ortografia conforme alla pronuncia li avrebbe
aiutati.

> potrai anche essere contrario alle grafie non fonemiche, ma come la metti
> allora con l'inglese, il danese, per certi aspetti anche il francese (una
> buona parte di tante parole non viene pronunciata) e con le numerose altre
> lingue con grafie non fonemiche

Come la metto io? Cara Anna, sopravvaluti la mia influenza. Voglio dire,
io posso farci ben poco, posso soltanto imparare l'ortografia di una lingua
per quella che è, non ho certo il potere di attuare una riforma. Mi rimane,
tuttavia, il diritto d'opinione, che esercito in questi casi criticando
quelli che secondo me sono orrori belli e buoni. In effetti molte lingue
hanno ortografie irregolarissime, spesso in nome di tradizioni sorpassate o
di un'etimologia che dovrebbe rispettare gli antenati, i quali al loro tempo
se ne fregavano altamente e scrivevano semplicemente come pronunciavano. Io
apprezzo molto sistemi ortografici come quello ungherese o quello bielorusso
o quello italiano o ceco (questi ultimi due un pochino pochino di meno, ma
sono pur sempre ottimi), considero buoni, ma con difetti, i sistemi
ortografici spagnolo o russo. Detesto grafie come quelle inglese o francese,
e anche l'arabo, pur cosí pratico per i madrelingua, è un incubo per chi non
ha ancora raggiunto un certo livello di conoscenza della lingua. Non parlo
degli ideogrammi orientali per non sollevare un vespaio, ma a parte il loro
valore estetico, dirò che li considero il peggiore sistema mai inventato.

Giovanni Drogo

unread,
Sep 17, 2001, 3:46:28 AM9/17/01
to
On Sat, 15 Sep 2001, Anna Ballanti Neufeld wrote:

> "stimmlos/voiceless" in italiano ho fatto, ovviamente, la scelta sbagliata.

voiced/voiceless non e' sonora/sorda ?

Nicola Nobili

unread,
Sep 17, 2001, 7:18:55 AM9/17/01
to
Giovanni Drogo

> > "stimmlos/voiceless" in italiano ho fatto, ovviamente, la scelta
sbagliata.
>
> voiced/voiceless non e' sonora/sorda ?

Esattamente. Ma forse in questo caso, trattandosi di una /d/, sarebbe
piú opportuno dire "desonorizzata" o "assordata". Tuttavia non mi pronuncio
con eccessiva sicurezza, non essendo espertissimo di esempî di questo tipo.

Giovanni Pontoglio

unread,
Sep 17, 2001, 4:13:39 PM9/17/01
to

Anna Ballanti Neufeld ha scritto nel messaggio
<9o0evi$6406$1...@ftp.univie.ac.at>...

>
>"Giovanni Pontoglio" <giop...@libero.it> schrieb im Newsbeitrag
>news:WMNo7.71664$ul3.2...@news.infostrada.it...
>> lettera ð (che in
>> >faroese si chiama edd [ed°:] ... /e/ aperta e /d/ muta lunga);
>>
>> Che intendi per "muta"? Per me "muta" vuol dire non pronunciata, e quindi
>di
>> lunghezza zero.
>
>gia', errore mio! Dopo avere a lungo meditato su come (forse) si dice
>"stimmlos/voiceless" in italiano ho fatto, ovviamente, la scelta sbagliata.
>>


Allora volevi dire: "sorda".


Saluti
G.P.


Paolo

unread,
Sep 18, 2001, 3:34:35 PM9/18/01
to

Nicola Nobili <nicolan...@libero.it> wrote in message
9o5c6v$arbev$1...@ID-64088.news.dfncis.de...

> Giovanni Drogo
>
> > > "stimmlos/voiceless" in italiano ho fatto, ovviamente, la scelta
> sbagliata.
> >
> > voiced/voiceless non e' sonora/sorda ?
>
> Esattamente. Ma forse in questo caso, trattandosi di una /d/, sarebbe
> piú opportuno dire "desonorizzata" o "assordata". Tuttavia non mi
pronuncio
> con eccessiva sicurezza, non essendo espertissimo di esempî di questo
tipo.

Se il caso è simile alla [d] inglese di "bad" ['bæd] direi che si può
parlare di "[d] desonorizzata" (IPA: circolino sotto).

È un tipo particolare di fonazione che si può avere anche nel Sud Italia:
vibrazione di corde vocali e contemporaneamente delle aritenoidi (che sono
aperte).

Ciao,
Paolo


Anna Ballanti Neufeld

unread,
Sep 19, 2001, 5:39:27 AM9/19/01
to

"Nicola Nobili" <nicolan...@libero.it> schrieb im Newsbeitrag
news:9o2qpa$atq6d$1...@ID-64088.news.dfncis.de...

> Anna Ballanti Neufeld
>
> > La pronuncia faroese "standard" non esiste.
>
> [...]

> Da quanto mi dici, sembra che la scelta di uno standard stia
avvenendo,
> oggigiorno, per mezzo dei media, che privilegiano una varietà (ne ignoro
le
> ragioni). [...]

Per il semplice fatto che la zona centrale, quella della capitale Tórshavn,
e' la piu' densamente popolata; la TV trasmette da questa area;
l'universita' e' a Tórshavn. La maggior parte dei faroesi e' quindi esposta
al dialetto di questa area in misura consistente.
>[...]
> Ciao,
> Nicola
>

N.B.: Io espongo solo i fatti. Non intendo discutere sulla validita' di
tendenze piu' o meno conservatrici delle varie lingue/ortografie -- tanto
ognuno di noi manterra' la propria opinione.

anna


Marco Cimarosti

unread,
Sep 19, 2001, 9:19:32 AM9/19/01
to
Nicola Nobili ha scritto:
> Anna Ballanti Neufeld
> [...]

> > potrai anche essere contrario alle grafie non fonemiche, ma come la metti
> > allora con l'inglese, il danese, per certi aspetti anche il francese (una
> > buona parte di tante parole non viene pronunciata) e con le numerose altre
> > lingue con grafie non fonemiche
>
> Come la metto io? Cara Anna, sopravvaluti la mia influenza. Voglio dire,
> io posso farci ben poco, posso soltanto imparare l'ortografia di una lingua
> per quella che è, non ho certo il potere di attuare una riforma. Mi rimane,
> tuttavia, il diritto d'opinione, che esercito in questi casi criticando
> quelli che secondo me sono orrori belli e buoni. In effetti molte lingue
> hanno ortografie irregolarissime, spesso in nome di tradizioni sorpassate o
> di un'etimologia che dovrebbe rispettare gli antenati, i quali al loro tempo
> se ne fregavano altamente e scrivevano semplicemente come pronunciavano. Io
> apprezzo molto sistemi ortografici come quello ungherese o quello bielorusso
> o quello italiano o ceco (questi ultimi due un pochino pochino di meno, ma
> sono pur sempre ottimi), considero buoni, ma con difetti, i sistemi
> ortografici spagnolo o russo. Detesto grafie come quelle inglese o francese,
> e anche l'arabo, pur cosí pratico per i madrelingua, è un incubo per chi non
> ha ancora raggiunto un certo livello di conoscenza della lingua. Non parlo
> degli ideogrammi orientali per non sollevare un vespaio, ma a parte il loro
> valore estetico, dirò che li considero il peggiore sistema mai inventato.

In realtà, non credo ci sia di che sollevare vespai. Il tuo
atteggiamento "partigiano" a favore dei sistemi di scrittura
alfabetici e fonemici è ampiamente condiviso, e per ottime ragioni.
Non si può negare che sistemi di scrittura di questo tipo abbiano
evidenti vantaggi in termini funzionali, né che siano ampiamente
utilizzati con successo per tantissime lingue del mondo.

Credo però che, su un NG di carattere linguistico come questo, il
discorso sui sistemi di scrittura possa andare ben oltre semplici
prese di posizione pro o contro l'uno o l'altro sistema. Immaginate
che noia se, parlando di lingue e dialetti, i discorsi fossero tutti
del tenore "i fonemi del francese sono più belli di quelli
dell'inglese", "o la grammatica del calabrese è migliore di quella del
veneto"...

Analogamente, credo che ci si dovrebbe sforzare di vedere nei sistemi
di scrittura non solo *strumenti* di lavoro della linguistica (dunque
più o meno criticabili e migliorabili) ma anche e soprattutto come
*oggetti* di studio a pieno titolo (e, dunque, come dati di fatto di
cui prendere atto e con i quali misurarsi).

Credo che ci si possano ormai lasciare alle spalle alcune scelte della
linguistica ottocentesca (penso a Saussure, ma non solo a lui) secondo
cui l'oggetto della linguistica debba essere solo e unicamente la
lingua parlata. A suo tempo, un simile atteggiamento è stato
necessario per sradicare pregiudizi secolari, secondo i quali gli
studi grammaticali ("grammatica" = "scienza delle lettere") potevano
riguardare solo le venerande lingue letterarie. Ma una volta sanata
questa tara, non si può e non si deve cadere nel pregiudizio opposto
di orbare la linguistica di una parte importante del suo oggetto di
studi: la forma scritta delle lingue e la scrittura soi-même.

Per buona parte del XX secolo, di scrittura in linguistica si è
parlato quasi unicamente a proposito della decifrazione di scritture
antiche. Ma, anche in questo caso, se ne parlava se e solo se c'era
una ricaduta di informazioni su altre aree della linguistica. Anche
di fronte a grandissimi successi come quello della decifrazione della
Lineare B (compiuto da Ventris e Chadwick negli anni '50) a molti
linguisti interessava sì (e giustamente!) il riaffiorare di un
antichissimo dialetto greco pre-omerico, ma poco o niente della
scoperta della *scrittura* micenea in sé e per sé. Persino gli
sviluppi che questa scoperta avrebbe potuto avere, per esempio, nella
decifrazione di altre scritture dell'area (come la Lineare A) venivano
ritenute roba da archeologi o da dilettanti.

Negli ultimi anni (soprattutto nei '90), si è visto però un certo
rifiorire dello studio dei sistemi di scrittura. Questa branca della
linguistica era stata per molto tempo talmente negletta che nessuno
s'era nemmeno degnato di trovarle un nome. Scartato l'ambiguo
"grafologia" (che si confonderebbe con l'omonima disciplina che studia
la calligrafia per scopi psicologici o giudiziari) la proposta
migliore rimane quella di Peter T. Daniels: "grammatology". (Con
questo post, m'illudo di essere il primo a italianizzare questa parola
in "grammatologia", ma spezzatemi pure il cuore citandomi decine di
fonti in cui la parola appare già da anni con questo stesso
significato. :-)

Si sta poco a poco formando un manipolo di linguisti che si occupano
prevalentemente di grammatologia, e la letteratura in proposito
comincia a farsi imponente. Fra questi studiosi, oltre al già
menzionato Peter T. Daniels, non posso non citare almeno William
Bright e Florian Coulmas. Quest'ultimo, in particolare, mi pare molto
attivo nella ricerca di basi teoriche che portino la "nuova"
disciplina sullo stesso piano di altri rami della linguistica.

La grammatologia sta inoltre articolandosi in alcune sotto-discipline
che, all'interno del suo vasto campo di studi, si occupano di aspetti
particolari, come ad esempio lo studio delle scritture contemporanee,
la storia delle scritture, gli aspetti psicologici della scrittura (e
qui rientra anche la vecchia grafologia). Vi sono poi articolazioni
applicative: la didattica per l'alfabetizzazione, aspetti
ingegneristici applicati alla tipografia o ai computer, la creazione
di nuove scritture o ortografie per lingue finora solo orali e,
infine, la veneranda decifrazione delle scritture antiche.

Per tornare al discorso di Nicola Nobili, si stanno anche via via
proponendo diverse teorie sulla funzionalità dei vari sistemi di
scrittura. Fra le altre cose, si stanno cercando risposte al perché
le caratteristiche di certe scritture (come l'omissione delle vocali,
l'apparente illogicità di certe ortografie e, a maggior ragione,
l'esistenza di scritture logografiche) abbiano tanto successo
nonostante la loro apparente irrazionalità.

Al momento mi pare che ci siano più domande che risposte, ma almeno
alcuni punti fermi stanno emergendo. Il primi due punti sono talmente
banali che ce ne rendiamo conto pure noi che non siamo specialisti: il
primo è che, nell'adozione di un sistema di scrittura, hanno enorme
importanza la tradizione e l'identificazione della scrittura con
qualche aspetto ideologico (religione, nazionalità, ecc.); il secondo
è che il pretesa primato della scrittura *alfabetica* rispetto ad
altri sistemi è un evidente pregiudizio eurocentrico.

Spiego meglio in cosa consista questo "pregiudizio alfabetico". E'
certamente vero che un'ortografia che si basi solamente (o
prevalentemente) sulla pronuncia delle parole ha degli evidenti
vantaggi per chi deve imparare a *scrivere*: se sai parlare e se
conosci le convenzioni ortografiche, et voilà, tu sai scrivere. E'
vero anche il contrario, cioè che un sistema di scrittura che, con
poche e chiare regole, permetta di pronunciare più o meno
correttamente i segni scritti ha evidenti vantaggi per chi deve
imparare a *leggere*: se conosci l'ortografia e hai una minima
infarinatura della lingua, there you are, tu sai leggere.

Questa stretta corrispondenza fra suono e grafia, però, non
s'identifica affatto con l'alfabeto! Esistono scritture alfabetiche
(l'inglese, per dirne una) che non sono affatto fonemiche e, al
contrario, scritture non alfabetiche che lo sono perfettamente o quasi
(ad esempio, il giapponese scritto senza kanji, così come tante altre
scritture sillabiche, dove un singolo segno trascrive due o più
"fonemi").

Insomma, perché una scrittura possa definirsi "fonemica" è sufficiente
che esista una chiara e semplice relazione fra i fonemi e grafemi, ma
*non* c'è bisogno che fra fonemi e grafemi esista una corrispondenza
uno a uno. Ad esempio, nella scrittura sillabica cree (usata anche
per altre lingue nordamericane, prime fra tutte l'eschimese del
Nunavut, Canada) esistono solo segni per le consonanti. Le vocali si
indicano ruotando le lettere di 90° (esistono dunque quattro vocali,
una per ogni "punto cardinale") e la mancanza di vocale si indica
rimpicciolendo la lettera.

Inoltre, il fatto che una scrittura sia sostanzialmente fonemica non
significa che *tutti* i fonemi (e altre informazioni soprasegmentali)
debbano necessariamente essere segnati. Ad esempio il bielorusso
l'italiano, che Nicola stesso ha indicato come esempi di scritture
piuttosto aderenti alla pronuncia, omettono quasi sempre di indicare
la sillaba tonica, nonostante questo dato non sia sempre prevedibile
in queste lingue. Allo stesso modo, la scrittura dell'arabo è
fortemente fonemica (le consonanti non scritte e le lettere non
pronunciate sono eccezioni ancora più circoscritte che in italiano, e
non esistono casi di lettere con più pronunce); il fatto che essa
ometta di segnare le vocali brevi non ha conseguenze più grandi che
non l'omissione dell'accento nell'italiano "tàvolo".

Esiste poi un terzo fattore che sembra abbastanza rilevante per il
successo di un sistema di scrittura: la *stabilità*. Ne ho già
parlato altre volte e mi scuso per la ripetizione: se le scritture
fonemiche hanno il vantaggio dell'immediatezza con cui i parlanti di
riescono a impadronirsene, hanno d'altra parte lo svantaggio che
questa semplicità tende a rimanere limitata nel tempo e nello spazio.

Quando, col passare del tempo, la lingua cambia, questa semplicità
viene a perdersi. Per mantenere l'iniziale "verginità", sarebbe
necessario una continua revisione dell'ortografia, e questo
comporterebbe (oltre a un continuo dispendio di energie) che grossi
pezzi di letteratura si perderebbero per strada anzitempo. Basta
comprare un manuale di storia dell'inglese e applicare all'incontrario
tutti i cambiamenti fonetici intercorsi negli ultimi secoli per
rendersi conto che lo spelling inglese non è (pardon: non era) poi
così poco fonemico.

Lo stesso problema si verifica anche sincronicamente, quando una
lingua parlata presenta varianti dialettali. Se si vuole adottare una
scrittura strettamente fonemica, i casi sono due: o ognuno scrive
"come parla", e allora si finisce per avere una letteratura che
ricalca (ampliate, però!) tutte le differenze che esistono nel
parlato, oppure si privilegia una particolare varietà, col risultato
che i vantaggi della corrispondenza suoni-segni rimangono limitati
solo a chi parla quella variante. Il secondo approccio è un po'
quello che viviamo dopo l'introduzione nell'italiano dell'accento
acuto (avvenuta, credo, intorno al 1970): chi è dell'Italia centrale
"sente" che /per'ke/ si scrive "perché" mentre /kaf'fE/ si scrive
"caffè"; i settentrionali e i meridionali, invece, devono mandare a
memoria l'ortografia delle varie parole.

Se, viceversa, l'ortografia rappresenta i suoni con una certa vaghezza
(di proposito o per ragioni storiche accidentali), molte differenze
dialettali potrebbero mimetizzarsi.

Tutte queste considerazioni possono sembrare (e sono!) oziose quando
si tratti di lingue letterarie come l'italiano e l'inglese, ma
diventano scottanti quando si deve definire l'ortografia di una lingua
non scritta, o con scarsa letteratura. Credo che qualsiasi soluzione
aprioristica sia destinata al fallimento: l'ortografia è uno dei tanti
aspetti della vita di un popolo e non può prescindere dalla cultura e
le esigenze di chi la usa. Dovendo "(ri)alfabetizzare" una lingua, la
scelta di una scrittura alfabetica e strettamente fonemica è
senz'altro la prima ipotesi da considerare e l'ultima da scartare ma,
comunque, non deve trasformarsi in un dogma.

Ciao.
Marco

Nicola Nobili

unread,
Sep 19, 2001, 2:33:07 PM9/19/01
to
Marco Cimarosti

> Credo però che, su un NG di carattere linguistico come questo, il
> discorso sui sistemi di scrittura possa andare ben oltre semplici
> prese di posizione pro o contro l'uno o l'altro sistema.

Senz'altro, per carità, tant'è che ho apprezzato moltissimo il messaggio
sulla storia dell'ortografia faroese. Ma è lecito, e anche necessario,
credo, fornire ANCHE opinioni, altrimenti il gruppo diviene uno scialbo
accumulo di dati.

> Immaginate
> che noia se, parlando di lingue e dialetti, i discorsi fossero tutti
> del tenore "i fonemi del francese sono più belli di quelli
> dell'inglese", "o la grammatica del calabrese è migliore di quella del
> veneto"...

È una cosa diversa, però: non discuto il "bello" e il "brutto", se non
in maniera incidentale. Ovviamente ho le mie idee e i miei gusti anche in
questo settore, ritengo certe lingue piú "belle" di altre, ma non si tratta
di discorsi consoni a questo gruppo. Io mi permetto, occasionalmente, di
discutere l'utilità, la razionalità di certi elementi, non il loro valore
estetico.

> Fra le altre cose, si stanno cercando risposte al perché
> le caratteristiche di certe scritture (come l'omissione delle vocali,
> l'apparente illogicità di certe ortografie e, a maggior ragione,
> l'esistenza di scritture logografiche) abbiano tanto successo
> nonostante la loro apparente irrazionalità.

Non tutte hanno avuto successo. L'omissione delle vocali, in certe
lingue, è effettivamente ragionevole, dal punto di vista di un madrelingua,
quindi la toglierei dall'elenco. E le scritture logografiche, da che ne so
io, oggi sono ridotte al cinese (che ha semplificato notevolmente la
scrittura ultimamente e si è avvalso del pinyin, però) e, in parte
variabile, al giapponese e a poche altre lingue orientali, mentre una volta
erano tantissime; ne deduco che oramai la logografia non ottenga piú grandi
successi.

> Questa stretta corrispondenza fra suono e grafia, però, non
> s'identifica affatto con l'alfabeto!

Infatti. In teoria, qualsiasi sistema di trascrizione dei suoni, purché
sia semplice e privo di ambiguità, può essere ottimo. Per ragioni storiche,
però, certi sistemi si prestano maggiormente di altri allo scopo. In
particolare, un alfabeto come quello latino, esteso nei secoli a una miriade
di lingue, con un discreto numero di lettere semplici e ben distinte tra
loro e cólla possibilità di avvalersi di molti diacritici, è ottimo.
POTENZIALMENTE, intendiamoci. L'alfabeto arabo è molto meno duttile:
l'assenza di vocali, applicata ad altre lingue, è improponibile, ed ovviare
usando sempre i diacritici (che per giunta a volte vanno sopra, a volte
sotto alla riga, rallentando la lettura) è faticoso. Inoltre i frequenti
svolazzi sopra e sotto alla riga limitano il numero di righe che si possono
stampare in una pagina, gli editori sembra che non apprezzino affatto, a
quanto mi dicono. Per certe lingue che hanno poche sillabe, va benissimo
anche un alfabeto sillabico.
Un ulteriore passo avanti, però, secondo me d'obbligo nel mondo
globalizzato di oggi, è quello di avere un sistema di scrittura facilmente
convertibile, o addirittura compatibile, con quei pochi che vengono
utilizzati nelle comunicazioni internazionali. Una lingua che usa l'alfabeto
latino è chiaramente favorita. Credo che quando i Somali, nel 1972, si
posero il problema di creare una forma scritta per la loro lingua, per la
prima volta nella storia, e scelsero il nostro alfabeto, fecero una scelta
saggissima. C'era chi consigliava l'alfabeto arabo, che ha suoni piú simili
al somalo delle lingue occidentali, ma questo ne avrebbe limitato le
potenzialità, e dovendo partire da zero, era piú opportuno fare una scelta
ben impostata una volta per tutte. Ora l'ortografia somala, perfettamente
regolare, è una delle migliori del mondo, nonché una delle piú facili da
apprendere.
Analogamente, quando i Cinesi, nel 1956, scelsero l'alfabeto latino per
il pinyin, ebbero un'intuizione felice. Erano stati proprosti infiniti
sistemi, alcuni basati sul cirillico, altri sull'alfabeto arabo, altri su
sistemi di trascrizione appositamente inventati. I Cinesi, giustamente,
pensarono di scegliere: 1- l'alfabeto piú diffuso al mondo 2- quello piú
usato nei rapporti internazionali 3- quello che si usa in tutte le lingue
(eccetto il russo) che tradizionalmente si studiano in Cina 4- quello che
tutti, bene o male, conoscono (mentre non tutti conoscono il cirillico o
l'alfabeto arabo). Insomma, se un russo o un arabo vuole imparare il cinese,
faccia lo sforzo, usando lettere che già conosce certamente, di imparare il
pinyin in caratteri latini. Ragionevole.
In altri momenti storici le cose sono state diverse, lo riconosco. Il
fatto che la Mongolia sia stata, di fatto, colonizzata dai Russi ha fatto sí
che vi si diffondesse l'alfabeto cirillico. Non so, onestamente, se il
mongolo abbia un'ortografia (cirillica) felice o meno (solo una volta mi
capitò in mano una "Grammatica comparativa delle lingue mongole" in russo,
ma era il secondo volume, quindi non c'ho capito quasi nulla), ma oramai
l'ortografia è troppo radicata e consolidata per pensare di cambiare
alfabeto da un giorno all'altro.

> Ad esempio, nella scrittura sillabica cree (usata anche
> per altre lingue nordamericane, prime fra tutte l'eschimese del
> Nunavut, Canada) esistono solo segni per le consonanti. Le vocali si
> indicano ruotando le lettere di 90° (esistono dunque quattro vocali,
> una per ogni "punto cardinale") e la mancanza di vocale si indica
> rimpicciolendo la lettera.

Premetto che non so nulla di questa lingua, ma mi chiedo: un pur cosí
simpatico e curioso sistema di scrittura non rende meno agevole la
scrittura? Voglio dire, scrivendo a mano (non so come si batta al computer!)
devi modificare continuamente l'orientamento e i movimenti, se non hai una
grafia chiara la differenza tra lettera grande e piccola si può perdere,
credo (da quel che dici) che non esistano le maiuscole e forse neanche un
corsivo, o se esiste deve essere complicato, visto che la prerogativa del
corsivo è unire tutte le lettere, e che per farlo bisogna che la direzione
in cui si tracciano sia sempre la stessa.

> Ad esempio il bielorusso
> l'italiano, che Nicola stesso ha indicato come esempi di scritture
> piuttosto aderenti alla pronuncia, omettono quasi sempre di indicare
> la sillaba tonica, nonostante questo dato non sia sempre prevedibile
> in queste lingue.

Si tratta dell'unico difetto reale di queste due ortografie. Il quale,
peraltro, non si nota sempre ed è generalmente facile da intuire. In
italiano, non vi tedio col riassunto delle regole sull'accentazione.
In bielorusso, la "o" è sempre tonica, altrimenti si scrive "a", e
alcune altre particolarità (non mi dilungo) rendono possibile molto spesso
di capire dove cada l'accento. Se poi conosci anche il russo, diventa quasi
automatico.

> Allo stesso modo, la scrittura dell'arabo è
> fortemente fonemica (le consonanti non scritte e le lettere non
> pronunciate sono eccezioni ancora più circoscritte che in italiano, e
> non esistono casi di lettere con più pronunce); il fatto che essa
> ometta di segnare le vocali brevi non ha conseguenze più grandi che
> non l'omissione dell'accento nell'italiano "tàvolo".

Mmmm... Non sono i madrelingua araba, ma non so se sono d'accordo.
Voglio dire, in una parola araba di tre sillabe, ci possono essere tre
vocali, e puoi fare tre errori (cambiando significato una dozzina di volte,
a seconda dell'errore). L'accento italiano, male che vada, ti fa dire una
parola per un'altra (caso non troppo frequente e raramente "pericoloso"),
spesso ti fa solo pronunciare in maniera buffa.

> Quando, col passare del tempo, la lingua cambia, questa semplicità
> viene a perdersi. Per mantenere l'iniziale "verginità", sarebbe
> necessario una continua revisione dell'ortografia

No, l'ortografia in quanto tale cambierebbe molto di rado. Ti faccio un
esempio: l'ortografia italiana è sostanzialmente identica a quella che era
100 anni fa. Una volta scrivevi "giovine", poi s'è preso a pronunciare
"giovane", e quindi s'è scritto di conseguenza. Insomma, muterebbe la forma
delle parole, ma sempre in maniera del tutto comprensibile, senza che
richieda sforzo alcuno, ma l'ortografia no, a meno che un numero sostanzioso
di suoni della lingua muti contemporaneamente.

> e questo
> comporterebbe (oltre a un continuo dispendio di energie) che grossi
> pezzi di letteratura si perderebbero per strada anzitempo.

Capisco, ma a parte che molta letteratura si può recuperare senza troppo
sforzo (chiunque abbia un'istruzione superiore può leggere Dante, vecchio di
sette-otto secoli), non dimenticare un'altra cosa: la fossilizzazione della
grafia impedisce di ricostruire buona parte della letteratura. Voglio dire,
la pronuncia corretta con cui si declamavano certe poesie antiche, dettaglio
non da poco, non si saprà mai con certezza. Ci si può illudere di aver
salvato una letteratura perché ne capiamo le parole scritte, ma ciò che
abbiamo è, a tutti gli effetti, un simulacro. Un'ortografia chiara e ben
fonemica consente di recuperare le pronunce andate con precisione molto
maggiore.

> Lo stesso problema si verifica anche sincronicamente, quando una
> lingua parlata presenta varianti dialettali. Se si vuole adottare una
> scrittura strettamente fonemica, i casi sono due: o ognuno scrive
> "come parla", e allora si finisce per avere una letteratura che
> ricalca (ampliate, però!) tutte le differenze che esistono nel
> parlato, oppure si privilegia una particolare varietà, col risultato
> che i vantaggi della corrispondenza suoni-segni rimangono limitati
> solo a chi parla quella variante.

Ma questa variante non è quasi mai una lingua naturale, bensí è sempre,
in una qualche misura, una lingua costruita. Vedi l'italiano, che non è
toscano (a maggior ragione non è toscano del XXI secolo). Inoltre, mi sembra
"ragionevole" che il gruppo piú numeroso, o piú influente, o piú
prestigioso, possa avere un piccolo vantaggio iniziale.
Non dimentichiamoci anche che una grafia fonemica consente anche di
SALVARE le varietà locali, i dialetti. La grafia unica rende impossibile
evidenziare, carpire le differenze regionali. Se invece, usando gli stessi
criterî dell'ortografia nazionale, eventualmente con qualche diacritico o
accorgimento ulteriore, trascriviamo un dialetto, possiamo rendere ragione
della sua pronuncia per tutti. A volte leggendo le trascrizioni di
interviste ad anglosassoni mi viene la curiosità di sapere come avevano
pronunciato certe parole, ma non riesco a soddisfarla.

> Se, viceversa, l'ortografia rappresenta i suoni con una certa vaghezza
> (di proposito o per ragioni storiche accidentali), molte differenze
> dialettali potrebbero mimetizzarsi.

Ma questo mi sembra un male, onestamente. Voglio dire, vedere "perché"
mi ha insegnato anche la corretta pronuncia della parola. Poi, con amici, in
ambienti informali, posso anche dire "perchè", se mi tira, ma conosco la
versione "corretta". Se l'ortografia non prevedesse questa finezza, avrei
faticato molto di piú, perché avrei dovuto mandare a memoria sia la grafia,
sia la pronuncia.

> Tutte queste considerazioni possono sembrare (e sono!) oziose quando
> si tratti di lingue letterarie come l'italiano e l'inglese, ma
> diventano scottanti quando si deve definire l'ortografia di una lingua
> non scritta, o con scarsa letteratura.

Senz'altro. Però ho letto di risultati straordinarî ottenuti nella
creazione di ortografie nuove, come quella della lingua fiji o del somalo.
Ci possono essere approcci successivi, errori e riformulazioni, ma credo che
i principî di cui sono convinto siano sostanzialmente validi.

Giovanni Pontoglio

unread,
Sep 19, 2001, 3:08:52 PM9/19/01
to
Marco Cimarosti ha scritto nel messaggio

>
>Insomma, perché una scrittura possa definirsi "fonemica" è sufficiente
>che esista una chiara e semplice relazione fra i fonemi e grafemi, ma
>*non* c'è bisogno che fra fonemi e grafemi esista una corrispondenza
>uno a uno. Ad esempio, nella scrittura sillabica cree (usata anche
>per altre lingue nordamericane, prime fra tutte l'eschimese del
>Nunavut, Canada) esistono solo segni per le consonanti. Le vocali si
>indicano ruotando le lettere di 90° (esistono dunque quattro vocali,
>una per ogni "punto cardinale") e la mancanza di vocale si indica
>rimpicciolendo la lettera.


Com'è sorta questa scrittura? E` stata creata "a tavolino" da occidentali
impegnatisi nella letterizzazione di lingue solo parlate (la regolarità del
procedimento lo farebbe pensare) o è sorta in modo piú spontaneo?


>Inoltre, il fatto che una scrittura sia sostanzialmente fonemica non
>significa che *tutti* i fonemi (e altre informazioni soprasegmentali)
>debbano necessariamente essere segnati. Ad esempio il bielorusso
>l'italiano, che Nicola stesso ha indicato come esempi di scritture
>piuttosto aderenti alla pronuncia, omettono quasi sempre di indicare
>la sillaba tonica, nonostante questo dato non sia sempre prevedibile
>in queste lingue. Allo stesso modo, la scrittura dell'arabo è
>fortemente fonemica (le consonanti non scritte e le lettere non
>pronunciate sono eccezioni ancora più circoscritte che in italiano, e
>non esistono casi di lettere con più pronunce); il fatto che essa
>ometta di segnare le vocali brevi non ha conseguenze più grandi che
>non l'omissione dell'accento nell'italiano "tàvolo".


In effetti queste lingue si può dire che abbiano una scrittura solo
parzialmente fonemica. Di lingue con scrittura interamente fonemica credo
che ce ne siano poche. Sono comunque d'accordo che non sia incompatibile col
concetto di grafia fonemica il non segnare un dato suono, purché ci siano
poche e chiare regole che permettano di sapere quando esso vada inserito,
come nel caso di /a/ in sanscrito.

>Lo stesso problema si verifica anche sincronicamente, quando una
>lingua parlata presenta varianti dialettali. Se si vuole adottare una
>scrittura strettamente fonemica, i casi sono due: o ognuno scrive
>"come parla", e allora si finisce per avere una letteratura che
>ricalca (ampliate, però!) tutte le differenze che esistono nel
>parlato, oppure si privilegia una particolare varietà, col risultato
>che i vantaggi della corrispondenza suoni-segni rimangono limitati
>solo a chi parla quella variante. Il secondo approccio è un po'
>quello che viviamo dopo l'introduzione nell'italiano dell'accento
>acuto (avvenuta, credo, intorno al 1970): chi è dell'Italia centrale


1970? No, credo che risalga già al tempo del Carducci.

>Se, viceversa, l'ortografia rappresenta i suoni con una certa vaghezza
>(di proposito o per ragioni storiche accidentali), molte differenze
>dialettali potrebbero mimetizzarsi.
>
>Tutte queste considerazioni possono sembrare (e sono!) oziose quando
>si tratti di lingue letterarie come l'italiano e l'inglese, ma
>diventano scottanti quando si deve definire l'ortografia di una lingua
>non scritta, o con scarsa letteratura. Credo che qualsiasi soluzione
>aprioristica sia destinata al fallimento: l'ortografia è uno dei tanti
>aspetti della vita di un popolo e non può prescindere dalla cultura e
>le esigenze di chi la usa. Dovendo "(ri)alfabetizzare" una lingua, la
>scelta di una scrittura alfabetica e strettamente fonemica è
>senz'altro la prima ipotesi da considerare e l'ultima da scartare ma,
>comunque, non deve trasformarsi in un dogma.
>


Credo che nella scelta "ex novo" della scrittura d'un idioma che n'è privo o
che difetta di grafia consolidata o di largo uso occorra tener conto di
molti fattori, sia interni alla lingua, sia esterni, quali:
1) quali funzioni si vuol attribuire alla lingua;
2) qual è il grado di vitalità della stessa;
3) di quali mezzi si dispone per (ri)alfabetizzarne i parlanti;
4) qual grado d'unitarietà si vuol dare alla lingua.

Se si pensa ad un uso esteso, onnifunzionale o quasi dell'idioma, si tenderà
a stabilizzarne la grafia secondo precisi criteri o fonetici o all'opposto
etimologici, mentre, se si pensa d'usarla per iscritto solo sporadicamente o
solo per determinate funzioni (p.es. folcloristiche o comunque espressive e
non comunicative) prevarrà l'improvvisazione della grafia pseudofonetica
idiolettale (rendere alla meno peggio i suoni dell'idioletto coi grafemi
della lingua nazionale);
se la lingua è tuttora largamente parlata, specie se è "la" lingua
colloquiale, si potrà anche accettare un maggiore stacco tra grafia e suono,
mentre si si tratta d'idioma in declino o addirittura in estinzione un forte
divario segno/suono sarebbe uno scoglio che indurrebbe i parlanti a non
scriverlo e scoraggerebbe i non parlanti dall'apprenderlo;
se si può contare su un forte apporto della scuola e dei media è ammissibile
un maggior divario suono-segno, se invece la letterizzazione dell'idioma
poggia solo sull'opera "privata" di pochi non conviene allontanarsi troppo
dal valore fonetico dei grafemi della lingua "tetto";
(circa il punto n°4, che richiederebbe un discorso piuttosto lungo, vi
tornerò con altro intervento).

>Ciao.


G.Pontoglio


Giovanni Pontoglio

unread,
Sep 19, 2001, 3:31:15 PM9/19/01
to

Anna Ballanti Neufeld ha scritto nel messaggio
<9o9p3o$3gs6$1...@ftp.univie.ac.at>...

>
>"Nicola Nobili" <nicolan...@libero.it> schrieb im Newsbeitrag
>news:9o2qpa$atq6d$1...@ID-64088.news.dfncis.de...
>> Anna Ballanti Neufeld
>>
>> > La pronuncia faroese "standard" non esiste.
>>
>> [...]
>> Da quanto mi dici, sembra che la scelta di uno standard stia
>avvenendo,
>> oggigiorno, per mezzo dei media, che privilegiano una varietą (ne ignoro

>le
>> ragioni). [...]
>
>Per il semplice fatto che la zona centrale, quella della capitale Tórshavn,
>e' la piu' densamente popolata; la TV trasmette da questa area;
>l'universita' e' a Tórshavn. La maggior parte dei faroesi e' quindi esposta
>al dialetto di questa area in misura consistente.

Si potrebbe allora tracciare un certo qual parallelo tra tale situazione e
quella dello svizzerotedesco (schwyzerdüütsch), dove lo zurighese tende ad
avere un simili ruolo-guida.

G.P.

Marco Cimarosti

unread,
Sep 20, 2001, 7:19:32 AM9/20/01
to
Giovanni Pontoglio ha scritto:

> >Insomma, perché una scrittura possa definirsi "fonemica" è sufficiente
> >che esista una chiara e semplice relazione fra i fonemi e grafemi, ma
> >*non* c'è bisogno che fra fonemi e grafemi esista una corrispondenza
> >uno a uno. Ad esempio, nella scrittura sillabica cree (usata anche
> >per altre lingue nordamericane, prime fra tutte l'eschimese del
> >Nunavut, Canada) esistono solo segni per le consonanti. Le vocali si
> >indicano ruotando le lettere di 90° (esistono dunque quattro vocali,
> >una per ogni "punto cardinale") e la mancanza di vocale si indica
> >rimpicciolendo la lettera.
>
> Com'è sorta questa scrittura? E` stata creata "a tavolino" da occidentali
> impegnatisi nella letterizzazione di lingue solo parlate (la regolarità del
> procedimento lo farebbe pensare) o è sorta in modo piú spontaneo?

A tavolino. E' stata inventata in tandem da un pastore protestante
(un angloamericano, purtroppo non ricordo il nome) e da un capo tribù
cree (il famoso Sekwoyah o Sequoia, che credo si sia poi fatto pastore
a sua volta), nel corso dell'Ottocento. Il primo utilizzo, come
spesso avviene in questi casi, è stato la traduzione della Bibbia in
cree.

Credo che l'idea di ruotare le consonanti per indicare le vocali si
ricolleghi anche alla grandissima importanza che i punti cardinali
hanno presso gli indiani d'America. Come si sa, i quattro punti
cardinali (più il centro) sono abbinati a ben determinati colori,
suoni, animali, qualità morali, ecc. e sono concetti filosofici
fondamentali per quelle culture.

> >[...] l'introduzione nell'italiano dell'accento


> >acuto (avvenuta, credo, intorno al 1970): chi è dell'Italia centrale
>
> 1970? No, credo che risalga già al tempo del Carducci.

Mi risulta che ci sia in proposito una norma UNI uscita in quegli
anni. Ne parla l'introduzione all'11ª edizione dello Zingarelli.
Comunque, non dubito che la distinzione, magari facoltativa, sia ben
più antica.

Sta di fatto che quando ero alle elementari io, negli anni '70, ci
insegnavano un unico tipo d'accento (non era né acuto né grave:
assomigliava piuttosto al segno di vocale breve in latino).

Inoltre, leggevo proprio quest'estate un romanzo di Pirandello (credo
dunque successivo al Carducci) che non aveva traccia di accenti acuti.
Così come un libro di fiabe degli anni '40 che leggevo giorni fa.

> Credo che nella scelta "ex novo" della scrittura d'un idioma che n'è privo o
> che difetta di grafia consolidata o di largo uso occorra tener conto di
> molti fattori, sia interni alla lingua, sia esterni, quali:
> 1) quali funzioni si vuol attribuire alla lingua;
> 2) qual è il grado di vitalità della stessa;
> 3) di quali mezzi si dispone per (ri)alfabetizzarne i parlanti;
> 4) qual grado d'unitarietà si vuol dare alla lingua.

Hai espresso benissimo quello che intendevo anch'io: nella scelta di
introdurre, modificare o mantenere un'ortografia, i fattori in gioco
sono moltissimi, e vanno tutti considerati.

L'idea di rappresentare in modo semplice e preciso i suoni della
lingua parlata è senz'altro giusta, ma è da bilanciare con tutti gli
altri fattori.

Alla tua lista aggiungerei almeno un punto 5: eventuali attributi
ideologici associati a determinati tipi di scrittura. Non sarà un
caso che, per scrivere lingue quasi identiche, i croati (cattolici)
usino l'alfabeto latino mentre i serbi (ortodossi) il cirillico, né
che l'urdu (Pakistan) si scriva con l'alfabeto arabo mentre l'hindi
(India) con il devanagari, nononstante anche queste due lingue siano
praticamente uguali.

Ciao.
Marco

Marco Cimarosti

unread,
Sep 20, 2001, 11:29:16 AM9/20/01
to
Nicola Nobili ha scritto:
> Marco Cimarosti
> [...]

> > Immaginate
> > che noia se, parlando di lingue e dialetti, i discorsi fossero tutti
> > del tenore "i fonemi del francese sono più belli di quelli
> > dell'inglese", "o la grammatica del calabrese è migliore di quella del
> > veneto"...
>
> È una cosa diversa, però: non discuto il "bello" e il "brutto", se non
> in maniera incidentale. Ovviamente ho le mie idee e i miei gusti anche in
> questo settore, ritengo certe lingue piú "belle" di altre, ma non si tratta
> di discorsi consoni a questo gruppo. Io mi permetto, occasionalmente, di
> discutere l'utilità, la razionalità di certi elementi, non il loro valore
> estetico.

D'accordissimo. Anzi io non escluderei neppure le considerazioni
estetiche: persino un chimico ha diritto di trovare certe molecole più
"belle" di altre. L'opinione che mi premeva esprimere è che anche la
scrittura è un legittimo oggetto della linguistica e quindi, anche su
questo tema, non bisogna perdere l'ottica scientifica. Ma questo non
esclude affatto punti di vista di tutt'altro genere.

> > Fra le altre cose, si stanno cercando risposte al perché
> > le caratteristiche di certe scritture (come l'omissione delle vocali,
> > l'apparente illogicità di certe ortografie e, a maggior ragione,
> > l'esistenza di scritture logografiche) abbiano tanto successo
> > nonostante la loro apparente irrazionalità.
>
> Non tutte hanno avuto successo. L'omissione delle vocali, in certe
> lingue, è effettivamente ragionevole, dal punto di vista di un madrelingua,
> quindi la toglierei dall'elenco. E le scritture logografiche, da che ne so
> io, oggi sono ridotte al cinese (che ha semplificato notevolmente la
> scrittura ultimamente e si è avvalso del pinyin, però) e, in parte
> variabile, al giapponese e a poche altre lingue orientali, mentre una volta
> erano tantissime; ne deduco che oramai la logografia non ottenga piú grandi
> successi.

Be', be'. Dire che la scrittura logografica cinese si usa "solo" per
le varie lingue cinesi, per il giapponese e per il coreano (oltre che,
sporadicamente, per il vietnamita) significa nominare svariate
centinaia di milioni di persone. Più o meno un quarto dell'umanità,
insomma.

E poi ne esistono in uso altre di scritture logografiche, ad esempio
quella usata per la lingua yi (o lolo), parlata sul confine
cinese-birmano, e almeno un'altra in Africa. Ma, d'accordo: questi
sono casi veramente di nicchia.

Esistono poi i moltissimi casi di ortografie alfabetiche (es. inglese,
francese, tailandese, ecc.) diventate talmente arbitrarie da assumere
molte caratteristiche dei sistemi logografici. E' lecito amare o
odiare queste scritture, ma non chiudere gli occhi sul fatto che,
comunque, svolgono egregiamente la loro funzione da secoli e per
miliardi di persone.

> > Questa stretta corrispondenza fra suono e grafia, però, non
> > s'identifica affatto con l'alfabeto!
>
> Infatti. In teoria, qualsiasi sistema di trascrizione dei suoni, purché
> sia semplice e privo di ambiguità, può essere ottimo. Per ragioni storiche,
> però, certi sistemi si prestano maggiormente di altri allo scopo. In
> particolare, un alfabeto come quello latino, esteso nei secoli a una miriade
> di lingue, con un discreto numero di lettere semplici e ben distinte tra
> loro e cólla possibilità di avvalersi di molti diacritici, è ottimo.
> POTENZIALMENTE, intendiamoci.

Ho i miei dubbi. Persino per lo stesso latino, che era la lingua per
cui era stato "progettato", questo alfabeto aveva diverse tare:

- non distingueva le vocali lunghe dalle brevi;

- non aveva lettere per i dittonghi "ae", "au", ecc., costringendo a
utilizzare ambigui bilitteri;

- non distingueva /w/ da /u/ e /j/ da /i/; inizialmente, non
distingueva nemmeno /k/ da /g/;

- aveva lettere ridondanti, come "k", "q" e "x", che si sarebbero
potute benissimo sostituire con "c", "c" e "cs" rispettivamente;

- le lettere hanno un ordine tradizionale totalmente arbitrario
(a,b,c,d,...) che non è basato né sul suono né sulla forma delle
lettere;

- è difficilmente estensibile, al contrario di quanto tu dici: guarda
il casino che facevano già i romani solo per traslitterare l'affine
alfabeto greco ("ph", "th", "ch", ecc.).

Se a tutto ciò si aggiunge la babele di norme e di segni diacritici in
uso nelle moderne lingue europee, non vedo come l'alfabeto latino si
possa definire "semplice e privo di ambiguità".

Se si potesse scegliere la scrittura basandosi solo sulle
caratteristiche di precisione fonetica e di razionalità, probabilmente
tutti scriveremmo in devanagari o in qualche altro alfabeto
dell'India.

> L'alfabeto arabo è molto meno duttile:
> l'assenza di vocali, applicata ad altre lingue, è improponibile, ed ovviare
> usando sempre i diacritici (che per giunta a volte vanno sopra, a volte
> sotto alla riga, rallentando la lettura) è faticoso.

Scusami, ma è tutto falso.

Innanzi tutto, le scritture araba, ebraica e siriaca sono strettamente
imparentate con quelle europee: comprendono all'incirca le stesse
lettere e all'incirca nello stesso "ordine alfabetico".

Quando i greci hanno adottato l'alfabeto semitico (capostipite di
tutti quelli nominati sopra) non hanno avuto grosse difficoltà ad
escogitare un modo di scrivere le vocali che a *loro* serviva
scrivere. L'unica incertezza c'è stata per la lettera "H" (heth,
êta), che ha oscillato per un bel po' fra il valore consonantico /h/ e
quello vocalico /e:/.

Con la stessa facilità *tutti* gli altri popoli indeuropei (o turchi,
o d'altra schiatta) che hanno via via adottato alfabeti semitici hanno
trovato il modo di segnare le vocali. Ad esempio in persiano, urdu,
pashto e in tante altre lingue IE chi si scrivono con l'alfabeto arabo
si scrivono regolarmente le vocali (e come si potrebbe ometterle,
vista la struttura indeuropea di quelle lingue?). Fanno eccezione
solo le parole di origine araba, che generalmente si scrivono e si
leggono come in arabo. Preciso che queste lingue usano poco o niente
le vocali diacritiche: al contrario, come fece a suo tempo il greco,
hanno attribuito ad alcune lettere arabe un valore vocalico.

Idem con patate per l'alfabeto ebraico usato per scrivere lingue
indeuropee come lo jiddisch (germanica) e il judesmo (neolatina):
alcune lettere hanno assunto un valore vocalico e il problema è stato
risolto.

Questa tecnica, del resto, è la stessa che si utilizza nelle stesse
lingue araba ed ebraica per traslitterare i nomi stranieri.

> Inoltre i frequenti svolazzi sopra e sotto alla riga limitano il numero di
> righe che si possono stampare in una pagina, gli editori sembra che non
> apprezzino affatto, a quanto mi dicono. Per certe lingue che hanno poche
> sillabe, va benissimo anche un alfabeto sillabico.

Questo è un problema solo per la bella tipografia, non per la vita di
tutti i giorni. Prendi qualsiasi quotidiano arabo e vedrai che il
piombo usato per il testo degli articoli ha lo stesso ingombro e lo
stesso "ductus" orizzontale che nei quotidiani nostri.

Per le edizioni con pretese artistiche si usano invece caratteri di
tipo tradizionale, molto più ingombranti, e si spaziano molto le righe
perché nel ductus tradizionale dell'arabo ogni parola è scritta in
diagonale, con un angolo di 4-5 gradi.

> Un ulteriore passo avanti, però, secondo me d'obbligo nel mondo
> globalizzato di oggi, è quello di avere un sistema di scrittura facilmente
> convertibile, o addirittura compatibile, con quei pochi che vengono
> utilizzati nelle comunicazioni internazionali. Una lingua che usa l'alfabeto
> latino è chiaramente favorita. Credo che quando i Somali, nel 1972, si
> posero il problema di creare una forma scritta per la loro lingua, per la
> prima volta nella storia, e scelsero il nostro alfabeto, fecero una scelta

> saggissima. [...]

Noticella: la scrittura latina del somalo è ancora in ballottaggio con
l'alfabeto osmaniya. Al momento non si capisce bene quale delle due
scritture riceverà la palma dell'ufficialità, a causa della ben nota
situazione di caos (o di "anarchia" come direbbe qualche maligno) in
cui versa il paese.

Comunque, certo: la scrittura latina è la più usata al mondo e per di
più è quella usata da molti fra i paesi più avanzati, quindi adottarla
è senz'altro una scelta saggia per molti paesi.

> Analogamente, quando i Cinesi, nel 1956, scelsero l'alfabeto latino per

> il pinyin, ebbero un'intuizione felice. [...]

Giustissimo, a patto che non si dimentichi che il pinyin in Cina
rimane comunque una notazione collaterale. E' un po' come da noi
l'IPA, anche se il pinyin è certo molto più importante nella vita
quotidiana di un Cinese che non l'IPA in quella di un italiano.

Non dimenticare poi che l'alfabeto autoctono bo-po-mo-fo è ancora in
uso sia nell'ex colonia di Hong Kong che nella "provincia ribelle" di
Taiwan, anche se entrambe stanno pianificando di convertirsi al
pinyin.

> In altri momenti storici le cose sono state diverse, lo riconosco. Il
> fatto che la Mongolia sia stata, di fatto, colonizzata dai Russi ha fatto sí
> che vi si diffondesse l'alfabeto cirillico. Non so, onestamente, se il

> mongolo abbia un'ortografia (cirillica) felice o meno [...]

Sì, il cirillico mongolo è di quelle scritture che piacciono a te (e
anche a me, in realtà): ad ogni fonema corrisponde una lettera e
viceversa. L'unico problema pratico è che ci sono un paio di lettere
speciali inesistenti in russo, così i mongoli non possono usare
computer, macchine da scrivere e altri aggeggi progettati per la
Russia. Nota però che quest'alfabeto si usa solo nella Repubblica di
Mongolia (detta anche "Mongolia Esterna").

Nella regione cinese della Mongolia Interna, invece, si usa ancora
l'alfabeto mongolo (usato un tempo anche per la lingua manciù). Si
tratta di una delle scritture più bizzarre che io abbia mai visto: si
scrive in verticale come il cinese di un tempo, però le colonne vanno
da sinistra a destra e le lettere sono "legate" corsivamente come in
arabo. L'ortografia è veramente infernale: è talmente etimologica che
costituisce una delle migliori fonti per ricostruire la pronuncia dei
tempi di Gengis Khan e, inoltre, ha complicatissime regole di armonia
vocalica per cui tutte le lettere si leggono in un modo (detto
"maschile") o in un altro (detto, indovina?, "femminile") a seconda
della struttura fonetica della parola. Come ciliegina sulla torta, le
lettere possono variare la loro forma secondo regole talmente
capricciose che nessun computer riesce a implementarle, tant'è vero
che Unicode ha deciso di aggiungere tre caratteri invisibili che
servono solo a segnalare al software quale forma usare per la lettera
che segue.

> > Ad esempio, nella scrittura sillabica cree [...]


>
> Premetto che non so nulla di questa lingua, ma mi chiedo: un pur cosí
> simpatico e curioso sistema di scrittura non rende meno agevole la
> scrittura? Voglio dire, scrivendo a mano (non so come si batta al
> computer!)

E perché mai?! Anche le nostre "b", "d", "p", e "q" hanno la stessa
forma, ruotata o speculare. E anche molte nostre minuscole si
distinguono dalle maiuscole solo per la dimensione.

Come la si batta sui computer non lo so, francamente. A proposito di
computer, il sito <http://www.nunavut.com> è probabilmente l'unico su
Internet a usare in questa scrittura (la lingua è esquimese). Senza
aver installato lo speciale font si può leggere correttamente solo la
pagina iniziale. Nota come le prime due lettere della parola
"nu-na-vu-t" abbiano la stessa forma ma siano ruotate (è sempre la
/n/, abbinata a vocali diverse) e come l'ultima lettera sia
rimpicciolita per indicare la /t/ finale.

> > Ad esempio il bielorusso [e]


> > l'italiano, che Nicola stesso ha indicato come esempi di scritture
> > piuttosto aderenti alla pronuncia, omettono quasi sempre di indicare
> > la sillaba tonica, nonostante questo dato non sia sempre prevedibile
> > in queste lingue.
>
> Si tratta dell'unico difetto reale di queste due ortografie. Il quale,
> peraltro, non si nota sempre ed è generalmente facile da intuire. In
> italiano, non vi tedio col riassunto delle regole sull'accentazione.

Be', non conosco il bielorusso ma per l'italiano questo non è certo
l'unico difetto! Quante volte da bambini avremo scritto "quore" o
letto "farmàcia"?

> In bielorusso, la "o" è sempre tonica, altrimenti si scrive "a", e
> alcune altre particolarità (non mi dilungo) rendono possibile molto spesso
> di capire dove cada l'accento. Se poi conosci anche il russo, diventa quasi
> automatico.
>
> > Allo stesso modo, la scrittura dell'arabo è
> > fortemente fonemica (le consonanti non scritte e le lettere non
> > pronunciate sono eccezioni ancora più circoscritte che in italiano, e
> > non esistono casi di lettere con più pronunce); il fatto che essa
> > ometta di segnare le vocali brevi non ha conseguenze più grandi che
> > non l'omissione dell'accento nell'italiano "tàvolo".
>
> Mmmm... Non sono i madrelingua araba, ma non so se sono d'accordo.
> Voglio dire, in una parola araba di tre sillabe, ci possono essere tre
> vocali, e puoi fare tre errori (cambiando significato una dozzina di volte,
> a seconda dell'errore). L'accento italiano, male che vada, ti fa dire una
> parola per un'altra (caso non troppo frequente e raramente "pericoloso"),
> spesso ti fa solo pronunciare in maniera buffa.

Ma no, è lo stesso ordine di problemi.

Ad esempio, una parola araba di tre lettere è quasi sicuramente la
terza persona singolare maschile di un verbo. La prima consonante ha
la "a" e l'ultima ha la "a" (in arabo classico) oppure niente (nei
dialetti moderni). Solo la vocale sulla lettera centrale lascia dei
dubbi: è spesso "a" ma in certi verbi può essere "i" o "u". Nota che
proprio questa vocale centrale, essendo atona, è soggetta alle
maggiori variazioni dialettali; addirittura potrebbe essere
pronunciata "schwa". Quanto sopra vale per *tutti* i verbi
trilitteri, compresi quelli mai visti prima.

Tutto ciò è analogo all'ortografia italiana, alle cui deficienze si
rimedia quasi sempre con la conoscenza della lingua e della sua
morfologia. Ad esempio, se io m'invento qui e ora il verbo
"quallare", tu che sei un madrelingua sai già benissimo che "quallano"
(la terza persona plurale dell'indicativo presente) si pronuncerà
sdrucciola.

> > Quando, col passare del tempo, la lingua cambia, questa semplicità
> > viene a perdersi. Per mantenere l'iniziale "verginità", sarebbe
> > necessario una continua revisione dell'ortografia
>
> No, l'ortografia in quanto tale cambierebbe molto di rado. Ti faccio un
> esempio: l'ortografia italiana è sostanzialmente identica a quella che era
> 100 anni fa.

La lingua italiana è sostanzialmente identica a quella che era 100
anni fa, e molto simile a quella che era 700 anni fa.

Se l'italiano avesse subito il cataclisma fonetico occorso
all'inglese, la nostra ortografia sarebbe altrettanto caotica. Oppure
non sarebbe più la stessa.

> Capisco, ma a parte che molta letteratura si può recuperare senza troppo
> sforzo (chiunque abbia un'istruzione superiore può leggere Dante, vecchio di

> sette-otto secoli), [...]

Vedi qui sopra. L'italiano di Dante non è paragonabile all'inglese
del Beowulf, come differenza dalle rispettive lingue moderne.

> non dimenticare un'altra cosa: la fossilizzazione della
> grafia impedisce di ricostruire buona parte della letteratura.

Vale anche il contrario: la grafia dell'inglese o del mongolo (non
cirillico) sono la migliore documentazione che abbiamo di come queste
lingue si pronunciassero secoli addietro.

> [...]

Su tutti gli altri tuoi ragionamenti, concordo e dissento allo stesso
tempo. Intendo dire che questo genere di cose si basano sempre molto
sul compromesso, vuoi razionalmente cercato vuoi casualmente ottenuto.

Ciao.
Marco

Nicola Nobili

unread,
Sep 20, 2001, 2:22:21 PM9/20/01
to
Marco Cimarosti

> Be', be'. Dire che la scrittura logografica cinese si usa "solo" per
> le varie lingue cinesi, per il giapponese e per il coreano (oltre che,
> sporadicamente, per il vietnamita) significa nominare svariate
> centinaia di milioni di persone. Più o meno un quarto dell'umanità,
> insomma.

Ma pochissime lingue. Peraltro, la Cina ha raggiunto livelli decenti di
alfabetizzazione soltanto in tempi recenti. Continuo a sostenere che la
logografia è in forte disuso, nei tempi moderni. Cosa succederà tra
cent'anni non lo so, ma la mia asserzione, al momento, mi sembra
incontestabile: conta quante scritture logografiche esistevano una volte e
quante oggi!

> > un alfabeto come quello latino, esteso nei secoli a una miriade
> > di lingue, con un discreto numero di lettere semplici e ben distinte tra
> > loro e cólla possibilità di avvalersi di molti diacritici, è ottimo.
> > POTENZIALMENTE, intendiamoci.
>
> Ho i miei dubbi. Persino per lo stesso latino, che era la lingua per
> cui era stato "progettato", questo alfabeto aveva diverse tare:

Temo che tu abbia perso quel POTENZIALMENTE tutto maiuscolo, che forniva
il senso alla frase. Ma vedremo in séguito.

> - non aveva lettere per i dittonghi "ae", "au", ecc., costringendo a
> utilizzare ambigui bilitteri;

Perché ambigui? E perché dovrebbe essere un male? Voglio dire, il
dittongo è formato da DUE fonemi. Se lo trascrivi coi due segni alfabetici
relativi a quei fonemi, non poteva esserci alcuna ambiguità o imperfezione.

> - non distingueva /w/ da /u/ e /j/ da /i/

Varianti. Non erano fonemi, nel latino classico. Nulla di cui
preoccuparsi. Sarebbe come /s/ e /z/ in italiano moderno: se vuoi fare
l'attore teatrale o il linguista te ne curi, altrimenti è una sottigliezza
priva di valore pratico.

> - aveva lettere ridondanti, come "k", "q" e "x", che si sarebbero
> potute benissimo sostituire con "c", "c" e "cs" rispettivamente;

Per "k", questa è scomparsa ben presto, sostituita da "c". Si tratta di
un cambiamento, che ha eliminato una possibile ridondanza. Per "q", ci
sarebbe un numero, limitato, lo so, di casi in cui è motivato, vedi "qui" e
"cui"

> - le lettere hanno un ordine tradizionale totalmente arbitrario
> (a,b,c,d,...) che non è basato né sul suono né sulla forma delle
> lettere;

E con ciò? Qualsiasi alfabeto al mondo ha un ordine arbitrario! Quale
sarebbe il problema?

> - è difficilmente estensibile, al contrario di quanto tu dici: guarda
> il casino che facevano già i romani solo per traslitterare l'affine
> alfabeto greco ("ph", "th", "ch", ecc.).

Qui ti confondi. Io ho detto POTENZIALMENTE. I Romani, evidentemente,
hanno fatto casino, ma l'hanno fatto loro, non il loro alfabeto. E per
giunta, io parlavo chiaramente dell'alfabeto latino ADESSO, dopo che è stato
usato per molti secoli da tantissime lingue, divenendo quindi piú
internazionale degli altri. Una Ferrari fatta guidare a un mediocre ottiene
risultati mediocri, ma resta una grande macchina.

> Se a tutto ciò si aggiunge la babele di norme e di segni diacritici in
> uso nelle moderne lingue europee, non vedo come l'alfabeto latino si
> possa definire "semplice e privo di ambiguità".

POTENZIALMENTE. Ribadisco.
Peraltro, il mio uso di "semplice e privo di ambiguità" si riferiva
all'aspetto grafico. Mi darai atto, spero, che le lettere dell'alfabeto
latino hanno enormi qualità grafiche:

-sono ben distinte (a differenza dell'arabo, per esempio)
-rientrano quasi tutte nella riga o quasi (a differenza dell'arabo, per
esempio)
-sono semplicissime, composte di pochissimi tratti essenziali
-hanno stili altamente codificati sia nello stampatello che nel corsivo

Ribadisco: mi sembra che l'alfabeto latino sia, nel complesso, "semplice


e privo di ambiguità".

> > L'alfabeto arabo è molto meno duttile:


> > l'assenza di vocali, applicata ad altre lingue, è improponibile, ed
ovviare
> > usando sempre i diacritici (che per giunta a volte vanno sopra, a volte
> > sotto alla riga, rallentando la lettura) è faticoso.
>
> Scusami, ma è tutto falso.

Mi chiedo come sia possibile! Ma vediamo...

> Innanzi tutto, le scritture araba, ebraica e siriaca sono strettamente
> imparentate con quelle europee: comprendono all'incirca le stesse
> lettere e all'incirca nello stesso "ordine alfabetico".

Non l'ho mai negato. Ma cosa c'entra?

> Quando i greci hanno adottato l'alfabeto semitico (capostipite di
> tutti quelli nominati sopra) non hanno avuto grosse difficoltà ad
> escogitare un modo di scrivere le vocali che a *loro* serviva
> scrivere.

Ma hanno modificato l'alfabeto in toto, a loro necessità! Non è questo
che intendevo. Intendevo dire che, se dobbiamo scrivere un'altra lingua
nell'alfabeto ARABO (mi riferivo esplicitamente solo a questo, non a tutti
gli alfabeti semiti), facciamo spessissimo fatica, visto che si presta
pochissimo alle altre lingue. Guarda cosa hanno dovuto fare quei (non
troppi) popoli che l'hanno adottato: hanno creato nuove lettere
semplicemente modificando il numero di puntini posti sopra o sotto le
lettere già esistenti. Di una stessa lettera possono anche esistere SEI
varianti identiche: un puntino sopra, un puntino sotto, due puntini sopra,
due puntini sotto, tre puntini sopra, tre puntini sotto. Come si può dire
che la scrittura non è difficile e lenta da leggere? Confronta cólla
scrittura latina, le sue lettere ben distinte. Peraltro, su questo punto era
d'accordo persino il mio insegnante di arabo, filo-arabo fino al midollo, il
che è tutto dire...

> Ad esempio in persiano, urdu,
> pashto e in tante altre lingue IE chi si scrivono con l'alfabeto arabo
> si scrivono regolarmente le vocali (e come si potrebbe ometterle,
> vista la struttura indeuropea di quelle lingue?).

Con certi problemi. Appensantendo la scrittura, fatta per essere
essenziale. Oppure usando due consonanti distinte col medesimo valore
solamente per distinguere la vocale che segue. Per esempio, il turco, che
non ha consonanti enfatiche, usava le enfatiche corrispondenti come
"equivalenti" delle non enfatiche, sottintendendo che erano seguite da
un'altra vocale. Sistema pensante e ridondante. Tant'è che, a detto di
parecchî che ho interpellato al riguardo, i Turchi sono ben lieti di essere
passati al nostro alfabeto, che a loro dire è molto piú adatto alla loro
lingua.

> leggono come in arabo. Preciso che queste lingue usano poco o niente
> le vocali diacritiche: al contrario, come fece a suo tempo il greco,
> hanno attribuito ad alcune lettere arabe un valore vocalico.

Quando possono. Ma l'alfabeto arabo ha solo 28 lettere, tipologicamente
quasi identiche. Ciò costringe a differenziare di pochissimo i suoni, nella
grafia. Come avevo affermato in precedenza.

> Questa tecnica, del resto, è la stessa che si utilizza nelle stesse
> lingue araba ed ebraica per traslitterare i nomi stranieri.

No, non proprio, almeno per l'arabo. I nomi stranieri, trascritti in
arabo, fanno pena. Si usano solo tre vocali (e non c'è Santo che tenga!),
sempre segnalate come lunghe (quindi un nome straniero può risultare pesante
da leggere, se ha molte vocali), e i suoni consonantici che non esistono in
arabo sono aggiustati in maniera del tutto approssimativa.

> > Inoltre i frequenti svolazzi sopra e sotto alla riga limitano il numero
di
> > righe che si possono stampare in una pagina, gli editori sembra che non
> > apprezzino affatto, a quanto mi dicono. Per certe lingue che hanno poche
> > sillabe, va benissimo anche un alfabeto sillabico.
>
> Questo è un problema solo per la bella tipografia, non per la vita di
> tutti i giorni.

Anche per quella. Conta le righe di un libro arabo, se non ci credi. E a
parità di numero di righe, il testo arabo è meno leggibile. È il perenne
cruccio degli editori.

> Noticella: la scrittura latina del somalo è ancora in ballottaggio con
> l'alfabeto osmaniya. Al momento non si capisce bene quale delle due
> scritture riceverà la palma dell'ufficialità, a causa della ben nota
> situazione di caos (o di "anarchia" come direbbe qualche maligno) in
> cui versa il paese.

Cosa succederà in futuro, non lo so, ma l'unica grafia del somalo,
ufficializzata con tutti i crismi ed insegnata nelle scuole, è quella
coll'alfabeto latino, credimi. Al proposito ho interpellato un professore
che, sposato con una somala, ha scritto forse l'unica opera seria su questa
lingua disponibile in italiano, ed è stato molto chiaro. (E spero che
rimanga tutto inalterato, anche se le armi hanno spesso il sopravvento sulla
ragione).

> > Premetto che non so nulla di questa lingua, ma mi chiedo: un pur
cosí
> > simpatico e curioso sistema di scrittura non rende meno agevole la
> > scrittura? Voglio dire, scrivendo a mano (non so come si batta al
> > computer!)
>
> E perché mai?! Anche le nostre "b", "d", "p", e "q" hanno la stessa
> forma, ruotata o speculare.

Ma sono solo quattro, e solo in stampatello. Non è una regola di ogni
lettera. Forse mi sbaglio, ma tu mi hai dato l'impressione che, in questa
lingua, ogni lettera possa rotare in ogni direzione a seconda della vocale.
Questo mi sembrerebbe, ad occhio, un inconveniente grafico di non poco
conto, che potrebbe anche rendere impossibile la scrittura di un corsivo.
Oppure ho capito male?

> E anche molte nostre minuscole si
> distinguono dalle maiuscole solo per la dimensione.

Senz'altro, ma mi era parso di capire che le dimensioni della lettera
indicassero la presenza o meno di una vocale, ovvero che la lettera piccola
ne indicasse l'assenza. Allora, mi viene da pensare, la scrittura non può
avere lettere maiuscole, e forse comporta uno sforzo maggiore nella lettura.
Prova a scrivere un testo usando per certe lettere il carattere 14 e per
altre il carattere 10, vedrai quanta fatica in piú fai! Certo, non conosco
questa scrittura, potrei sbagliarmi, ma questa è l'impressione che mi fa "a
occhio".

> Be', non conosco il bielorusso ma per l'italiano questo non è certo
> l'unico difetto! Quante volte da bambini avremo scritto "quore" o
> letto "farmàcia"?

Per "farmacia" si tratta di accento, quindi proprio dell'unico difetto
di cui parlavo. Per "cuore", si tratta di un'eccezione. Le eccezioni, in
italiano, sono pochissime. Ogni lingua ne ha qualcuna, c'è poco da fare, se
non impararle a memoria.

> Ad esempio, una parola araba di tre lettere è quasi sicuramente la
> terza persona singolare maschile di un verbo.

Con tutto il dovuto rispetto, questo è falsissimo. Vuoi prendere un
dizionario arabo e controllare quante migliaia di parole di tre lettere sono
sostantivi o aggettivi? E per tutti questi, il tuo discorso non vale. Anzi,
le parole di tre lettere, visto il trilitterismo tipico dell'arabo, sono di
gran lunga le piú difficilmente identificabili! Quanti omografi, senza
ricorrere a segnetti o ad un contesto! Se c'è un suffisso o un prefisso ci
si può aiutare e, solitamente, decifrare il tutto con chiarezza (per un
madrelingua, però!), ma per gli altri...

> Tutto ciò è analogo all'ortografia italiana, alle cui deficienze si
> rimedia quasi sempre con la conoscenza della lingua e della sua
> morfologia.

No, no no! Se sbagli una vocale in arabo, puoi dire tutt'altra parola. A
questo si aggiunga che un non madre lingua non può indovinare le vocali non
segnalate prima di aver raggiunto un notevole livello di padronanza della
lingua (io, che ho studiato arabo due anni, non ci riesco quasi mai).
In italiano, CHIUNQUE, italiano o straniero che ha studiato l'italiano
per mezz'ora, al massimo può sbagliare l'accento, ma sa leggere e scrivere
quasi tutto. Ho detto "mezz'ora" non a caso: ricordo che una volta, anni fa,
un ragazzo a Minsk mi chiese di insegnargli l'italiano. Dopo mezz'ora
scriveva sotto dettatura senza quasi fare errori. Trova un qualsiasi
straniero in grado di fare lo stesso scrivendo in arabo...

> Vale anche il contrario: la grafia dell'inglese o del mongolo (non
> cirillico) sono la migliore documentazione che abbiamo di come queste
> lingue si pronunciassero secoli addietro.

Perché l'inglese, allora, era una scrittura fortemente fonemica! Ma se
devi ricostruire la pronuncia di autori già un po' piú recenti, tipo Donne,
allora la grafia inglese non ti facilita affatto. Tant'è che ancora oggi si
discute se si debba dire "donn" o "dann".
Insomma, se le grafie fossilizzate consentono di ricostruire una lingua
antica, è sempre e solo perché questa lingua antica, UNA VOLTA, era
fortemente fonemica. Non si scappa, è sempre quella la caratteristica
rilevante allo scopo.

Giovanni Pontoglio

unread,
Sep 20, 2001, 3:59:27 PM9/20/01
to
Nicola Nobili ha scritto nel messaggio <9o2qpa$atq6d$1@ID-


>In effetti molte lingue
>hanno ortografie irregolarissime, spesso in nome di tradizioni sorpassate o
>di un'etimologia che dovrebbe rispettare gli antenati, i quali al loro
tempo
>se ne fregavano altamente e scrivevano semplicemente come pronunciavano. Io


Verissimo. Aggiungo: spesso "etimologizzavano" a modo loro!
Però se un sistema non aderente al dato fonetico (che dovrebbe peraltro a
mio avviso permettere comunque di risalire mediante regole alla pronuncia) è
studiato secondo criteri coerenti e funzionali può avere i suoi vantaggi.

>apprezzo molto sistemi ortografici come quello ungherese o quello
bielorusso
>o quello italiano o ceco (questi ultimi due un pochino pochino di meno, ma
>sono pur sempre ottimi), considero buoni, ma con difetti, i sistemi
>ortografici spagnolo o russo.

Che cosa non ti va dello spagnolo? A me pare un sistema ottimo, almeno in
riferimento alla pronuncia castigliana standard, per quel che ne so.

Detesto grafie come quelle inglese o francese,
>e anche l'arabo, pur cosí pratico per i madrelingua, è un incubo per chi
non
>ha ancora raggiunto un certo livello di conoscenza della lingua. Non parlo
>degli ideogrammi orientali per non sollevare un vespaio, ma a parte il loro
>valore estetico, dirò che li considero il peggiore sistema mai inventato.
>


Suppongo che ce ne sia uno ancora peggiore (anche qui estetica a parte):
gl'ideogrammi egizi. Ma eravano agli albori della scrittura: perdonabile.

> Ciao,

G.Pontoglio

Giovanni Pontoglio

unread,
Sep 20, 2001, 4:50:35 PM9/20/01
to

Marco Cimarosti ha scritto nel messaggio
<1604968.01092...@posting.google.com>...

>
>Ho i miei dubbi. Persino per lo stesso latino, che era la lingua per
>cui era stato "progettato", questo alfabeto aveva diverse tare:
>
>
>- non aveva lettere per i dittonghi "ae", "au", ecc., costringendo a
>utilizzare ambigui bilitteri;


Perché ambigui i dittonghi? L'iato nel caso di "ae" ed "au" è, mi sembra,
abbastanza raro.

>
>- è difficilmente estensibile, al contrario di quanto tu dici: guarda
>il casino che facevano già i romani solo per traslitterare l'affine
>alfabeto greco ("ph", "th", "ch", ecc.).


ph, th, ch mi sembrano grafie del tutto chiare e pratiche.
Il difetto dell'alfabeto altino, a mio avviso, sta soltanto nelle troppo
pochi grafemi vocalici.

>
>Se si potesse scegliere la scrittura basandosi solo sulle
>caratteristiche di precisione fonetica e di razionalità, probabilmente

>tutti scriveremmo in devanagari ...


Che però è a mio avviso troppo complesso (almeno per quanto riguarda le
consonanti fuse tra loro), specie per le esigenze tipografiche.


>
>
>Innanzi tutto, le scritture araba, ebraica e siriaca sono strettamente
>imparentate con quelle europee: comprendono all'incirca le stesse
>lettere e all'incirca nello stesso "ordine alfabetico".


Non conosco quella siriaca; l'araba a quanto mi risulta NON coincide
nell'ordine alfabetico (però il parallelismo ricompare se ordiniamo i
caratteri arabi in base al valore numerico, peraltro inusitato grazie
all'esistenza dei numeri appunto "arabi").

>
>Con la stessa facilità *tutti* gli altri popoli indeuropei (o turchi,
>o d'altra schiatta) che hanno via via adottato alfabeti semitici hanno
>trovato il modo di segnare le vocali. Ad esempio in persiano, urdu,
>pashto e in tante altre lingue IE chi si scrivono con l'alfabeto arabo
>si scrivono regolarmente le vocali (e come si potrebbe ometterle,
>vista la struttura indeuropea di quelle lingue?). Fanno eccezione
>solo le parole di origine araba, che generalmente si scrivono e si
>leggono come in arabo.

Di urdu e pashto non so nulla, ma in persiano (a meno che qualcosa sia
cambiato modernamente) a quanto mi risulta i segni delle vocali (brevi)
s'usano tanto poco quanto in arabo.
Questo difetto però per l'arabo e il pers. è meno grave di quanto sarebbe
per noi, data l'esistenza di sole tre vocali non scritte.
Una sequenza CCC potrebbe quindi essere:
CaCaC CaCiC CaCuC CaCC
CiCaC CiCiC CiCuC CiCC
CuCaC CuCiC CuCuC CuCC
dunque 12 possibilità (non ho contato la possibilità d'una vocale finale,
esclusa in persiano).
In una lingua occidentale, oltre al fatto che sarebbero possibili anche
strutture CCVC, le combinazioni possibili sarebbero molte di piú, date la 7
vocali italiane (e tedesche), le 9 (10?) francesi ecc.

>
>> > Ad esempio il bielorusso [e]
>> > l'italiano, che Nicola stesso ha indicato come esempi di scritture
>> > piuttosto aderenti alla pronuncia, omettono quasi sempre di indicare
>> > la sillaba tonica, nonostante questo dato non sia sempre prevedibile
>> > in queste lingue.
>>
>> Si tratta dell'unico difetto reale di queste due ortografie. Il
quale,
>> peraltro, non si nota sempre ed è generalmente facile da intuire. In
>> italiano, non vi tedio col riassunto delle regole sull'accentazione.


L'italiano ha in piú il problema delle s, delle z, della cogeminazione (per
chi la considera standard).


Saluti
G.P.


Giovanni Pontoglio

unread,
Sep 20, 2001, 5:01:20 PM9/20/01
to

Nicola Nobili ha scritto nel messaggio <9odd1h$cfth1$1@ID->


>
>> - non aveva lettere per i dittonghi "ae", "au", ecc., costringendo a
>> utilizzare ambigui bilitteri;
>
> Perché ambigui? E perché dovrebbe essere un male? Voglio dire, il
>dittongo è formato da DUE fonemi.

Questione controversa.


>
>> - non distingueva /w/ da /u/ e /j/ da /i/
>
> Varianti. Non erano fonemi, nel latino classico.

Non mi pare, almeno per quanto concerne <V>. Che cosa ci permettere di dire
a priori che <VIVO> sia [wiwo] e non [ujuo] (prescindo qui dalla quantità
vocalica)?

> E con ciò? Qualsiasi alfabeto al mondo ha un ordine arbitrario!

Il devanagari no.

Saluti

G.P.


Giovanni Pontoglio

unread,
Sep 20, 2001, 5:17:50 PM9/20/01
to

Marco Cimarosti ha scritto nel messaggio
<1604968.01092...@posting.google.com>...

>
>> >[...] l'introduzione nell'italiano dell'accento
>> >acuto (avvenuta, credo, intorno al 1970): chi è dell'Italia centrale
>>
>> 1970? No, credo che risalga già al tempo del Carducci.
>
>Mi risulta che ci sia in proposito una norma UNI uscita in quegli
>anni. Ne parla l'introduzione all'11ª edizione dello Zingarelli.
>Comunque, non dubito che la distinzione, magari facoltativa, sia ben
>più antica.
>
>Sta di fatto che quando ero alle elementari io, negli anni '70, ci
>insegnavano un unico tipo d'accento (non era né acuto né grave:
>assomigliava piuttosto al segno di vocale breve in latino).


Anche a me è stato insegnato questo accento neutro: che ci siano un grave e
un acuto NON l'ho appreso a scuola. Tutt'oggi credo che la maggioranza
degl'insegnanti elementari non insegni a differenziare gli accenti (lo vedo
dal fatto che i miei allievi dell'istituto tecnico ignorano tali
distinzioni).
Aggiungo un osservazione: parecchi tra coloro che scrivono il bresciano
distinguono l'acuto dal grave in dialetto, ma usano sempre il grave in
italiano (basta leggere una qualsiasi pubblicazione in dialetto o contenete
testi in dialetto per constatarlo). Inoltre qui tanti usano gli accenti
acuti e gravi "alla francese", anche sulle sillabe atone (in dialetto, sto
dicendo): fuorviantissimo.

Saluti
G.P.

>Inoltre, leggevo proprio quest'estate un romanzo di Pirandello (credo
>dunque successivo al Carducci) che non aveva traccia di accenti acuti.
> Così come un libro di fiabe degli anni '40 che leggevo giorni fa.
>


Non intendo dire che già allora fosse generalizzata.


>> Credo che nella scelta "ex novo" della scrittura d'un idioma che n'è
privo o
>> che difetta di grafia consolidata o di largo uso occorra tener conto di
>> molti fattori, sia interni alla lingua, sia esterni, quali:


>


>Hai espresso benissimo quello che intendevo anch'io: nella scelta di
>introdurre, modificare o mantenere un'ortografia, i fattori in gioco
>sono moltissimi, e vanno tutti considerati.
>

>Alla tua lista aggiungerei almeno un punto 5: eventuali attributi
>ideologici associati a determinati tipi di scrittura. Non sarà un
>caso che, per scrivere lingue quasi identiche, i croati (cattolici)
>usino l'alfabeto latino mentre i serbi (ortodossi) il cirillico, né
>che l'urdu (Pakistan) si scriva con l'alfabeto arabo mentre l'hindi
>(India) con il devanagari, nononstante anche queste due lingue siano
>praticamente uguali.


Probabilmente credo che ci fosse qualcosa d'ideologico anche nella prassi
delle colonie circa la toponomastica: la forma dialettale locale (non
quella, p.es., araba classica), però resa coll'alfabeto italiano,
sacrificando ogni precisione fonetica. Piú che di rispetto della lingua
locale (come potrebbe suggerire il primo principio, ma l'esclude il secondo)
trapelava a mio avviso la volontà di negare agli autoctoni il riferimento ad
una lingua "alta", di cultura, per sanzionarne l'inferiorità culturale.

saluti

G.P.

>
>Ciao.
>Marco


Giovanni Drogo

unread,
Sep 21, 2001, 3:29:24 AM9/21/01
to
On Thu, 20 Sep 2001, Nicola Nobili wrote:

> preoccuparsi. Sarebbe come /s/ e /z/ in italiano moderno: se vuoi fare

> l'attore teatrale o il linguista te ne curi, altrimenti č una sottigliezza
> priva di valore pratico.

eppure all'orecchio piu' evidente di quella tra e (od o) chiusa e
aperta ...

> > - le lettere hanno un ordine tradizionale totalmente arbitrario

> > (a,b,c,d,...) che non č basato né sul suono né sulla forma delle
> > lettere;
>
> E con ciň? Qualsiasi alfabeto al mondo ha un ordine arbitrario! Quale
> sarebbe il problema?

beh pero' la tabella (bidimensionale) delle consonanti dell'IPA o il
famigerato triangolo vocalico dell'IPA tentano di metterle in un
ordine "razionale"

oppure si vedano le considerazioni di Tolkien sulla scrittura
"feanoriana" dell'elfico (inventata ma ... ben trovata) nella
Appendice del Lord of the Rings

Credo che anche quelli che conoscono gli alfabeti indiani abbiano
qualcosa da dire in materia ...

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Maurizio Pistone

unread,
Sep 21, 2001, 9:09:00 AM9/21/01
to
marco.c...@europe.com (Marco Cimarosti) ha scritto su
it.cultura.linguistica:

>Giovanni Pontoglio ha scritto:
>> > nella scrittura sillabica cree .. esistono solo segni per le consonanti. Le vocali si
>> >indicano ruotando le lettere di 90°...
>...


>A tavolino. E' stata inventata in tandem da un pastore protestante

>(un angloamericano, purtroppo non ricordo il nome) e da un capo tribů


>cree (il famoso Sekwoyah o Sequoia, che credo si sia poi fatto pastore
>a sua volta), nel corso dell'Ottocento.

Ma Sequoyah non era cherokee? A me risulta che abbia inventato un
sistema di scrittura completamente diverso.

>Sta di fatto che quando ero alle elementari io, negli anni '70, ci
>insegnavano un unico tipo d'accento (non era né acuto né grave:
>assomigliava piuttosto al segno di vocale breve in latino).

Mi risulta che anche adesso si insegni cosě alle elementari.

>Alla tua lista aggiungerei almeno un punto 5: eventuali attributi
>ideologici associati a determinati tipi di scrittura.

Aggiungiamo l'adozione dell'alfabeto latino al posto di quello arabo
tra le grandi riforme di Kemal Ataturk. Insieme con l'abolizione del
fez, il tipico copricapo mediorientale, fu un grande impulso
all'occidentalizzazione del paese.


--
Maurizio Pistone - Torino
strenua nos exercet inertia Hor.
mailto:scri...@mauriziopistone.it
http://www.mauriziopistone.it

Nicola Nobili dai labirintici meandri dell'ortografia disaccentata

unread,
Sep 21, 2001, 9:42:39 AM9/21/01
to
"Giovanni Pontoglio"
> Che cosa non ti va dello spagnolo? A me pare un sistema ottimo, almeno in
> riferimento alla pronuncia castigliana standard, per quel che ne so.

Lo spagnolo ha un buon sistema ortografico, un OTTIMO, se non
perfetto, sistema di accentazione. Cosa non è perfetto?
-"b" e "v", nello standard, si confondono
-"ll" e "y", in molte varietà, si condondono
-"h" muta molto piú frequente che in italiano
-"g" e "j" che in certi casi si confondono
-"c" dolce e "s" in molte parti del Sud America sono omofone

Ed altri dettagli.

Ciao,
Nicola

Nicola Nobili

unread,
Sep 21, 2001, 11:10:25 AM9/21/01
to
Giovanni Pontoglio

> L'italiano ha in piú il problema delle s, delle z, della cogeminazione
(per
> chi la considera standard).

Si parlava di scritture "fonemiche", non "foneTIche". Si tratta di
dettagli irrilevanti, a questo fine.

Nicola Nobili

unread,
Sep 21, 2001, 11:11:52 AM9/21/01
to
Maurizio Pistone

> tra le grandi riforme di Kemal Ataturk.

Perdonami, ma non era "Atatürk"?
Pignolamente,

Marco Cimarosti

unread,
Sep 21, 2001, 12:33:18 PM9/21/01
to
Nicola Nobili ha scritto:

> Marco Cimarosti
>
> > Be', be'. Dire che la scrittura logografica cinese si usa "solo" per
> > le varie lingue cinesi, per il giapponese e per il coreano (oltre che,
> > sporadicamente, per il vietnamita) significa nominare svariate
> > centinaia di milioni di persone. Più o meno un quarto dell'umanità,
> > insomma.
>
> Ma pochissime lingue. Peraltro, la Cina ha raggiunto livelli decenti di
> alfabetizzazione soltanto in tempi recenti. Continuo a sostenere che la
> logografia è in forte disuso, nei tempi moderni. Cosa succederà tra
> cent'anni non lo so, ma la mia asserzione, al momento, mi sembra
> incontestabile: conta quante scritture logografiche esistevano una volte e
> quante oggi!

Mah: "poco" o "tanto" significano qualcosa solo in rapporto ai
riferimenti scelti. Noi evidentemente consideriamo punti di
riferimento parecchio diversi.

Io considero la scrittura cinese nel contesto delle molte decine di
sistemi di scrittura oggi in uso. Molti di questi trascrivono una
sola lingua, magari parlata da poche migliaia di persone e talvolta
non sono nemmeno l'unica o la più comune scrittura per quella lingua.

I logogrammi si si usano invece per molte lingue, fra cui quasi tutte
quelle cinesi (è senz'altro superfluo ricordare in un news group come
questo che sotto l'etichetta "lingua cinese" vanno molte lingue
diversissime fra loro). E ognuna di queste lingue conta decine o
centinaia di milioni di parlanti, così come il giapponese e il
coreano. A conti fatti, la scrittura cinese è la più diffusa al mondo
dopo quella latina: nessuna delle altre "grandi" scritture alfabetiche
internazionali (cirillica, araba, devanagari, bengalese) raggiunge la
diffusione del cinese.

Quanto alle altre considerazioni mi sembrano poco pertinenti. Mi pare
che la cosiddetta "alfabetizzazione" di massa sia cosa recente
ovunque: quanti italiani, russi o svedesi sapevano leggere e scrivere
cent'anni fa? Di scritture logografiche antiche di una certa
importanza me ne sovvengono solo cinque o sei. Ma, comunque, quanti
alfabeti si sono estinti nel corso della storia? Tantissimi, e
allora? Mica questo dice alcunché circa la funzionalità dei sistemi
alfabetici.

> > > un alfabeto come quello latino, esteso nei secoli a una miriade
> > > di lingue, con un discreto numero di lettere semplici e ben distinte tra
> > > loro e cólla possibilità di avvalersi di molti diacritici, è ottimo.
> > > POTENZIALMENTE, intendiamoci.
> >
> > Ho i miei dubbi. Persino per lo stesso latino, che era la lingua per
> > cui era stato "progettato", questo alfabeto aveva diverse tare:
>
> Temo che tu abbia perso quel POTENZIALMENTE tutto maiuscolo, che forniva
> il senso alla frase. Ma vedremo in séguito.

No, credo di aver capito cosa intendevi: l'alfabeto latino (che è
incontestabilmente la scrittura più diffusa al mondo) ha saputo
adattarsi a tantissime lingue.

Quello che io intendevo dire (ma mi sono spiegato malissimo) è che non
è per le sue intrinseche qualità che l'alfabeto latino s'è diffuso
così tanto. L'alfabeto latino ha avuto successo perché è
l'espressione scritta di una civiltà di successo. Ma qualsiasi altra
scrittura si sarebbe potuta adattare altrettanto bene ad altrettante
lingue.

Se, per un accidente della storia, i greci avessero mantenuto la
scrittura sillabico-logografica che usavano nell'epoca micenea, e
l'avessero poi trasmessa ai popoli italici, e uno di questi popoli
avesse poi diffuso la sua lingua e la sua civiltà in tutto il
continente, e le nazioni di questo continente avessero successivamente
colonizzato mezzo mondo, puoi star certo che questa discussione
epistolare la staremmo tenendo in un derivato della Lineare B.

> > - non aveva lettere per i dittonghi "ae", "au", ecc., costringendo a
> > utilizzare ambigui bilitteri;
>
> Perché ambigui? E perché dovrebbe essere un male? Voglio dire, il
> dittongo è formato da DUE fonemi. Se lo trascrivi coi due segni alfabetici
> relativi a quei fonemi, non poteva esserci alcuna ambiguità o imperfezione.

Qui si rientra in un discorso in cui ho evitato per un pelo
d'impantanarmi un mesetto fa. Ma adesso mi sa che mi tocca.

Ho il sospetto che il moderno concetto di "fonema" derivi in modo
troppo automatico dal tradizionale concetto di "lettera". Di
conseguenza, ho il sospetto che noi diciamo che un suono (*un* suono!)
come /au/ sono *due* fonemi solo perché siamo abituati a vederlo
scritto con due lettere (anche in IPA). Quando poi, per effetto di
normali mutamenti fonetici, succede che *la* vocale /au/ diventa /o/
oppure, al contrario, la vocale /O/ diventa /uO/ ci inventiamo
paroloni come "monottongazione" e "dittongazione".

Ma lasciamo perdere questi discorsi senz'altro eccessivi: intendevo
dire che in latino esistono, ad esempio, sia il dittongo "ae"
(pronunciato in varie epoche /ai/, /ae/, /E/, /e/) sia la sequenza di
vocali "a" + "e". La grafia non distingueva fra questi due casi:
grafie tipo "æ" e "aë" credo siano infatti artifici dei latinisti
moderni.

Gli alfabeti indiani, per fare un controesempio, hanno lettere sia per
le vocali "semplici" che per i dittonghi. In sanscrito, l'ortografia
dello iato non ha mai richiesto particolari accorgimenti. E quando,
per evoluzione fonetica, certi dittonghi come /ai/ e /au/ si sono
monottongati in /e/ e /o/, l'ortografia non ne ha minimamente
risentito.

> > - non distingueva /w/ da /u/ e /j/ da /i/
>
> Varianti. Non erano fonemi, nel latino classico.

Ne sei sicuro? Forse questo poteva essere vero per il latino arcaico,
ma nel latino classico e, a maggior ragione, in quello medievale le
due coppie di suoni mi sembravano ormai ben autonome.

> > - aveva lettere ridondanti, come "k", "q" e "x", che si sarebbero
> > potute benissimo sostituire con "c", "c" e "cs" rispettivamente;
>
> Per "k", questa è scomparsa ben presto, sostituita da "c". Si tratta di
> un cambiamento, che ha eliminato una possibile ridondanza. Per "q", ci
> sarebbe un numero, limitato, lo so, di casi in cui è motivato, vedi "qui" e
> "cui"

Motivato solo dall'ambiguità della lettera "u". Se il latino avesse
avuto lettere distinte per /u/ e /w/ la prima parola si sarebbe potuta
scrivere, che so, "cvi" o "cwi".

> > - le lettere hanno un ordine tradizionale totalmente arbitrario
> > (a,b,c,d,...) che non è basato né sul suono né sulla forma delle
> > lettere;
>
> E con ciò? Qualsiasi alfabeto al mondo ha un ordine arbitrario! Quale
> sarebbe il problema?

No, solo alcuni, ad esempio quelli di derivazione semitica. Proprio
di problema non parlerei ma, comunque, ammetterai che imparare
l'ordine alfabetico qualche sforzo, a suo tempo, c'è costato. In
altri alfabeti, con un ordine più razionale, questo sforzo è minimo.

> > - è difficilmente estensibile, al contrario di quanto tu dici: guarda
> > il casino che facevano già i romani solo per traslitterare l'affine
> > alfabeto greco ("ph", "th", "ch", ecc.).
>
> Qui ti confondi. Io ho detto POTENZIALMENTE. I Romani, evidentemente,
> hanno fatto casino, ma l'hanno fatto loro, non il loro alfabeto.

:-)

> E per giunta, io parlavo chiaramente dell'alfabeto latino ADESSO, dopo che
> è stato usato per molti secoli da tantissime lingue, divenendo quindi piú
> internazionale degli altri. Una Ferrari fatta guidare a un mediocre ottiene
> risultati mediocri, ma resta una grande macchina.

Sì ma l'alfabeto latino, se lo si guarda con sguardo disincantato, si
rivela essere una vecchia Prinz verde pisello. Tanto di cappello alla
civiltà occidentale che, a bordo di un simile trabiccolo, ha fatto il
giro del mondo.

> Peraltro, il mio uso di "semplice e privo di ambiguità" si riferiva
> all'aspetto grafico. Mi darai atto, spero, che le lettere dell'alfabeto
> latino hanno enormi qualità grafiche:
>
> -sono ben distinte (a differenza dell'arabo, per esempio)
> -rientrano quasi tutte nella riga o quasi (a differenza dell'arabo, per
> esempio)
> -sono semplicissime, composte di pochissimi tratti essenziali
> -hanno stili altamente codificati sia nello stampatello che nel corsivo
>
> Ribadisco: mi sembra che l'alfabeto latino sia, nel complesso, "semplice
> e privo di ambiguità".

Fatico a confrontare la leggibilità di alfabeti esteriormente tanto
diversi quanto il latino e l'arabo: è ovvio che il secondo mi sembra
più difficile -- ma io di arabo ho solo un'infarinatura e, dunque, non
so valutare quanto questo dipenda dalla mia ignoranza e quanto da
difficoltà intrinseche.

Per il cinese però, che conosc(ev)o un po' meglio, oltrepassata una
certa soglia (diciamo il 3º anno) mi sono reso conto che facevo molta
più fatica a leggere brani in pinyin che non in ideogrammi.

Le tue affermazioni diventano più verificabili se applicate a
scritture più simili: ricordo che discutevate giorni fa delle
proprietà ergonomiche dell'alfabeto latino rispetto all'affine
cirillico (il cui maiuscolo sembra un po' un maiuscoletto) e
l'argomentazione mi sembrava abbastanza convincente.

Anche se si confronta l'arabo con un nostro corsivo "legato" (come
quello che c'insegnarono a scuola) qualche ragione potresti averla.
Ma anche qualche torto: considera per esempio il puntino sulla i: è
stato aggiunto come palliativo per l'eccessiva somiglianza delle
lettere corsive "i", "l", "m", "n" e "u".

> > Innanzi tutto, le scritture araba, ebraica e siriaca sono strettamente
> > imparentate con quelle europee: comprendono all'incirca le stesse
> > lettere e all'incirca nello stesso "ordine alfabetico".
>
> Non l'ho mai negato. Ma cosa c'entra?

Che la struttura di tutti questi alfabeti è rimasta la stessa: è
difficile che uno di essi abbia proprietà (positive o negative) che
non siano condivise anche dai suoi fratellini.

Differenze come la direzione di scrittura, la distinzione
maiuscole/minuscole, o l'effettiva forma assunta dalle varie lettere
sono cose poco significative, che non alterano la struttura del
sistema.

> > Quando i greci hanno adottato l'alfabeto semitico (capostipite di
> > tutti quelli nominati sopra) non hanno avuto grosse difficoltà ad
> > escogitare un modo di scrivere le vocali che a *loro* serviva
> > scrivere.
>
> Ma hanno modificato l'alfabeto in toto, a loro necessità! Non è
> questo che intendevo.

I Greci hanno adottato l'alfabeto fenicio tale e quale, senza cambiare
un iota. L'alfabeto dei più antichi documenti greci si distingue a
fatica dai contemporanei testi fenici. Persino i nomi delle lettere,
ancorché un po' storpiati, sono rimasti quelli semitici.

Le grosse differenze che oggi intercorrono, ad esempio, fra l'alfabeto
ebraico e quello greco sono la somma delle tante piccole alterazioni
che entrambi hanno subito nel corso dei secoli.

L'unico cambiamento di rilievo è stato quello di abbinare alle lettere
i suoni greci che più s'avvicinavano a quelli fenici. Il più
importante di questi adattamenti fu, appunto, quello di destinare
alcune lettere ai fonemi vocalici.

> Intendevo dire che, se dobbiamo scrivere un'altra lingua
> nell'alfabeto ARABO (mi riferivo esplicitamente solo a questo, non a tutti
> gli alfabeti semiti), facciamo spessissimo fatica, visto che si presta
> pochissimo alle altre lingue. Guarda cosa hanno dovuto fare quei (non
> troppi) popoli che l'hanno adottato: hanno creato nuove lettere
> semplicemente modificando il numero di puntini posti sopra o sotto le
> lettere già esistenti. Di una stessa lettera possono anche esistere SEI
> varianti identiche: un puntino sopra, un puntino sotto, due puntini sopra,
> due puntini sotto, tre puntini sopra, tre puntini sotto. Come si può dire
> che la scrittura non è difficile e lenta da leggere? Confronta cólla
> scrittura latina, le sue lettere ben distinte.

Va bene, confrontiamo. Cito dalla lista dell'ultima versione di
Unicode:

0061 Latin small letter a
00E0 L. s. l. a with grave
00E1 L. s. l. a with acute
00E2 L. s. l. a with circumflex
00E3 L. s. l. a with tilde
00E4 L. s. l. a with diaeresis
00E5 L. s. l. a with ring above
00E6 L. s. l. ae
0101 L. s. l. a with macron
0103 L. s. l. a with breve
0105 L. s. l. a with ogonek
01CE L. s. l. a with caron
01DF L. s. l. a with diaeresis and macron
01E1 L. s. l. a with dot above and macron
01E3 L. s. l. ae with macron
01FB L. s. l. a with ring above and acute
01FD L. s. l. ae with acute
0201 L. s. l. a with double grave
0203 L. s. l. a with inverted breve
0227 L. s. l. a with dot above
0251 L. s. l. alpha (L. s. l. script a)
1E01 L. s. l. a with ring below
1E9A L. s. l. a with right half ring
1EA1 L. s. l. a with dot below
1EA3 L. s. l. a with hook above
1EA5 L. s. l. a with circumflex and acute
1EA7 L. s. l. a with circumflex and grave
1EA9 L. s. l. a with circumflex and hook above
1EAB L. s. l. a with circumflex and tilde
1EAD L. s. l. a with circumflex and dot below
1EAF L. s. l. a with breve and acute
1EB1 L. s. l. a with breve and grave
1EB3 L. s. l. a with breve and hook above
1EB5 L. s. l. a with breve and tilde
1EB7 L. s. l. a with breve and dot below

Non capisco perché la possibilità di creare nuove lettere per mezzo di
diacritici, che poco sopra era una benedizione della scrittura latina,
debba ora diventare una iattura per quella araba.

Le lettere modificate per mezzo di "segnetti" aggiuntivi sono tipiche
di tutte le scritture che sono state adattate a tante lingue, tipo il
latino e l'arabo. E le lingue che usano l'alfabeto arabo sono
veramente tantissime, quasi quanto quelle che usano il latino o il
cirillico.

> Peraltro, su questo punto era
> d'accordo persino il mio insegnante di arabo, filo-arabo fino al midollo, il
> che è tutto dire...
>
> > Ad esempio in persiano, urdu,
> > pashto e in tante altre lingue IE chi si scrivono con l'alfabeto arabo
> > si scrivono regolarmente le vocali (e come si potrebbe ometterle,
> > vista la struttura indeuropea di quelle lingue?).
>
> Con certi problemi. Appensantendo la scrittura, fatta per essere
> essenziale. Oppure usando due consonanti distinte col medesimo valore
> solamente per distinguere la vocale che segue. Per esempio, il turco, che
> non ha consonanti enfatiche, usava le enfatiche corrispondenti come
> "equivalenti" delle non enfatiche, sottintendendo che erano seguite da
> un'altra vocale. Sistema pensante e ridondante.

Sono d'accordo. Ma non è lo stesso argomento con cui, poco sopra,
giustificavi la necessità della "Q" in latino?

> Tant'è che, a detto di
> parecchî che ho interpellato al riguardo, i Turchi sono ben lieti di essere
> passati al nostro alfabeto, che a loro dire è molto piú adatto alla loro
> lingua.

Non conosco l'ortografia ottomana ma anch'io ho sentito che era
scomodissima. E l'attuale ortografia latina del turco è senz'altro un
capolavoro di chiarezza e di semplicità.

Ciononostante, anche in questo caso, ho l'impressione che gli aspetti
ideologici siano stati ben più importanti che non quelli pratici.
Atatürk e i suoi volevano a tutti i costi che la Turchia moderna
diventasse un paese europeo. Il cambiamento di alfabeto era un
importantissimo passo simbolico di questo processo politico.

> > leggono come in arabo. Preciso che queste lingue usano poco o niente
> > le vocali diacritiche: al contrario, come fece a suo tempo il greco,
> > hanno attribuito ad alcune lettere arabe un valore vocalico.
>
> Quando possono. Ma l'alfabeto arabo ha solo 28 lettere, tipologicamente
> quasi identiche. Ciò costringe a differenziare di pochissimo i suoni, nella
> grafia. Come avevo affermato in precedenza.

Solo 28? Più delle 26 che si contano normalmente nell'alfabeto
latino. Ma, comunque, entrambi gli alfabeti hanno molte di più
lettere, anche se nessuna singola lingua le usa tutte assieme. Le
lingue indeuropee e turche dell'Asia usano molte lettere aggiuntive
oltre alle 28 dell'arabo. Quattro di queste sono condivise da quasi
tutte queste lingue, e sono ormai accettate anche in arabo per la
traslitterazione di parole straniere: si tratta delle lettere per i
suoni /p/, /Z/, /tS/ e /v/.

> > Questa tecnica, del resto, è la stessa che si utilizza nelle stesse
> > lingue araba ed ebraica per traslitterare i nomi stranieri.
>
> No, non proprio, almeno per l'arabo. I nomi stranieri, trascritti in
> arabo, fanno pena. Si usano solo tre vocali (e non c'è Santo che tenga!),
> sempre segnalate come lunghe (quindi un nome straniero può risultare pesante
> da leggere, se ha molte vocali), e i suoni consonantici che non esistono in
> arabo sono aggiustati in maniera del tutto approssimativa.

Certo: "Venezia" e "Palermo" sui giornali arabi diventano "Finisia" e
"Balirmu". Del resto, sarebbe inutile ingegnarsi a trascrivere meglio
i suoni /v/, /e/, /ts/, /p/ e /o/ quando, tanto, l'uomo della strada
sarebbe incapace di pronunciarli.

Viceversa, su un ipotetico manuale d'italiano, si riesce ad arrivare a
dei più precisi "Vænætsya" e "Palærmo" ma, in questo caso, si suppone
che il lettore ci sia più interessato alla pronuncia corretta.

Comunque, non mi pare che le traslitterazioni sui nostri quotidiani
siano molto più precise, no?

> > > Inoltre i frequenti svolazzi sopra e sotto alla riga limitano il numero
> di
> > > righe che si possono stampare in una pagina, gli editori sembra che non
> > > apprezzino affatto, a quanto mi dicono. Per certe lingue che hanno poche
> > > sillabe, va benissimo anche un alfabeto sillabico.
> >
> > Questo è un problema solo per la bella tipografia, non per la vita di
> > tutti i giorni.
>
> Anche per quella. Conta le righe di un libro arabo, se non ci credi. E a
> parità di numero di righe, il testo arabo è meno leggibile. È il perenne
> cruccio degli editori.

Probabilmente hai ragione tu, controllerò. Ma non sono comunque
differenze così macroscopiche: ho visto tante volte degli arabi
leggere il giornale o prendere degli appunti e non mi sono parsi
oberati dalla fatica di leggere né dal peso della carta in più.

> > Noticella: la scrittura latina del somalo è ancora in ballottaggio con
> > l'alfabeto osmaniya. Al momento non si capisce bene quale delle due
> > scritture riceverà la palma dell'ufficialità, a causa della ben nota
> > situazione di caos (o di "anarchia" come direbbe qualche maligno) in
> > cui versa il paese.
>
> Cosa succederà in futuro, non lo so, ma l'unica grafia del somalo,
> ufficializzata con tutti i crismi ed insegnata nelle scuole, è quella
> coll'alfabeto latino, credimi. Al proposito ho interpellato un professore
> che, sposato con una somala, ha scritto forse l'unica opera seria su questa
> lingua disponibile in italiano, ed è stato molto chiaro. (E spero che
> rimanga tutto inalterato, anche se le armi hanno spesso il sopravvento sulla
> ragione).

Ti prendo in parola, ché le mie informazioni sono un po' datate.

> > > Premetto che non so nulla di questa lingua, ma mi chiedo: un pur
> cosí
> > > simpatico e curioso sistema di scrittura non rende meno agevole la
> > > scrittura? Voglio dire, scrivendo a mano (non so come si batta al
> > > computer!)
> >
> > E perché mai?! Anche le nostre "b", "d", "p", e "q" hanno la stessa
> > forma, ruotata o speculare.
>
> Ma sono solo quattro, e solo in stampatello. Non è una regola di ogni
> lettera. Forse mi sbaglio, ma tu mi hai dato l'impressione che, in questa
> lingua, ogni lettera possa rotare in ogni direzione a seconda della vocale.
> Questo mi sembrerebbe, ad occhio, un inconveniente grafico di non poco
> conto, che potrebbe anche rendere impossibile la scrittura di un corsivo.
> Oppure ho capito male?

No forse t'ho letto io con poca attenzione. Non ho idea se esista o
meno un corsivo della scrittura cree. L'ho vista poche volte e sempre
in caratteri da stampa. Comunque, un "corsivo" nel senso delle nostro
lettere manoscritte legate non esiste in molte scritture.

> > E anche molte nostre minuscole si
> > distinguono dalle maiuscole solo per la dimensione.
>
> Senz'altro, ma mi era parso di capire che le dimensioni della lettera
> indicassero la presenza o meno di una vocale, ovvero che la lettera piccola
> ne indicasse l'assenza. Allora, mi viene da pensare, la scrittura non può
> avere lettere maiuscole, e forse comporta uno sforzo maggiore nella lettura.

Senz'altro non ci sono maiuscole. La distinzione maiuscole/minuscole
è tipica ed esclusiva degli alfabeti europei (latino, cirillico, greco
e armeno; anticamente anche il georgiano aveva le maiuscole ma ora non
si usano più). Non vedo però come le maiuscole aiutino la lettura,
almeno dal punto di vista visivo. Semmai, sono d'aiuto
nell'interpretazione del testo perché, talvolta, chiariscono la
categoria grammaticale di certe parole (i nomi propri o, in tedesco, i
sostantivi).

> Prova a scrivere un testo usando per certe lettere il carattere 14 e per
> altre il carattere 10, vedrai quanta fatica in piú fai! Certo, non conosco
> questa scrittura, potrei sbagliarmi, ma questa è l'impressione che mi fa "a
> occhio".

Non sono sicuro di capire cosa intendi. Preciso che, in cree, le
quattro forme ruotate e quella rimpicciolita di ogni consonante sono
comunque cinque lettere *diverse*. Non so come funzionino esattamente
le tastiere dei computer ma, comunque, non è che si debba cambiare
"corpo" per scrivere le lettere più piccole. Ci saranno magari delle
specie di "shift" per scrivere l'una o l'altra lettera.

> > Be', non conosco il bielorusso ma per l'italiano questo non è certo
> > l'unico difetto! Quante volte da bambini avremo scritto "quore" o
> > letto "farmàcia"?
>
> Per "farmacia" si tratta di accento, quindi proprio dell'unico difetto
> di cui parlavo.

Eh no, si tratta di lettere scritte ma non pronunciate, e di lettere
con molteplici pronunce. Quando da piccolo pronunciavo /far'matSa/
supponevo erroneamente che la "i" fosse solo un "segno diacritico" da
non pronunciare, presente solo per indicare la pronuncia palatale
della "c".

> > Ad esempio, una parola araba di tre lettere è quasi sicuramente la
> > terza persona singolare maschile di un verbo.
>
> Con tutto il dovuto rispetto, questo è falsissimo. Vuoi prendere un
> dizionario arabo e controllare quante migliaia di parole di tre lettere sono
> sostantivi o aggettivi? E per tutti questi, il tuo discorso non vale. Anzi,
> le parole di tre lettere, visto il trilitterismo tipico dell'arabo, sono di
> gran lunga le piú difficilmente identificabili! Quanti omografi, senza
> ricorrere a segnetti o ad un contesto! Se c'è un suffisso o un prefisso ci
> si può aiutare e, solitamente, decifrare il tutto con chiarezza (per un
> madrelingua, però!), ma per gli altri...

Qui hai perfettamente ragione; sono stato molto approssimativo.

Quello che ho detto vale, al limite, se dal contesto si è già intuito
che quello dev'essere un verbo. Ma non sempre questo è facilmente
intuibile.

> > Tutto ciò è analogo all'ortografia italiana, alle cui deficienze si
> > rimedia quasi sempre con la conoscenza della lingua e della sua
> > morfologia.
>
> No, no no! Se sbagli una vocale in arabo, puoi dire tutt'altra parola.

Qui mi pare però che sbagli tu. Non dico che non possa esistre
qualche caso del genere. Normalmente, però, una radice di trilittera
corrisponde a uno e un solo lemma. Cambiando le vocali puoi ottenere
una pronuncia buffa e sbagliata, oppure una forma flessa diversa, ma
molto difficilmente si ottiene una parola di senso compiuto di diverso
significato.

> A questo si aggiunga che un non madre lingua non può indovinare le vocali
> non segnalate prima di aver raggiunto un notevole livello di padronanza
> della lingua (io, che ho studiato arabo due anni, non ci riesco quasi mai).

Io, stesso tempo, stesso risultato. :-(

> In italiano, CHIUNQUE, italiano o straniero che ha studiato l'italiano
> per mezz'ora, al massimo può sbagliare l'accento, ma sa leggere e scrivere

> quasi tutto. Ho detto "mezz'ora" non a caso: [...]

E via, mezz'ora! Certe parole non so leggerle o scriverle nemmeno io
che sono madrelingua.

Sono lì lì per cedere e darti ragione sul fatto che la mancanza di
vocali in arabo costituisca una complicazione ben più grossa che non
la mancanza di accenti in italiano. Ma non sarà certo con simili
esagerazioni che darai la spallata finale alla mia tesi.

> > Vale anche il contrario: la grafia dell'inglese o del mongolo (non
> > cirillico) sono la migliore documentazione che abbiamo di come queste
> > lingue si pronunciassero secoli addietro.
>
> Perché l'inglese, allora, era una scrittura fortemente fonemica! Ma se
> devi ricostruire la pronuncia di autori già un po' piú recenti, tipo Donne,
> allora la grafia inglese non ti facilita affatto. Tant'è che ancora oggi si
> discute se si debba dire "donn" o "dann".

Stiamo dando vita a un circolo vizioso... D'accordo: ma se avessero
continuamente modificato l'ortografia per tenere il passo con la
pronuncia, il tuo fenomeno ucraino potrebbe sì imparare in mezz'ora la
pronuncia elisabettiana ma, in compenso, si sarebbe persa l'unitarietà
della lingua e della rispettiva letteratura. L'inglese di Shakespeare
non si chiamerebbe più "inglese" e, per leggerlo, un inglese di oggi
avrebbe bisogno di un dizionario bilingue o di una traduzione a
fronte.

> Insomma, se le grafie fossilizzate consentono di ricostruire una lingua
> antica, è sempre e solo perché questa lingua antica, UNA VOLTA, era
> fortemente fonemica. Non si scappa, è sempre quella la caratteristica
> rilevante allo scopo.

E' *una* caratteristica molto rilevante ma non l'unica da tenere in
considerazione.

Ciao.
Marco

Marco Cimarosti

unread,
Sep 21, 2001, 1:19:21 PM9/21/01
to
Maurizio Pistone ha scritto:

> marco.c...@europe.com (Marco Cimarosti) ha scritto su
> it.cultura.linguistica:
> >A tavolino. E' stata inventata in tandem da un pastore protestante
> >(un angloamericano, purtroppo non ricordo il nome) e da un capo tribů
> >cree (il famoso Sekwoyah o Sequoia, che credo si sia poi fatto pastore
> >a sua volta), nel corso dell'Ottocento.
>
> Ma Sequoyah non era cherokee? A me risulta che abbia inventato un
> sistema di scrittura completamente diverso.

Per Manitů, che strafalcione!

Ha ragione Maurizio: la scrittura cree č stata inventata *solo* dal
pastore protestante. Per farmi perdonare aggiungo che si chiamava
James Evans e che l'invenzione č avvenuta intorno al 1830 (stavolta ho
controllato!).

Sequoyah ha invece inventato da solo la scrittura cherokee, che č
sempre sillabica ma č molto diversa.

E non č finita qui: a quanto pare Sequoyah non era affatto un "capo
tribů" come l'ho definito bensě un mercante d'argenteria. Mi sarebbe
anche piaciuto verificare il mio ricordo che si fosse poi fatto
predicatore protestante, ma non sono riuscito a trovare conferme
neanche su questo.

Sorry!
Marco

Nicola Nobili

unread,
Sep 21, 2001, 1:46:43 PM9/21/01
to
Marco Cimarosti

> Quello che io intendevo dire (ma mi sono spiegato malissimo) è che non
> è per le sue intrinseche qualità che l'alfabeto latino s'è diffuso
> così tanto.

Senz'altro. Però si è diffuso piú degli altri, per motivi
extralinguistici che si sono riflessi sulla scrittura, rendendola piú
duttile delle altre. Ora forse ci siamo capiti, incrocio le dita...

> Ho il sospetto che il moderno concetto di "fonema" derivi in modo
> troppo automatico dal tradizionale concetto di "lettera".

Può darsi, ma preferisco glissare e attendere commenti da altri piú
illuminati di me...

> Ma lasciamo perdere questi discorsi senz'altro eccessivi: intendevo
> dire che in latino esistono, ad esempio, sia il dittongo "ae"
> (pronunciato in varie epoche /ai/, /ae/, /E/, /e/)

Aspetta: nel latino arcaico si scriveva "ai". "ae" è grafia posteriore.
Per esempio Lucrezio, che ama scrivere in una lingua arcaicheggiante,
ripristina "ai" pel genitivo della prima declinazione.

> No, solo alcuni, ad esempio quelli di derivazione semitica. Proprio
> di problema non parlerei ma, comunque, ammetterai che imparare
> l'ordine alfabetico qualche sforzo, a suo tempo, c'è costato. In
> altri alfabeti, con un ordine più razionale, questo sforzo è minimo.

Mah, può darsi, ma per quanto "razionale", devi sempre imparare a
memoria qualcosa: nessun bimbo di 6 anni può capire la differenza tra
occlusive e fricative, per esempio!

> Fatico a confrontare la leggibilità di alfabeti esteriormente tanto
> diversi quanto il latino e l'arabo

Basta, obiettivamente, guardare quante lettere possono confondersi
nell'uno e nell'altro. Le differenze grafiche tra le lettere arabe sono
minime. Aggiungo che adoro l'alfabeto arabo, esteticamente, ma che vuoi
farci, è scomodo.

> Per il cinese però, che conosc(ev)o un po' meglio, oltrepassata una
> certa soglia (diciamo il 3º anno) mi sono reso conto che facevo molta
> più fatica a leggere brani in pinyin che non in ideogrammi.

Certo, l'abitudine...

> Ma anche qualche torto: considera per esempio il puntino sulla i: è
> stato aggiunto come palliativo per l'eccessiva somiglianza delle
> lettere corsive "i", "l", "m", "n" e "u".

Ma noi l'abbiamo messo, obbligatorio! Invece gli arabi fanno piú casino
con puntini e diacritici, che per giunta si mettono sopra e sotto,
costringendo l'occhio a fare piú movimenti.

> Va bene, confrontiamo. Cito dalla lista dell'ultima versione di
> Unicode:

[...]

> Non capisco perché la possibilità di creare nuove lettere per mezzo di
> diacritici, che poco sopra era una benedizione della scrittura latina,
> debba ora diventare una iattura per quella araba.

In quasi tutte le lingue occidentali, una vocale può avere uno, al
massimo due o tre diacritici. E spesso alcuni si usano di rado. In arabo
pressoché tutte le lettere hanno una pletora di versioni che si distinguono
solo mediante il numero dei puntini.

> Comunque, un "corsivo" nel senso delle nostro
> lettere manoscritte legate non esiste in molte scritture.

Senz'altro. Ma per me è un handicap, con tutto il rispetto.

> > No, no no! Se sbagli una vocale in arabo, puoi dire tutt'altra
parola.
>
> Qui mi pare però che sbagli tu. Non dico che non possa esistre
> qualche caso del genere. Normalmente, però, una radice di trilittera
> corrisponde a uno e un solo lemma. Cambiando le vocali puoi ottenere
> una pronuncia buffa e sbagliata, oppure una forma flessa diversa, ma
> molto difficilmente si ottiene una parola di senso compiuto di diverso
> significato.

Intendevo questo: magari capisci "egli andò" invece di "loro due vanno"
(sto inventando), sono due "parole" (termine vaghissimo) differenti. Spero
che ora ci capiremo meglio...

> > In italiano, CHIUNQUE, italiano o straniero che ha studiato
l'italiano
> > per mezz'ora, al massimo può sbagliare l'accento, ma sa leggere e
scrivere
> > quasi tutto. Ho detto "mezz'ora" non a caso: [...]
>
> E via, mezz'ora! Certe parole non so leggerle o scriverle nemmeno io
> che sono madrelingua.

Ma io non gli dettavo la "Divina Commedia"! D'accordo, non dettavo
eccezioni o casi particolari, ma ti assicuro che i tempi e i risultati erano
quelli.

> il tuo fenomeno ucraino

Minsk sta in Bielorussia!
Devo scappare, ciao,

Maurizio Pistone

unread,
Sep 21, 2001, 5:23:10 PM9/21/01
to
"Nicola Nobili" <nicolan...@libero.it> ha scritto su
it.cultura.linguistica:

> Perdonami, ma non era "Atatürk"?

Lo era, ma io ero troppo stanco per andare a cercare l'u coi puntini.

Giovanni Drogo

unread,
Sep 24, 2001, 3:58:38 AM9/24/01
to
On 21 Sep 2001, Marco Cimarosti wrote:

> Ha ragione Maurizio: la scrittura cree è stata inventata *solo* dal


> pastore protestante. Per farmi perdonare aggiungo che si chiamava

> James Evans e che l'invenzione è avvenuta intorno al 1830 (stavolta ho
> controllato!).

Beh a questo punto spero che il pastore si faccia una permanenza nel
purgatorio dei linguisti.

Avrei capito l'ingenuita' di inventarsi una nuova scrittura in un
indigeno (anzi avrebbe potuto essere anche una affermazione di
principio il non usare un alfabeto occidentale), ma che la abbia fatta
un occidentale invece di stabilire una serie di convenzioni (diacritici
o digrammi che siano) basate sull'alfabeto latino ...

Giovanni Pontoglio

unread,
Sep 25, 2001, 6:53:07 PM9/25/01
to
Nicola Nobili ha scritto nel messaggio
<9ofllm$d9g2a$2...@ID-64088.news.dfncis.de>...

>Giovanni Pontoglio
>> L'italiano ha in piú il problema delle s, delle z, della cogeminazione
>(per
>> chi la considera standard).
>
> Si parlava di scritture "fonemiche", non "foneTIche".

Anch'io sto parlano di fonemi e non di foni:
Infatti:
/s/ :: /z/ (fuso1 :: fuso2),
/ts/ :: /dz/ (razza1 :: razza2),
/a'tSeto/ :: /attSeto/ (aceto :: a Ceto [paese della Valcamonica]),
/e/ :: /E/ (pésca :: pèsca),
/o/ :: /O/ (osservatóri :: osservatòri).

Si tratta di
>dettagli irrilevanti, a questo fine.


Dettagli?
Mi scuso se mi ripeto: ma davanti ad una grafia come Desenzano le
possibilità sono 12, De[s/z]['E/'e/e]n[ts/dz]['a/a]no, di cui una sola
giusta.
D'accordo, mi capiscono anche se dico [de'sEndzano], ma forse vengo capito
anche se dico [pa'ris] o [mar'seille].


Ciao,
G.Pontoglio


Giovanni Pontoglio

unread,
Sep 25, 2001, 6:57:59 PM9/25/01
to
Nicola Nobili dai labirintici meandri dell'ortografia disaccentata ha
scritto nel messaggio ...


Mi riferivo, ripeto, alla fonetica del castigliano standard: quindi yeísmo e
ceceo non c'entrano. Per il resto hai ragione, ma mi sembra poco male,
almeno dal punto di vista del non-madrelingua.


>Ciao,
G.P.


Nicola Nobili dai labirintici meandri dell'ortografia disaccentata

unread,
Sep 26, 2001, 9:49:41 AM9/26/01
to
"Giovanni Pontoglio"

> Anch'io sto parlano di fonemi e non di foni:
> Infatti:
> /s/ :: /z/ (fuso1 :: fuso2),
> /ts/ :: /dz/ (razza1 :: razza2),

Su questi due, come ho avuto modo di dire in passato, ho grossi dubbî
che si possa parlare di "fonemi". Se vogliamo accettare l'ipotesi
estrema secondo cui basta un caso, anche remotissimo e limitato a
un'insignificante percentuale della popolazione, in cui esiste una
coppia minima, allora hai ragione, ma allora dovremmo concludere che
TUTTE le scritture sono ben peggio di quanto si creda, e la
definizione non ci aiuta. Per quanto ne so, la prima opposizione è
attestata in DUE coppie minime (peraltro parole improbabili da
confondere), la seconda da UNA coppia minima (idem con patate), e
funzionano solo in una ristretta parte del Centro Italia, in bocca a
parlanti istruiti e, forse, di una certa età (almeno per le prime due,
direi).
Dobbiamo parlare di fonemi? Io direi di no: trattasi, a mio parere, di
raffinatezze che interessano linguisti ed aspiranti attori teatrali.
Se, d'altronde, l'ortografia italiana si prendesse la briga di
segnalare queste finezze, si appesantirebbe notevolmente, perché
abbisognerebbe di altre lettere o di altri diacritici dallo
scarsissimo rendimento funzionale (e quindi, verosimilmente,
bistrattati dalla gente comune).

> /a'tSeto/ :: /attSeto/ (aceto :: a Ceto [paese della Valcamonica]),

Mi sembra un caso del tutto fortuito che può avvenire nella catena
fonica anche per elementi altrimenti ben differenziati. E comunque, ti
invito a riflettere che la cogeminazione, di per sé stessa, non
produce affatto coppie minime: se un settentrionale dice "a Ceto" ed
un meridionale dice "acCeto", la comprensione è assicurata, nessuno se
ne accorgerà nemmeno. Non è possibile che uno stesso parlante alterni
le due pronunzie con differenti valori semantici.
Ergo, mi sembra che si debba parlare di coincidenze, di giuochi
linguistici degni d'un enigmista.

> /e/ :: /E/ (pésca :: pèsca),
> /o/ :: /O/ (osservatóri :: osservatòri).

Okay, questi sono esempî di fonemi, per quanto dal rendimento
funzionale basso (soprattutto "o") e in continua diminuzione.
Nota, però, che io risolverei brillantemente la seconda opposizione,
graficamente, con un bel circonflesso...

> Mi scuso se mi ripeto: ma davanti ad una grafia come Desenzano le
> possibilità sono 12, De[s/z]['E/'e/e]n[ts/dz]['a/a]no, di cui una sola
> giusta.

A me sembra che sia un caso trasparente: acento sulla penultima
sillaba (come nella relativa maggioranza dei vocaboli italiani), la
"z" dopo una nasale, a occhio, dovrebbe essere sempre sorda, la /s/ o
/z/ è irrilevante. Puoi fare di meglio!

Ciao,
Nicola

Giovanni Pontoglio

unread,
Sep 29, 2001, 7:52:30 PM9/29/01
to

Nicola Nobili dai labirintici meandri dell'ortografia disaccentata ha
scritto nel messaggio ...
>"Giovanni Pontoglio"
>> Anch'io sto parlano di fonemi e non di foni:
>> Infatti:
>> /s/ :: /z/ (fuso1 :: fuso2),
>> /ts/ :: /dz/ (razza1 :: razza2),
>
>Su questi due, come ho avuto modo di dire in passato, ho grossi dubbî
>che si possa parlare di "fonemi". Se vogliamo accettare l'ipotesi
>estrema secondo cui basta un caso, anche remotissimo e limitato a
>un'insignificante percentuale della popolazione, in cui esiste una
>coppia minima, allora hai ragione, ma allora dovremmo concludere che
>TUTTE le scritture sono ben peggio di quanto si creda, e la
>definizione non ci aiuta. Per quanto ne so, la prima opposizione è
>attestata in DUE coppie minime (peraltro parole improbabili da
>confondere), la seconda da UNA coppia minima (idem con patate), e
>funzionano solo in una ristretta parte del Centro Italia, in bocca a
>parlanti istruiti e, forse, di una certa età (almeno per le prime due,
>direi).
>Dobbiamo parlare di fonemi? Io direi di no: trattasi, a mio parere, di
>raffinatezze che interessano linguisti ed aspiranti attori teatrali.


Forse abbiamo due diverse teorie del fonema. Per me "fonema" è unità non
prevedibile dal contesto (a prescindere dal significato): la presenza di
coppie minime è condizione sufficiente, ma non necessaria perché due
fonotipi siano tra loro in rapporto d'opposizione fonemica. E` evidente che
in italiano, ad es., /c^/ e /g^/ sono fonemi. Ma anche se per ipotesi ad un
certo punto non vi fossero piú coppie come "faccio" ~ "faggio" (perché una
delle due parole fosse scomparsa dall'uso), nondimeno un parlante nativo non
direbbe mai "ginema" o "Cenova", perché [c^] e [g^] non sarebbero perciò
divenuti liberamente intercambiabili; e di fronte ad una frase come "Vengo
da Cenova" si sarebbe indotti a pensare ch'esista una città o paese chiamata
cosí piuttosto che ad un'alterazione di "Genova".

(Se non erro è il caso di [th] e [dh] inglesi: non ci sono coppie minime, ma
la pronunzia sorda o sonora dell'interdentale non è "ad libitum").

Nel caso di /s/ e /z/ posso convenire che l'opposizione sia molto indebolita
(e assente qui nel Nord, a prescindere dai casi come "presento" ecc.,
peraltro interpretabilianche altrimenti), mentre l'opposizione /ts/ :: /dz/
mi pare solida, anche nella varietà settentrionale d'italiano: quale
settentionale direbbe pa[ddz]o, le[dz]ione, al[dz]are, po[ddz]o,
utili[tts]o, me[tts]o? Non mi sembra che ciò venga annullato dal fatto che
effettivamente ci siano casi d'incertezza (Renzo, pranzo, razzo ecc. — ma
d'altronde anche "mulino" e "molino", "ulivo" e "olivo", "obbediente" e
"ubbidiente" alternano, senza che si possa parlare di neutralizzazione
dell'opposizione /o/ : /u/).


>
>> /a'tSeto/ :: /attSeto/ (aceto :: a Ceto [paese della Valcamonica]),
>
>Mi sembra un caso del tutto fortuito che può avvenire nella catena
>fonica anche per elementi altrimenti ben differenziati. E comunque, ti
>invito a riflettere che la cogeminazione, di per sé stessa, non
>produce affatto coppie minime: se un settentrionale dice "a Ceto" ed
>un meridionale dice "acCeto", la comprensione è assicurata, nessuno se
>ne accorgerà nemmeno. Non è possibile che uno stesso parlante alterni
>le due pronunzie con differenti valori semantici.


E perché no? "Questa bottiglia d'aceto l'ho comperata a-c-Ceto".
E ancora: "Getterò a-m-mare queste lettere amare".

>
>> /e/ :: /E/ (pésca :: pèsca),
>> /o/ :: /O/ (osservatóri :: osservatòri).
>
>Okay, questi sono esempî di fonemi, per quanto dal rendimento
>funzionale basso (soprattutto "o") e in continua diminuzione.
>Nota, però, che io risolverei brillantemente la seconda opposizione,
>graficamente, con un bel circonflesso...


Ma restano sempre la bótte e le bòtte, qui il circonflesso non serve.

>> Mi scuso se mi ripeto: ma davanti ad una grafia come Desenzano le
>> possibilità sono 12, De[s/z]['E/'e/e]n[ts/dz]['a/a]no, di cui una sola
>> giusta.
>

>A me sembra che sia un caso trasparente: accento sulla penultima


>sillaba (come nella relativa maggioranza dei vocaboli italiani), la
>"z" dopo una nasale, a occhio, dovrebbe essere sempre sorda,

Hmm: bon[dz]o, pran[dz]o, man[dz]o (e Man[dz]oni) ...


la /s/ o
>/z/ è irrilevante. Puoi fare di meglio!
>


Non sarà stato l'esempio piú felice, l'ammetto, ma poiché la questione è di
principio, quindi sul possibile, non sul probabile, — quindi p.es. la
minore frequenza dell'accento sdrucciolo non è pertinente — resta il fatto
che le possibilità, volendo prescindere dalla <s>, restano sei: pur sempre
un po' troppe per un grafia che si vorrebbe fonetica.

>Ciao,

G.Pontoglio


"Slobodanka"

unread,
Sep 29, 2001, 8:13:56 PM9/29/01
to
Ma una ragazza di Sarajevo mi ha detto che l'unica vera differenza è l'uso
dell'alfabeto latino o cirillico, e che poi ci sono alcune differenze
dialettali fra una lingua e l'altra, ma per il resto sono uguali, e infatti
lei ha detto che la sua lingua natale è il serbocroato, non ha detto serbo o
croato o bosniaco.
Ciao!
Libera
"GCPillan" <gcpi...@email.com> wrote in message
news:3BA1158D...@email.com...
> Giovanni Pontoglio:
> > Precisamente. In serbocroato <C^> (con gancetto) è la /tS/
>
>
> Trovo strano che qualcuno non parta subito a criticare chi usa il termine
> "serbocroato" a sproposito :-)
>
>
> Il 28 marzo 2000 Nicola Nobili
scrisse........................................
>
> Nicola Nobili:
> > Ulteriore precisazioncina per GCPillan:
> > Oggigiorno sarebbe meglio non dire piú "serbo-croato", bensí parlare
di
> > lingua serba, lingua croata, lingua macedone e lingua montenegrina. È
una
> > scomoda complicazione (in fondo le 4 lingue in questione sono quasi
> > identiche), però, per motivi politici, l'uso (peraltro innocente e
> > involontario) di quell'aggettivo ti renderebbe inviso a molta gente.
>
>
............................................................................
.
> Poiché ebbi l'ardire di replicare che avevo frequentato qualche lezione di
> "serbo-croato" lui ebbe a rincarare la dose e ad adirarsi raccontando pure
> di un bambino assassinato e di quanto io fossi ignorante...
> Alcuni mesi dopo ancora ritornò sull'argomento per PRECISARE meglio...
>
> Subject:
> Re: lingue slave e dintorni...
> Date:
> Sun, 30 Jul 2000 01:47:40 +0200
> From:
> GCPillan <gcpi...@email.com>
> Organization:
> GCPillan
> Newsgroups:
> it.cultura.linguistica
> References:
> 1 , 2 , 3
>
> Nicola Nobili:
> > Oggi credo che "serbocroato" sia una dicitura corretta soltanto in due
casi:
> > quando ci si riferisce al passato (per esempio citando il titolo di una
> > grammatica scritta qualche decennio fa) e quando si cita qualcosa di
> > burocratico (per esempio, certi corsi universitarî che, per comodità, si
> > chiamano ancora cosí). Non a caso, le uniche due volte in cui ho usato
il
> > termine "serbocroato" nei newsgroups rientravano in questi due casi.
>
> Vedo che ti rode ancora la mia osservazione sul tuo uso di "serbocroato"
> che ti feci dopo che tu mi aggredisti da saputello per aver io usato
> tale termine.
>
> Prendo atto che tu non hai studiato il serbocroato e ti invito ad
> aggiungere il terzo caso in cui tale dicitura è corretta: quando si ha
> studiato il serbocroato e ci si riferisce ad un argomento trattato in
> tale corso.
>
> Era il mio caso.
> Tu, pur di aver ragione, ci raccontasti del bambino assassinato per una
> parola tipica di una lingua detta alla persona sbagliata. In un corso di
> serbocroato vengono spiegate le differenze.
> --
> ____________________________________
>
> Giancarlo Pillan - Ivrea - Italy
> ____________________________________


Nicola Nobili

unread,
Sep 30, 2001, 7:30:58 AM9/30/01
to
Giovanni Pontoglio

> Forse abbiamo due diverse teorie del fonema. Per me "fonema" è unità non
> prevedibile dal contesto

Capisco. Io non sono della stessa opinione, mi baso su ragioni
"pratiche". Talvolta è opportuno segnalare in una trascrizione fonemica
anche dettagli che fonemici non sono, ma si tratta di opportunità, non
d'altro.

> (Se non erro è il caso di [th] e [dh] inglesi: non ci sono coppie minime,
ma
> la pronunzia sorda o sonora dell'interdentale non è "ad libitum").

Un paio di coppie minime, rare (che non ricordo su due piedi) ci sono.
Comunque io in certe parole ho sbagliato per anni, e nessuno m'ha mai
corretto (mentre mi correggevano altri errori).

> l'opposizione /ts/ :: /dz/
> mi pare solida, anche nella varietà settentrionale d'italiano

La "consapevolezza" del duplice valore della lettera "z". Non parlerei
di "opposizione", visto che, di fatto, non s'oppongono in nessuna posizione.

> >Non è possibile che uno stesso parlante alterni
> >le due pronunzie con differenti valori semantici.
>
>
> E perché no? "Questa bottiglia d'aceto l'ho comperata a-c-Ceto".
> E ancora: "Getterò a-m-mare queste lettere amare".

Volevo dire un'altra cosa: nessuno pronuncia "a mare" e "ammare"
leggendo "a mare" a seconda della situazione, con differenti valori
semantici. O dici sempre "ammare" o sempre "a mare"! Ergo, la cogeminazione
non produce coppie minime. Può produrre, occasionalmente, in certe varietà
di italiano, ambiguità. Ma questo può sempre capitare tra unità superiori al
lessema.

> Ma restano sempre la bótte e le bòtte, qui il circonflesso non serve.

Infatti io scrivo la prima "bótte", la seconda "botte".

Giovanni Pontoglio

unread,
Sep 30, 2001, 10:46:34 AM9/30/01
to
Nicola Nobili ha scritto nel messaggio
<9p7066$h4fop$2...@ID-64088.news.dfncis.de>...

>Giovanni Pontoglio
>
>> Forse abbiamo due diverse teorie del fonema. Per me "fonema" è unità non
>> prevedibile dal contesto
>
> Capisco. Io non sono della stessa opinione, mi baso su ragioni
>"pratiche". Talvolta è opportuno segnalare in una trascrizione fonemica
>anche dettagli che fonemici non sono, ma si tratta di opportunità, non
>d'altro.

Una trascrizione fonemica dovrebbe indicare tutto ciò che non è prevedibile
dal contesto fonetico (in base a regole di distribuzione) e non rientra
nella variazione libera o individuale.


>> E perché no? "Questa bottiglia d'aceto l'ho comperata a-c-Ceto".
>> E ancora: "Getterò a-m-mare queste lettere amare".
>
> Volevo dire un'altra cosa: nessuno pronuncia "a mare" e "ammare"
>leggendo "a mare" a seconda della situazione, con differenti valori
>semantici. O dici sempre "ammare" o sempre "a mare"! Ergo, la cogeminazione
>non produce coppie minime.

Forse non mi sono spiegato bene. Intendo dire che c'è opposizione tra
/amare/ (infinito del verbo) e /ammare/ (preposizione + sostantivo),
tra /ac^eto/ (sost.) e /ac^c^eto/ (prep. + toponimo): dunque la
cogeminazione crea davvero coppie minime.

>> Ma restano sempre la bótte e le bòtte, qui il circonflesso non serve.
>
> Infatti io scrivo la prima "bótte", la seconda "botte".
> Ciao,


E allora perché tenere il circonflesso? Tanto vale scrivere "osservatóri ~
osservatori".


G.Pontoglio


Nicola Nobili

unread,
Sep 30, 2001, 4:19:55 PM9/30/01
to
Giovanni Pontoglio

> Una trascrizione fonemica dovrebbe indicare tutto ciò che non è
prevedibile
> dal contesto fonetico (in base a regole di distribuzione) e non rientra
> nella variazione libera o individuale.

Posizione rispettabile, ma che non condivido. Credo sia opportuno, ad un
primo livello, segnalare solamente ciò che è strettamente necessario per
pronunciare in maniera "ragionevolmente corretta/comprensibile", senza dar
àdito ad ambiguità. Un secondo livello sarebbe segnalare le finezze,
cominciando dai dettagli non prevedibili.

> Forse non mi sono spiegato bene. Intendo dire che c'è opposizione tra
> /amare/ (infinito del verbo) e /ammare/ (preposizione + sostantivo),
> tra /ac^eto/ (sost.) e /ac^c^eto/ (prep. + toponimo): dunque la
> cogeminazione crea davvero coppie minime.

No, da come la vedo io: "a mare" può essere pronunciata /a mare/ o
/ammare/, ma nessun parlante alternerà mai le due dizioni. Quello che tu
dici è soltanto un caso, a mio avviso, di "omofonia" applicata ad unità
superiori al lessema. Altrimenti, anche casi come "l'ascia" e "lascia"
potrebbero indurre a dire che "l'apostrofo crea coppie minime", oppure
potremmo convenire che lo slogan pubblicitario: "chi Neri beve... ne ribeve"
configura un altro interessante caso di coppie minime. Le coppie minime
funzionano a livello fonemico, all'interno di un lessema, altrimenti il
discorso si complica ed è necessario introdurre molte altre variabili, non
solamente quelle canoniche delle quali stiamo discutendo.

> E allora perché tenere il circonflesso? Tanto vale scrivere "osservatóri ~
> osservatori".

Un giorno te lo spiego... Mi ci vorrebbe tempo e sto per preparare un
mini-esodo personale, abbi pazienza...

Giovanni Pontoglio

unread,
Oct 2, 2001, 3:09:16 PM10/2/01
to

Nicola Nobili ha scritto nel messaggio
<9p7vcm$h52sb$1...@ID-64088.news.dfncis.de>...

>Giovanni Pontoglio
>
>> Una trascrizione fonemica dovrebbe indicare tutto ciò che non è
>prevedibile
>> dal contesto fonetico (in base a regole di distribuzione) e non rientra
>> nella variazione libera o individuale.
>
> Posizione rispettabile, ma che non condivido. Credo sia opportuno, ad
un
>primo livello, segnalare solamente ciò che è strettamente necessario per
>pronunciare in maniera "ragionevolmente corretta/comprensibile", senza dar
>àdito ad ambiguità. Un secondo livello sarebbe segnalare le finezze,
>cominciando dai dettagli non prevedibili.


Non capisco perché complicare le cose in questo modo: meglio imparare le
cose giuste subito, o no? Naturalmente uno può essere padronissimo, se
vuole, di confondere [th] e [dh] — per rimanere nel citato esempio inglese —
ma sicuramente è piú scomodo "scoprire" ad un certo punto di aver sino a
quel momento pronunciato erroneamente e doversi cercare sul vocabolario ogni
parola anche già semanticamente nota per vedere quale sia la pronunzia
corretta.


>
>> Forse non mi sono spiegato bene. Intendo dire che c'è opposizione tra
>> /amare/ (infinito del verbo) e /ammare/ (preposizione + sostantivo),
>> tra /ac^eto/ (sost.) e /ac^c^eto/ (prep. + toponimo): dunque la
>> cogeminazione crea davvero coppie minime.
>
> No, da come la vedo io: "a mare" può essere pronunciata /a mare/ o
>/ammare/, ma nessun parlante alternerà mai le due dizioni. Quello che tu
>dici è soltanto un caso, a mio avviso, di "omofonia" applicata ad unità
>superiori al lessema.

Omofoni sono "a mare" a "amare" nella pronuncia settentrionale o comunque
non cogeminante: [a'mare].
Nella pronuncia "toscana" /am'mare/ sta ad /a'mare/ come /par'rete/ a
/pa'rete/: penso che nessuno metta in dubbio che questa sia una c.m.,
nonostante che il primo termine sia composto da lessema + affissi (par-
+ -r- + -ete), coincidendo invece il secondo col lessema.


>Altrimenti, anche casi come "l'ascia" e "lascia"
>potrebbero indurre a dire che "l'apostrofo crea coppie minime", oppure
>potremmo convenire che lo slogan pubblicitario: "chi Neri beve... ne
ribeve"
>configura un altro interessante caso di coppie minime.

QUESTE sí sono omofonie e non coppie minime. Solo il contesto permette di
distinguerle (intendo dire nella catena parlata), visto che la realizzazione
è identica [....'laSSa....] [.....kinneri'beve....] (o [-aSa-] e [-ine-]
nella varietà sett.), in entrambi i significati.

Saluti
G.P.


Paolo

unread,
Oct 2, 2001, 5:13:52 PM10/2/01
to

Nicola Nobili dai labirintici meandri dell'ortografia disaccentata
<nicolan...@libero.it> wrote in message
d8518dbc.01092...@posting.google.com...

> "Giovanni Pontoglio"
> > Che cosa non ti va dello spagnolo? A me pare un sistema ottimo, almeno
in
> > riferimento alla pronuncia castigliana standard, per quel che ne so.
>
> Lo spagnolo ha un buon sistema ortografico, un OTTIMO, se non
> perfetto, sistema di accentazione. Cosa non è perfetto?
> -"b" e "v", nello standard, si confondono

Se non sbaglio in tutto l'ibero-romanzo centro-orientale (castigliano,
aragonese, catalano) <b> e <v> sono sempre e solo /b/, realizzato come [b] o
[B] a seconda del contesto fonologico. La distinzione /b/ vs /v/ è solo del
portoghese (e del leonese?).

Questo è un grave svantaggio della lingua spagnola. All'estero pochi lo
sanno, tant'è che continuano a dire "[v]amos a la playa", "[v]iva el amor"
&c.

> -"ll" e "y", in molte varietà, si condondono

Non in tutte, quindi la distinzione è giustificata. Semmai non capisco
perché non si sia imposto <y> in posizione preconsonantica.

> -"h" muta molto piú frequente che in italiano
> -"g" e "j" che in certi casi si confondono

In quali casi? Ti riferisci a <gi> come in Gijón e <ji> come in Jiménez, che
trascrivono entrambi /x/?

> -"c" dolce e "s" in molte parti del Sud America sono omofone
>
> Ed altri dettagli.

Quali?

Ciao,
Paolo

Mariuccia Ruta

unread,
Oct 2, 2001, 9:37:09 PM10/2/01
to
On Tue, 02 Oct 2001 21:13:52 GMT, in it.cultura.linguistica "Paolo"
<pao...@hotmail.com> wrote:

> Nicola Nobili:


> > Lo spagnolo ha un buon sistema ortografico, un OTTIMO, se non
> > perfetto, sistema di accentazione. Cosa non è perfetto?
> >
> > -"b" e "v", nello standard, si confondono

No che non si confondono.

> Se non sbaglio in tutto l'ibero-romanzo centro-orientale (castigliano,
> aragonese, catalano) <b> e <v> sono sempre e solo /b/,

Sbagli, Paolo. Ma ne abbiamo già parlato, quindi non ti tedierò
ripetendo ciò che scrissi a suo tempo, quando riportai anche
l'autorevole opinione di un professore universitario italiano che
insegna in Spagna. Mi par di capire che preferisci persistere nella
tua convinzione. Convinzione non solo tua, comunque, ma che è spesso
frutto di scarsa informazione condizionata anche da luoghi comuni.

> realizzato come [b] o [B] a seconda del contesto fonologico.
> La distinzione /b/ vs /v/ è solo del portoghese (e del leonese?).

Scusami, ma devo insistere: lo spagnolo, o castigliano che dir si
voglia, distingue _b_ da _v_. Basta farci l'orecchio, per notare e
memorizzare la differenza, seppur lieve.


>
> Questo è un grave svantaggio della lingua spagnola.

Nessuno svantaggio, te lo assicuro: fin dalle elementari le due
consonanti vengono insegnate con il suono che le differenzia.

> All'estero pochi lo
> sanno, tant'è che continuano a dire "[v]amos a la playa", "[v]iva el amor"
> &c.

Non vorrei aver frainteso, data la mia scarsa propensione a capire i
segni fonologici(?) e se cosí fosse me ne scuso ancor una volta.
Voglio soltanto precisare che nessun madrelingua, neppure i meno
colti, dice "bamos" o "biva".
Todos vamos a la playa y ... ¡qué viva el amor!.

Ripeto le mie scuse, se ho confuso qualche trascrizione fonetica.
--
Ciao,
Mariuccia®

Romano Giannetti

unread,
Oct 3, 2001, 3:39:21 AM10/3/01
to
Recentemente, Mariuccia Ruta <ruta...@telcel.net.ve>
affido' alla Rete queste parole:
>Nicola Nobili:

>> Se non sbaglio in tutto l'ibero-romanzo centro-orientale (castigliano,
>> aragonese, catalano) <b> e <v> sono sempre e solo /b/,
>
[cut...]

>
>> realizzato come [b] o [B] a seconda del contesto fonologico.
>> La distinzione /b/ vs /v/ e` solo del portoghese (e del leonese?).

>
> Scusami, ma devo insistere: lo spagnolo, o castigliano che dir si
> voglia, distingue _b_ da _v_. Basta farci l'orecchio, per notare e
> memorizzare la differenza, seppur lieve.

Io credo che Nicola intende /b/ come fonema, e in questo caso forse ha
ragione: anche se e` vero che v e b scritte si pronunciano in modo
lievemente diverso, io ho provato varie volte a dire "biba la barca" o "viva
la varca" (pronuncia italiana totale) e vieni capito esattamente lo stesso.
Per mia moglie era difficile cogliere la differenza, prima che imparasse
l'italiano. Per la pronuncia, e` vero che sono diverse: b si pronuncia come
in italiano, e la v e`... non so come spiegarlo... come fare una v italiana
ma mettendo le labbra come per la b (e` forse questo che si intende con
[B]?). Poi mi hanno detto che in sudamerica la differenza e` ancora piu`
forte; forse per questo spesso la gente mi confonde con un argentino quando
parlo... (o forse per la cantilena ligure?)

> Ripeto le mie scuse, se ho confuso qualche trascrizione fonetica.

Mi associo, nemmeno io sono esperto...

Romano

--
Romano Giannetti - Univ. Pontificia Comillas (Madrid, Spain)
Electronic Engineer - phone +34 915 422 800 ext 2416 fax +34 915 411 132

Paolo

unread,
Oct 3, 2001, 1:11:56 PM10/3/01
to

Mariuccia Ruta <ruta...@telcel.net.ve> wrote in message
3bba6ad0...@News.CIS.DFN.DE...
[...]

>
> > Se non sbaglio in tutto l'ibero-romanzo centro-orientale (castigliano,
> > aragonese, catalano) <b> e <v> sono sempre e solo /b/,
>
> Sbagli, Paolo. Ma ne abbiamo già parlato, quindi non ti tedierò
> ripetendo ciò che scrissi a suo tempo, quando riportai anche
> l'autorevole opinione di un professore universitario italiano che
> insegna in Spagna. Mi par di capire che preferisci persistere nella
> tua convinzione.

Mah... dovrei analizzare un campione sufficiente d'ispanofoni per esser
certo della differenza fonemica /b/ vs /v/. Teniamo presente che nei testi
antichi si trova spesso scritto "biva", quindi l'eventuale differenzazione
dovrebbe essere recente, magari dovuta all'influenza della grafia.

[...]

> > realizzato come [b] o [B] a seconda del contesto fonologico.
> > La distinzione /b/ vs /v/ è solo del portoghese (e del leonese?).
>
> Scusami, ma devo insistere: lo spagnolo, o castigliano che dir si
> voglia, distingue _b_ da _v_. Basta farci l'orecchio, per notare e
> memorizzare la differenza, seppur lieve.

Ma io non ho mai detto che il castigliano non differenzia [b] da [v] (o
meglio: [B], bliabiale e non labiodentale). Ho semplicemente detto che
questi foni sono in distribuzione complementare: dopo pausa o nasale si ha
[b], altrimenti [B]. Il fonema è unico, /b/ non i foni, i suoni con cui
questo si realizza!

[...]

> > All'estero pochi lo
> > sanno, tant'è che continuano a dire "[v]amos a la playa", "[v]iva el
amor"
> > &c.
>
> Non vorrei aver frainteso, data la mia scarsa propensione a capire i
> segni fonologici(?) e se cosí fosse me ne scuso ancor una volta.
> Voglio soltanto precisare che nessun madrelingua, neppure i meno
> colti, dice "bamos" o "biva".
> Todos vamos a la playa y ... ¡qué viva el amor!.

Infatti: in "¡qué viva el amor!" si ha /VbV/ che si realizza [B]. Stesso
discorso con "todos vamos": /b/ in questo caso è precedeuto da /s/ e quindi
si realizza [B].

Prova un po' a notare la differenza dopo pausa assoluta. Se c'è, siamo di
fronte a un ritorno di /b/ vs /v/ nel sistema fonologico spagnolo. Magari è
tipico della varietà venezolana.

Ciao,
Paolo


Nicola Nobili

unread,
Oct 3, 2001, 1:49:40 PM10/3/01
to
Giovanni Pontoglio

> Non capisco perché complicare le cose in questo modo: meglio imparare le
> cose giuste subito, o no?

Ora non ho tempo di entrare nei dettagli, ma vorrei proprio accennare al
fatto che questa opinione, per quanto diffusa, tradisce una grande
ingenuità. Il punto è che NON È POSSIBILE IMPARARE DIRETTAMENTE LE COSE
"GIUSTE".
La pedagogia ha appurato, negli ultimi decennî, che le strutture
linguistiche non si acquisiscono (si noti l'uso del verbo "acquisire")
nell'ordine voluto o nell'ordine in cui vengono spiegate dall'insegnante.
Esiste un ordine naturale, probabilmente con alcuni risvolti universali che
però è prematuro identificare con troppa sicurezza, e che, guarda caso, per
TUTTI i discenti una certa lingua, a prescindere dalla propria lingua madre,
è molto simile a quello con cui le acquisicono i bambini. In altre parole, è
perfettamente inutile insistere, e magari penalizzare gli studenti che
sbagliano, su certe strutture che ti sembrano "facili" perché sono logiche e
perché le hai spiegate due o tre mesi prima. Ci vorrà tempo, e prima
acquisiranno necessariamente altre strutture, che magari verranno spiegate
in séguito.
Prima di allora si può solo "memorizzare", non si può "acquisire" una
data struttura linguistica. La differenza è enorme. "Memorizzare" vuole dire
che puoi ricordarlo, elencare a pappagallo, anche eseguire correttamente un
esercizio basato su quella struttura, perché sai di doverti concentrare su
di essa, ma ci vorrà tempo prima che quella struttura venga utilizzata
correttamente "nella vita vera", in situazioni di reale conversazione, di
reale utilizzo della lingua.
Esempio pratico: la -s della terza persona in inglese. Sembra banale.
Anzi, lo è. Eppure, ci vogliono SEMPRE alcuni anni prima che un discente
l'inglese impari a usarla sistematicamente. Prima la capisce benissimo, la
usa correttamente negli esercizî sul presente semplice, perché sa che deve
badare a quello, ma continuerà a dimenticarla, sempre meno spesso, ma
comunque la scorderà per alcuni anni. Guarda caso, i bambini inglesi, che
pure sentono parlare inglese correttamente tutti i giorni, acquisiscono
questa -s come una delle ultime strutture. Prima di allora, sia i bimbi
inglesi che gli stranieri avranno acquisito benissimo altre strutture ben
piú "difficili", razionalmente, come molti passati irregolari, etc.

Morale della favola: non ha senso pensare di "insegnare súbito
correttamente". Un insegnante deve sempre parlare correttamente, e deve
sempre correggere gli errori (pur non penalizzando eccessivamente errori che
non possono essere stati ancora acquisiti). Ma cercare súbito di imparare
certi dettagli, tra cui classifico quelli da cui la discussione ha avuto
inizio, significa semplicemente fare un grosso sforzo mnemonico quasi del
tutto improduttivo, mentre cóllo stesso dispendio di forze e di tempo si
sarebbe potuto acquisire ben altro. Sto semplificando, lo so, ma spero
d'aver reso l'idea.

Mariuccia Ruta

unread,
Oct 4, 2001, 11:25:40 PM10/4/01
to
On Wed, 3 Oct 2001 09:39:21 +0200, in it.cultura.linguistica
rom...@dea.icai.upco.es (Romano Giannetti) wrote:
Lupus in fabula :))
> Mariuccia Ruta:

> > Scusami, ma devo insistere: lo spagnolo, o castigliano che dir si
> > voglia, distingue _b_ da _v_. Basta farci l'orecchio, per notare e
> > memorizzare la differenza, seppur lieve.
>
> Io credo che Nicola intende /b/ come fonema, e in questo caso forse ha
> ragione: anche se e` vero che v e b scritte si pronunciano in modo
> lievemente diverso, io ho provato varie volte a dire "biba la barca" o "viva
> la varca" (pronuncia italiana totale) e vieni capito esattamente lo stesso.

Probabilmente per via del contesto che rende comunque comprensibile
ciò che si intende dire. Il fatto è che (per lo meno fra italiani
ispanofili) c'è l'erronea convinzione che "uva" (giusto per fare un
esempio già noto) si pronunci "uba", mentre a me non risulta affatto
che sia cosí.
Uva versus UBA: quest'ultima, almeno qui a Maracay, è acronimo di
Universidad Bicentenaria de Aragua.
Se io dicessi: "He visto la uba muy bonita, ayer", chi mi ascolta
potrebbe forse dedurre dal contesto se sto parlando di frutta o di
ateneo. Forse. Ma certamente riderebbe fra sé e sé, deducendo che sono
una che non conosce la differenza di pronuncia fra le due consonanti.

> Per mia moglie era difficile cogliere la differenza, prima che imparasse
> l'italiano. Per la pronuncia, e` vero che sono diverse: b si pronuncia come
> in italiano, e la v e`... non so come spiegarlo... come fare una v italiana
> ma mettendo le labbra come per la b (e` forse questo che si intende con
> [B]?).

Io son solita descrivere tale pronuncia come bilabiale molto tenue,
simile alla _b_, ma con le labbra che si sfiorano impercettibilmente.
Mi scuso se non mi cimento nella trascrizione dei simboli fonetici
relativi: temo che creerei maggior confusione :))

> Poi mi hanno detto che in sudamerica la differenza e` ancora piu`
> forte; forse per questo spesso la gente mi confonde con un argentino quando
> parlo... (o forse per la cantilena ligure?)

Gli argentini non fanno testo :)) Hanno una pronuncia tutta loro:
inconfondibile ma anche molto dissimile sia dallo spagnolo che dal
castigliano :))
Però ho molti amici spagnoli, nati e cresciuti in Spagna; ebbene,
quando parlano, la differenza di pronuncia che esiste (perché esiste,
giusto?) fra _v_ e _b_ si sente. Eccome se si sente. Questa te l'ho
carpita :)) vuoi i diritti d'autore? :))

--
Ciao,
Mariuccia®

Mariuccia Ruta

unread,
Oct 4, 2001, 11:32:16 PM10/4/01
to
On Wed, 03 Oct 2001 17:11:56 GMT, in it.cultura.linguistica "Paolo"
<pao...@hotmail.com> wrote:

> Mariuccia Ruta:


> > Scusami, ma devo insistere: lo spagnolo, o castigliano che dir si
> > voglia, distingue _b_ da _v_. Basta farci l'orecchio, per notare e
> > memorizzare la differenza, seppur lieve.
>
> Ma io non ho mai detto che il castigliano non differenzia [b] da [v] (o
> meglio: [B], bliabiale e non labiodentale). Ho semplicemente detto che
> questi foni sono in distribuzione complementare: dopo pausa o nasale si ha
> [b], altrimenti [B]. Il fonema è unico, /b/ non i foni, i suoni con cui
> questo si realizza!

M'è rimasta impressa l'asserzione che facesti tempo addietro portando
ad esempio l'uva che in spagnolo ti risultava scritta "uba" e da ciò
che hai scritto adesso mi sembrava di capire che lo ritenessi normale.
Se non è cosí, ti chiedo scusa.

> > > All'estero pochi lo sanno, tant'è che continuano a dire
> > > "[v]amos a la playa", "[v]iva el amor" &c.
>
> > Non vorrei aver frainteso, data la mia scarsa propensione a capire i
> > segni fonologici(?) e se cosí fosse me ne scuso ancor una volta.
> > Voglio soltanto precisare che nessun madrelingua, neppure i meno
> > colti, dice "bamos" o "biva".
> > Todos vamos a la playa y ... ¡qué viva el amor!.

> Infatti: in "¡qué viva el amor!" si ha /VbV/ che si realizza [B]. Stesso
> discorso con "todos vamos": /b/ in questo caso è precedeuto da /s/ e quindi
> si realizza [B].

Ma quel "todos" non fa testo: lo avevo scritto d'impulso, intendendo:
"todos decimos (tutti diciamo): vamos...". Io (e non solo io :))
pronuncio "vamos" sempre con la v- come in italiano: labiodentale, sia
che la si faccia precedere o meno da qualsiasi altra parola.
¿Vamos? Null'altro. E a v- è _v_ :)


>
> Prova un po' a notare la differenza dopo pausa assoluta. Se c'è, siamo di
> fronte a un ritorno di /b/ vs /v/ nel sistema fonologico spagnolo. Magari è
> tipico della varietà venezolana.

Non mi risulta. Io credo che l'errore di fondo lo commettano coloro
che asseriscono che fra _b_ e _v_ non c'è differenza; credo che il
motivo sia il fatto che non è semplice descrivere la differenza di
pronuncia fra le due consonanti e quindi nei loro corsi di spagnolo
continuano a tagliar corto dicendo che hanno entrambe lo stesso suono.
E purtroppo riescono a convincere chi legge.

Riporto qui l'opinione a cui accennavo l'altro ieri. Non avrei voluto
ripetermi, ma credo che tutto sommato valga la pena farlo. Me ne
scuso, comunque.
|~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~
|>> PS: [...], a parte l'annoso problema b/v che in teoria si
|>> pronunciano allo stesso modo ma in pratica non e` vero).
|
> potresti sviluppare?
|
| Semplicemente, nei corsi classici di Spagnolo ti dicono che v e b
| si pronunciano allo stesso modo [B].
| [...] Pero` quando si sente uno spagnolo che parla "bene", tipo un
| vallisoletano (di Valladolid), la v e la b le pronuncia diverse,
| eccome; la b con [B] e la v con una [v] un po` corta.
|~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~~

> Ciao,
> Paolo

--
Ciao,
Mariuccia®

Giovanni Pontoglio

unread,
Oct 7, 2001, 4:20:06 AM10/7/01
to

Nicola Nobili ha scritto nel messaggio
<9pfk90$ic0u0$1...@ID-64088.news.dfncis.de>...

>Giovanni Pontoglio
>
>> Non capisco perché complicare le cose in questo modo: meglio imparare le
>> cose giuste subito, o no?
>
> Ora non ho tempo di entrare nei dettagli, ma vorrei proprio accennare
al
>fatto che questa opinione, per quanto diffusa, tradisce una grande
>ingenuità. Il punto è che NON È POSSIBILE IMPARARE DIRETTAMENTE LE COSE
>"GIUSTE". ....
> ..... acquisire ben altro. Sto semplificando, lo so, ma spero

>d'aver reso l'idea.

D'accordo.
Semplicemente volevo dire questo: non ha senso insegnare una cosa dapprima
in modo approssimativo quando, c o n u g u a l e s f o r z o p e r
i l d i s c e n t e , la si può subito insegnare correttamente.

Certo, uno straniero che impara l'italiano, se nella sua lingua materna non
c'è distinzione di sorde e sonore, per parecchio tempo tenderà a
confonderle, anche una volta che "sapesse" che c'è differenza tra /f/ e /v/
(o tra /ts/ e /dz/).

Non vedo però perché sarebbe opportuno insegnargli a distinguere certe
coppie di consonanti prima e altre dopo, quando l'operazione mentale
necessaria è la medesima. Diciamo che l'apprendimento dell'opposizione /ts/
: /dz/ è reso piú difficile dal fatto di non trovare verifica scritta della
propria pronunzia; se invece la lingua italiana differenziasse graficamente
i suoni ni questione, credo che lo straniero di cui sopra una volta giunto
allo stadio in cui gli è spontaneo distinguere /f/ da /v/ distinguerebbe con
altrettanta spontaneità /ts/ da /dz/.

Saluti

G.Pontoglio

>


Nicola Nobili

unread,
Oct 7, 2001, 8:45:16 AM10/7/01
to
Giovanni Pontoglio

> Semplicemente volevo dire questo: non ha senso insegnare una cosa dapprima
> in modo approssimativo quando, c o n u g u a l e s f o r z o p e r
> i l d i s c e n t e , la si può subito insegnare correttamente.

Infatti sono dell'idea che quando si *spiega*, ossia si forniscono
spiegazioni razionali, organiche, tecniche, le spiegazioni debbano essere
precise, anche se non immediatamente assimilabili. Ma il discente, quasi
sempre, non acquisirà tutto, e non ha senso insistere su aspetti di cui
s'impadronirà soltanto dopo mesi o anni.

> Certo, uno straniero che impara l'italiano, se nella sua lingua materna
non
> c'è distinzione di sorde e sonore

Attenzione, però: soltanto una percentuale esigua di errori di un
discente una lingua straniera è dovuta all'influenza della lingua madre.
Ribadisco: un'esigua percentuale. Diversamente da ciò che si crede. La
stragrandissima maggioranza degli errori è di tipo "evolutivo", ossia, il
discente non è ancora pronto per acquisire quella struttura.
Certo, gli errori di interferenza ci sono, vanno corretti, ma non
bisogna porvi eccessiva attenzione.

> Non vedo però perché sarebbe opportuno insegnargli a distinguere certe
> coppie di consonanti prima e altre dopo, quando l'operazione mentale
> necessaria è la medesima.

Non è la medesima. Devi "spiegare" correttamente tutto quando si
presenta l'occasione, ma non devi insistere su certe cose. Bisogna seguire
un ordine quanto piú simile a quello dell'acquisizione naturale. I bambini
acquisiscono i varî suoni della propria lingua in un certo ordine, sempre lo
stesso (salvo patologie ed occasionali deviazioni individuali). E bisogna
anche considerare l'impatto di un errore nell'economia della comunicazione.
Ecco perché correggere una "r" moscia in uno straniero è del tutto
secondario, come correggere una /s/ ed una /z/ o poco meno, mentre ha senso
cominciare prima a correggere l'assenza di doppie, etc.

> se invece la lingua italiana differenziasse graficamente
> i suoni ni questione, credo che lo straniero di cui sopra una volta giunto
> allo stadio in cui gli è spontaneo distinguere /f/ da /v/ distinguerebbe
con
> altrettanta spontaneità /ts/ da /dz/.

Razionalmente. O quando legge ad alta voce. Per il resto, vale il
discorso di cui sopra.

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