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Dubbio su "credo che"

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NonEdotto

unread,
Sep 10, 2016, 9:08:43 AM9/10/16
to
"Raramente tali fatti vengono poi girati dai siti e dai blog nazionali a beneficio dei propri lettori; in Portogallo, per esempio, credo che l’unico ad avere fornito informazioni sulla vicende che ha riguardato Assange sono stato io (sul blog XY, oltre che su una pagina Facebook rimasta attiva qualche tempo e poi chiusa)."

Due domande.

La prima (la più importante):
è accettabile nel contesto quel "sono stato io" dopo il "credo che" o è un errore al 100% (andava messo "sia" punto e basta)?

La seconda:
va bene quel "oltre che"?

Grazie, come sempre, a tutti coloro che forniranno indicazioni utili.

edevils

unread,
Sep 10, 2016, 10:17:38 AM9/10/16
to
On 10/09/2016 15:08, NonEdotto wrote:
> "Raramente tali fatti vengono poi girati dai siti e dai blog
> nazionali a beneficio dei propri lettori; in Portogallo, per esempio,
> credo che l’unico ad avere fornito informazioni sulla vicende che ha
> riguardato Assange sono stato io (sul blog XY, oltre che su una
> pagina Facebook rimasta attiva qualche tempo e poi chiusa)."
>
> Due domande.
>
> La prima (la più importante): è accettabile nel contesto quel "sono
> stato io" dopo il "credo che" o è un errore al 100% (andava messo
> "sia" punto e basta)?

Non ci trovo di male, per la distanza tra "credo che" e "sono stato io".
Comunque, "credo che sia stato io" non è la forma più comune, di solito
rimpiazzata da "credo di essere stato io", che però non può essere spezzato.

> La seconda: va bene quel "oltre che"?

Perché no?

NonEdotto

unread,
Sep 10, 2016, 10:57:47 AM9/10/16
to
Il 10 settembre 2016 edevils ha scritto:

>> e' accettabile quel "sono stato io" dopo il "credo che"...?

> Non ci trovo di male, per la distanza tra "credo che" e "sono stato io".


Potresti spiegarmi bene questa regola (o comunque questa cosa), per cortesia?

edevils

unread,
Sep 10, 2016, 12:58:00 PM9/10/16
to
Non direi sia una regola. Almeno al mio orecchio l'indicativo, che
potremmo dire colloquiale in questo caso, stride meno se a distanza: nel
mezzo ci sono un paio di subordinate!

Se desideri un registro formale allora usa "credo di essere stato io" o
"credo che sia stato io".

Ma, ripeto, la frase originale non mi turba.

Un altro elemento da considerare, forse, è che si tratta di un evento
passato, non tanto un'ipotesi quanto un dato che si riferisce, sia pure
con un margine di dubbio. Come dire: "a quanto ne so, è così".

Senti anche altri pareri.

Maurizio Pistone

unread,
Sep 10, 2016, 2:05:43 PM9/10/16
to
NonEdotto <inkr...@libero.it> wrote:

> credo che .... sono stato io

credo di essere stato io

--
Maurizio Pistone strenua nos exercet inertia Hor.
http://blog.mauriziopistone.it
http://www.lacabalesta.it

Fathermckenzie

unread,
Sep 10, 2016, 2:27:59 PM9/10/16
to
Il 10/09/2016 20:05, Maurizio Pistone ha scritto:
> NonEdotto <inkr...@libero.it> wrote:

>> credo che .... sono stato io

> credo di essere stato io

Sii più esplicito :-D

--
Et interrogabant eum turbae dicentes: “Quid ergo faciemus?”.
Respondens autem dicebat illis: “Qui habet duas tunicas,
det non habenti; et, qui habet escas, similiter faciat”.
(Ev. sec. Lucam 3,10-11)

edevils

unread,
Sep 10, 2016, 2:52:59 PM9/10/16
to
On 10/09/2016 20:27, Fathermckenzie wrote:
> Il 10/09/2016 20:05, Maurizio Pistone ha scritto:
>> NonEdotto <inkr...@libero.it> wrote:
>
>>> credo che .... sono stato io
>
>> credo di essere stato io
>
> Sii più esplicito :-D

Quella è la forma standard.

Klaram

unread,
Sep 11, 2016, 7:45:39 AM9/11/16
to
NonEdotto scriveva il 10/09/2016 :
> "Raramente tali fatti vengono poi girati dai siti e dai blog nazionali a
> beneficio dei propri lettori; in Portogallo, per esempio, credo che l’unico
> ad avere fornito informazioni sulla vicende che ha riguardato Assange sono
> stato io (sul blog XY, oltre che su una pagina Facebook rimasta attiva
> qualche tempo e poi chiusa)."
>
> Due domande.
>
> La prima (la più importante):
> è accettabile nel contesto quel "sono stato io" dopo il "credo che" o è un
> errore al 100% (andava messo "sia" punto e basta)?

Sono pienamente d'accordo.
>
> La seconda:
> va bene quel "oltre che"?

A me piace poco, ma è solo una questione di stile, non di correttezza.

k

NonEdotto

unread,
Sep 11, 2016, 12:26:20 PM9/11/16
to
Il giorno 11 settembre 2016 Klaram ha scritto:

>> e' accettabile nel contesto quel "sono stato io" dopo
>> il "credo che" o e' un errore al 100% (andava messo
>> "sia" punto e basta)?

> Sono pienamente d'accordo.


Intendi che è un errore al 100%?

edevils

unread,
Sep 11, 2016, 2:45:41 PM9/11/16
to
Ma, scusa, cosa ti vuoi sentir dire? Che a chi scrive un indicativo
colloquiale saranno tagliate le mani? La forma standard te l'ha
ricordata anche Maurizio Pistone. Deviare dallo standard è punibile con
la morte? Dipende da varie cose, per esempio dal contesto, da certe
sfumature, anche dalle sensibilità individuali. Sei italiano? Giudica da
te se quella frase ti pare tollerabile oppure no.

NonEdotto

unread,
Sep 11, 2016, 4:41:10 PM9/11/16
to
NonEdotto:
E' accettabile nel contesto quel "sono stato io" dopo il "credo che" o è un errore al 100% (andava messo "sia" punto e basta)?

Klaram:
Sono pienamente d'accordo.

NonEdotto:
Intendi che è un errore al 100%?

edevils:
Ma, scusa, cosa ti vuoi sentir dire? Che a chi scrive un indicativo colloquiale saranno tagliate le mani? La forma standard te l'ha ricordata anche Maurizio Pistone. Deviare dallo standard è punibile con la morte?
Dipende da varie cose, per esempio dal contesto, da certe sfumature, anche dalle sensibilità individuali. Sei italiano? Giudica da te se quella frase ti pare tollerabile oppure no.


Semplicemente, non si capisce con quale parte della frase Klaram
sia "perfettamente d'accordo". Non te ne sei accorto? Strano.

Comunque, visto che oltre a essere in generale (non tutti, sia
chiaro) imbranati e saccenti siete pure scarsotti nella "vostra"
materia (e il "bello" è che ve la tirate pure!), potete andare
tranquillamente a quel paese (ho già trovato un sito migliore).

Non si contano più le volte in cui su questo NG qui non si arriva
a una risposta chiara. Ma tanto le scuse al riguardo sono molto
facili da trovare, vero? :-) Mi dispiace smontarvi ma era da un
po' di tempo che mi trattenevo per pura carità cristiana...

edi'®

unread,
Sep 11, 2016, 4:52:53 PM9/11/16
to
Il 11/09/2016 22:41, NonEdotto ha scritto:

> potete andare
> tranquillamente a quel paese (ho già trovato un sito migliore).

Uscendo chiudi la porta, che mi volano le icone.

E.D.

Dragonòt

unread,
Sep 12, 2016, 2:52:36 AM9/12/16
to
> "edi'®" ha scritto:
>> potete andare
>> tranquillamente a quel paese (ho già trovato un sito migliore).
>
>Uscendo chiudi la porta, che mi volano le icone.


Dai, "NonEdotto", rimani,
come si fa altrimenti ad andare avanti senza di te?
Bepe

Klaram

unread,
Sep 12, 2016, 8:00:53 AM9/12/16
to
NonEdotto ha detto questo domenica :
> NonEdotto:
> E' accettabile nel contesto quel "sono stato io" dopo il "credo che" o è un
> errore al 100% (andava messo "sia" punto e basta)?
>
> Klaram:
> Sono pienamente d'accordo.
>
> NonEdotto:
> Intendi che è un errore al 100%?

Chiedo scusa per la mia distrazione. Intendevo dire che sono d'accordo
sul congiuntivo.
"Credo che" per me vuole il congiuntivo, a tal punto che se anche fossi
la prima delle bigotte, direi "credo che Dio esistA", oppure da atea
assoluta dico "credo che Dio non esistA". Ma di questo abbiamo parlato
tante volte.

Certo che se ci riferiamo al linguaggio colloquiale o se, peggio,
consideriamo le occorrenze in rete, troviamo anche molti "credo che" e
indicativo.
Però, non mi sembra il caso di fare (proprio noi!) le mosche
cocchiere nell'abbandono di regole che esistono ancora in un registro
più colto o almeno più informato.

> edevils:
> Ma, scusa, cosa ti vuoi sentir dire? Che a chi scrive un indicativo
> colloquiale saranno tagliate le mani? La forma standard te l'ha ricordata
> anche Maurizio Pistone.

Maurizio non ha affatto ricordato la forma standard, ma ha svicolato
dalla forma esplicita alla forma implicita con l'infinito, come
hai fatto pure tu.

k

edevils

unread,
Sep 12, 2016, 9:16:54 AM9/12/16
to
On 12/09/2016 14:00, Klaram wrote:
> NonEdotto ha detto questo domenica :
>> NonEdotto: E' accettabile nel contesto quel "sono stato io" dopo
>> il "credo che" o è un errore al 100% (andava messo "sia" punto e
>> basta)?
>>
>> Klaram: Sono pienamente d'accordo.
>>
>> NonEdotto: Intendi che è un errore al 100%?
>
> Chiedo scusa per la mia distrazione. Intendevo dire che sono
> d'accordo sul congiuntivo. "Credo che" per me vuole il congiuntivo,
> a tal punto che se anche fossi la prima delle bigotte, direi "credo
> che Dio esistA", oppure da atea assoluta dico "credo che Dio non
> esistA". Ma di questo abbiamo parlato tante volte.

Eh, ma perché tu non ci credi (chiedo scusa se sbaglio).
:)

Il fedele dirà: "Credo che Dio esiste".

...
la frase Credo che Dio esiste, dove il credo non è nemmeno piú
interpretabile come indebolimento dell’enunciato della frase dipendente.
(GGIC)



> Certo che se ci riferiamo al linguaggio colloquiale o se, peggio,
> consideriamo le occorrenze in rete, troviamo anche molti "credo che"
> e indicativo. Però, non mi sembra il caso di fare (proprio noi!) le
> mosche cocchiere nell'abbandono di regole che esistono ancora in un
> registro più colto o almeno più informato.

Sbaglierò, ma a me pare che chi ha posto la domanda, pur firmandosi per
modestia "Non Edotto", sappia benissimo che la forma con l'indicativo
non è quella più colta. Ma ci ha chiesto se la ritenessimo "accettabile
nel contesto" oppure "un errore al 100%, punto e basta".
Il "contesto" citato a me pare quello di un testo scritto ma discorsivo,
non particolarmente formale: al mio orecchio (opinabilissimo, per
carità) quell'indicativo colloquiale "ci può stare", e ho anche fatto
notare qualche "attenuante" aggiuntiva come la distanza tra verbo
reggente e subordinata dislocata in fondo a destra, dopo altre due
subordinate nel mezzo, nonché il tempo passato del verbo.
Gli "errori al 100%, punto e basta" per me sono altri. Se
quell'indicativo è il "100%" sulla scala degli errori, i congiuntivi del
"Di" vicepresidente della Camera che percentuali stellari
raggiungeranno? ;-)

>> edevils: Ma, scusa, cosa ti vuoi sentir dire? Che a chi scrive un
>> indicativo colloquiale saranno tagliate le mani? La forma standard
>> te l'ha ricordata anche Maurizio Pistone.
>
> Maurizio non ha affatto ricordato la forma standard, ma ha svicolato
> dalla forma esplicita alla forma implicita con l'infinito, come hai
> fatto pure tu.


Maurizio risponderà meglio di me, ma... perché dici che abbiamo
svicolato? Generalmente la forma implicita rimpiazza quella esplicita
quando il soggetto di "credere" è lo stesso della
subordinata, dunque diciamo "credo di essere stato io" piuttosto che
"credo che sia stato io".
Peraltro io mi sono esposto per primo esprimendo la mia personale
opinione su un terreno minato come una forma colloquiale, su cui è fin
troppo facile fare gli sdegnosi dimenticando le ragioni dell'uso. Altro
che svicolato!

Klaram

unread,
Sep 12, 2016, 10:55:08 AM9/12/16
to
edevils ci ha detto :

>> Chiedo scusa per la mia distrazione. Intendevo dire che sono
>> d'accordo sul congiuntivo. "Credo che" per me vuole il congiuntivo,
>> a tal punto che se anche fossi la prima delle bigotte, direi "credo
>> che Dio esistA", oppure da atea assoluta dico "credo che Dio non
>> esistA". Ma di questo abbiamo parlato tante volte.
>
> Eh, ma perché tu non ci credi (chiedo scusa se sbaglio). :)

Infatti, ma ho scritto anche "credo che Dio non esistA". :)

>Il fedele dirà: "Credo che Dio esiste".

E sbaglia, non nel merito ma per una questione esclusivamente
grammaticale.

Se L'esistenza (o la non esistenza) di Dio fosse oggettiva, come lo è
l'esistenza di Roma, nessuno direbbe "credo che Roma esista". Roma
esiste, punto.
Ma, poiché l'esistenza, o la non esistenza, di Dio non sono
dimostrabili e c'è chi ci ci crede e chi no, si ricorre all'espressione
"credo che", che grammaticalmente regge il congiuntivo,
indipendentemente dalla forza delle convinzioni di ciascuno.

k

Klaram

unread,
Sep 12, 2016, 11:08:08 AM9/12/16
to
Il 12/09/2016, edevils ha detto :

> Sbaglierò, ma a me pare che chi ha posto la domanda, pur firmandosi per
> modestia "Non Edotto", sappia benissimo che la forma con l'indicativo
> non è quella più colta. Ma ci ha chiesto se la ritenessimo "accettabile
> nel contesto" oppure "un errore al 100%, punto e basta".
> Il "contesto" citato a me pare quello di un testo scritto ma discorsivo,
> non particolarmente formale: al mio orecchio (opinabilissimo, per
> carità) quell'indicativo colloquiale "ci può stare", e ho anche fatto
> notare qualche "attenuante" aggiuntiva come la distanza tra verbo
> reggente e subordinata dislocata in fondo a destra, dopo altre due
> subordinate nel mezzo, nonché il tempo passato del verbo.
> Gli "errori al 100%, punto e basta" per me sono altri. Se
> quell'indicativo è il "100%" sulla scala degli errori, i congiuntivi del
> "Di" vicepresidente della Camera che percentuali stellari
> raggiungeranno? ;-)

Certo, una valutazione come errore al 100% è troppo tranciante.
Sicuramente c'è di peggio, ed è giusto tener conto dei diversi
registri, però se uno mi chiede un parere su "credo che e indicativo",
gli rispondo che è un errore.

>> Maurizio non ha affatto ricordato la forma standard, ma ha svicolato
>> dalla forma esplicita alla forma implicita con l'infinito, come hai
>> fatto pure tu.
>
>
> Maurizio risponderà meglio di me, ma... perché dici che abbiamo
> svicolato? Generalmente la forma implicita rimpiazza quella esplicita
> quando il soggetto di "credere" è lo stesso della
> subordinata, dunque diciamo "credo di essere stato io" piuttosto che
> "credo che sia stato io".

Volevo solo dire che proponendo la forma implicita, che potrebbe pure
essere migliore, avete evitato di rispondere alla domanda che verteva
sulla forma esplicita.

k

Roger

unread,
Sep 12, 2016, 1:09:31 PM9/12/16
to
Klaram ha scritto:
> edevils ci ha detto :
>
>>> Chiedo scusa per la mia distrazione. Intendevo dire che sono
>>> d'accordo sul congiuntivo. "Credo che" per me vuole il congiuntivo,
>>> a tal punto che se anche fossi la prima delle bigotte, direi "credo
>>> che Dio esistA", oppure da atea assoluta dico "credo che Dio non
>>> esistA". Ma di questo abbiamo parlato tante volte.
>>
>> Eh, ma perché tu non ci credi (chiedo scusa se sbaglio). :)
>
> Infatti, ma ho scritto anche "credo che Dio non esistA". :)
>
> >Il fedele dirà: "Credo che Dio esiste".
>
> E sbaglia, non nel merito ma per una questione esclusivamente grammaticale.

Non sono d'accordo.
Nella frase "credo che Dio esiste", il verbo credere non ha il
significato di
pensare, opinare, ritenere, bensì quello di avere fede, essere certo
dell'esistenza di Dio.

--
Ciao,
Roger
--
"C'è solo una cosa che si frappone tra me e la grandezza. E sono io"
(Woody Allen, 21/12/2005)

edevils

unread,
Sep 12, 2016, 1:19:49 PM9/12/16
to
Sei troppo logica :)
L'uso non sempre segue la logica.
A dispetto della logica, i credenti dicono "credo che Dio esiste", e
nessuno osa metter loro il cappello d'asino. Forse per paura di
rappresaglie divine!


Lo stesso Marco moderatore di "un sito migliore del nostro" raccomanda
il congiuntivo "almeno nel registro formale", ma cita tra le eccezioni

"credere nel caso di professione di fede".


Quanto all'uso meno formale, la discussione sul "sito migliore del
nostro" non mi pare troppo divergente dalla nostra, con diverse
sfumature d'opinione secondo la sensibilità dei palati individuali. In
ogni caso viene chiarito che si parla di "raccomandazioni", non di
"prescrizioni". In questo campo non ci sono solo il bianco o il nero,
100% corretto o 100% non corretto.


Viene anche citata la GGIC-Grande grammatica italiana di consultazione,
che riporta vari esempi in cui l'indicativo tende a sostituire il
congiuntivo nella "lingua d'uso", quella non in punta di forchetta,
magari meno elegante ma non per questo da correggere con la matita blu.

Per esempio,

si può segnalare con l’indicativo che si è convinti della fattualità del
contenuto della frase dipendente. Ciò vale anche nel caso di identità
tra persona denotata dal SOGGETTO della predicazione e parlante, se la
frase dipendente deve essere comunicata come ferma convinzione di questo
e in tal modo la funzione comunicativa della subordinata si avvicina a
quella di un’asserzione solo leggermente indebolita. La relativa
autonomia della frase dipendente che si è venuta cosí a creare permette
la scelta dell’indicativo, tanto piú in caso di identità referenziale
dei soggetti nelle frasi principale e dipendente:

(77 a) Credo che ho dimenticato gli occhiali proprio lí.
(77 b) «Credo che mi annoiavo e anelavo il momento che la giornata
riprendesse» (C. Pavese, Storia segreta, in Racconti, Torino, Einaudi,
1960, p. 485)

[...]

Con l’indicativo si può però anche comunicare in quanto tale, citare
quasi, una ferma convinzione di altre persone:

(78) C’è gente che crede che la libertà e l’ordine non sono compatibili.






edevils

unread,
Sep 12, 2016, 1:53:30 PM9/12/16
to
On 12/09/2016 17:08, Klaram wrote:
> Il 12/09/2016, edevils ha detto :
>
>> Sbaglierò, ma a me pare che chi ha posto la domanda, pur
>> firmandosi per modestia "Non Edotto", sappia benissimo che la forma
>> con l'indicativo non è quella più colta. Ma ci ha chiesto se la
>> ritenessimo "accettabile nel contesto" oppure "un errore al 100%,
>> punto e basta". Il "contesto" citato a me pare quello di un testo
>> scritto ma discorsivo, non particolarmente formale: al mio
>> orecchio (opinabilissimo, per carità) quell'indicativo colloquiale
>> "ci può stare", e ho anche fatto notare qualche "attenuante"
>> aggiuntiva come la distanza tra verbo reggente e subordinata
>> dislocata in fondo a destra, dopo altre due subordinate nel mezzo,
>> nonché il tempo passato del verbo. Gli "errori al 100%, punto e
>> basta" per me sono altri. Se quell'indicativo è il "100%" sulla
>> scala degli errori, i congiuntivi del "Di" vicepresidente della
>> Camera che percentuali stellari raggiungeranno? ;-)
>
> Certo, una valutazione come errore al 100% è troppo tranciante.
> Sicuramente c'è di peggio, ed è giusto tener conto dei diversi
> registri, però se uno mi chiede un parere su "credo che e
> indicativo", gli rispondo che è un errore.

Su "un sito migliore del nostro" si riporta una pagina di Luciano Satta
sul "credo che".
La morale, anticipo, è che non ci sono solo regolette da applicare in
maniera pedissequa, ma anche l'orecchio del parlante che modula le
regole a uno specifico contesto, una specifica frase, in fondo anche al
proprio gusto. Non sempre un congiuntivo in meno, sia pur teoricamente
previsto, suonerà peggio.


===

[…] Riassumo la mia umile ma decisa posizione: «Credo che sia tardi»,
d’obbligo o quasi; ma «Desidero sapere se sia tardi» senza obbligo, va
bene anche «Desidero sapere se è tardi.»
In quest’ultimo esempio e in quest’ultima affermazione ho un sostenitore
eccezionale: «Io mi domando a mia volta quale finisce per essere, oggi,
la verità di un vocabolario…»; autore, Giovanni Nencioni, [ex]
presidente dell’Accademia della Crusca. Posso assicurare, per chi non lo
sapesse, che uno non diventa presidente della Crusca con la stessa
facilità (o faciloneria) con cui talvolta (o spesso) un altro diventa
presidente del consiglio.
Una volta scrissi su un giornale: «Che la scuola italiana ha certe
pecche di arretratezza è risaputo». Sul mio tavolino sfarfallarono
decine di lettere: lei doveva dire «abbia», reclamavano concordi. E
questa grande attenzione di molta gente per il congiuntivo fa piacere.
Però la molta gente spesso è precipitosa. Se si prova a rovesciare la
frase abbia dovrebbe stare sempre bene; però giudicate voi: «È risaputo
che la scuola italiana abbia certe pecche di arretratezza». Un’identica
ondata di proteste mi sommerse quando analogamente scrissi: «Che il
sabato e la domenica sono i giorni piú importanti della settimana lo
dimostra anche il lessico». Macché sono, siano, insorsero i lettori. E
mi toccò ripetere il discorso della frase invertita: «Anche il lessico
dimostra che il sabato e la domenica siano…» eccetera. Ma per dritto o
per rovescio dimostrare che vuole l’indicativo, anche se la
dimostrazione è del tutto soggettiva e niente affatto convincente: «Ora
ti dimostro che la Terra ha la forma di un cubo». Semmai, il congiuntivo
si darà a dimostrare come.
Un’altra volta scrissi: «Credo di ricordare che un tempo si diceva
cosí». Nuova bufera epistolare: c’è credo, insorse la gente, dovevi
usare il congiuntivo dicesse. Nossignori, fui costretto a rispondere
nonostante l’evidenza, il mio indicativo dipendeva da ricordare, non da
credere. Il verbo che avrebbe dovuto reggere il congiuntivo non era
stato localizzato: è un altro bell’esempio di gente che esige il
congiuntivo a vanvera, senza avere raziocinio o intuito sintattico.
Ho sempre difeso il congiuntivo, «Sembra che può bastare» e simili non
mi vanno giú. D’altra parte mi affanno a predicare che il congiuntivo è
roba fine, perciò godiamocelo a minuzzoli, senza sperperarlo, anche
perché un congiuntivo ne tollera a malapena un altro nelle vicinanze:
«Io penso che sia meglio che tu rimanga in casa». Via, non si tollera
una frase come questa, ancorché esemplare:
«Spero che nessuno pensi che Roberto sbagli, qualora compri un libro nel
quale trovi suggerimenti che lo persuadano affinché smetta di fumare».
Meglio lasciarlo fumare, questo Roberto.
Fuori dello scherzo, e fuori dell’esempio inventato, mi pare un po’
troppo adorna di congiuntivi (perfetti, indiscutibili uno per uno)
questa frase di Giulio Andreotti: «Gli chiesi se pensasse che l’Unione
Sovietica potesse fornire armi all’Egitto senza assicurarsi che, al
momento dato, fossero usate nel senso giusto».
In difesa del congiuntivo cito e biasimo qualche scrittore (perché tra
poco dirò che il congiuntivo è in eccedenza, ma bisogna anche far vedere
i casi di congiuntivo «deficitario»). Giovanni Pascutto: «Fai finta che
sono cieco. Guidami tu». È la fine, l’ultima frase di un romanzo, e per
il pedante non è un lieto fine, speriamo che la guida sia molto ma molto
migliore del tizio da guidare. Dello stesso: «Dio mio, avevo paura che
non volevi piú saperne di me»; ed è da biasimare anche questo
indicativo, pur se qui sentimentalmente si solidarizza con un disarmato
tremulo implorante indicativo nel quale il dubbio solitamente attribuito
al congiuntivo ha palpiti di speranza e che intenerisce, cosí gonfio di
sgrammaticata dedizione; l’amore sopra tutto. Vincenzo Cerami: «… come
se qualcosa mi stava mangiando»; speriamo, commenterà invelenito il
solito pedante. Luigi Malerba: «Mi sembra che i romanzi non si scrivono
cosí. Sembra anche al pedante.
Una puntata sulla politica, con un solo autore, il presidente del
consiglio Bettino Craxi: «Io credo che c’è»; «Io penso che le nostre
possibilità sono limitate» […]; «Ho l’impressione che mi avete portato
fuori strada» […] Commento a Craxi: hanno detto che il potere logora,
che il potere logora chi non ce l’ha, che il potere non logora ma
corrompe (questo è lo scrittore Primo Levi); il pedante si limita a dire
che il potere logora i congiuntivi di chi lo detiene.
Invece io mi permetto di trascurare il congiuntivo quando ciò è lecito
(e se si perdona il bisticcio, è lecito anche ora che ho detto quando è
lecito laddove qualcuno avrebbe preferito quando sia lecito, di cui
riconosco tutta l’eleganza). C’è chi ha rimproverato me e altri perché
scriviamo accade che, si dà il caso che con l’indicativo. Ma codesti
altri e io ci sentiamo a posto seguendo la distinzione — pur da vedere
con diligenza e badando alle eccezioni — che attribuisce all’indicativo
la certezza e la realtà, al congiuntivo l’incertezza e l’opinione; e con
accade che si vogliono introdurre eventi e situazioni reali, non
frottole. Non c’è bisogno di un Accadde che ci incontrassimo, perché
Accadde che ci incontrammo regge benone; e ugualmente sta bene Si dà il
caso che oggi piove. Non è in discussione la bellezza di un Si dà il
caso che oggi piova, specialmente se con vaga sottolineatura ironica o
enfatica. E non si discute il congiuntivo nell’analogo vuole il caso
che, essendo volere un verbo burbanzoso e democratico insieme, poiché
pretende l’esecuzione di qualche cosa ma contemporaneamente pare
metterla in dubbio: «Voglio che tu stia in casa», dice un coniuge
all’altro; e guardate com’è bene educata e discreta la sintassi, che
unisce al comando l’incertezza sull’obbedienza: io voglio, ma bisogna
vedere se tu mi ascolti, l’imperativo si attenua appena viene enunciato,
cosicché il volere si avvicina al pregare, e insomma il congiuntivo dà
anche una mano a tenere la pace in famiglia.
E c’è un’altra errata opinione da combattere: che il congiuntivo sia
«sempre» obbligatorio nel periodo ipotetico, quando manchi la certezza,
vale a dire con i tipi della probabilità, e dell’irrealtà. Non è vero.
Un periodo dell’irrealtà si può sistemare con un paio di indicativi
imperfetti: «Se eri in casa ti telefonavo». E anche con l’indicativo e
il condizionale: «Se scoppiava la bomba ci sarebbe stata una strage»
(Romano Bilenchi).
Va bene, diciamolo pure, con metafora consunta anzi avvizzita perché piú
pertinente, che il congiuntivo è il fiore all’occhiello della sintassi,
ma pensate: un uomo che si mette (o che si metta) un fiore all’occhiello
due volte il mese è leggiadro; se lo fa quattro volte è stravagante,
dodici stucchevole, venti è rivoltante, trenta fa augurare che su quel
fiore e chi lo porta calino schiere di api momentaneamente di cattivo
umore. E chi non lo chiama fiore all’occhiello , il congiuntivo lo
chiama gioiello. Ma siamo alle solite: nessuna signora si ingioiella per
andare dal tabaccaio sotto casa a comprare un francobollo, a meno che
non sia innamorata del tabaccaio. E si ricordi una cosa: la persona di
poca istruzione dice «Se lo sapevo ti telefonavo» e va sul sicuro perché
nessuno può rimproverare una frase come questa; obbligate la stessa
persona a fare a meno dell’indicativo, e può darsi che vi sentiate dire
«Se lo avrei saputo ti avrei telefonato»; insomma avete obbligato un
parlante a parlare scorretto.
Come alla recluta appena arrivata non si mette in mano un mitra e non si
dice di andare in cortile a sparare, cosí è meglio non imporre il
congiuntivo prima di averlo messo bene in testa, propria e altrui.
L’Italia pedante fa del congiuntivo una gloria nazionale come il
paesaggio, i cipressetti in cima ai colli, il vino, Dante e gli
spaghetti. È un modo che molti stranieri ci invidiano, si sente dire, al
punto che si immagina una famiglia di stranieri, ben disposti a passare
le vacanze in Italia, che vanno all’agenzia di viaggi a chiedere se sia
da preferire il congiuntivo della riviera adriatica o quello della
Versilia. Ma l’Italia pedante è anche l’Italia che il «suo» congiuntivo
non lo conosce bene, si è visto; o perlomeno c’è di mezzo qualcosa che
imbrana il parlante. Il congiuntivo impaurisce, e non tanto i
giovanissimi che vanno a ruota libera, privi di ammaestramenti, quanto i
grandi. Nel settembre del 1984 udii in televisione la persona piú
importante in materia di istruzione, la senatrice Franca Falcucci, dire:
«Mentre il Senato sta cercando di operare in modo che si potesse…». Per
l’appunto era il primo giorno di scuola. Figuriamoci a giugno, avrà
commentato qualcuno. Ma no, nessuno se ne accorse; e bisogna decidere se
sia piú grave l’errore della persona importante o il fatto che tutti, a
quel che pare, presero per buono quello che era uno sproposito.
E come esempio del disorientamento che il congiuntivo provoca almeno in
chi lo usa all’impronta, parlando, senza la riflessione di chi deve
metterlo per iscritto, basti. Ci sarebbero da aggiungere i faccino, i
vadino eccetera. «Io credo che i bambini si divertino» disse una persona
preparata e la cui professione faceva presumere un buon italiano. Con
ciò non voglio dire che questa persona faceva meglio a usare
l’indicativo, forse faceva ancora meglio a stare zitta. Si racconta di
una mamma che, il primo giorno di scuola, accomiatandosi dal figlio che
esordiva in terza media, gli disse prima di baciarlo: «Giovanni, vorrei
tanto che tu sai bene il congiuntivo». Se sia barzelletta o verità, devo
ancora saperlo. Ma quella seguente è verità. Una sera si svolse nella
sala di un albergo una conferenza sul congiuntivo; e parlava uno che,
come il firmatario di questo libro, raccomandava prudenza e moderazione,
ricordando in quali casi l’indicativo poteva essere un buon rimedio.
Dopo la conferenza, gli interventi degli ascoltatori; consensi e
dissensi. Parlò per ultimo proprio un dissenziente, ossia un difensore
strenuo del congiuntivo sempre e in ogni occasione. Cortesissimo,
all’apparenza anche colto, finí rivolgendo al conferenziere queste
parole: «Insomma, signore, ho l’impressione che lei ha antipatico il
congiuntivo».
Ora qui desidero dimostrare due cose: primo, il congiuntivo è vivissimo,
sbagliano tutti coloro che piangono su un congiuntivo in coma, anzi c’è
un’eccedenza di congiuntivo; secondo, ma questo l’ho già dimostrato, non
accoltello il congiuntivo, ne sono un difensore. Ma combatto l’eccesso:
se un passante trafelato e con valigia mi ferma sulla via della stazione
e mi domanda «Sa dirmi che ore siano?», giuro che gli do un’ora
sbagliata e gli faccio perdere il treno.
La vitalità del congiuntivo. A Firenze si tenne, era il 1985, una specie
di conferenza o tavola rotonda intitolata «Morte del congiuntivo».
L’annuncio del decesso, dato anche con manifesti, provocò un
affollamento di gente addolorata nella sala, che tuttavia non fu una
camera ardente perché uno dei partecipanti al dibattito parlò di morte
soltanto apparente e diede i risultati di una sua ricerchina fatta
leggendo da cima a fondo due settimanali e quattro quotidiani. Su
settecento esempi, che comprendevano i casi di indicativi leciti e i
casi di congiuntivi che avrebbero fatto bella figura anche come
indicativi (ecco perché si è parlato di eccedenza: i congiuntivi
«voluttuari» sono novanta), gli indicativi che avevano l’obbligo di
essere congiuntivi, gli indicativi proibiti, quelli la cui cifra avrebbe
dovuto testimoniare la morte del congiuntivo, sono tre, e precisamente:
«Qualcuno ha osato ipotizzare che quei soldi furono…»; «Si ritiene che
la trasfigurazione attuale è oltre l’avanguardia»; «Lamenta che gli
imprenditori lavorano all’estero». E quest’ultimo indicativo potrebbe
essere difeso con buon successo.
Ora voglio dare alcuni esempi, su frasi di tutti i giorni, di
congiuntivo obbligatorio o quasi, e di indicativo lecito se non
opportuno. La linea di divisione sarà fra caso della certezza e caso
dell’incertezza. Per il momento si lascia stare il periodo ipotetico,
tranne l’esortazione, a chi non ha sufficiente confidenza con il
congiuntivo, a usare liberamente l’indicativo, nell’ipotesi riguardante
il passato (si precisa fra l’altro che questo libro ha il proposito di
aiutare, e non quello di scoraggiare). La famosa iperbole «Se mia nonna
aveva le ruote era un carretto» sarà una costruzione popolare anche
nella sintassi ma, come il precedente esempio, «Se lo sapevo ti
telefonavo, non ha niente da rimproverarsi, è inutile appesantire con
«Se mia nonna avesse avuto le ruote sarebbe stata un carretto», il
risaputo e quindi superfluo postulato che una anziana signora non è un
veicolo e perciò non è un carretto nemmeno se si mette i pattini.
Premetto che non do come oro colato gli esempi che seguono, fra l’altro
segni evidenti della difficoltà di scegliere sempre bene. Vediamo.
Ecco subito una distinzione da niente, eppure da mettere in evidenza.
Nessuna grammatica lo dice, ma accertare che è diverso da accertarsi
che: «La polizia ha accertato che l’uomo era disarmato»; «La polizia si
è accertata che l’uomo fosse disarmato». Mentre la polizia si accertava,
non era ancora certa. Insomma, accertare è piú certo di accertarsi, se
si perdona il giochino. Ma queste sottigliezze, chi le conosce? Ed è la
stessa zuppa con assicurare che e assicurarsi che: «Assicuro che tutto
funziona bene»; «Mi assicuro che tutto funzioni bene».
Poi, i verbi che indicano evento: «È accaduto che mi hanno rubato
l’auto»; «Può accadere che mi rubino l’auto».
I verbi del dire: «Dicono, affermano che il paziente sta bene»; sí,
indicativo, perché io metterei con l’indicativo anche la certezza
soggettiva (ma i miei oppositori sono capaci di distinguere: indicativo
ossia certezza se l’ha detto un primario di fama internazionale,
congiuntivo ossia incertezza se l’ha detto un infermiere appena
diplomato). Tutto può cambiare con una negazione, che riconduce
all’incertezza: «Non assicurano che il malato stia bene»; però senza
scomunicare chi usa l’indicativo.
Tuttavia bisogna badare alla negazione che afferma, e allora ci risiamo
con la certezza: «Non c’è dubbio che ti ama», uguale a «È certo che ti
ama». Piccoli inevitabili pasticci, ai quali si deve aggiungere la frase
interrogativa, che per sua natura rimette in gioco l’incertezza, e
riecco il congiuntivo: «Sei sicura che ti ami?».
Altro caso da discutere, o da spiegare bene a chi non sa il congiuntivo,
e subito vedrete che non è facile. La sicurezza nel presente vuole
l’indicativo: «Sono sicuro che Giuseppe è in casa». Ma la sicurezza nel
passato è tutt’altro discorso, se nel frattempo i fatti hanno smentito
la sicurezza: «Ero sicuro che Giuseppe fosse qui» (e invece no); qui fra
l’altro l’indicativo disturberebbe perché verrebbe fuori «Ero sicuro che
era», con una ripetizione un po’ noiosa.
Non si dimentichi, inoltre, la differenza tra il pensare uguale a essere
del parere e il pensare uguale a riflettere sul fatto. Il secondo vuole
l’indicativo. Sergio Zavoli, bene: «Avevo guardato le sue mani pensando
che esse erano l’espressione massima della forma viva del padre». E
altrettanto bene Claudio Marabini: «Pensò che dappertutto la vita
continuava». Lo stesso accade di credere come atto di fede: «Credo che
Dio esiste».
Cerco di prevedere e di prevenire sottigliezze e cavilli giocando di
contropiede. Un cavillo è questo, già sentito: come la mettiamo con il
sogno, che accade ma non racconta una realtà. Non ho dubbi: «Ho sognato
che eravamo insieme», non «Ho sognato che fossimo insieme», per carità.
La realtà, che poi è diversa dalla certezza, sta nel fatto che il sogno
è avvenuto, come si è accennato: se uno sogna di dover baciare una
megera e si sveglia urlando, l’urlo c’è stato; piú realtà di cosí.
Ugualmente l’indicativo, e non il congiuntivo, è congeniale alla
scommessa: uno deve scommettere che la sua squadra vince; se scommette
che vinca, è troppo obiettivo e prudente per essere un tifoso.
Mi piace dare un esempio di congiuntivo «eccedente» — ossia,
l’indicativo sarebbe stato perfetto — citando uno dei piú eleganti
prosatori di oggi, Carlo Laurenzi: «A riprova che almeno fra noi André
Gide sia piú citato che letto, ecco un fatterello forse imbarazzante».
I pericoli del congiuntivo sono anche pericoli concreti: una fabbrica di
pentole deve garantire che le pentole sono inossidabili, se garantisce
che siano inossidabili, le conviene riconvertirsi e fabbricare
biciclette; beninteso, garantendo che le ruote girano, e non che girino,
sennò siamo da capo.
Sulla certezza e sull’incertezza mi sia concesso raccontare un altro
episodio. Era una domenica sera, e il conduttore del telegiornale, uno
dei piú bravi, riassumendo la domenica sportiva annunciò: «È successo
che il Napoli abbia perso e che l’Atalanta abbia vinto». Ebbi qualche
perplessità, che tuttavia non espressi pubblicamente, finché una
lettrice di certe mie chiacchierate giornalistiche ebbe le stesse
perplessità e mi istigò a scrivere. Ne nacque una disputa fra il
conduttore e me. Egli sostenne che il suo congiuntivo intendeva
sottolineare, anche per le conseguenze che l’evento calcistico ebbe sul
concorso pronostici, un fatto che nessuno prevedeva. Io giudicai non
certo errati ma soltanto inutili quei due congiuntivi; l’argomento per
giustificarli mi sembra, come mi sembrò allora, piuttosto discutibile.
Potrei rispondere con uno scaltro cavillo: poiché la partita era proprio
Napoli-Atalanta, se è fuori del comune che il Napoli abbia perduto è
matematico che l’Atalanta ha vinto, quindi almeno il secondo verbo stava
bene con l’indicativo. Ma questa è una sottigliezza spregevole. Allora
insisto sul fatto che nessuno prevedeva. E penso: se quel conduttore di
telegiornali esce di casa durante un meraviglioso pomeriggio estivo, va
alla Rai, lavora, e rincasando a piedi viene infradiciato dalla testa ai
medesimi per opera di un improvviso acquazzone, aperto l’uscio di casa
dirà sicuramente alla moglie: «È accaduto che un temporale mi abbia
sorpreso». E la moglie scuoterà la testa, non per il marito bagnato ma
per il congiuntivo superfluo. In ogni modo, nella distinzione fra
certezza e incertezza questo conduttore non deve essere molto esperto,
se un paio di mesi dopo il congiuntivo calcistico annunciò: «Un fatto è
certo: i morti sarebbero tre». Tutti sanno che il condizionale,
specialmente nello stile giornalistico, vuole indicare che una notizia
non è certa.
Invero qui si è parlato di congiuntivo, e il condizionale c’entra poco;
ma si sa che c’entra molto nel periodo ipotetico. Si guardi allora,
appunto, la voce IPOTETICO.

(Scrivendo e parlando, Usi e abusi della lingua italiana, Firenze,
Sansoni, 1988)






>>> Maurizio non ha affatto ricordato la forma standard, ma ha
>>> svicolato dalla forma esplicita alla forma implicita con
>>> l'infinito, come hai fatto pure tu.
>>
>>
>> Maurizio risponderà meglio di me, ma... perché dici che abbiamo
>> svicolato? Generalmente la forma implicita rimpiazza quella
>> esplicita quando il soggetto di "credere" è lo stesso della
>> subordinata, dunque diciamo "credo di essere stato io" piuttosto
>> che "credo che sia stato io".
>
> Volevo solo dire che proponendo la forma implicita, che potrebbe pure
> essere migliore, avete evitato di rispondere alla domanda che verteva
> sulla forma esplicita.

Se chi ha fatto la domanda cercava la forma migliore, in realtà, la
risposta di Maurizio è la più utile.

edi'®

unread,
Sep 12, 2016, 3:50:18 PM9/12/16
to
Il 12/09/2016 16:55, Klaram ha scritto:

>>Il fedele dirà: "Credo che Dio esiste".
>
> E sbaglia, non nel merito ma per una questione esclusivamente grammaticale.
>
> Se L'esistenza (o la non esistenza) di Dio fosse oggettiva, come lo è
> l'esistenza di Roma, nessuno direbbe "credo che Roma esista". Roma
> esiste, punto.
> Ma, poiché l'esistenza, o la non esistenza, di Dio non sono dimostrabili
> e c'è chi ci ci crede e chi no, si ricorre all'espressione "credo che",
> che grammaticalmente regge il congiuntivo, indipendentemente dalla forza
> delle convinzioni di ciascuno.

Non concordo: /credere/ significa sia "ritenere, supporre" sia "essere
sicuri dell'esistenza di qualcuno o qualcosa".
Quindi
- credo che qui ci sia anche Klaram
- credo che Dio c'è (se sono veramente credente)

Per un vero credente l'esistenza di Dio non può essere messa in
discussione, è cosa sicura quanto l'esistenza di Roma.

Più o meno lo stesso discorso si può fare con /pensare/ :
penso che Dio esista/esiste.

E.D.

edevils

unread,
Sep 12, 2016, 5:35:16 PM9/12/16
to
Semmai, quello che non è chiaro è perché questa forma dovrebbe essere
utilizzata solo per "Credo che Dio esiste" e non per altre credenze:
"Credo che gli spiriti esistono"... E' così, ci credo. Invece un
congiuntivo lascerebbe pensare a qualcosa che si ritiene: "Credo che gli
spiriti esistano. Ma chissà!".

Fathermckenzie

unread,
Sep 12, 2016, 7:08:24 PM9/12/16
to
Il 12/09/2016 15:17, edevils ha scritto:
> Maurizio risponderà meglio di me, ma... perché dici che abbiamo
> svicolato? Generalmente la forma implicita rimpiazza quella esplicita
> quando il soggetto di "credere" è lo stesso della
> subordinata, dunque diciamo "credo di essere stato io" piuttosto che
> "credo che sia stato io".

Ciusten. Ma non era quello l'oggetto della domanda. L'OP aveva chiesto
se si potesse, o se fosse più corretto, usare il congiuntivo o
l'indicativo. Rispondere con la forma implicita è come rispondere, a chi
ti chiede il nome del più grande calciatore di sempre, "Muhamed Ali"

edevils

unread,
Sep 12, 2016, 7:26:40 PM9/12/16
to
On 13/09/2016 01:08, Fathermckenzie wrote:
> Il 12/09/2016 15:17, edevils ha scritto:
>> Maurizio risponderà meglio di me, ma... perché dici che abbiamo
>> svicolato? Generalmente la forma implicita rimpiazza quella esplicita
>> quando il soggetto di "credere" è lo stesso della
>> subordinata, dunque diciamo "credo di essere stato io" piuttosto che
>> "credo che sia stato io".
>
> Ciusten. Ma non era quello l'oggetto della domanda. L'OP aveva chiesto
> se si potesse, o se fosse più corretto, usare il congiuntivo o
> l'indicativo.

No, ha chiesto se l'indicativo in quella frase fosse "un errore al
100%", e anche quello ha avuto una risposta, anzi più d'una.


> Rispondere con la forma implicita è come rispondere, a chi
> ti chiede il nome del più grande calciatore di sempre, "Muhamed Ali"

Rispondere con la forma implicita è come ricordare che Marquez è ancora
in testa al MotoGP, a chi fa domande sulle chance di vittoria di Rossi o
di Lorenzo.

Fathermckenzie

unread,
Sep 12, 2016, 7:39:55 PM9/12/16
to
Il 13/09/2016 01:26, edevils ha scritto:
> Rispondere con la forma implicita è come ricordare che Marquez è ancora
> in testa al MotoGP, a chi fa domande sulle chance di vittoria di Rossi o
> di Lorenzo.

E' come ricordare che Paul McCartney è l'autore di "Yesterday" a chi
chiede se "ieri" si possa scrivere con la j o se questo sia, invece,
errore al 100%

edevils

unread,
Sep 13, 2016, 3:55:04 AM9/13/16
to
On 13/09/2016 01:39, Fathermckenzie wrote:
> Il 13/09/2016 01:26, edevils ha scritto:
>> Rispondere con la forma implicita è come ricordare che Marquez è ancora
>> in testa al MotoGP, a chi fa domande sulle chance di vittoria di Rossi o
>> di Lorenzo.
>
> E' come ricordare che Paul McCartney è l'autore di "Yesterday" a chi
> chiede se "ieri" si possa scrivere con la j o se questo sia, invece,
> errore al 100%

Mah. Lasciam perdere le questioni d'jeri e pensiam al dimani!

Klaram

unread,
Sep 13, 2016, 7:44:45 AM9/13/16
to
edi'® ci ha detto :

> Per un vero credente l'esistenza di Dio non può essere messa in discussione,
> è cosa sicura quanto l'esistenza di Roma.

Dici spesso:"credo che Roma esistE"?

Klaram

unread,
Sep 13, 2016, 7:45:17 AM9/13/16
to
Il 12/09/2016, Roger ha detto :
> Klaram ha scritto:
>> edevils ci ha detto :
>>
>>>> Chiedo scusa per la mia distrazione. Intendevo dire che sono
>>>> d'accordo sul congiuntivo. "Credo che" per me vuole il congiuntivo,
>>>> a tal punto che se anche fossi la prima delle bigotte, direi "credo
>>>> che Dio esistA", oppure da atea assoluta dico "credo che Dio non
>>>> esistA". Ma di questo abbiamo parlato tante volte.
>>>
>>> Eh, ma perché tu non ci credi (chiedo scusa se sbaglio). :)
>>
>> Infatti, ma ho scritto anche "credo che Dio non esistA". :)
>>
>> >Il fedele dirà: "Credo che Dio esiste".
>>
>> E sbaglia, non nel merito ma per una questione esclusivamente
>> grammaticale.
>
> Non sono d'accordo.

Ah, lo sapevo! Mentre scrivevo ho pensato: "speriamo che Roger sia in
vacanza". :))

> Nella frase "credo che Dio esiste", il verbo credere non ha il significato di
> pensare, opinare, ritenere, bensì quello ntodi avere fede, essere certo
> dell'esistenza di Dio.

Non sono d'accordo nemmeno io. Nella frase "credo che Dio esista",
"credo" ha lo stesso significato di "penso che", "ritengo che" ecc.

Il significato di avere fede si trova nell'espressione "credo in", che
è, appunto, l'incipit dell'atto di fede espresso nel Padre Nostro.

Credo in Dio, padre onnipotente, signore e creatore... ecc. ecc.

Te lo immagini un atto di fede che dica: "Credo che esistE Dio padre
onnipotente... ecc.?

k

Klaram

unread,
Sep 13, 2016, 7:52:48 AM9/13/16
to
edevils ha usato la sua tastiera per scrivere :

>> Il fedele dirà: "Credo che Dio esiste".
>>
>> E sbaglia, non nel merito ma per una questione esclusivamente
>> grammaticale.

> Sei troppo logica :)
> L'uso non sempre segue la logica.
> A dispetto della logica, i credenti dicono "credo che Dio esiste", e
> nessuno osa metter loro il cappello d'asino. Forse per paura di
> rappresaglie divine!
>
>
> Lo stesso Marco moderatore di "un sito migliore del nostro" raccomanda
> il congiuntivo "almeno nel registro formale", ma cita tra le eccezioni
>
> "credere nel caso di professione di fede".

E chi è Marco?
Potrei citarti decine di grammatici, specialmente d'antan, che mettono
"credere", "pensare", "ritenere" ecc. nell'elenco dei verbi che reggono
il congiuntivo, INDIPENDENTEMENTE dal grado di convinzione.

So benissimo che tanti usano "credo che" con l'indicativo e lo faranno
sempre più spesso, ma io lo trovo stonato, nonstante mi sia capitato di
dire frasi come: "se lo sapevo non venivo!" :))


> (77 a) Credo che ho dimenticato gli occhiali proprio lí.
> (77 b) «Credo che mi annoiavo e anelavo il momento che la giornata
> riprendesse» (C. Pavese, Storia segreta, in Racconti, Torino, Einaudi,
> 1960, p. 485)

Queste le avrà scritte pure Pavese, ma sono frasi orrende in italiano.

Molto meglio la forma implicita che suggerivate tu e Maurizio: penso
di aver dimenticato.

E per l'altra: "credo che mi annoiassi e anelassi..." Oppure: "mi
annoiavo e anelavo".


> [...]
>
> Con l’indicativo si può però anche comunicare in quanto tale, citare
> quasi, una ferma convinzione di altre persone:
>
> (78) C’è gente che crede che la libertà e l’ordine non sono compatibili.

... non siano compatibili.

k

Roger

unread,
Sep 13, 2016, 9:01:03 AM9/13/16
to
Klaram ha scritto:
> Il 12/09/2016, Roger ha detto :
>> Klaram ha scritto:
>>> edevils ci ha detto :
>>>
>>>>> Chiedo scusa per la mia distrazione. Intendevo dire che sono
>>>>> d'accordo sul congiuntivo. "Credo che" per me vuole il congiuntivo,
>>>>> a tal punto che se anche fossi la prima delle bigotte, direi "credo
>>>>> che Dio esistA", oppure da atea assoluta dico "credo che Dio non
>>>>> esistA". Ma di questo abbiamo parlato tante volte.
>>>>
>>>> Eh, ma perché tu non ci credi (chiedo scusa se sbaglio). :)
>>>
>>> Infatti, ma ho scritto anche "credo che Dio non esistA". :)
>>>
>>> >Il fedele dirà: "Credo che Dio esiste".
>>>
>>> E sbaglia, non nel merito ma per una questione esclusivamente
>>> grammaticale.
>>
>> Non sono d'accordo.
>
> Ah, lo sapevo! Mentre scrivevo ho pensato: "speriamo che Roger sia in
> vacanza". :))

Ehehehehehehehehehe, sono tornato giusto in tempo per discutere su
questo congiuntivo!

Comunque se tu sei in buona compagnia, lo sono anch'io.

Se non ho trovato nulla nel Gabrielli o nel Serianni, ho però trovato
Cesare Marchi, che nel suo "Impariamo l'Italiano" (Rizzoli, 1984), al
capitolo IX,
"Morte del congiuntivo", scrive:

» La distinzione classica tra il congiuntivo, arduo sentiero per
» esprimere il dubbio, la possibilità, l'irrealtà, l'esortazione,
» cioè la sfera delle opinioni soggettive, delle azioni non certe;
» e l'indicativo, strada maestra della realtà oggettiva, delle azioni
» certe, va scomparendo.
» Pochi ascoltano le vecchie grammatiche che invitavano a dire: "Credo
» che Dio esiste", poiché si tratta d'una certezza; e "credo che loro
» sbaglino", poiché si tratta d'un'opinione.

Inoltre alcuni dizionari pongono tra le accezioni del verbo "credere"
il significato di "essere certo dell'esistenza di qualcuno o di
qualcosa".
È vero che pongono questa accezione quando è seguito dalle preposizioni
"a" o "in", però penso che il caso dell'espressione di cui discutiamo,
sia tranquillamente assimilabile.

Per un "bigotto", dire "credo che Dio esistA", significa venir meno
alla propria fede, dichiarare cioè un'insicurezza sull'esistenza di
Dio.

Come se dicesse "credo che Pinco sia andato al cinema" (credo, ma non
ne
sono certo).

Roger

unread,
Sep 13, 2016, 9:07:18 AM9/13/16
to
edi'® ha scritto:

> [...]

> Più o meno lo stesso discorso si può fare con /pensare/ :
> penso che Dio esista/esiste.

Negativo.
"Pensare" non ha l'accezione di "avere fede" quindi non si può far
seguire dall'indicativo.

Nel "Credo" preghiera, non puoi sostituire il verbo credere col verbo
pensare.

Una voce dalla Germania

unread,
Sep 13, 2016, 9:13:24 AM9/13/16
to
Am 13.09.2016 um 15:00 schrieb Roger:

> Per un "bigotto", dire "credo che Dio esistA", significa
> venir meno
> alla propria fede, dichiarare cioè un'insicurezza
> sull'esistenza di Dio.


Mah, a mio modesto parere le persone credenti monoteiste
convinte diranno: "Credo in Dio."
Le persone incerte, che dubitano o sono agnostiche tendenti
a crederci diranno invece: "Credo che Dio esista."
Agnostici tendenti all'ateismo: "Credo che Dio non esista."
Atei: "Sono sicuro che Dio non esiste."
Politeisti: "Credo in Shiva, Ganesh, Visnù, ..." o altro
elenco delle loro divinità.

edevils

unread,
Sep 13, 2016, 9:21:39 AM9/13/16
to
On 13/09/2016 13:52, Klaram wrote:
> edevils ha usato la sua tastiera per scrivere :
>
>>> Il fedele dirà: "Credo che Dio esiste".
>>>
>>> E sbaglia, non nel merito ma per una questione esclusivamente
>>> grammaticale.
>
>> Sei troppo logica :) L'uso non sempre segue la logica. A dispetto
>> della logica, i credenti dicono "credo che Dio esiste", e nessuno
>> osa metter loro il cappello d'asino. Forse per paura di
>> rappresaglie divine!
>>
>>
>> Lo stesso Marco moderatore di "un sito migliore del nostro"
>> raccomanda il congiuntivo "almeno nel registro formale", ma cita
>> tra le eccezioni
>>
>> "credere nel caso di professione di fede".
>
> E chi è Marco?

http://www.achyra.org/cruscate/search.php?search_author=Marco1971

> Potrei citarti decine di grammatici, specialmente d'antan, che
> mettono "credere", "pensare", "ritenere" ecc. nell'elenco dei verbi
> che reggono il congiuntivo, INDIPENDENTEMENTE dal grado di
> convinzione.
>
> So benissimo che tanti usano "credo che" con l'indicativo e lo
> faranno sempre più spesso, ma io lo trovo stonato, nonstante mi sia
> capitato di dire frasi come: "se lo sapevo non venivo!" :))

Credo che il punto sia che in questo caso non si tratta tanto di una
scelta stilistica quanto di una differenza semantica: la frase viene
proprio interpretata diversamente come significato.

Dire che si crede o si pensa "che Dio esista" viene inteso come il
risultato della riflessione di chi è aperto al dubbio ma arriva a una
certa conclusione. Dire che si crede "che Dio esiste" invece esprime
che quella è la propria credenza religiosa.


>> (77 a) Credo che ho dimenticato gli occhiali proprio lí. (77 b)
>> «Credo che mi annoiavo e anelavo il momento che la giornata
>> riprendesse» (C. Pavese, Storia segreta, in Racconti, Torino,
>> Einaudi, 1960, p. 485)
>
> Queste le avrà scritte pure Pavese, ma sono frasi orrende in
> italiano.
>
> Molto meglio la forma implicita che suggerivate tu e Maurizio: penso
> di aver dimenticato.

Svicoli anche tu? :D

> E per l'altra: "credo che mi annoiassi e anelassi..."

E poi? Il problema è che la subordinata contiene un altro congiuntivo.
"...anelassi il momento che la giornata riprendesse"? Aargh! :)


> Oppure: "mi annoiavo e anelavo".

Questa "svicola" al 100%, il verbo "credere" è sparito del tutto! :P



>> [...]
>>
>> Con l’indicativo si può però anche comunicare in quanto tale,
>> citare quasi, una ferma convinzione di altre persone:
>>
>> (78) C’è gente che crede che la libertà e l’ordine non sono
>> compatibili.
>
> ... non siano compatibili.

Certo, mantieni l'eleganza formale, ma in certi casi l'efficacia
comunicativa potrebbe risentirne.
Per es.
"Credo che quella donna non fa per te!" suona perentorio. E' mia ferma
convinzione che...
"Credo che quella donna non faccia per te" è meno secco. In teoria
dovrebbe significare lo stesso, ma potrebbe essere inteso un po'
diversamente. Anche perché ogni situazione può richiedere un registro
diverso per ottenere il giusto effetto. Quando lanci un allarme non usi
parole forbite. Se usi parole forbite forse l'allarme non è così grave.


edevils

unread,
Sep 13, 2016, 10:03:25 AM9/13/16
to
"L' Atto di Fede dee così concepirsi , e così intendersi : Io credo v.
g. che Dio è Trino"
https://books.google.it/books?id=Qgy1OASzBlgC&pg=PA88


"Atto di fede"
...
"Credo che Dio rimette i peccati a' peccatori pentiti. Credo i sette
Sacramenti, e che per essi a noi si comunica la grazia di Gesù Cristo."
https://books.google.it/books?id=RjKfWJNbFBgC&pg=PA30


"Credo in un solo Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della
terra» ❖ Credo che Dio mi ha fatto il dono stupendo della vita e mi
chiama a partecipare attivamente nella grande famiglia dell'umanità, a
riconoscerlo come Padre attento e ..."
https://books.google.it/books?id=K_vxF5qXza0C&pg=PA271&dq="credo+che+dio"



Valerio Vanni

unread,
Sep 13, 2016, 10:48:41 AM9/13/16
to
On Tue, 13 Sep 2016 13:52:46 +0200, Klaram <nos...@nospam.it> wrote:

> So benissimo che tanti usano "credo che" con l'indicativo e lo faranno
>sempre più spesso, ma io lo trovo stonato, nonstante mi sia capitato di
>dire frasi come: "se lo sapevo non venivo!" :))

L'ultima frase è un po' diversa, perché c'è un imperfetto che
rimpiazza allo stesso tempo condizionale e congiuntivo. Ma è un
costrutto a se stante e non un'imperfetto "semplice", perché può
riferirsi anche a eventi presenti o addirittura futuri.

Il caso di cui si sta parlando più in specifico è sulla scelta tra
indicativo e congiuntivo a parità di contesto.

Un caso in cui l'indicativo mi suona bene con "credo" è questo: tu mi
racconti che hai mangiato in un posto, a basso costo ma con parecchi
inconvenienti.

"Ci credo che hai pagato poco!".


--
Ci sono 10 tipi di persone al mondo: quelle che capiscono il sistema binario
e quelle che non lo capiscono.

edi'®

unread,
Sep 13, 2016, 3:26:28 PM9/13/16
to
Il 13/09/2016 15:07, Roger ha scritto:

>> Più o meno lo stesso discorso si può fare con /pensare/ :
>> penso che Dio esista/esiste.
>
> Negativo.
> "Pensare" non ha l'accezione di "avere fede" quindi non si può far
> seguire dall'indicativo.

Positivo.
Tra le accezioni di /pensare/ c'è "essere certi, essere convinti".
Quindi:
«Penso che Silvia è un'ottima scelta» è corretto, ed equivale a «Sono
certo che Silvia è un'ottima scelta»
http://www.corriere.it/solferino/severgnini/07-06-20/07.spm
pensare, ind. 'essere convinto': penso anch'io che tu sei stanco; cong.
'supporre': penso che tu sia stanco».
http://www.accademiadellacrusca.it/faq/faq_risp.php?id=4369&ctg_id=93

E.D.

edi'®

unread,
Sep 13, 2016, 3:38:26 PM9/13/16
to
Il 13/09/2016 21:25, edi'® ha scritto:

> http://www.accademiadellacrusca.it/faq/faq_risp.php?id=4369&ctg_id=93

Ho visto che questo link non va. Sostituire con:
http://www.accademiadellacrusca.it/en/italian-language/language-consulting/questions-answers/uso-congiuntivo
...
Infine, alcuni verbi possono avere l'indicativo o il congiuntivo, con
sfumature diverse di significato (su cui cfr. SERIANNI 1989: XIV 51).
ammettere, ind. 'riconoscere': ammisi davanti al professore che non
avevo studiato bene; cong. 'supporre, permettere': ammettendo che tu
abbia ragione, cosa dovrei fare?;
badare, ind. 'osservare': cercò di non badare all'effetto che gli faceva
quella strana voce; cong. 'aver cura': mi consigliava di badare che non
cadessi;
capire, comprendere, ind. 'rendersi conto': non vuole capire che io non
sono un suo dipendente; cong. 'trovare naturale': capisco che tu voglia
andartene;
considerare, ind. 'tener conto': non considerava che nessuno voleva
seguirlo; cong. 'supporre': arrivò a considerare che non ci fossero
altre possibilità;
pensare, ind. 'essere convinto': penso anch'io che tu sei stanco; cong.
'supporre': penso che tu sia stanco.

E.D.

edi'®

unread,
Sep 13, 2016, 3:50:02 PM9/13/16
to
Il 13/09/2016 13:44, Klaram ha scritto:

>> Per un vero credente l'esistenza di Dio non può essere messa in
>> discussione, è cosa sicura quanto l'esistenza di Roma.
>
> Dici spesso:"credo che Roma esistE"?

Probabilmente non mi capiterà mai di dire neanche "credo che Roma esista".

Comunque sia, se dovessi compilare un elenco di mie *certezze assolute*
direi: credo che [Dio, Roma etc.] esiste.
Mi ripeto, "credo" può significare anche /essere sicuri di/
Tu diresti "sono sicura che Dio esistA o esistE"?

E.D.

edi'®

unread,
Sep 13, 2016, 3:59:15 PM9/13/16
to
Il 13/09/2016 15:21, edevils ha scritto:

> Dire che si crede o si pensa "che Dio esista" viene inteso come il
> risultato della riflessione di chi è aperto al dubbio ma arriva a una
> certa conclusione. Dire che si crede "che Dio esiste" invece esprime
> che quella è la propria credenza religiosa.

Concordo. /Credo che Dio esiste/ significa che ho fede, che sono
assolutamente certo dell'esistenza di Dio.

E.D.

Roger

unread,
Sep 13, 2016, 5:48:35 PM9/13/16
to
edi'® ha scritto:

> [...]

> penso anch'io che tu sei stanco;

Orribile!
Non lo direi mai, nemmeno sotto tortura.

Fathermckenzie

unread,
Sep 14, 2016, 12:11:07 AM9/14/16
to
Il 13/09/2016 16:03, edevils ha scritto:
> "L' Atto di Fede dee così concepirsi , e così intendersi :
> Io credo v.g. che Dio è Trino"

Se ci metti v.g. allora sì :-)
Excursus: espressioni come "verbi gratia" (v.g.). "exempli gratia"
(e.g., che qualche volta trovo anche in articoli scientifici in
inglese), i.e., e altre, sono tuttora usabili in italiano o se ci provi
l'interlocutore ti prende per folle?

Fathermckenzie

unread,
Sep 14, 2016, 12:13:11 AM9/14/16
to
Il 13/09/2016 13:52, Klaram ha scritto:
> So benissimo che tanti usano "credo che" con l'indicativo e lo faranno
> sempre più spesso, ma io lo trovo stonato, nonstante mi sia capitato di
> dire frasi come: "se lo sapevo non venivo!" :))

Guccini, per esempio, i conigiuntivi li usa: "Ma se io avessi previsto
tutto questo..."

Una voce dalla Germania

unread,
Sep 14, 2016, 2:08:41 AM9/14/16
to
Am 14.09.2016 um 06:10 schrieb Fathermckenzie:
> Il 13/09/2016 16:03, edevils ha scritto:
>> "L' Atto di Fede dee così concepirsi , e così intendersi :
>> Io credo v.g. che Dio è Trino"
>
> Se ci metti v.g. allora sì :-)
> Excursus: espressioni come "verbi gratia" (v.g.). "exempli
> gratia" (e.g., che qualche volta trovo anche in articoli
> scientifici in inglese), i.e., e altre, sono tuttora usabili
> in italiano o se ci provi l'interlocutore ti prende per folle?

Anche se sono una voce dalla Germania, leggo spesso testi in
inglese e in italiano.
L'abbreviazione v.g. non la conoscevo, ma e.g. e i.e. si
trovano spesso nei testi inglesi che mi capita di leggere,
mentre non le vedo mai in testi italiani e sono convinto che
non le conosca nessun italofono, tranne quelli che, come me,
le hanno imparate dall'inglese.

Roger

unread,
Sep 14, 2016, 3:00:32 AM9/14/16
to
edi'® ha scritto:
Ho letto il paragrafo 51 del capitolo XIV della grammatica del Serianni
e corrisponde a quanto riportato tranne la frase su "pensare", la quale
è totalmente diversa. Evidentemente anche l'Autore si è reso conto di
dire uno sproposito e l'ha cancellata e sostituita con questa:

Pensare (+ indic. "riflettere": «e pensare che erano costrette a cucir
loro
le camicie» Palazzeschi.

Quanto a Severgnini, non mi pare che nessuno l'abbia mai additato come
un accademico della lingua italiana.

Roger

unread,
Sep 14, 2016, 3:07:48 AM9/14/16
to
Roger ha scritto:

> [...]

> Pensare (+ indic. "riflettere": «e pensare che erano costrette a cucir loro
> le camicie» Palazzeschi.

In effetti, nel significato di "riflettere", il verbo "pensare" ammette
tranquillamente l'indicativo.

"Penso che sta piovendo e non ho l'ombrello"

Ma in questa accezione non si esprime una possibilità, un'opinione, un
dubbio...

edi'®

unread,
Sep 14, 2016, 3:28:33 AM9/14/16
to
Il 14/09/2016 09.07, Roger ha scritto:

> In effetti, nel significato di "riflettere", il verbo "pensare" ammette
> tranquillamente l'indicativo.
>
> "Penso che sta piovendo e non ho l'ombrello"
>
> Ma in questa accezione non si esprime una possibilità, un'opinione, un
> dubbio...

Esattamente ciò che fin qui sostenuto:
/credere/ può reggere l'indicativo quando ha l'accezione di "essere
sicuri, certi, convinti di..." così come /pensare/ può reggere
l'indicativo quando non esprime un dubbio ma esplicita un pensiero:
- mi sveglio e penso che inizia un nuovo giorno

E.D.

edi'®

unread,
Sep 14, 2016, 3:30:13 AM9/14/16
to
Il 14/09/2016 09.28, edi'® ha scritto:

> Esattamente ciò che fin qui sostenuto

Caccia dentro un "ho" dove preferisci...

;-) E.D.

JaWo

unread,
Sep 14, 2016, 3:31:23 AM9/14/16
to
Roger wrote:
> edi'® ha scritto:
>
>> penso anch'io che tu sei stanco;
>
> Orribile!
> Non lo direi mai, nemmeno sotto tortura.
>


Dipende dalla tortura.

--
8-)

Roger

unread,
Sep 14, 2016, 3:48:52 AM9/14/16
to
edi'® ha scritto:
Quando ha il significato di "riflettere" che è un'altra cosa da quanto
sostieni tu.

edevils

unread,
Sep 14, 2016, 3:58:07 AM9/14/16
to
Le abbreviazioni e.g. e i.e. che io sappia si usano soprattutto nella
lingua inglese, anche se stanno per le locuzioni latine "exempli gratia"
(che significa "per esempio") e "id est" (in italiano diciamo "cioè" o
simili). Dal numero di pagine che spiegano quando impiegare e.g.
piuttosto che i.e. si ha l'impressione che siano oggetti misteriosi
anche per molti native speaker anglofoni. Alcuni associano e.g. a
“Example given”, data la coincidenza di iniziali. Oppure, trucco
mnemonico letto su un sito per ricordare il significato, si può pensare
a "egg sample", che suona come "example"!

Una voce dalla Germania

unread,
Sep 14, 2016, 4:25:10 AM9/14/16
to
Am 14.09.2016 um 09:58 schrieb edevils:
> Le abbreviazioni e.g. e i.e. che io sappia si usano
> soprattutto nella
> lingua inglese, anche se stanno per le locuzioni latine
> "exempli gratia"
> (che significa "per esempio") e "id est" (in italiano
> diciamo "cioè" o
> simili). Dal numero di pagine che spiegano quando impiegare
> e.g.
> piuttosto che i.e. si ha l'impressione che siano oggetti
> misteriosi
> anche per molti native speaker anglofoni.


Non ne dubito, se ci limitiamo agli anglofoni che non
leggono quasi tutti i giorni testi giuridici o scientifici.
Del resto, l'amore dei legali anglosassoni per espressioni
latine, anglonormanne o comunque con usi desueti da secoli
("without let" sui passaporti britannici) porta a
pubblicazioni come il Black's Law Dictionary, un dizionario
legale monolingue di circa 7 cm di spessore.
Spiegazione per anglofoni di "without let" sul sito:
http://www.phrases.org.uk/meanings/without-let-or-hindrance.html

edevils

unread,
Sep 14, 2016, 4:26:12 AM9/14/16
to
On 14/09/2016 06:12, Fathermckenzie wrote:
> Il 13/09/2016 13:52, Klaram ha scritto:
>> So benissimo che tanti usano "credo che" con l'indicativo e lo
>> faranno sempre più spesso, ma io lo trovo stonato, nonstante mi sia
>> capitato di dire frasi come: "se lo sapevo non venivo!" :))
>
> Guccini, per esempio, i conigiuntivi li usa: "Ma se io avessi
> previsto tutto questo..."

Santi numi, perché non dovrebbe usarli? Anch'io uso forchetta e coltello
a tavola. Il discorso però era sulle eccezioni. Per una banana uso le
mani, idem per agguantare un cosciotto di pollo. Tu sbucci le banane
con l'aiuto del coltello da dessert come prescrive il Galateo?

Klaram

unread,
Sep 14, 2016, 8:35:57 AM9/14/16
to
Roger scriveva il 13/09/2016 :

> Se non ho trovato nulla nel Gabrielli o nel Serianni,

Non hai trovato nulla perché non c'è nulla da trovare.

Se guardi sul Serianni cap. XIV p. 49, dove parla delle oggettive, c'è
un elenco di verbi che reggono il congiuntivo tra cui "credere".
Poi non c'è più nulla perché non è previsto che un verbo che regge il
congiuntivo sia usato con l'indicativo.

Anche Sensini dice poco, ma ricordo (non l'ho sottomano) che faceva un
esempio con "credo che" e congiuntivo, poi aggiungeva che, volendo, si
può usare l'indicativo, e come esempio usava "sono sicuro che...".
Ossia cambiava verbo!!!

>ho però trovato
> Cesare Marchi, che nel suo "Impariamo l'Italiano" (Rizzoli, 1984), al
> capitolo IX,
> "Morte del congiuntivo", scrive:
>
> » La distinzione classica tra il congiuntivo, arduo sentiero per
> » esprimere il dubbio, la possibilità, l'irrealtà, l'esortazione,
> » cioè la sfera delle opinioni soggettive, delle azioni non certe;
> » e l'indicativo, strada maestra della realtà oggettiva, delle azioni
> » certe, va scomparendo.
> » Pochi ascoltano le vecchie grammatiche che invitavano a dire: "Credo
> » che Dio esiste", poiché si tratta d'una certezza; e "credo che loro
> » sbaglino", poiché si tratta d'un'opinione.

Mi dispiace che anche De Marchi, come tanti altri, cada in questo
equivoco.

> Inoltre alcuni dizionari pongono tra le accezioni del verbo "credere"
> il significato di "essere certo dell'esistenza di qualcuno o di qualcosa".
> È vero che pongono questa accezione quando è seguito dalle preposizioni
> "a" o "in", però penso che il caso dell'espressione di cui discutiamo,
> sia tranquillamente assimilabile.

Ma la differenza è fondamentale: "credo in", "credo a" è ben diverso
da "credo che..." è non sono assimilabili, se non per tirare l'acqua al
proprio mulino. :))


> Per un "bigotto", dire "credo che Dio esistA", significa venir meno
> alla propria fede, dichiarare cioè un'insicurezza sull'esistenza di Dio.


Può essere, ma non saprei se per quel bigotto sia più debole la fede
(o la sua autostima?), oppure la competenza linguistica. :))

k

Klaram

unread,
Sep 14, 2016, 8:51:31 AM9/14/16
to
Valerio Vanni scriveva il 08/09/2016 :
> On Tue, 13 Sep 2016 13:52:46 +0200, Klaram <nos...@nospam.it> wrote:
>
>> So benissimo che tanti usano "credo che" con l'indicativo e lo faranno
>> sempre più spesso, ma io lo trovo stonato, nonstante mi sia capitato di
>> dire frasi come: "se lo sapevo non venivo!" :))
>
> L'ultima frase è un po' diversa, perché c'è un imperfetto che
> rimpiazza allo stesso tempo condizionale e congiuntivo. Ma è un
> costrutto a se stante e non un'imperfetto "semplice", perché può
> riferirsi anche a eventi presenti o addirittura futuri.

Certo, non c'entra nulla con quello di cui stiamo parlando.
Era solo per dire che anch'io uso, a seconda dei contesti, espressioni
colloquiali che tutti sanno essere scorrette.
IL caso del cong. con "credo che" è diverso, perché si discute su
corretto/non corretto, e sulle diverse sfumature semantiche di credere.

> Il caso di cui si sta parlando più in specifico è sulla scelta tra
> indicativo e congiuntivo a parità di contesto.
>
> Un caso in cui l'indicativo mi suona bene con "credo" è questo: tu mi
> racconti che hai mangiato in un posto, a basso costo ma con parecchi
> inconvenienti.
>
> "Ci credo che hai pagato poco!".

Questa assomiglia a "se lo sapevo non venivo". Ossia è un'espressione
colloquiale, diretta, che in quel contesto anche va bene.

Anche chi è a totale favore del congiuntivo, parlando con un amico al
bar, difficilmente direbbe "ci credo che tu abbia pagato poco!"
Sembrerebbe un linguaggio un troppo paludato e barocco.

k

Klaram

unread,
Sep 14, 2016, 9:06:06 AM9/14/16
to
Roger ha spiegato il 14/09/2016 :

> Pensare (+ indic. "riflettere": «e pensare che erano costrette a cucir loro
> le camicie» Palazzeschi.


Pensare, Serianni, lo mette nel gruppo dei verbi che possono reggere
sia l'indicativo sia il congiuntivo, a seconda dell'accezione. Credere
no.

Anche la frase "penso che sta piovendo e non ho l'ombrello", signifca
"sto riflettendo sul fatto che piove e io non ho l'ombrello".

k

Klaram

unread,
Sep 14, 2016, 9:06:59 AM9/14/16
to
Fathermckenzie scriveva il 14/09/2016 :
> Il 13/09/2016 16:03, edevils ha scritto:
>> "L' Atto di Fede dee così concepirsi , e così intendersi :
>> Io credo v.g. che Dio è Trino"
>
> Se ci metti v.g. allora sì :-)

Vergognosa? volgare? grammatica. :))

k

Klaram

unread,
Sep 14, 2016, 9:21:30 AM9/14/16
to
edi'® scriveva il 13/09/2016 :
> Il 13/09/2016 13:44, Klaram ha scritto:
>
>>> Per un vero credente l'esistenza di Dio non può essere messa in
>>> discussione, è cosa sicura quanto l'esistenza di Roma.
>>
>> Dici spesso:"credo che Roma esistE"?
>
> Probabilmente non mi capiterà mai di dire neanche "credo che Roma esista".
>
> Comunque sia, se dovessi compilare un elenco di mie *certezze assolute*
> direi: credo che [Dio, Roma etc.] esiste.

Io invece dico:


1)Roma esiste
2)Credo che Dio non esista (e ne sono sicurissima).

Nella 1, non ho bisogno di nulla perché il fatto è universalmente
acclarato e nessuno lo mette in discussione.

Nella 2, uso "credo che" perché il mio interlocutore potrebbe credere
il contrario, e nulla è dimostrabile.
Uso il congiuntivo, nel rispetto della grammatica, perché non ho
bisogno di arzigogoli modali o semantici per essere sicura delle mie
convinzioni.

Credo che le diverse posizioni di ciascuno di noi siano ben chiarite
e, dopotutto, il mondo è bello perché è vario. :))

k

edevils

unread,
Sep 14, 2016, 9:32:52 AM9/14/16
to
On 14/09/2016 14:51, Klaram wrote:
> Valerio Vanni scriveva il 08/09/2016 :
>> On Tue, 13 Sep 2016 13:52:46 +0200, Klaram <nos...@nospam.it>
>> wrote:
>>
>>> So benissimo che tanti usano "credo che" con l'indicativo e lo
>>> faranno sempre più spesso, ma io lo trovo stonato, nonstante mi
>>> sia capitato di dire frasi come: "se lo sapevo non venivo!" :))
>>
>> L'ultima frase è un po' diversa, perché c'è un imperfetto che
>> rimpiazza allo stesso tempo condizionale e congiuntivo. Ma è un
>> costrutto a se stante e non un'imperfetto "semplice", perché può
>> riferirsi anche a eventi presenti o addirittura futuri.
>
> Certo, non c'entra nulla con quello di cui stiamo parlando. Era solo
> per dire che anch'io uso, a seconda dei contesti, espressioni
> colloquiali che tutti sanno essere scorrette. IL caso del cong. con
> "credo che" è diverso, perché si discute su corretto/non corretto, e
> sulle diverse sfumature semantiche di credere.

Certo, sono due discorsi paralleli, o per meglio dire da inquadrare su
due coordinate. Da una parte, l'asse del registro formale-informale, che
può portare all'indicativo colloquiale, consapevole o inconsapevole.
Dall'altra, l'asse semantico-espressivo, per cui a parità di registro si
sceglie un certo modo verbale perché esprime meglio una particolare
sfumatura di significato.
Quando per esempio in un "Atto di fede" o in un libro di preghiere
troviamo "credo che Dio" seguito da indicativo, nonostante il tono
non colloquiale di tutto il resto, allora possiamo pensare che
quella scelta dipenda dal secondo asse, quello dei significati, non da
un registro più o meno elegante.
Dirai: ma la regola...
La regola, prima di prescrivere, deve descrivere. Qual è dunque la
convenzione realmente praticata e accettata dai parlanti? Questo non lo
si può sapere con un ragionamento a tavolino ma occorre verificarlo sul
campo. Chessò, chiediamolo ai nostri parroci! :)


>> Il caso di cui si sta parlando più in specifico è sulla scelta tra
>> indicativo e congiuntivo a parità di contesto.
>>
>> Un caso in cui l'indicativo mi suona bene con "credo" è questo: tu
>> mi racconti che hai mangiato in un posto, a basso costo ma con
>> parecchi inconvenienti.
>>
>> "Ci credo che hai pagato poco!".
>
> Questa assomiglia a "se lo sapevo non venivo". Ossia è
> un'espressione colloquiale, diretta, che in quel contesto anche va
> bene.

Non è che "va anche bene". Un madrelingua dice "Ci credo che hai pagato
poco". "Ci credo che tu abbia pagato poco" suona innaturale. Una ricerca
sui libri su Google Books trova "Ci credo che tu abbia...", "Ci credo
che tu sia..." solo in rare traduzioni.


> Anche chi è a totale favore del congiuntivo, parlando con un amico
> al bar, difficilmente direbbe "ci credo che tu abbia pagato poco!"
> Sembrerebbe un linguaggio un troppo paludato e barocco.

O forse uno straniero che ha imparato l'italiano solo sui
manuali.

edevils

unread,
Sep 14, 2016, 10:23:34 AM9/14/16
to
On 14/09/2016 15:06, Klaram wrote:
[...]
> Pensare, Serianni, lo mette nel gruppo dei verbi che possono reggere
> sia l'indicativo sia il congiuntivo, a seconda dell'accezione.
> Credere no.


Con tutto il rispetto, segnalo che sul forum di Cruscate è stata stilata
una lista di "regole fantasma", "inventate sul finire dell’Ottocento da
persone prive di preparazione linguistica".

Al numero 16: "Il verbo credere non può mai essere seguito
dall’indicativo".
http://www.achyra.org/cruscate/viewtopic.php?t=2814&postdays=0&postorder=asc&&start=30

Che tale regola sia una "regola fantasma", o quantomeno non assoluta (il
punto contestato è il "mai"), lo dicono le eccezioni.

Anzitutto la già citata "licenza confessionale" degli atti di fede.

Una citazione da Luciano Satta, che a "Uso e abusi del congiuntivo" ha
dedicato un libro, mostra però come il modo indicativo possa usarsi
anche in altri casi limite. Cioè (la dico come l'ho capita, anche
tenendo conto dei commenti sul forum), quando si esprime una netta
convinzione che, precisiamo, non solo è ritenuta vera, ma che il
soggetto si rappresenta come fosse un fatto incontrovertibile, portando
così a forzare il normale modo verbale associato a "credo che".

Dal Satta:
===
credere ind cgt E uno dei verbi piú controversi e piú soggetti alle
polemiche, nella questione del cgt. Ma in breve si puo dire: cgt se
siamo in presenza di un’opinione o di un parere, ind se siamo in
presenza di un atto di fede o di convinzione. - È credenza diffusa che
lo abbiano aiutato molto i parenti. - Ora che mi hai visto in palestra a
sollevare pesi, ci credi che sono guarito? - Dobbiamo far finta di
credere che è stata rapita (N. Salvalaggio). - Oggi non credo si debbano
fare piú previsioni (U. Eco). - Io credo che allora invece un poco mi
amassi (R. Loy). - Credo che nella solitudine faccia lunghi sonni (L.
Malerba). – Credo che anche di viso, cosí come di corpo, la ragazza sia
bellissima (G. Montefoschi). - Tutto ciò ci lascia credere che il
bambino sia morto a pochi mesi (P. Citati). - Non crede che Colombo
scoprí l’America. - Ma credo che il movente vero fu un altro (G. Bocca).
- Credo che la squadra meritasse di piú (a partita finita; e se la
passione è profonda, ci può stare l’ind; ma nell’intervallo fra i due
tempi si consiglia il cgt: Credo che la squadra meriti di piú). - Ho
creduto che un prete deve essere uomo fra gli uomini, pazzo fra i pazzi,
vile fra i vili, peccatore fra i peccatori (N. Salvalaggio). - Mia
moglie crede che non le voglio piú bene (S. Mannuzzu; e addirittura
l’inizio del primo racconto di La figlia perduta; ma nella pagina
seguente: Credo tema la morte; e nella stessa pagina iniziale ci sono
cgt “canonici”, con probabile, gradire, disturbare. – C’è bisogno di
credere che la morte non è la fine di tutto (C. Marabini). – Un esempio
con il condizionale: Credete che non saremmo capaci? (G. Melega).
===


Un moderatore del forum, Marco1971, da parte sua, riassume così i casi
in cui la regola del "credo che"+congiuntivo non è da prendere
come dogma:

===

Possiamo forse circoscrivere i casi in cui l’indicativo in dipendenza da
credere è possibile:

1. Nel caso raro e limitato della professione di fede: Credo che Dio è.

2. Per esprimere la posteriorità: Credo che verrà ≠ Credo che venga.

3. Nei casi in cui si nega che un fatto si è verificato, per esempio
eventi storici: Non crede che Cristoforo Colombo scoprí l’America.

4. Obbligatoriamente dopo l’imperativo (e espressioni consimili): Creda
che sono davvero mortificato.

5. Con dare a credere, far credere (e sinonimi): Vuole farmi credere che
non è cosí.

6. Per esprimere la compiutezza di un’azione passata al passato remoto:
Credo che dormii due ore = Credo di aver dormito due ore ≠ *Credo che
dormissi due ore (il congiuntivo imperfetto non può esprimere la
compiutezza).

Esistono forse altri casi, e se me li segnalerete, li aggiungerò.
Sottolineo che qui si considera l’italiano normale non colloquiale.

===


ADPUF

unread,
Sep 14, 2016, 1:43:39 PM9/14/16
to
Fathermckenzie 20:27, sabato 10 settembre 2016:
> Il 10/09/2016 20:05, Maurizio Pistone ha scritto:
>> NonEdotto <inkr...@libero.it> wrote:
>
>>> credo che .... sono stato io
>
>> credo di essere stato io
>
> Sii più esplicito :-D


"Ebbene sì, lo confesso! Io, fui!"


--
AIOE ³¿³

ADPUF

unread,
Sep 14, 2016, 1:44:20 PM9/14/16
to
edi'® 21:58, martedì 13 settembre 2016:
Beh allora "credo" diventa pleonastico, inutile:
"Dio esiste. Punto. Lo so, l'ha detto la TV. Anzi, no, l'ho
letto su un sito."


--
AIOE ³¿³

edi'®

unread,
Sep 14, 2016, 4:22:21 PM9/14/16
to
Il 14/09/2016 15:21, Klaram ha scritto:

> 2)Credo che Dio non esista (e ne sono sicurissima).

Anch'io sono ateo e anch'io userei il congiuntivo, ma la frase è diversa
perché non implica una fede.
In "credo che Dio esiste" il verbo credere ha valenza diversa da
/ritengo/ , /suppongo/ etc. : è il credere del "Credo", è una
professione di fede ed è l'unico caso in cui - secondo me - è corretto
scrivere /credo che/ + indicativo presente.

Ho fatto un'ultima gugolata è ho trovato questo brano:
Luciano Satta, nel suo 'Ma che modo - uso e abusi del congiuntivo',
scrive a proposito di credere: "È uno dei verbi più controversi e più
soggetti alle polemiche, nella questione del congiuntivo.
Ma in breve si può dire: cgt se siamo in presenza di un'opinione o di un
parere, ind se siamo in presenza di un atto di fede o di convinzione"

Sempre Satta riprende l'argomento anche qui
http://forum.accademiadellacrusca.it/phpBB2/viewtopic.php@t=320.html

Vabbeh... come scrivi anche tu, ciascuno ha chiarito la sua posizione ed
è chiaro che ciascuno rimarrà della sua idea.

E.D.

edevils

unread,
Sep 14, 2016, 8:30:30 PM9/14/16
to
On 14/09/2016 22:21, edi'® wrote:
...
> Vabbeh... come scrivi anche tu, ciascuno ha chiarito la sua
> posizione ed è chiaro che ciascuno rimarrà della sua idea.

Sicuramente, e il bello è che ognuno ha le sue buone ragioni :)
L'importante però è comprendere che quando la rivista Civiltà Cattolica
scrive
"Credo che Dio mi parla qui e ora..."
non lo fa per carenza di competenze linguistiche o per rivolgersi ai
frequentatori dei bar, ma perché si intende un preciso significato,
quello dell'atto di fede, che per così dire fa "vedere" con gli occhi
della fede cioè la ragione può solo arrivare a ritenere. Come un
predicatore che scriveva "Credo che la vita è Dio, che la luce è Dio,
che il mondo è Dio".

Vogliamo dire che il credente devia dalla regolarità dell'uso più
frequente, il congiuntivo che normalmente si associa a "credo che",
quindi dalla "regola"? Diciamolo pure, se vogliamo, ma cambia poco.

Roger

unread,
Sep 15, 2016, 3:46:47 AM9/15/16
to
Klaram ha scritto:

> [...]

> Mi dispiace che anche De Marchi, come tanti altri, cada in questo equivoco.

Intanto si chiama Marchi, non De Marchi, segno che lo conosci poco.
Per conocerlo meglio ci sono numerosi siti che lo riguardano, comunque,
per cominciare, potresti leggere Wikipedia:

https://it.wikipedia.org/wiki/Cesare_Marchi

Poi non capisco perché non ammetti altre tesi e chi non la pensa come
te, "cade in un equivoco" :-)

Vabbè: buona giornata!

Klaram

unread,
Sep 15, 2016, 7:48:17 AM9/15/16
to
Scriveva Roger giovedì, 15/09/2016:

> Poi non capisco perché non ammetti altre tesi e chi non la pensa come
> te, "cade in un equivoco" :)

Perché questa è la tesi (mia e di numerosi e famosi grammatici) che mi
sembra la più coerente e logica.

Ma, non dirò più nulla, mi arrendo.
Ieri sera, ho sentito prima D'Alema poi Landini, entrambi hanno usato
più volte "credo che..." senza MAI un congiuntivo. Neanche per sbaglio.
:))


> Vabbè: buona giornata!

Altrettanto a te e a tutti voi.

k
P.S Marchi lo conosco poco, è vero, anche se so chi è... ma ho anche un
amico che si chiama De Marchi... :)

Valerio Vanni

unread,
Sep 15, 2016, 8:51:45 AM9/15/16
to
On Wed, 14 Sep 2016 14:51:32 +0200, Klaram <nos...@nospam.it> wrote:

>> Un caso in cui l'indicativo mi suona bene con "credo" è questo: tu mi
>> racconti che hai mangiato in un posto, a basso costo ma con parecchi
>> inconvenienti.
>>
>> "Ci credo che hai pagato poco!".
>
> Questa assomiglia a "se lo sapevo non venivo". Ossia è un'espressione
>colloquiale, diretta, che in quel contesto anche va bene.

Io invece credo che sia corretta (qui "credo" significa "ritengo" e
non metterei mai l'indicativo a prescindere dal contesto colloquiale o
aulico).

Il verbo ha parecchie sfumature semantiche, nello specifico non ci
sono dubbi su quello che è successo e il "ci credo" ha più un
significato di "comprendo chiaramente il motivo".

Ma in un contesto leggermente diverso userei il congiuntivo. Se mi hai
raccontato che il posto era spartano e la roba di scarsa qualità dico
"credo che tu abbia speso poco" (non "credo che hai speso poco").



--
Ci sono 10 tipi di persone al mondo: quelle che capiscono il sistema binario
e quelle che non lo capiscono.

Valerio Vanni

unread,
Sep 15, 2016, 8:53:25 AM9/15/16
to
On Thu, 15 Sep 2016 02:30:41 +0200, edevils
<use_reply...@devils.com> wrote:

>Vogliamo dire che il credente devia dalla regolarità dell'uso più
>frequente, il congiuntivo che normalmente si associa a "credo che",
>quindi dalla "regola"? Diciamolo pure, se vogliamo, ma cambia poco.

In sintesi, penso che il credente non usi un costrutto strano ma una
particolare sfumatura semantica del verbo "credere".

Fathermckenzie

unread,
Sep 15, 2016, 9:07:16 AM9/15/16
to
Il 15/09/2016 13:48, Klaram ha scritto:

> Ieri sera, ho sentito prima D'Alema poi Landini, entrambi hanno usato
> più volte "credo che..." senza MAI un congiuntivo. Neanche per sbaglio. :))

Pare che lo facciano per sembrare più popolari. IL buon Concetto
Marchesi, grande classicista e comunista arrabbiato, si sarebbe
incazzato seriamente. Immagino che anche un Canfora o un Salinari
sarebbero caduti dalla sedia.

--
Et interrogabant eum turbae dicentes: “Quid ergo faciemus?”.
Respondens autem dicebat illis: “Qui habet duas tunicas,
det non habenti; et, qui habet escas, similiter faciat”.
(Ev. sec. Lucam 3,10-11)

edevils

unread,
Sep 15, 2016, 3:16:39 PM9/15/16
to
On 15/09/2016 13:48, Klaram wrote:
> Scriveva Roger giovedì, 15/09/2016:
>
>> Poi non capisco perché non ammetti altre tesi e chi non la pensa
>> come te, "cade in un equivoco" :)
>
> Perché questa è la tesi (mia e di numerosi e famosi grammatici) che
> mi sembra la più coerente e logica.
>
> Ma, non dirò più nulla, mi arrendo. Ieri sera, ho sentito prima
> D'Alema poi Landini, entrambi hanno usato più volte "credo che..."
> senza MAI un congiuntivo. Neanche per sbaglio. :))

La tua testimonianza porta acqua alla "tollerabilità" del "credo che" +
indicativo!
D'Alema avrà molti difetti ma la sua lingua è tutt'altro che trasandata.




>> Vabbè: buona giornata!
>
> Altrettanto a te e a tutti voi.
>
> k P.S Marchi lo conosco poco, è vero, anche se so chi è... ma ho
> anche un amico che si chiama De Marchi... :)

Io conosco un Marco :D

edevils

unread,
Sep 15, 2016, 3:34:17 PM9/15/16
to
On 15/09/2016 15:06, Fathermckenzie wrote:
> Il 15/09/2016 13:48, Klaram ha scritto:
>
>> Ieri sera, ho sentito prima D'Alema poi Landini, entrambi hanno usato
>> più volte "credo che..." senza MAI un congiuntivo. Neanche per
>> sbaglio. :))
>
> Pare che lo facciano per sembrare più popolari.
...

D'Alema? Non mi pare. Fin troppo impettito. Semmai Bersani.
Dal sito Treccani:
Oh ragassi…» La lingua contadina di Bersani
http://www.treccani.it/lingua_italiana/articoli/scritto_e_parlato/bersanese.html
"... Bersani usa una lingua tutta sua, fatta di coloriture padane e
frasi para-popolaresche. ...".

Bruno Campanini

unread,
Sep 20, 2016, 12:44:43 PM9/20/16
to
Roger formulated the question :

[---]
> Inoltre alcuni dizionari pongono tra le accezioni del verbo "credere"
> il significato di "essere certo dell'esistenza di qualcuno o di qualcosa".
> È vero che pongono questa accezione quando è seguito dalle preposizioni
> "a" o "in", però penso che il caso dell'espressione di cui discutiamo,
> sia tranquillamente assimilabile.

Roger, convinciti: credo che Dio esiste fa ridere i polli.
Per usar "credo" nel senso citato di "essere certo dell'esistenza
di qualcuno o di qualcosa" si dica "credo nell'esistenza di"...
che si fa meno filosofia e più bella figura.

Per me "credo che" regge il congiuntivo, il condizionale
e un solo tempo dell'indicativo: il futuro.

Bruno

Roger

unread,
Sep 20, 2016, 12:49:20 PM9/20/16
to
Bruno Campanini ha scritto:
> Roger formulated the question :
>
> [---]
>> Inoltre alcuni dizionari pongono tra le accezioni del verbo "credere"
>> il significato di "essere certo dell'esistenza di qualcuno o di qualcosa".
>> È vero che pongono questa accezione quando è seguito dalle preposizioni
>> "a" o "in", però penso che il caso dell'espressione di cui discutiamo,
>> sia tranquillamente assimilabile.
>
> Roger, convinciti: credo che Dio esiste fa ridere i polli.

Fa ridere anche te?

Bruno Campanini

unread,
Sep 20, 2016, 2:16:16 PM9/20/16
to
After serious thinking Roger wrote :
> Bruno Campanini ha scritto:
>> Roger formulated the question :
>>
>> [---]
>>> Inoltre alcuni dizionari pongono tra le accezioni del verbo "credere"
>>> il significato di "essere certo dell'esistenza di qualcuno o di qualcosa".
>>> È vero che pongono questa accezione quando è seguito dalle preposizioni
>>> "a" o "in", però penso che il caso dell'espressione di cui discutiamo,
>>> sia tranquillamente assimilabile.
>>
>> Roger, convinciti: credo che Dio esiste fa ridere i polli.
>
> Fa ridere anche te?
Certamente sì: a crepapelle!

Nel mio personalissimo sentire la battuta è uno shortcut per:
fa ridere gli umani e perfino i polli.
Già, perché i polli sono notoriamente privi della
facoltà del sorriso.

Bruno

edi'®

unread,
Sep 20, 2016, 5:42:49 PM9/20/16
to
Il 20/09/2016 18:44, Bruno Campanini ha scritto:

> credo che Dio esiste fa ridere i polli.

Risus abundat in ore pullorum.

E.D.

edevils

unread,
Sep 21, 2016, 6:43:37 AM9/21/16
to
On 20/09/2016 18:44, Bruno Campanini wrote:
> Roger formulated the question :
>
> [---]
>> Inoltre alcuni dizionari pongono tra le accezioni del verbo
>> "credere" il significato di "essere certo dell'esistenza di
>> qualcuno o di qualcosa". È vero che pongono questa accezione quando
>> è seguito dalle preposizioni "a" o "in", però penso che il caso
>> dell'espressione di cui discutiamo, sia tranquillamente
>> assimilabile.
>
> Roger, convinciti: credo che Dio esiste fa ridere i polli.

Di fronte alla forza di simili argomentazioni, difficile aggiungere altro.


> Per usar "credo" nel senso citato di "essere certo dell'esistenza di
> qualcuno o di qualcosa" si dica "credo nell'esistenza di"... che si
> fa meno filosofia e più bella figura.

"Esistere" non è l'unico verbo usato dai credenti all'indicativo dopo
"Credo che Dio...".

"Credo che Dio è amore..."


> Per me "credo che" regge il congiuntivo, il condizionale e un solo
> tempo dell'indicativo: il futuro.
>
> Bruno


L'uso accettato è più ampio, come documentato in questa discussione,
anche senza parlare dei colloquialismi.

Bruno Campanini

unread,
Sep 21, 2016, 11:38:54 AM9/21/16
to
edevils laid this down on his screen :
Bella scoperta, "In questo mondo di ladri" democraticamenti
eletti si accetta di tutto... dall'ISIS al Papa.

Bruno

Ajeje Brazorf

unread,
Jul 7, 2023, 11:33:51 AM7/7/23
to
Mi ricongiungo alla corposa discussione
https://groups.google.com/u/2/g/it.cultura.linguistica.italiano/c/Yf3er0zePqo/m/K5ow6vgtBAAJ
sul "credo che" e le eccezioni più o meno condivise per le quali è/sarebbe necessario usare l'indicativo anziché il congiuntivo, come ad esempio l'eccezione delle professioni di fede, per domandarvi come debba essere considerato il verbo credere nella frase della formula di fede nota come Simbolo niceno-costantinopolitano, regolarmente recitata nelle messe di rito latino nella Chiesa cattolica:


"Credo la Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica".
(vd. pag. 322 della traduzione italiana alla terza editio typica del Messale Romano, post CEV II:
https://liturgico.chiesacattolica.it/messale-romanoterza-edizione-italiana/),
anziché "Credo nella Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica".


Leggo che tale formulazione dipenderebbe dal ricordare che "non si crede nella Chiesa allo stesso modo che in Dio" [§], essendo dovuto solo al Dio rivelatosi un atto di fede, e quindi è per la Chiesa impossibile affermare: "Credo nella Chiesa", seppure un credente sia vincolato al Magistero, interprete della Scrittura alla luce della Tradizione (da cui deriva la stessa Scrittura), e tale vincolo possa concretizzarsi in due modi: in un "assenso di fede", o più frequentemente in un "religioso ossequio dell'intelletto e della volontà", a seconda della tipologia di pronunciamento dottrinale ecclesiale in tema di fede e costumi (vale a dire di morale).

Quindi che significato ha quel "credo" nel "credo la Chiesa", rispetto a "credo che Dio è"?
Se il "credo che Dio è" di una professione di fede richiede(rebbe) l'indicativo per la certezza nella verità di quanto enunciato, ma al contempo esistono verità più o meno nitide: quelle infallibili a loro volta suddivise in due sottoinsiemi - una la cui negazione porta all'eresia e l'altra che non porta all'eresia - e quelle non infallibili (che è diverso da fallibili, perché restano "vere e sicure", seppure per l'appunto con una "nitidezza" inferiore), come interpretare queste due tipologie di credo nei due enunciati?



----------------------------------

[Excursus NON NECESSARIO per chi volesse capire perché parlo di due tipologie differenti di pronunciamenti dottrinali]

Nel testo della Professione di fede non liturgica, redatta nel 1998 dall'allora Congregazione per la Dottrina della Fede e recitata ad esempio da chiunque debba assumere un ufficio all'interno della Chiesa che richieda tale giuramento, dopo la prima parte contenente il Simbolo di cui sopra, si legge una parte non presente nel Simbolo stesso:


"[1] Credo pure con *ferma fede* tutto ciò che è contenuto nella Parola di Dio scritta o trasmessa e che la Chiesa, sia con giudizio solenne sia con magistero ordinario e universale, propone a credere come divinamente rivelato.
[2] *Fermamente accolgo e ritengo* anche tutte e singole le verità circa la dottrina che riguarda la fede o i costumi proposte dalla Chiesa in modo definitivo.
[3] *Aderisco inoltre con religioso ossequio della volontà e dell’intelletto* agli insegnamenti che il Romano Pontefice o il Collegio dei Vescovi propongono quando esercitano il loro magistero autentico, sebbene non intendano proclamarli con atto definitivo".


Il 1° comma è composto da atti *definitori* e solenni, ossia *dogmi*, che possono avere la forma di pronunciamenti "ex cathedra" del Papa o di costituzioni dogmatiche di un Concilio ecumenico (entrambi sono Magistero straordinario),
il 2° comma è composto da atti *non definitori* e non solenni, quali i pronunciamenti del Magistero ordinario e universale dei vescovi sparsi per il mondo.

Entrambi i commi attengono a verità proposte come *infallibili* dalla Chiesa, perché:
- *divinamente rivelate nella Scrittura* (1° comma) [@],
- *fondate sulla Scrittura* (2° comma) [@@].
e come tali *atti definitivi*, ma chi nega un atto definitivo che è anche definitorio (1° comma) commette un peccato mortale ed è anche eretico (con relativa pena medicinale canonica della scomunica), chi nega un atto definitivo ma non definitorio (2° comma), pur essendo in peccato mortale e nell'errore nella fede, non può essere considerato eretico, perché il pronunciamento non è espresso in forma definitoria.

In quanto infallibili, per entrambe le verità è richiesto un assenso di fede pieno, fermo e irrevocabile, sebbene:
- per le verità del 1° comma l'assenso sia fondato direttamente sulla fede nell'autorità della Parola di Dio - "dottrine de fide credenda",
- per le verità del 2° comma l'assenso sia fondato sulla fede nell'assistenza dello Spirito Santo al Magistero, nella comprensione delle Scritture alla luce della Tradizione - "dottrine de fide tenendo".

Nel 3° comma sono tutti gli insegnamenti del Magistero ordinario autentico (sia esso di tutti i vescovi o di un solo vescovo in comunione con la Chiesa), in materia di fede o morale, presentati come veri o almeno come sicuri, quantunque non definiti con giudizio solenne (definitori), né proposti come definitivi.
Chi si oppone a quest'ultimi, insomma, non è un eretico ma la sua dottrina può essere nell'errore nella fede oppure, nel caso degli insegnamenti di ordine prudenziale, temeraria o pericolosa, e come tale sicuramente non può essere insegnata; il suo peccato, a seconda dei casi, può essere mortale indirettamente contro la fede o per la sua temerarietà.

________________________________________________
[§] don Andrea Lonardo, direttore del Servizio per la cultura e l’università della Diocesi di Roma, qui https://www.gliscritti.it/blog/entry/1772

[@] ad esempio: Trinità; Gesù è Figlio di Dio; Gesù è vero Dio e vero uomo; incarnazione di Gesù; passione, morte e risurrezione di Gesù; istituzione ed efficacia dei sacramenti; transustanziazione; sacrificio eucaristico; istituzione divina della Chiesa; primato e infallibilità papale; conoscenza di Dio con la sola ragione; inerranza divina delle Scritture in tema di fede e morale; Maria Madre di Dio; concepimento immacolato di Maria; verginità perpetua di Maria; assunzione in Cielo di Maria; peccato originale; immortalità dell'anima spirituale; novissimi (tra cui il giudizio particolare alla morte e l'esistenza del Purgatorio); giudizio universale; risurrezione della carne; immoralità dell'uccisione diretta e volontaria di un essere umano innocente.

[@@] ad esempio: ordinazione sacerdotale riservata solo a uomini, legittimità dell'elezione del Sommo Pontefice, legittimità della celebrazione di un concilio ecumenico, canonizzazioni dei santi; invalidità delle ordinazioni nella comunità ecclesiale anglicana, illiceità dell'eutanasia e più estensivamente di ogni forma di autodisposizione dell'esistenza umana, illiceità della contraccezione coniugale, illiceità della prostituzione, illiceità della fornicazione.

Klaram

unread,
Jul 7, 2023, 1:40:03 PM7/7/23
to
Ajeje Brazorf il 07/07/2023 ha scritto:
> Mi ricongiungo alla corposa discussione
> https://groups.google.com/u/2/g/it.cultura.linguistica.italiano/c/Yf3er0zePqo/m/K5ow6vgtBAAJ
> sul "credo che" e le eccezioni più o meno condivise per le quali è/sarebbe
> necessario usare l'indicativo anziché il congiuntivo, come ad esempio
> l'eccezione delle professioni di fede, per domandarvi come debba essere
> considerato il verbo credere nella frase della formula di fede nota come
> Simbolo niceno-costantinopolitano, regolarmente recitata nelle messe di rito
> latino nella Chiesa cattolica:
>
>
> "Credo la Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica".
> (vd. pag. 322 della traduzione italiana alla terza editio typica del Messale
> Romano, post CEV II:
> https://liturgico.chiesacattolica.it/messale-romanoterza-edizione-italiana/),
> anziché "Credo nella Chiesa, una, santa, cattolica e apostolica".

Secondo me, hanno significati diversi:
la prima significa: credo che la chiesa sia una, santa, cattolica e
apostolica (e basta).
la seconda significa: credo nella chiesa con tutte le conseguenze che
che l'affermazione comporta, il resto è un elenco di attributi della
chiesa.

k

ele...@libero.it

unread,
Jul 8, 2023, 12:13:41 AM7/8/23
to
In genere si recita: "Credo la Chiesa / una santa cattolica apostolica" mentre la pausa non dovrebbe starci, come quando dico "credo mia moglie fedele", "credo Luigi ingiustamente accusato".

Ajeje Brazorf

unread,
Jul 8, 2023, 7:27:12 AM7/8/23
to
Klaram ha scritto:
Però se fosse come immagini non ci sarebbe la virgola subito dopo Chiesa, perché “una” sarebbe il primo attributo.

Ajeje Brazorf

unread,
Jul 8, 2023, 7:30:35 AM7/8/23
to
ele...@libero.it ha scritto:
> In genere si recita: "Credo la Chiesa / una santa cattolica apostolica"
> mentre la pausa non dovrebbe starci, come quando dico "credo mia
> moglie fedele", "credo Luigi ingiustamente accusato".

La pausa ci sta in forza della presenza della virgola. Ho riportato il collegamento al testo ufficiale proprio perché so bene che alcuni pensano che “una” sia riportato senza virgola prima.

ele...@libero.it

unread,
Jul 8, 2023, 11:34:50 PM7/8/23
to
> La pausa ci sta in forza della presenza della virgola. Ho riportato il collegamento al testo ufficiale proprio perché so bene che alcuni pensano che “una” sia riportato senza virgola prima.
Hai ragione, mi scuso della disattenzione.
Volevo ora approfittare della tua competenza per chiederti come mai "Et unam sanctam cathólicam
et apostólicam Ecclésiam" è stato tradotto "Credo la Chiesa, una ecc."?
In questo discorso del Wojtyła la virgola non c'è https://www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/audiences/1991/documents/hf_jp-ii_aud_19910710.html
Anche in questa pagina, nella traduzione, non c'è la virgola https://it.cathopedia.org/wiki/Simbolo_niceno-costantinopolitano
Grazie.

Klaram

unread,
Jul 9, 2023, 5:12:05 AM7/9/23
to
In effetti, quella virgola non ha senso.

k

Ajeje Brazorf

unread,
Jul 9, 2023, 1:37:03 PM7/9/23
to
ele...@libero.it ha scritto:
> come mai "Et unam sanctam cathólicam et apostólicam Ecclésiam"
> è stato tradotto "Credo la Chiesa, una ecc."?
Come avrebbero dovuto tradurre? Mi sembra la traduzione naturale, in forza di quellʼet iniziale: Credo (anche) la Chiesa, una, santa... Diciamo che gli «et » vengono spesso ignorati, se si pensa che solo recentemente il Padre nostro è stato tradotto dalla CEI con «come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori», mentre la prima traduzione liturgica ufficiale riportava solo «come noi li riportiamo» (sicut et nos)

> In questo discorso del Wojtyła la virgola non c'è
> https://www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/audiences/1991/documents/hf_jp-ii_aud_19910710.html
> Anche in questa pagina, nella traduzione, non c'è la virgola
> https://it.cathopedia.org/wiki/Simbolo_niceno-costantinopolitano

Per la professione di fede ciò che fa testo è sempre il testo liturgico ufficiale, che definisce il culto pubblico della Chiesa, quindi neppure una catechesi del Papa o una guichipedía cattolica hanno titolo rispetto a ciò. E nel testo del Credo presente nel Missale Romanum, editio typica tertia emendata, del 2008, trovi le virgole tra una, sanctam, catholicam e apostolica.

Ajeje Brazorf

unread,
Jul 9, 2023, 6:49:26 PM7/9/23
to
Klaram ha scritto:
Riporto un testo del card. Scola, che spero chiarisca perché ha senso quella virgola:

“«Credo sanctam ecclesiam, sed non in illam credo, quia non Deus sed convocatio vel congregatio christianorum et domus Dei est».
Con questa formulazione il vescovo medievale Bruno di Würzburg esprime, nell’orizzonte del Credo apostolico, in modo sintetico ed efficace la natura della Chiesa.
Essa *è il soggetto che consente al cristiano la confessione di fede*.
Professare nel simbolo la propria fede è possibile *solo se si è parte del soggetto adeguato a confessare il Credo*. Il singolo credente *è tale solo se fa propria ogni volta la fede della Chiesa*.
Per questo la Chiesa viene proposta, in quanto con-vocatio vel con-gregatio christianorum e domus Dei, come l’organismo vitale che confessa la Trinità, Gesù Cristo, lo Spirito, la vita eterna”.
Tratto da: https://it.zenit.org/2010/05/22/la-chiesa-e-il-soggetto-della-fede/


Però si può dire linguisticamente che quel “Credo la Chiesa” e “Credo che Dio esiste” si equivalgano?

ele...@libero.it

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Jul 10, 2023, 1:01:05 AM7/10/23
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> Però si può dire linguisticamente che quel “Credo la Chiesa” e “Credo che Dio esiste” si equivalgano?
Per me no, in italiano "Credo il Papa" non ha senso, "Credo il Papa infallibile" sì (e così anche "Credo la Chiesa una).

Klaram

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Jul 10, 2023, 2:13:08 AM7/10/23
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D'accordo, ma la contestazione non riguarda la fede: "credo la
chiesa," in italiano non regge grammaticalmente.

k

Wolfgang

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Jul 10, 2023, 5:21:22 AM7/10/23
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Lunedì 10 luglio 2023 alle 07:01:03 UTC+2 Ele ha scritto:
>> Però si può dire linguisticamente che quel “Credo
>> la Chiesa” e “Credo che Dio esiste” si equivalgano?
>
> Per me no, in italiano "Credo il Papa" non ha senso "Credo > il Papa infallibile" sì (e così anche "Credo la Chiesa una).

Nella frase “Credo il Papa infallibile”, “credo” significa “ritengo”, e
“infallibile” è un aggettivo predicativo. Per renderne più chiara questa
funzione è preferibile metterlo prima del complemento di riferimento:
“Ritengo infallibile il Papa.”

Ciao,
Wolfgang

Ajeje Brazorf

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Jul 10, 2023, 5:57:05 AM7/10/23
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Klaram ha scritto:
> "credo la Chiesa," in italiano non regge grammaticalmente.

Nell’italiano di tutti i giorni no di certo, ma in quello letterario (il "Nuovo De Mauro" di De Mauro [1]) o disusato (il "Grande Dizionario della Lingua Italiana" di Battaglia [2]) sì, e la lingua della liturgia non è affatto basata sull'italiano di tutti i giorni.

Chi di noi dice "In verità, in verità" (semitismo, suppongo) come rafforzativo, o "ecco" per dire "ora"?

[1] https://dizionario.internazionale.it/parola/credere accezione 3, parte transitiva
[2] https://www.gdli.it/JPG/GDLI03/00000951.jpg accezione 8, parte transitiva

Ajeje Brazorf

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Jul 10, 2023, 6:04:14 AM7/10/23
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ele...@libero.it ha scritto:
> > Però si può dire linguisticamente che quel “Credo la Chiesa” e “Credo che Dio esiste” si equivalgano?
> Per me no, in italiano "Credo il Papa" non ha senso, "Credo il Papa infallibile" sì (e così anche "Credo la Chiesa una).

Però nell'italiano letterario si è usato eccome transitivamente, con l’accezione di "avere fede": Dante e Foscolo lo usarono in tal guisa, e più recentemente anche De Sanctis, come riporta il Battaglia: «Dal Concilio di Trento in poi la forte razza di Sarpi e di Bruno era scomparsa, e norma della vita era *altro* credere e altro fare».

L’italiano biblico/liturgico spesso usa registri desueti o comunque insoliti, e lo fa deliberatamente per veicolare un messaggio.

ele...@libero.it

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Jul 11, 2023, 2:11:55 AM7/11/23
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> Nella frase “Credo il Papa infallibile”, “credo” significa “ritengo”, e
> “infallibile” è un aggettivo predicativo. Per renderne più chiara questa
> funzione è preferibile metterlo prima del complemento di riferimento:
> “Ritengo infallibile il Papa.”
Scusami, cosa si dovrebbe rendere più chiaro: se dico "Ritengo Luigi onesto e capace" non si capisce?

ele...@libero.it

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Jul 11, 2023, 2:19:48 AM7/11/23
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E allora la domanda doveva essere "Si può dire letterariamente o nell'italiano biblico/liturgico che quel “Credo la Chiesa” e “Credo che Dio esiste” si equivalgano?"
Poi, la frase el De Sanctis può provare tutto, e niente: "norma della vita era *altro* pensare e altro dire".

Ajeje Brazorf

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Jul 11, 2023, 4:55:20 AM7/11/23
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ele...@libero.it ha scritto:
> Poi, la frase del De Sanctis può provare tutto, e niente: "norma della vita era *altro* pensare e altro dire".

Hai fatto caso a quel «Concilio di Trento» iniziale? 🤔

Roger

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Jul 11, 2023, 6:50:38 AM7/11/23
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Cambia solo l'enfasi.
- Chi ritieni infallibile?
- Ritengo infallibile il Papa

- Pensi che il Papa possa sbagliare?
- No, ritengo il Papa infallibile

--
Ciao,
Roger
--
Coraggio, il meglio è passato (Ennio Flaiano)

ele...@libero.it

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Jul 12, 2023, 2:31:24 AM7/12/23
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Scusami non capisco:
- Dal Concilio di Trento... norma della vita era...
- Con la Controriforma... / Col prevalere del gesuitismo... norma della vita divenne...
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